Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

sabato 28 luglio 2012

... E quindi uscimmo a riveder le stelle ...


Una notte guardando il cielo
di Claudio Mercatali

L'Osservatorio di Monte Romano


Da Marradi e dai monti vicini le stelle si vedono bene. L'aria tersa per la poca umidità e il basso contenuto di polveri e fumi favoriscono l'osservazione del cielo notturno. La distanza dalle fonti luminose della Romagna e della Toscana limita il cosiddetto inquinamento luminoso, dovuto alla diffusione delle luci dei lampioni nella volta celeste.

Per questo il Gruppo Astrofili Antares di Romagna, nel 1994, scelse Monte Romano per costruire un osservatorio. Siamo a circa 800m di quota, a circa 1km da Croce Daniele in un punto molto panoramico dal quale si vede mezza Romagna e, all'alba, specialmente in inverno, si possono scorgere l'Istria, i Colli Euganei (Veneto) e le Alpi al confine svizzero.

La Romagna vista da Monte Romano


Le condizioni di seeing, cioè di disturbo luminoso sono discrete, e tenuto conto che un osservatorio aperto al pubblico deve essere anche raggiungibile facilmente in auto, con spazi di parcheggio ampi, qui da noi è difficile trovare un posto meglio di questo.
L'osservatorio è sorto in cinque anni, con tanto volontariato, ed è stato inaugurato nel 1999. Da allora, in ogni stagione, apre al pubblico e ai gruppi che lo richiedono secondo un calendario di visita che c'è anche alla Biblioteca di Marradi. Una decina di serate sono gratuite, in base a una convenzione con il Comune di Brisighella, però è gradita un'offerta libera per le spese vive.

La saletta delle riunioni nell'Osservatorio
durante la lezione sui pianeti


Clicca sulle immagini per ingrandirle

Oggi 14 luglio è una di queste sere e, sotto la guida degli astrofili Antares si osserva il cielo estivo. Che cosa c'è da vedere? La guida ci fa accommodare nella saletta e ci spiega che questa notte potremo vedere il pianeta Saturno e le costellazioni dell'Orsa Maggiore, della Lira, del Cigno, dell' Aquila e a mezzanotte le zodiacali dello Scorpione, della Bilancia e del Sagittario, quando saranno sorte e alte nel cielo. Questo perché le stelle sorgono a est e poi tramontano, dopo qualche ora.
Mentre aspettiamo che il cielo diventi scuro quanto basta assistiamo a una bella lezione in video sui pianeti e le loro caratteristiche e, a gruppi ristretti, saliamo al piano superiore dove c'è il telescopio principale puntato verso Saturno
Il telescopio

Gli esperti spiegano che per vedere bene al buio bisogna che la pupilla si dilati al massimo, in modo da raccogliere il più possibile la luce che viene dai corpi celesti. Una lampadina o peggio ancora un neon, farebbero restringere la pupilla e ci renderebbero astronomicamente ciechi per qualche minuto anche se venissero spenti. Perciò nella cupola c'è una surreale luce rossa, che non dà questo effetto sui nostri occhi.


Sotto: Saturno

 Saturno appare al telescopio come una pallina bianca, con una fascia di anelli dello stesso colore. Fino ai primi anni Ottanta non si riusciva a vederlo molto meglio di così nemmeno con dei telescopi più potenti, poi la sonda americana Voyager lo raggiunse e lo fotografò da vicino mandando le immagini a colori che ora sono in tutti i libri di astronomia.
La guida scherza e ci dice che dista da noi 1,5 miliardi di chilometri, cioè viaggiando a 130 km/h impiegheremmo quasi 1300 anni per raggiungerlo.


Ascoltando e guardando il tempo è volato e si è fatto buio. Usciamo a vedere il cielo. Un vento teso ci fa il favore di sgomberare il cielo dalle nubi e ci costringere a mettere i Kway.
La prima costellazione da cercare è il Grande Carro, che appunto ha la forma di un barroccio o di un cucchiaio, come dicono gli inglesi. E' formata da sette stelle e siccome i buoi presso i Romani erano i triones,  è la costellazione dei Septem Triones, parola da cui deriva "settentrione".
Insomma stiamo guardando a nord, come si vede anche da questa fotografia. Dal Grande Carro si trova il Piccolo Carro, dove c'è la stella Polare.

Visuale nord da Monte Romano: Ravenna e in alto il Grande Carro (Orsa Maggiore).




E' ormai mezzanotte e a est, dai monti sopra Tredozio, è sorto lo Scorpione, che è una delle costellazioni più belle. E' inconfondibile e assomiglia proprio all'animale dal quale prende il nome. La stella principale è Antares una "gigante rossa" molto luminosa.

