Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

venerdì 2 dicembre 2011

Eravam in 30 e 30 siamo tornati…



Un tuffo nelle bellezze di Roma
     e nelle “delizie” del Parlamento.


In trenta siam partiti da Marradi martedì 29, non per una semplice gita ma per una “ full immersion” nella magica Roma.

Niente cori sul pullman ma, composti ed educati, siamo arrivati nel cuore dell’Urbe e appena scesi una prima scissione: 17 ( che brutto numero!!!) alle Scuderie del Quirinale ad ammirare Lippi e Botticelli, e 13 al Vaticano, nei luoghi della Fede.

17 alle Stalle…13 alle Stelle!

Inutile dire che la scrivente faceva parte del secondo nobilissimo gruppo.

Non so bene dei 17 tornati tutti entusiasti, ma noi 13, dopo aver subito la perdita di 3 “aventiniani” che son andati per i fatti loro, suscitando non pochi pettegolezzi nel viaggio di ritorno, ci siamo diretti verso il cuore della Cristianità. Ma poiché la carne è debole in particolare quella dei piedi, non abbiamo resistito alla tentazione di un tourist-bus su cui ci siamo appollaiati comodamente per una visita aerea della città e del suo melmoso traffico. Poi via dentro San Pietro annichiliti da tanto sfarzo e dalla sontuosità dei marmi, degli ori, degli stucchi e subito dopo, per ritrovare una dimensione più umana e terrena, una bella goduriosa “ Happy hour”con tanto di frizzantino e stuzzichini.



Riunita la truppa davanti al “Palazzaccio” con vista da urlo su Tevere e Cupolone, siam partiti alla volta di Ciampino “ by night” verso la pappa calda e santa dell’Istituto della Madonna del Carmine, un’enorme piovra multi tentacolare con infinite camere e infiniti terrificanti corridoi…avete presente il film “ Shining”, e gira di qua e scendi di là, c’è stato chi di prima mattina, inseguendo l’odore del caffè, è finito anche nei misteriosi sotterranei, dove uno stuolo di preti di bianco vestiti e ben cantanti assisteva ad una criptica messa.

Poi colazione con i classici pane burro e marmellata e tragico caffè cicoriato che nemmeno nel Burundi.

Ore 8 e 30 spaccate partenza per Roma e subito inchiodati nel Raccordo Anulare, che certo merita una visitina essendo così spesso citato nelle rubriche al traffico dedicate. Dal mare di auto ammassate sembrava quasi di poter udire il levarsi di un coro di imprecazioni non ben definite ma noi, tutti eccitati, pensavamo a ben altre esternazioni che ci attendevano a Montecitorio, luogo, questo sì, istituzionalmente deputato alle esternazioni più o meno ortodosse.

Salterò ulteriori descrizioni della città perché il fatto più memorabile della giornata è stato il nostro” affaccio” sull’elegantissimo emiciclo del Parlamento. Di nuovo allineati, azzimati e ben incravattati, abbiamo varcato in religioso silenzio il portone insonorizzato che ci ha catapultato sul catino del più famoso emiciclo d’Italia. Dante, immaginando l’imbuto dell’Inferno, i suoi gironi e le bolge, non era stato così realistico rispetto allo spettacolo che ci siamo trovati di fronte: un’atmosfera cupa, un “aere “ pesante, legni scuri, scranni brulicanti di onorevoli distratti, sbracati e rumorosissimi, chi col giornale, chi col computer, molti al telefono con i vari i- pod, i-pad, ma tutti rigorosamente disattenti rispetto all’oratore di turno. Assiso sulla sedia più nobile Buttiglione dirigeva la poco nobile assemblea mentre al di sotto di lui la fila degli scranni destinati ai ministri era desolatamente vuota, libera dal peso delle pregiatissime terga dei ministri.

Abbiamo subito compreso che le porte insonorizzate, più che ad impedire improbabili disturbi esterni, servivano a contenere il brusio dell’onorevole massa che ora, a detta della commessa che ci accompagnava, dopo il “responsabile” ritiro del nostro ultimo dittatore parlamentare è molto più tranquilla, tanto che, aggiungo io, può anche concedersi un pisolino…

Un sentimento comune di disgusto è calato su tutti noi, ci siamo sentiti delle nullità, dei burattini manovrati dai nostri politici, e forte si è radicato ancor di più in noi un sentimento di impotenza verso la “Casta” e i suoi innumerevoli privilegi, sentimento che nemmeno le bellezze che Roma ci ha così generosamente elargito, son riuscite a dissolvere.

                                                                                         
                                                                                  Luisa Calderoni

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