Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

martedì 13 dicembre 2011

I marchesi di Val dla Meda

Un’antica famiglia 
di nobili che amavano 
stare a Marradi
di Claudio Mercatali





                                                            La fattoria

Chi erano i Marchesi di Val dla Meda? La domanda è semplice, ma la risposta è difficile, perché chi ha abitato nella valle della Badia del Borgo chiama tuttora questi vecchi proprietari “i marchìs” e il cognome se lo ricordano in pochi. E’ una specie di dimenticanza collettiva, dovuta al fatto che il titolo nobiliare, anziché accompagnarsi al nome e al cognome, si sovrappose. Però qualcuno si ricorda che erano i marchesi Matteucci, nobili di Pescia, in provincia di Pistoia.
Dalle notizie fornite dalla famiglia e dall'anagrafe del comune di Marradi sappiamo che il marchese Giulio Cesare Matteucci, di Pescia, ebbe in dote la fattoria dalla moglie Fidalma Matulli, una ricca marradese. Fra i due deve esserci stato un amore a prima vista, perché Fidalma, nata nel 1858, sposò il marchese a diciannove anni, nel luglio 1877, e nacque un figlio l'anno dopo. Dunque il marchese Matteucci per questo matrimonio rimase legato a Marradi, ma non gli dispiacque, si interessò alla vita del paese, e nel 1898 fece anche il consigliere comunale.
Ora non andremo tanto indietro nel tempo e ci bastano le notizie degli ultimi cento anni. Il marchese Felice Matteucci de Nobili, figlio di Giulio Cesare, nacque a Firenze l’8 maggio 1878. La sua prima moglie si chiamava Lavinia Rossi De Gasperis e poi, rimasto vedovo nel 1924, si sposò con Irma Signorini. Nei primi anni Venti fu anche assessore del Comune.

Gli aneddoti sono tanti e gustosi. Quelli che seguono vengono dai ricordi della gente e si raccontano in paese con tante varianti:
La prima cosa che dicono gli anziani che si ricordano di lui è che il marchese Felice spesso andava a Firenze o a Pescia e al ritorno, prima di arrivare, mandava un telegramma perché i suoi contadini venissero a prenderlo con la portantina e loro, obbedienti, scendevano in paese. Però non sapevano mai di preciso né l’ora né il giorno di arrivo e nell’attesa erano autorizzati ad albergare nel suo palazzo degli Archiroli.
La strada non c’era e il marchese non se la sentiva di andare a cavallo lungo la mulattiera dissestata fino alla fattoria, e quindi la portantina era una necessità e non una pretesa. Da Marradi a Val dla Meda ci sono circa 8 km in salita e ogni tanto c’era una tappa. I portantini facevano sosta lungo la via nei poderi della fattoria, soprattutto a Campo Davanti e a Trebbo, dove si rinfrancavano con qualche bicchiere di vino. Così dopo circa tre o quattro ore la comitiva arrivava a destinazione.

Il palazzo in primo piano, agli Archiroli,
 dal 1958 di proprietà Catani - Gamberi, 
era dei marchesi Matteucci.


Un altro ricordo molto vivo è che il marchese Felice aveva un labbro leporino, e per coprirlo portava barba e baffi. Secondo una vecchia credenza popolare marradese chi ha il labbro leporino ha anche “la voja dla levre” cioè è un po’ nottambulo.
Naturalmente questo non è vero, però di lui si ricordano le ricche cene e il piacere di tirar tardi nelle fresche notti estive di Val dla Meda. Nonostante i suoi quarti di nobiltà aveva un modo di fare semplice e non disdegnava la compagnia della gente di campagna. Diverse persone a Marradi dicono che nei giorni di fiera non era difficile incontrarlo con una decina dei suoi in giro per le méscite del paese e poi alla trattoria.

Scherzava volentieri, per piacer suo e per passare il tempo:
  • Un giorno mandò un contadino a fare un po’ di bracconaggio, perché non mancasse la carne fresca, ma di nascosto lo fece seguire da un altro dei suoi travestito da guardiacaccia, perché lo sorprendesse e gli sequestrasse la selvaggina. Così il contadino cacciatore, tornato a mani vuote, fu sgridato e prese dell’ingenuo. Però il giorno dopo trovò l’arrosto a tavola.
  • Don Domenico Nati, parroco della chiesa di Santa Maria ad nives, nel paesino di Albero, detto don Mengone dai suoi parrocchiani, nei festivi saliva a Val dla Meda per dire messa. A volte partiva il sabato e pernottava alla fattoria, per giocare a carte con il marchese a veglia. Una domenica, avendo alzato il gomito un po’ troppo la sera prima, durante la predica fece confusione e parlò anche della cricca di coppe e il marchese non mancò poi di prenderlo in giro, con un certo numero di battute sul chianti, il sangiovese e il vin santo.
  • La fattoria non aveva vigne e perciò il vino lo mandava a prendere a Marradi. Una volta si accorse che un suo contadino ne aveva bevuto un po’ strada facendo e aveva allungato con l’acqua il vino di un fiasco. Costui per qualche giorno, alla fattoria, dovette bere un bicchiere del vino annacquato finché non lo finì.
  • Gigione era ormai vecchio e vedeva poco. La passione per la caccia gli era rimasta e d’autunno andava volentieri al capanno. Il marchese fece appendere a un ramo una ciabatta legata con un filo e il vecchio cacciatore vedendola ciondolare sparò più volte perché l’aveva scambiata per un tordo.