Lo Scorpione (l'immagine è ritoccata 
per evidenziare quello che interessa).


Sotto: La Costellazione del Sagittario 
(foto modificata per mostrare gli allineamenti)



Vicino allo Scorpione c'è anche la costellazione del Sagittario, più debole. Gli antichi qui vedevano la figura del mitologico animale, mezzo uomo e mezzo cavallo, che scaglia la sagitta, la freccia, ma ci vuole una bella fantasia. Forse hanno ragione gli inglesi quando dicono che questa costellazione ha la forma di una teiera, con il manico a sinistra e il beccuccio a destra. L'ombra più chiara, nella foto qui sopra, sarebbe dunque il vapore del the caldo, ma in realtà è la Via Lattea.

La guida ha detto molto altro, ma qui non si può riassumere. Queste cose sono da vedere più che da descrivere. La sera del 28 luglio si guarderà la Luna.

lunedì 23 luglio 2012

Biscotti detto Gianni


con gli “Zappatori senza padrone”



La Comune di Pianbaruzzoli fu un'esperienza di vita descritta così da chi l'ha vissuta:

"Nella metà degli anni Settanta un gruppo di giovani, caricati gli zaini in spalla, decisero di averne abbastanza dell’avvento della modernità. Spinti da un insieme di idee anche diverse fra loro, ma uniti da un senso comune di rifiuto della modernità “energivora” e schiavizzante, occuparono un villaggio semi diroccato e abbandonato da decenni: “Pian dei Baruzzoli”.
Da allora molti movimenti antagonisti e rivoluzionari sono nati e decaduti ma la Cooperativa zappatori senza padrone G.Winstanley è sopravvissuta per decenni fra alterne vicende".

Il ritorno assoluto e completo alla natura, e una definizione dei rapporti umani del tutto alternativa non sono novità del Novecento, perché già prima erano stati teorizzati e praticati. Gerard Winstanley (16091676) che dà il nome alla Cooperativa degli Zappatori fu un religioso e politico inglese, portavoce della comunità dei diggers (= zappatori, appunto) del Surrey, ossia dei gruppi che, ai tempi della Rivoluzione inglese di Cromwell, si unirono per lavorare le terre secondo principi comunitari e di eguaglianza.
Un altro ispiratore fu Henry David Thoreau (1817– 1862), che si vede qui accanto, poeta, filosofo, naturalista e libero pensatore americano, autore del libro Life in the woods (Vita nella foresta), una riflessione sulla vita in stato completamente naturale e sulla disobbedienza civile. Il pensiero di Winstanley e di Thoreau fornì a Biscotti un motivo in più per andare a Pianbaruzzoli ... ecco il suo racconto ... 

"Sono arrivato a Piambaruccioli il 21 gennaio del ’79 e ci ho lasciato qualcosa, ma è niente in confronto a quanto ho ricevuto. Conservo ancora una copia del libro bianco, che racconta le prime storie di amore ed anarchia della valle: anni ‘76, ‘77,’78. E' stato un seme particolarmente infestante forse credi che sia morto o dimenticato, ma ogni tanto qualcuno lo ripianta e quello rispunta vigoroso. Intanto grazie per quel che è stato, per come è ora e per quel che verrà. Gli zappatori senza padrone sono un qualcosa che non è prigioniero del tempo o dello spazio, non sono esclusiva di nessuno, ma il nostro seme è scritto che non può morire. Abbiamo trovato la felicità nella miseria e nell’ ignoranza reciproca ma con dignità, forse anche ingenuità, ma lasciando la porta sempre aperta, perché da noi se si presenta un ladro è probabile che ci lascia qualcosa e si porta via un bel ricordo. Giambardo, Enca, Tonino, Snella, Jerry, Marisa, Ulisse, Prana, Piera, Puiana, il Romano, le Romane, Peppino, Ciarly e tanti, tanti altri.

La befana del ‘79.
Lasciai mamma e babbo a Firenze, ero quasi maggiorenne e girovagavo un po’, i miei amici più cari erano la chemise Lacoste, i barros con la punta, i rayban. Gli altri, tutti gli altri una sfida, qualcosa da umiliare o evitare. Vidi sulla copertina di “Re nudo” la foto di uno schifoso capellone che abbracciava un tacchino.(Ulisse e Astolfo) dovevo fare qualcosa per salvare quel tacchino: almeno fargli un bel bagno insaponato perché potesse riaversi dal puzzo e dalle grinfie di quel sudicione; i pidocchi erano su un gradino sociale sicuramente superiore alla razza dei capelloni. L’articolo di quel giornale parlava di un gruppo di esseri… ? giovani che vivevano tutti insieme di una comune: uomini, ragazzi, donne, animali, una c o m u n e libera…?! la cosa mi intrigava molto: allora gli extraterrestri esistevano davvero? Dovevo andarci, vedere, toccare con mano, che cos' è, come si fa in ” una c o m u n e  ”? 
  Re Nudo, Rivista italiana di Controcultura (1970)

