Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

domenica 21 novembre 2010

Il 1848 nella valle del Lamone



Disordini e tumulti dopo
la sconfitta

di Carlo Alberto di Savoia
di Claudio Mercatali
Carlo Alberto


Nel 1848 la Prima guerra di Indipendenza passò rapida come una ventata. Carlo Alberto di Savoia ebbe l’ardire di muovere guerra da solo all’Impero Austro Ungarico e dopo un iniziale successo a Pastrengo (30 aprile) venne duramente sconfitto a Custoza (27 luglio) dal generale Radezky. La vittoria degli Austriaci fu folgorante e l’esercito Piemontese andò allo sbando. In quei giorni nella valle del Lamone le notizie, un po’ vere e un po’ false, si accavallavano, perché il rapido succedersi degli eventi non permetteva di farsi un’idea chiara dell’ accaduto. Il papa era fuggito a Gaeta, e il Granduca di Toscana aveva lasciato Firenze. Dunque in tutta la nostra zona c’era un vuoto di potere quasi completo. Gli sbandati di Custoza, sospinti dagli Austriaci vagavano per tutta la Romagna e la Toscana.

Lo storico Antonio Metelli, di Brisighella, che visse ai quei tempi, ci racconta così gli avvenimenti:

“ … Un certo Angelo Masini, giovane d’animo ferocissimo e forse il più arrangolato tra i Repubblicani, raccolti attorno a sé quaranta uomini in tutto simili a lui prese viaggio per la Romagna con animo di gettarsi in Toscana e d’incamminarsi a Livorno, città in rivolta. Costoro, arrivati a Faenza entrarono nella Valle d’Amone e proseguirono alla volta della Toscana, ai confini della quale essendo pervenuti, interrogati chi fossero risposero: “Repubblicani, amici del Cristo” per la quale strana risposta i gabellieri li lasciarono passare e così giunsero a Marradi e cavalcarono il dì appresso verso Borgo S.Lorenzo. Prima che vi giungessero un nerbo di soldati toscani, proibendo loro il passaggio, li costrinse a tornare indietro, per la qual cosa giunti a Marradi tutti inveleniti, attaccarono briga con i paesani, ad uno de’ quali diedero una ceffata e sputarono in volto, pel quale insulto Giacomo Fabroni, cacciatosi in mezzo per sedare il nascente tumulto, rivoltosi al Masini gli disse che badasse bene a quello che i suoi cavalieri facessero e ricordasse loro che i soldati toscani erano appresso … sicché la notte passò tacita e tranquilla. Finché venuta la dimane lentamente si misero a calare verso Brisighella …”.

Questi sbandati …
“… Scavalcati sulla piazza di Brisighella, chiesero le paghe alla Comunità e alloggio per i loro cavalli, che vennero distribuiti per le stalle dei privati. Intorno al soldo lungamente si disputò, sostenendo il Magistrato di non essere tenuto a porgerlo, sebbene poi accortosi con che gente aveva a che fare, credette meglio di darlo, con che essendo rimasti soddisfatti non diedero altra turbazione e la mattina appresso se ne andarono a Faenza …”

Nonostante la guerra persa la voglia di libertà era forte. Ci furono accenni di rivolta contro lo Stato Pontificio e il Granducato:
“ … Erasi di quei dì tumultuato fieramente in Modigliana, per odio contro la tassa di pedaggio posta al varco dé confini, il che aveva fatto nascere i medesimi appetiti in Marradi, poiché avendo i Modiglianesi rotta la catena che serrava il passo, pareva alla minutaglia che togliendo ogni divisione tra gli Stati fosse un andare a libertà e alla riunione dell’Italia … e tanto più facilmente i Marradesi se ne persuadevano consistendo il commercio loro nel carbone che giornalmente portavano in Romagna. Gli esempi di Modigliana riscaldarono così tanto le menti che, corsi a furia a Rugginara vi svelsero dagli arpioni la catena e tolsero di mezzo l’odiato balzello...”

L’ODIATO BALZELLO.................................. Il maresciallo Radezky

Chi andava a Brisighella pagava il dazio a S.Cassiano, chi veniva a Marradi a Rugginara, dove appunto c’era la catena. La dogana di Popolano era stata chiusa da poco (1841). Seimila scudi erano una bella cifra se si tiene conto che l’appannaggio di un cardinale era di 4000 scudi all’ anno.