Di queste storielle un po’ leggendarie ce ne sarebbero altre, ma queste sono sufficienti per definire il personaggio. Il marchese aveva quattro figlie e un figlio, Giulio Cesare, come il nonno. Le quattro figlie, le marchesine, come qualcuno le chiama ancora oggi, negli anni Trenta soggiornavano spesso al palazzo degli Archiroli e Nicoletta Marianna (1930), la più piccola, andava a scuola a Marradi. Rosanna (1915) Maria Luisa (1918) e Maria Rosaria (1920) erano già ragazze e quando il marchese non le lasciava uscire la sera, facevano finta di dare retta ma poi saltavano dalla finestra del retro per andare un po’ in giro per il paese o in campagna.
Dall’anagrafe del Comune di Marradi risulta che la famiglia è stata residente a Val dla Meda fino al 6 ottobre 1941. Cesare Matteucci, l’ultimo marchese, nacque a Pescia nel l916. Si dice che alla fine degli anni Quaranta sia stato vittima di un imbroglio, perché un suo conoscente lo convinse a prestargli una forte somma da investire in America, a Kansas city, dove diceva di avere dei crediti e delle possibilità di guadagno, che però non furono tali.
Per questo e per diversi altri motivi di famiglia la fattoria fu venduta. Però la nostalgia evidentemente si fece sentire, perché dopo qualche anno Cesare ricomprò una parte della proprietà, ma dopo poco tempo fu costretto a rivenderla. Da allora il marchese e le sue sorelle non si sono più visti qui in paese.

Val della Meda nella carta 
del Catasto Leopoldino (1833). 
La strada passava sotto la casa.


I principali poderi della fattoria erano: Lischeta, il Poggiolo, L’Eremo e l’Ermetto, Trebbo Val Cutirano, Sambuco, Campo davanti, il Casetto, Vasculla. Il nome esatto del sito è "Val dla Méda", dal latino meto = mietere, o da meta (romagnolo méda) = mucchio, covone. La trasposizione in italiano è Val della Mèta. Nelle vecchie carte c’è sempre “meda” e non “meta”.

Fonti Vox populi, vox Dei. Gli aneddoti vengono dai ricordi di Carlo Catani, Giuseppe Gurioli, Ezio della Costa, Franco di Valcuccia, Gino di Lischeta, Silvano di Piansieve. Le notizie sono state gentilmente fornite da Carmelita Maltagliati, figlia di Nicoletta Marianna Matteucci, che ora abita a Montecatini Terme, e dal dr.Sapo Matteucci, figlio di Cesare, che ha ereditato il titolo di marchese e abita a Roma.

NOTA
Il dr. Sapo Matteucci, oltre al titolo di marchese, deve aver ereditato dai suoi antenati anche una buona dose di spirito, almeno a giudicare dalla recensione del suo ultimo libro: "C'era una vodka" fatta da Antonio Genna, il quale ci dice che il libro è:

Una “fenomenologia dello spirito” ecco cos’è “C’era una vodka – Un’educazione spirituale da 0° a 60° " (Editori Laterza), scritto da Sapo (Saporoso) Matteucci, già giornalista per “Il Globo” e “Bell’ Italia” ed attualmente direttore responsabile di “Vivaverdi”, rivista della Società Italiana Autori Editori. Il volume è di difficile classificazione, a metà tra un diario autobiografico di esperienze personali legate all’alcool ed un saggio sulla cultura dello spirito.
Il volume è suddiviso in sezioni, in base al grado alcolico:
“Gli spiritosi (da 0° a 11°)” gli “Gli spiritati (da 16° a 40°)”, gli “Gli spiriti magni (da 40° a 60°)” per tornare indietro con “Gli spiriti divini (da 12° a 16°)”.
L’amore dell’autore per il buon bere parte dall’età giovanile sulla spiaggia di Viareggio, alla scoperta della “bottiglietta a forma di grosso punto esclamativo rosso alla rovescia” (il Campari soda).
Da quel momento si intrecciano ricordi e drink, illustrati con le apposite ricette (ingredienti, modalità di preparazione e consigli dell’esperto): Sapo ricorda il primo Daiquiri per dimenticare le sue pene d’amore, o il brandy a cui lo iniziò – ingannandolo – il nonno, ottimo bevitore di cognac ...

Un volume da degustare con molta calma e moderazione, così come i drink ed i vini descritti. E' dedicato a “chi pensa che l’alcool non è certo terapeutico, ma senza sarebbe anche peggio”.

1 commento:

  1. Buongiorno
    I miei nonni erano di Marradi ( Badia del Borgo ) e abitavano ed erano coloni al Casetto .
    Mia nonna Checchina ( 1904/1972 ) in particolare lavoro' come bambinaia a Val della Meda nei primi '900.
    Poi si trasferirono a Roma verso gli anni '30 come anche la famiglia del marchese

    RispondiElimina