Telefonai alla redazione del giornale e mi spiegarono che la Comune si trovava a Pianbaruccioli nella valle dell’ Acquacheta (risposta più evasiva e nebbiosa non me la potevano dare). Dai dai seppi da un ortolano appassionato di Dante che la Valle dell’ Acquacheta esisteva per davvero, al confine tra la Romagna e la Toscana ma ne parlavano come di una chimera. Alla stazione degli autobus mi dissero che da Firenze dovevo arrivare a san Godenzo e poi prendere la coincidenza per la Romagna fino a "San Maledetto" in Alpe un paesino sperduto. Mi organizzai; salii sulla Sita, ma a San Godenzo ci fermammo per la troppa neve, non si poteva proseguire. Con me scesero dall’ autobus due ragazze romane, anche loro giovani, di bella presenza e con l’ aria un po’spaesata ...

La strada per Piamba
... io rimasi sorpreso quando appresi che anche le romane erano lì per andare a Piamba ... e vidi le romane in chiacchiera con uno strano tipo, era Jo’Jo’, talmente preso d’entusiasmo per questo incontro che non vedeva altro, gli fui presentato, ma si manteneva un po’ guardingo nei miei confronti. La strada per andare a Piamba è la comunale per Marradi, dopo un km di tornanti in salita si lascia Il Poggio, la parte alta del paese, ed infilato un cancellino si scende, quasi si scivola giù per un sentiero di circa 400m fino ad una casa disfatta. Da li si attraversa un ponticello da dove partono diversi sentieri, se in una sera fredda prendi quello sbagliato sarai inguaiato, se invece indovini quello giusto sei sul sentiero dell’Arrabbiata. Non è un caso questo nome: circa due km per risalire dal torrente al crinale, in un sentiero particolarmente stretto ed irto, con balzi e tornanti che non farebbe neanche una capra, pieno di bivi che ti invitano a sbagliare e perderti in continuazione. Quando sei in cima sei dimagrito di tre kili. 


 
Il cartello che indica 
la direzione  per l'Arrabbiata
e (a sinistra) un tratto del sentiero.


Circa dieci passi prima del crinale nel sentiero c’è una nicchia che ti può riparare dalle tormente che ti aspettano di lì a poco anche in estate e se ci tieni alla salute devi fermarti un momento e possibilmente coprirti e ripararti alla meglio, ancora pochi passi ed entri nell’ imbuto del vento: sembra difficile a credersi ma tutte le correnti più fredde si danno appuntamento proprio li dove sei spuntato tu in cima al crinale.

La notte
... Ormai si era fatto buio pesto avevo perso il conto di quanto avevamo arrancato nella neve, non sentivo freddo, anzi caldo il sudore mi annebbiava la vista, anche il mio zaino era diventato un sacco di sudore… laggiù in fondo, nel buio, con l’onda del vento ogni tanto si sentivano dei campanelli ed il ragliare di un ciuco, poi ho visto un lumicino, mi sono fermato, ho chiesto: "l’avete visto anche voi"? La ragazza che mi precedeva si è fermata e senza dire una parola mi ha abbracciato, non so perché ma mi sentivo un leone e di colpo mi era passato l’affanno, ormai ci stavamo avvicinando alle case: avevo un po’ di inquietudine non riuscivo a prefigurarmi come dovevo pormi e presentarmi. Jò cacciò un urlo prolungato degno di un lupo, per tutta risposta arrivo il suono di un corno: eravamo quasi sull’uscio, da una fioca luce che traspariva da una finestrina si intravedeva dall’esterno un curioso albero di natale da cui penzolava uno scarpone, un paio di mutande, una mano di cartone che faceva le corna, quel che rimaneva di un calzino, un pitale come puntale; accanto c’era una porticina, mentre continuavano gli scambi di urli tra Jò e quel che c’era là dentro qualcuno ci apri la porta.

Sopra: la strada per Marradi vista
dalla vetta del sentiero dell'Arrabbiata

Sotto: Pian Baruccioli visto
da Poggio ai Venti.