Il Governo toscano non intendeva certo rinunciare al dazio e mandò dei soldati polacchi a ripristinare l’ordine. Chi erano?
“… da Firenze affinché lo Stato non venisse a mancare della pecunia che ritraevasi dalle gabelle (poiché è a sapersi che nella dogana di S.Cassiano posta a riscontro nel dominio del Pontefice riscuotevasi annualmente seimila scudi liberi da spese) vennero mandati a Modigliana e a Marradi un nerbo di Polacchi che nel disfacimento degli eserciti si erano rifugiati in Toscana ed erano stati poco prima assoldati per togliere loro ogni pretesto di tumulto, i quali poi per loro natura lasciarono le cose poco meno come prima…”.

Lentamente gli Austriaci ripresero il controllo della situazione:
“… avendo in qué giorni gli Austriaci sotto il governo del barone d’Aspre occupata Firenze e combattuta Livorno, che voleva durare a reggersi a popolo, si erano veduti passare per la Valle d’Amone due cocchi pieni di ufficiali lombardi, che fuggivano dalle terre della Toscana. In tutto il dominio del Granduca non restando forse che Modigliana, ostinata a non voler atterrare l’albero della libertà, alcuni aspettavano che venissevi gli Austriaci per costringerla con le armi e recarla alla devozione del Principe”.

Gli Austriaci avanzano. Arriveranno dalla Romagna o dalla Toscana?
“ … cominciossi a dire in Faenza che l’esercito Austriaco che aveva occupato la Toscana si era fatto innanzi per discendere in Romagna e si inviò un messo al magistrato di Brisighella che lo spedì a Marradi, ad Evaristo Piani che lì reggeva la Guardia Civica, dal quale si ebbe risposta che in Marradi e nelle terre finitime non s’era vista faccia di austriaco. Ecco giungere la notizia che gli Austriaci erano entrati in Bologna e si affrettavano verso la Romagna … in Brisighella non vi fu terrore ma costernazione non avendo voluto il Priore del Comune far atterrare l’albero della libertà, la qual cosa poteva forse attirare gli Austriaci ad insulto …”.

Il Priore si rassegnò perché capì che gli Austriaci del generale Gorzhowski, che comandava in Romagna, avevano la mano pesante. Ormai la guerra era finita. Le Autorità pontificie vollero festeggiare e: “ … fu nella maggior chiesa (di Brisighella) tutta parata a festa celebrata una solenne messa fra canti e suoni, stando presente la maggior parte de’ Commissari e assistendo in abito Pontificale il Faentino Vescovo …”

A Marradi successe più o meno la stessa cosa e ci furono messe solenni per ringraziare il Signore del ritorno del Granduca. In realtà non c’era proprio niente da festeggiare, perché erano tornati i vecchi governanti e gli Statuti e le Costituzioni erano state sospese. Però queste cerimonie, allora e anche oggi, si fanno d’autorità, “per contarsi” cioè per vedere chi partecipa e chi diserta. Infatti era chiaro che se qualcuno non festeggiava era un oppositore e doveva aspettarsi la visita dei gendarmi, pontifici o granducali, a casa sua. Così andarono le cose nella valle del Lamone nel 1848.


Bibliografia Testi della Biblioteca di Marradi, sezione di storia locale.

lunedì 15 novembre 2010

Il 1859 a Marradi


Breve cronaca
della vita

in paese nell'anno
della
Seconda Guerra
di Indipendenza


di Claudio Mercatali



Arrivano i Francesi

Nel 1859 la Seconda guerra di Indipendenza portò alla caduta del Granducato di Toscana e ad un rapido succedersi di eventi che in poco tempo culminarono nell’Unità d’Italia. Il 29 aprile 1859 l’Impero Austro ungarico dichiarò guerra al Regno di Sardegna, alleato della Francia. Il Granduca Leopoldo II due giorni prima aveva lasciato Firenze e quindi si instaurò un Governo Provvisorio. Chi diffondeva queste notizie a Marradi? Il metodo classico era la comunicazione con il bando affisso. Una copia doveva essere conservata in Comune e infatti nell’Archivio storico ce n’è una gran quantità. Possiamo immaginare che di fronte ai manifesti ancora freschi di colla si formasse un capannello di gente, in attesa che i pochi che sapevano leggere facessero un riassunto. Qui di seguito c’è la riproduzione di alcuni di questi documenti e si noterà che il linguaggio è fervido ed entusiasta. Si stava arrivando alla sospirata Unità d’Italia.