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L'arrivo
Entrai in una stanza di circa 3 per 4 con un tavolo delle panche ed un cucina economica con un tubo ritorto e trasudante fumo e condensa, un odore assai particolare di umanità compressa nel buio fioco di qualche candela. 
I miei occhi facevano veramente fatica ad abituarsi, il soffitto era per buona parte affumicato da un camino che non tirava, fuori faceva così freddo che forse questa “gente“ si scaldava anche con il fumo, le piccole finestre non avevano vetri ed erano riparate da plastica. Logica, matematica e geometria, erano rimaste fuori al freddo perché che ci crediate o no in due stanzine c’erano non meno di 35 persone, la più parte fumatori, questo contribuiva a dare spessore e corpo alla coltre di nebbia che si respirava lì dentro. Ebbene prendo fiato e vado in apnea, se fossi entrato in un gabinetto sporco mi avrebbe fatto meno senso: su muri, soffitti, pentole, tavola, panche, c’era un dito di schifo, per terra, che forse era il posto più pulito, due signori si spulciavano il capo l’uno con l’altro, senza curarsi troppo se il risultato finiva sulla tavola dove si apprestavano a mangiare. Jerry e Marina giocavano alla maraffona (carte), il Romano (presidente) scriveva e ogni tanto urlava qualcosa, qualcuno decantava proclami e pianificava battaglie politiche e non solo, chi urlava per farsi valere, Ciarly meditava, chi suonava, poi c’era una catena di montaggio per preparare i chapati (piadine di acqua e farina), l’impastatore di farina quello più vicino alla stufa, era completamente nudo (Ulisse) il sudore gli colava nell’impasto per dare un valore aggiunto alla pietanza. Puiana recuperava i muci delle sigarette ormai finite per confezionarne di nuove, mister X impastava della maria, Padova ed Enka preparavano con cuoio, perline e filo di rame della bigiotteria, Prana raccontava viaggi di ogni tipo, uno si lavava con il mom e impasto di cenere bagnata per allontanare i parassiti, la Marisa e la Snella confezionavano con paglia e stoffa delle bambole da portare a qualche fiera, sulla stufa un pentolone ribolliva ortiche cipolle e patate, sopra il pentolone erano stesi a grondare dei calzini (il coperchio non c’era), qualcuno puntava le ragazze altri puntavano il bottiglione, Giambardo parlava di semine, orti e quella capra da curare; fece una pausa per dirci: Benvenuti a Piambaruccioli !!


L'accoglienza
Il cinema che mi si presentava davanti divenne per un momento una foto silenziosa, solo mister X faceva dei rapidi movimenti; l’unico riconoscibile era Jò. Le romane cominciarono a scoprirsi e tutti ne furono ben contenti, loro invece si sentivano un po’ impacciate ed impressionate da tanta attenzione. Allora la Marisa andò loro incontro con un gran sorriso rassicurante ed un abbraccio. Si fece avanti una ragazza, mi prese tutte e due le mani e mi disse: “devi essere molto stanco”. Io divenni rosso come un peperone, poi il presidente al quale luccicavano gli occhi, mi chiese:“quanti anni hai, sei venuto da solo o c’è anche la tua mamma?” Io risposi che per me è stata una impresa molto impegnativa arrivare fin lassù. In mezzo a tutta quella marmaglia c’era un pistoiese: Enka e quando capi’ che ero toscano gli si alzarono le antenne gli si allargò un sorriso fino alle orecchie e mi disse:“ oh te? chi ti ci ha mandato?, finalmente qualcuno che parla la mi’ lingua”e mi tese la mano per una stretta, io mi ritrassi,“se voi darmi la mano devi prima disinfettarla” Allora Ulisse, quello tutto igniudo mi disse che lui era caduto nel disinfettante da piccolo ed era allergico al sapone, e senza mettere tempo in mezzo mi abbracciò senza possibilità di scampo, così tutti risero a crepapelle. Si fece avanti Giambardo che mi invitò a sedermi e mi parlò di orti, semine, della sua mamma che non stava troppo bene, e che dopo l’inverno viene la primavera.
Si era fatto tardi ed ero davvero stanco, dovevo stendermi da qualche parte e farmi una bella dormita, dove? “esci dalla porta dove sei entrato gira un paio di cantonate sulla destra e se non entri nello stalletto del maiale, vuol dire che sei entrato nel palazzo, ci sono delle scale, stai attento perché alcuni gradini sono rotti e gli altri mancano, su di là dovresti trovare un letto se non ci vedi perché è buio fai domanda all’ Enel. Presi le mie cose e seguii le indicazioni della reception, io e le romane arrivammo al portone del palazzo, a tasto trovai la scala di pietra e mentre salivamo sentimmo aprirsi l’uscio, capimmo dalla voce che era uno di casa, salendo ancora per quelle scale accesi l’unico fiammifero che avevo; dovevo memorizzare velocemente quello che vedevo perché di lì a pochi secondi sarebbe stato buio pesto: in un angolo c’era della paglia, nel mezzo un buco di circa un metro, poi ciarpame, un aratro e scritte sui muri ... si spense il fiammifero ...

Il risveglio
Non so quanto è passato, ma mi svegliai ... sentivo sui piedi un peso che si muoveva lentamente e non potevano essere i piedi delle ragazze e tanto meno gli zaini; cercai di ritrarre i piedi mentre sbottonavo gli occhi, ma non fu facile ne’ l’uno ne’ l’altro: i miei piedi erano diventati un materasso per un cane. Ero sveglio? Si ero sveglio. Le ragazze cominciavano a svegliarsi e mentre una si stirava tra me e il muro, l’altra, che aveva ancora gli occhi chiusi mi fece un abbraccio dalla testa ai piedi che melo ricordo ancora … ed aprendo gli occhi disse: ma che ore sono? Le dissi barando che era ancora notte fonda, mentre me la avvinghiai per non fare scappare tutto questo, l’altra che era dietro di me mi diede un bacio sul collo e mi esortò: alzati scemo! L’unica finestra era aperta per metà, perché aveva solo un'anta con i vetri di un tempo, faceva freddissimo. Il cane scodinzolava felice, anch’io sentivo qualcosa che scodinzolava, mentre cercavamo di riassettarci un po’ alla meglio saltellando e tremando, valutai che la Comune aveva degli aspetti decisamente apprezzabili. La stanza aveva oltre il pavimento sfondo anche il soffitto aperto, e si intravedevano delle trecce di cipolla e granturco appese al trave del piano superiore, le pareti mezze stonacate facevano intravedere vecchi disegni e scritte di nuovi proclami:“la famiglia è ariosa e stimolante come una camera a gas”
... di sottofondo si sentivano urla dilungate e confuse, tintinnare di campanelli, gente che chiamava, altri che rispondevano.

Pianbaruccioli
Pianbaruccioli è un insieme di tre case, tre capanne e un rudere all’ingresso, con da un lato il forno e dall’altro l’osservatorio, c’erano dei solchi nella neve che univano le case evidentemente utilizzate, sull’ ingresso della stalla era una scritta: “chi non occupa preoccupa” una ragazza che proveniva dalla stalla aveva un pentolo con il latte delle capre appena munto, distante era seguita da un caprone con le corna lunghissime.

Immagini di due Rainbow Gatherings 
(raduni arcobaleno) 
degli anni Ottanta).

La cucina? Si attraversava una massa informe di cenci e zaini poi scavalcando 4 o 5persone che dormivano per terra, si arrivava al camino che tirava come la sera prima, in mezzo al fumo si intravedeva un paiolo con dell’acqua a bollire, di lato c’era il cuoco che tenendo in mano una padella sulle braci, faceva abbrustolire dei grani d’orzo, di fianco c’era l’aiuto cuoco che anche lui faceva riscaldare qualcosa in una padella: erano delle foglie ed a guardarlo bene l’ho riconosciuto, era mister X ... 

  Nella stanza accanto c’era il tavolo con sopra ogni ben di dio, tra cui: bottiglioni vuoti, carte da giuoco, uno zaino, uno sparpaglio di muci, la Marisa sempre sorridente, si era ritagliata un angolino per bersi una tazza di qualcosa, la stufa riscaldava il latte di capra da aggiungere poi al paiolo con l’orzo, qualcuno impastava dei chapati, un altro dopo essersi soffiato il naso su una manica raccattava un po di pane secco dalla cesta con su scritto “per il maiale” e lo miscelava nel paiolo con l’acqua, l’ orzo e un po’ di manica, e di lato a una panca un giovine di belle speranze russava con la guancia nel suo vomito. Entrò la Snella “non ci fate caso anche a me le prime volte faceva impressione, poi ci se ne fa una ragione, a questo mondo c’è gente che sarebbe ben felice di avere tutto questo, fate colazione con noi e prendetevi un bicchiere, un pentolino, insomma quello che riuscite a trovare di là sull’acquaio …dovevo fare la pipì: "Scusate dov'è il bagno? Ulisse mi rispose: “le persone troppo educate mi fanno impressione, tu credi di essere più leggero perché ti sei tolto lo zaino, ma mi pare che tu abbia ancora tanto peso inutile appresso, pertanto seguimi” ... Cammin facendo la comitiva si era incrementata, sia di uomini che di donne, anche il cane si era unito a noi, arrivammo alla concimaia e mi invitarono a fare un cerchio, tutti si calarono gonne o pantaloni, chi ce le aveva anche le mutande, (Ulisse non aveva di queste complicazioni), io rimasi come un imbecille, non sapevo se voltarmi, scappare, o che cosa, considerai che in qualche modo, mi conveniva stare al gioco, anche chi non gli scappava rimaneva comunque in quella posizione a fare compagnia.