LA SECONDA GUERRA DI INDIPENDENZA
IN BREVE

27 aprile 1859 Il Granduca Leopoldo fugge da Firenze.
29 aprile, scoppia la guerra

1 Maggio A Firenze si instaura il Governo provvisorio

8 giugno Vittorio Emanuele II entra a Milano da vincitore
24 giugno le battaglie decisive sono a S.Martino e a Solferino
12 Luglio Armistizio a Villafranca

L’ultima settimana di aprile il Vicario granducale, ancora in carica a Marradi, scrisse a Firenze un po’ preoccupato:
“… fino dalla sera del 25 aprile gli abitanti di questa terra misero la coccarda tricolore… Questa mattina due paesani, senza esserne autorizzati, hanno levato due armi (= stemmi) Granducali, ma con disapprovazione dei più, i quali amano che si dovesse procedere alla loro rimozione, ma con modi legali; infatti i due individui hanno desistito”.
Questi accenni di rivolta popolare assunsero ben presto anche dei toni anticlericali e dallo storico Carlo Mazzotti apprendiamo che un certo numero di persone urlava di fronte al Monastero che è al centro del paese: “Abbasso le monache … fùra el mong!”. Nel maggio di quell’anno esse ebbero il timore di essere cacciate a furor di popolo, ma il loro confessore, don Giuseppe Mughini riuscì a calmare i più scalmanati e questo non avvenne.
E i Signori del paese che cosa facevano nella primavera del 1859? C’erano gli scettici, perché anche nel 1848 il Granduca era fuggito ma poi era tornato quando gli Austriaci avevano vinto. Però c’era anche chi parteggiava “per il nuovo”, cioè per i Savoia. Fra questi si può ricordare Evaristo Piani, un signore che già nel 1848 fu a capo della Guardia Civica anti austriaca e poi era dovuto fuggire. Anche la ricca famiglia Agnolozzi era di spirito libertario e imparentata con Gaspare Finali, il patriota romagnolo, marradese adottivo, al quale abbiamo intitolato una via. Lo spirito risorgimentale toccava il massimo fra gli amici di Celestino Bianchi, il direttore del quotidiano La Nazione, fondata il 19 luglio 1859, nativo di Marradi, membro del Governo Provvisorio. Fra i liberali c’era anche qualcuno degli immancabili Fabroni, e in particolare Gian Gastone, amico di Celestino Bianchi. Come già nel 1848 un buon numero di marradesi partì per combattere gli Austriaci. I volontari delle patrie battaglie furono:

1859 Angelo Betti, Lorenzo Catani, Andrea Consolini.
1859 – 1860 Nestero Fabroni, Umberto Fabroni,
Domenico Lama,
Desiderio Moretti, Fortunato Mercatali,
Giovanni Neri, Agostino Rossi,
Francesco Ravagli, Alessandro Solaini
1860 Antonio Moretti, Lorenzo Alpigini, Francesco Ciani,
Ferdinando Monti,
Antonio Monti, Michele Mariani, Pietro Mercatali.
1859 –1861 Maggiore Antonio Agnolozzi, Sebastiano Fabroni,
Paolo Meucci, Angelo Gurioli.

L’Amministrazione comunale continuò il suo lavoro quotidiano quasi come se la guerra non ci fosse. Questo avvenne perché lo svolgimento dei fatti d’arme fu rapido e la popolazione civile non fu coinvolta. Negli atti dell’archivio storico di Marradi si legge che il 27 giugno 1859 si appaltarono gli ultimi lavori per la copertura del Rio Salto, che fino a due anni prima scorreva a giorno in mezzo al paese e si decise di ampliare il cimitero, secondo questa planimetria.