La vita in comune
... A me fu assegnato il compito di andare a prendere l’acqua al pozzo, Tonino mi disse:-“vieni con me che prendiamo la Luna”ed io: Come?-“Che palle con sti novizi bisogna sempre spiegarci tutto e ricominciare tutto da capo”. ... partimmo con una ciuca ... La fonte era una piccola costruzione di pietra, all’ interno della quale trasudava l’acqua della montagna, le pareti erano un colabrodo e sul fondo si poteva pescare si e no in 10cm.
Pianbaruccioli è come un porto dove approdano i più variopinti personaggi, chi per qualche ora, o giorno poi qualcuno vi si “ammala”, ed il suo soggiorno può durare ben più del previsto, una idea comune ci richiamava tutti lì; io non so se era proprio così, ognuno aveva alle spalle storie diverse e non sempre concilianti, per qualcuno era un’ ultima spiaggia, per me un gioco, chi cercava di scappare dalla consuetudine, oppure dalla legge, poi c’erano le mattonate mistiche, più svariate e caparbie che degeneravano nelle manifestazioni più curiose, come la costruzione di veri propri templi, altari, dove proliferavano, mantra e preghiere delle più tristi e mormorate, inni alla vita, gioia e letizia; cuochi e filosofi di alta cucina si davano convivio per rimarcare i dogmi più raffinati, con questi preamboli non era per niente facile conciliare le visioni alimentari ... Era crollato il forno, quella costruzione di pietra isolata poco fuori la cucina. La cosa era grave assai e mentre le riunioni incalzavano, feci una passeggiata nei dintorni, a circa un km c’era una vecchia casa che crollava ma il forno era integro. Mi organizzai per rimetterlo in funzione togliendo quel muro di rovi ed arbusti che aveva intorno che poi utilizzai per l’ accensione. Dalle case scorsero i fumi dei miei tentativi ed allora partì una comitiva di saggi e pompieri in erba e giunti sul posto mi rimproverarono: potevi incendiare la vallata, hai tagliato delle piante che facevano parte di un ecosistema dove la natura si stava riprendendo i suoi spazi, siamo una comune e le cose dobbiamo programmarle insieme e fintanto che non siamo tutti d’accordo qui non si muove foglia. Il tuo Karma è negativo, solo un viaggio interiore e tanta meditazione ti può salvare: sei un pazzo, hai profanato un tempio, sei stato mandato dalla CIA.

Intanto calava la sera, il freddo incalzava, il forno era sempre acceso ed i miei inquisitori, si avvicinarono uno ad uno per riscaldarsi. Il giorno seguente era diventato il forno ufficiale di tutta la comunità, e la cosa fu festeggiata con ricche infornate, danze, saune, baracca e musica e cilum, fino a notte fonda ...".

Nota: Sintesi dall'originale, "Biscotti detto Gianni, con gli Zappatori senza padrone”,
tratto dal blog "Selvatici", email boscoselvatico@gmail.com


 

martedì 17 luglio 2012

Crespino 1949



Il Prete con la pistola
e il Tedesco errante
di Claudio Mercatali


 
Crespino pagò un prezzo altissimo alla follia della guerra. Il 17 e 18 luglio 1944, per rappresaglia, i Tedeschi uccisero 44 persone prelevate a caso in paese e nella zona circostante. L'episodio è noto e riassunto bene anche nell' articolo qui sotto. La piccola comunità rimase segnata per anni da questo eccidio, perché tante famiglie furono distrutte e chi non ebbe morti fu comunque colpito dalla perdita degli amici.
Nel profondo dell'animo di molti crespinesi lentamente maturò anche un rancore verso i partigiani, che con le loro azioni attorno al paese, giudicate irresponsabili e inutili, avevano attirato a Crespino una banda di Nazisti assassini.

  è questo qui accanto.


La strage, a suo tempo, ebbe una eco anche nella stampa nazionale, e tra i tanti articoli che ne parlano forse quello più interessante

Clicca sull'articolo per ingrandire, 
fino ad ottenere una comoda lettura






Nel luglio del 1949 il giornale La Stampa mandò a Crespino un suo inviato, Giorgio Vecchietti, che osservò attentamente la realtà del paese, ne colse gli aspetti profondi parlando con la gente e fece emergere due personaggi, di cui oggi si è quasi persa la memoria. Però è meglio rievocarli perché sono notevoli: si tratta di don Luigi Piazza e di Josef Gehlen.
 
Don Luigi, partigiano della Banda Corbari, ricercato dai Tedeschi, si vede qui sotto con la pistola legata sopra la tonaca, il che è tutto dire. E' in mezzo a un gruppo di partigiani comunisti e quello al centro, con la sigaretta in mano è il fratello di Silvio Corbari.
Le Diocesi non rendono pubblici i motivi della nomina di un parroco, ma forse don Luigi Piazza subito dopo la guerra fu mandato a Crespino perché si mettesse tranquillo o perché era un ex partigiano che aveva rischiato molto in proprio, e quindi aveva credito per dire e per cercare di superare i profondi rancori di tanti crespinesi nei confronti della Resistenza locale.


Sotto: Il parco del Sacrario


Ci riuscì abbastanza bene, ma non del tutto, e rimase a fare il parroco fino al 1958, quando si ammalò. Accanto alla canonica aveva organizzato un Circolo e un doposcuola, di cui c'è ancora il ricordo.
Quelli che allora erano già grandi raccontano che al Circolo si beveva vino e grappa a poco prezzo, cosa assai  gradita da chi lavorava dieci ore al giorno nel bosco, ma poco ortodossa, perché non sta bene che un prete permetta la vendita dei superalcolici, senza licenza, nel circolo accanto alla canonica, e anche ai Comunisti.
 Fu così che dopo una spiata arrivò la Finanza, ma don Piazza non aprì e li mandò a quel paese dallo spioncino della porta.

Josef Gehlen era un oppositore del regime nazista, incarcerato, perseguitato in vari modi, come si legge nell'articolo, e arruolato a forza. Si diede alla macchia nel 1944 assieme ai partigiani e dopo la guerra soggiornava spesso a Crespino, durante i suoi viaggi in giro per l'Italia.


Nel Sacrario: la strage di Crespino, 
di Lanfranco Raparo

Il Prete con la pistola e il Tedesco errante, entrambi fuori misura rispetto a quello che in teoria avrebbero dovuto essere, non potevano non incontrarsi e infatti divennero amici.
Il Tedesco era un bravo pittore e in una casa privata di Crespino o in qualche stanza della canonica ci dovrebbe essere ancora un bel dipinto fatto da lui.






A sinistra: Il Sacrario dei Caduti. Don Piazza è sepolto lì, su sua richiesta, anche se all'epoca della strage non era a Crespino, perché si diede  molto da fare per costruirlo.




Fonti: Vox populi, vox Dei. Le notizie vengono da alcuni crespinesi, testimoni dei fatti.

domenica 8 luglio 2012

Dino Campana, la sera di fiera


La festa della Madonna 
del Popolo del 1906
 di Claudio Mercatali



La festa della Madonna del Popolo si tiene ancora oggi nella seconda domenica di luglio, e quindi quest'anno il giorno otto. Per quasi un secolo e mezzo è stata la ricorrenza religiosa popolare più importante dell'estate marradese, ma dagli anni Cinquanta è andata via via perdendo di importanza.
La festa del 1906 fu particolarmente solenne. Per farla coincidere con una lotteria indetta per finanziare la costruzione dell'asilo del capoluogo, in via eccezionale si celebrò il giorno 22 luglio. Le cose andarono così, secondo il resoconto dell' inviato del "Vero Operaio", un giornale che si stampava a Borgo S.Lorenzo. Leggiamo ...




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Franco Scalini nel suo lavoro "Nell'odore pirico di sera di fiera" fu il primo a osservare che il grande afflusso di gente delle fiere estive marradesi dei primi anni del Novecento colpì anche Dino Campana, che allora era un ragazzo, e il poeta ne parla nelle sezioni 11 e 12 della Notte. Un altro riferimento è nella poesia "La sera di fiera".







Confronta il passo evidenziato in blu della poesia con le ultime righe dell'articolo "Cronaca del Mugello" (1906)  che è qui sopra  ...





Come andò la lotteria per la costruzione dell'asilo? Bene, a quanto ci dice il corrispondente del Messaggero del Mugello nel trafiletto qui sopra.




La sera di fiera 
Il cuore stasera mi disse: non sai?
La rosabruna incantevole
Dorata da una chioma bionda:
E dagli occhi lucenti e bruni colei che di grazia imperiale
Incantava la rosea
Freschezza dei mattini:
E tu seguivi nell’aria
La fresca incarnazione di un mattutino sogno:
E soleva vagare quando il sogno
E il profumo velavano le stelle
(Che tu amavi guardar dietro i cancelli
Le stelle le pallide notturne):
Che soleva passare silenziosa
E bianca come un volo di colombe
Certo è morta: non sai?
Era la notte
Di fiera della perfida Babele
Salente in fasci verso un cielo affastellato un paradiso di fiamma
In lubrici fischi grotteschi
E tintinnare d’angeliche campanelle
E gridi e voci di prostitute
E pantomime d’Ofelia
Stillate dall’umile pianto delle lampade elettriche
 

......................................................
Una canzonetta volgaruccia era morta
E mi aveva lasciato il cuore nel dolore
E me ne andavo errando senz’amore
Lasciando il cuore mio di porta in porta:
Con Lei che non è nata eppure è morta
E mi ha lasciato il cuore senz’amore:
Eppure il cuore porta nel dolore:
Lasciando il cuore mio di porta in porta.