Planimetria del cimitero nel 1859: particella 5, cimitero
comunale, particelle 6, aree sulle quali verrà poi
costruito il cimitero della Misericordia (fine Ottocento)
Sotto: la strada per Cardeto, secondo il tracciato del 1859

Fu costruita anche la strada di Cardeto, da Biforco alla chiesa, per evitare lo scomodo passaggio accanto al fiume, in mezzo a Casa Fossino.
Nell’ottobre del 1859 si elesse il nuovo “Responsabile del Comune”. Non si sa come chiamarlo di preciso, perché non era più un Gonfaloniere ma non era nemmeno un Sindaco, dato che la serie dei Sindaci comincia nel 1865 dopo le prime vere elezioni. Anche sulla parola “elezione” occorre intendersi, perché il nuovo Gonfaloniere – Sindaco fu votato, o sorteggiato, in seno al vecchio Consiglio dei Priori, e per legge era obbligato ad accettare. Costui era il notaio Orlando Pescetti, patriota già nel 1848, che però si dimise dopo quindici giorni, con un certificato medico in cui lamentava l’artrite. Il Prefetto respinse seccamente le sue dimissioni perché “si stava facendo l’Italia” e gli incomodi di salute interessavano poco. Nemmeno noi possiamo credergli del tutto, perché dopo qualche mese Pescetti si candidò alle elezioni per il primo parlamento del Regno d’Italia, dove non fu eletto perché i voti andarono quasi tutti a Celestino Bianchi. Dopo Pescetti toccò, a turno, a diversi altri Priori.
In autunno arrivò una serie di nuove leggi. Un decreto del 29 settembre 1859 introdusse in Toscana il sistema metrico decimale. Fino ad allora le lunghezze erano state misurate in braccia fiorentine (0,58m) e le planimetrie erano alla scala 1:1250, come quella qui sopra. Si adottò la Lira italiana al posto del fiorino. Il 28 novembre 1859 con la Legge organica delle Poste e si cominciò a pesare i pacchi in grammi e non più in libbre. Nei nuovi francobolli fu tolto il “Marzocco” e si mise lo stemma Sabaudo. In mezzo a tutti questi cambiamenti ci sarà stata anche della confusione, ma non più di tanto. Dai documenti si capisce che i nostri antenati furono più accorti di quanto non siamo stati noi nel 2002, quando si passò dalla lira all’euro. Nel dialetto locale è rimasto a lungo qualche ricordo delle vecchie misure. Per esempio a Marradi, finché c’è stata la lira, la moneta da “cinquecento” era da “zent scud” perché uno scudo granducale valeva cinque lire, e anche oggi si può sentire qualcuno dal fornaio che chiede “e mèz de mèz” usando la misura in quarti di chilo, se vuole un filoncino di pane da due etti e mezzo.

Tutto questo turbine di eventi ebbe compimento con il Plebiscito per l’Unità d’Italia, che in Toscana e in Emilia si tenne i giorni 11 e il 12 marzo 1860. Alla domanda: "Volete l’annessione alla monarchia costituzionale del re Vittorio Emanuele, ovvero regno separato?" i marradesi risposero così: 1482 a favore e 95 contrari. Le donne non votarono, come di regola nell’Ottocento. Fu festa grande e dalla relazione del Vicario di Marradi apprendiamo che:
“Il 18 marzo 1860, ci fu il solenne Te Deum per il risultato del Plebiscito, per l’unione dell’Italia centrale alla Monarchia Costituzionale del Re Vittorio Emanuele. Furono anche incendiati fuochi pirotecnici. La festa fu protratta fino alle ore 10 di sera e vennero fatti unanimi evviva al Re, all’imperatore Napoleone III, al conte di Cavour e al Ministero Toscano”.

Bibliografia 1) Documenti dell’Archivio storico di Marradi. 2) Relazione del Vicario, da G.Matulli, La via del grano e del sale. 3) Carlo Mazzotti Il Monastero delle Domenicane di Marradi

venerdì 12 novembre 2010

PIANISTE della SCUOLA di MUSICA di FIESOLE suonano CHOPIN al TEATRO degli ANIMOSI

Marradi L. 08.11.2010

NEL TEATRO ANIMOSI UN CONCERTO DA NON PERDERE:
ballate, notturni, valzer e polacca di Fryderyk CHOPIN, come “cannoni sepolti sotto i fiori”.

Sabato 20 novembre 2010, ore 21.00, nel più antico e bel teatro dell’Appennino tosco-romagnolo ci sarà un evento musicale di alto livello nel quadro del programma culturale promosso dalla Provincia di Firenze sotto il titolo “IL GENIO NEL TERRITORIO”, “musica insieme”, al quale partecipa con entusiasmo ed impegno il Comune di Marradi. La perfetta acustica del teatro, dovuta ad un antico canone architettonico ancora insuperato, garantisce un ascolto limpido e avvolgente. L’ingresso è libero.

La scelta di Chopin non è casuale, ma è temporalmente causale perché quest’anno si celebra il bicentenario della sua nascita. Marradi è lieto di partecipare a questa importante ricorrenza con un programma di ottima scelta che include brani per pianoforte di grande intensità emotiva, interpretati da due giovani esecutrici, poco più che ventenni, ma con un curriculum già promettente ed ora attive presso la Scuola di Musica di Fiesole sotto la guida di Pietro De Maria e Bruno Canino, sommi maestri dello strumento preferito dal compositore polacco, tanto che i suoi lavori per strumento singolo e complesso orchestrale sono definiti concerti per orchestra e pianoforte perché lo strumento costruito per primo da Cristofori nel 1698 (chiamato inizialmente fortepiano) con Chopin diventa l’elemento concertante e l’orchestra interviene solo per dare spessore al suono e sviluppo alla forma-sonata.

I suddetti aspetti tecnici ed estetici sono ancora più comprensibili se si inquadra Chopin in brevi note biografiche e nel contesto territoriale, storico e culturale in cui egli operò: nacque a Varsavia nel 1810, un anno dopo Mendelssohn, e morì a Parigi nel 1849, due anni dopo lo stesso autore tedesco, di cui divenne amico proprio a Parigi. Entrambi hanno avuto vita breve, ma quanto Mendelssohn era “Felix” (nomem omen), vitalistico e itinerante, Chopin era meditabondo, pessimista e stanziale, un Leopardi della musica. Il suo carattere rappresenta la quintessenza dello spirito romantico “debole”, che muove la nostra tenerezza e commuove quando le note dei suoi lavori ci arrivano alle orecchie e invece di salire al cervello, vanno direttamente al cuore. La grandezza di Chopin sta proprio nell’apparente spontaneità delle sue melodie, nell’ingannevole facilità del motivo musicale. Se invece di “sentire” le sue ballate, i notturni, gli improvvisi, i preludi, le amate mazurche e polacche (omaggio generoso e spontaneo alla terra natale), “ascoltiamo” anzi ci concentriamo in meditazione sui suoi lavori, scopriamo che la spontaneità chopiniana è frutto di genio precoce e persistente associato a virtuosismo tecnico e la facilità è una complessità risolta. La nomea di Chopin salottiero, malaticcio, morboso e languido non riguarda la sola personalità del compositore ma quella di tanti letterati e artisti nati nel o intorno al primo ventennio dell’‘800, come Schubert, Baudelaire e il già citato Leopardi. A noi rimane per sempre il piacere dei suoi brevi e immortali lavori.

Siamo pronti ad ascoltare al pianoforte Gaia Federica Caporiccio e Irene Novi che fanno della loro giovane età una dote proprio chopiniana. Il loro curriculum ci fa sperare in un futuro ricco di progresso e maturità artistica. Attendiamo con impazienza la loro esibizione perché quando si parla di Conservatorio L. Cherubini di Firenze, dove si sono formate, e Scuola di Musica di Fiesole, dove stanno perfezionandosi, abbiamo la certezza che le radici e il tronco sono sani e nobili; saranno Irene e Gaia Federica a crearsi una bella e attraente chioma. Il terreno di coltura è fertilissimo: sulle incantevoli e blasonate colline nordorientali di Firenze sono nate iniziative musicali di grandissima fama: oltre alla già citata Scuola di Fiesole, L’Homme armé di Settignano e Radio Montebeni che ha trasmesso per decenni musica classica ogni giorno 24ore.
Antonio Moffa


PS: MARTEDì 16 NOVEMBRE, ore 20.30, in BIBLIOTECA ci sarà un incontro di preparazione al CONCERTO