La Notte, sez11 

 ... Nell'odore pirico di sera di fiera, nell'aria gli ultimi clangori, vedevo le antichissime fanciulle della prima illusione profilarsi a mezzo i ponti gettati da la città al sobborgo ne le sere dell'estate torrida: volte di tre quarti, udendo dal sobborgo il clangore che si accentua annunciando le lingue di fuoco delle lampade inquiete e trivellare l'atmosfera carica di luci orgiastiche ...


mercoledì 4 luglio 2012

...E un giorno arrivò Dino...

Alla ricerca di Campana 
nei ricordi di chi lo conobbe.
di Luisa Calderoni




Bologna Anno Accademico 1912-1913

…“ Tutto ciò che di lui, studente a Bologna mi era noto, pubblicai nel volume " Dino Campana e i goliardi del suo tempo", edito a Firenze dalla Marzocco nel 1942.(…) Campana fu poeta cosmico: e forse di nessuno, come di lui, si può ben dire che fu cittadino del mondo. Le fantasie dell’arte lo rapivano nel mistero di inesplorati cieli, ed egli fece sua legge l’andar senza fine per monti e per valli, per città e oceani, alla ricerca di una pace sognata, che era fervida di colori, di armonie e di tormento. Le battaglie dei piccoli uomini non potevano interessarlo, e la sua partecipazione fu tutt’al più quella dello spettatore seccato che rifugge dai clamori…”(1)

Così, con poche essenziali parole, Federico Ravagli descrive l’opera del Poeta Dino Campana da lui conosciuto a Bologna negli anni dell’Università e i cui ricordi erano già confluiti nella citata opera "Dino Campana e i goliardi del suo tempo"
. Ecco allora un “ritratto” di Dino nelle parole del Ravagli:

“In quest’ambiente romantico e tumultuoso, scapigliato e beffardo, capitò un giorno un individuo strano, accigliato, male in arnese… Aveva nome Campana, era studente di chimica, poeta e giramondo. Dimostrava alcuni anni più di noi (2). Tarchiato, biondastro, di mezza statura, si sarebbe detto un mercante, a giudicarlo dall’apparenza, un eccentrico mercante con magri affari (…). Aveva una lunga capigliatura biondo-rame, folta e ricciuta, che gli incorniciava un viso di salute: due baffetti che s’arrestavano all’angolo delle labbra, e una barbetta economica che non s’allontanava troppo dal mento.(…) Mi pare ancora di vederlo. Con quel suo cappello rotondo di feltro: e il giacchettone dalle tasche ampie, capaci, piene di fogli, di carte, di libretti. Perché Campana portava sempre con sé, gelosamente, il manoscritto delle sue prose e de’suoi versi: per averli sottomano quando gli fosse venuto l’estro di rileggere, di limare, di rifinire.
 Talora, d’estate, gli accadeva di abolire qualche indumento di prima necessità. Un giorno capitai con lui - chi sa come, chi sa perché - nella prima sala del caffè San Pietro, ritrovo allora assai elegante. Egli non si sedette: si sdraiò addirittura nel divano rosso che girava tutt’ intorno alle pareti, e mise in mostra le scarpe logore e le gambe nude…
(ma) chi astraendo dall’abito l’avesse osservato con attenzione, si sarebbe facilmente accorto ch’egli aveva, pur nella figura selvatica, qualcosa di nobile e di casto, di mansueto e di compunto: qualcosa negli occhi cerulei, che esprimeva raccoglimento e dolcezza". (3)

Che contrasto tra questa accurata descrizione e l’immagine di un Dino, elegante e curato, in giacca e fiocco appuntato su una candida camicia delle foto del 1912, in occasione di una gita all’ Acquacheta … Strano abbigliamento per un’escursione in un luogo remoto e difficile da raggiungere. E poi mi chiedo, ma come avranno fatto a portar lassù tutto il pesante e complesso macchinario fotografico?

A fianco: Gita all'Acquacheta, 1912. 
Dino Campana  è il penultimo  a destra.

Sotto: stessa gita, Campana 
è il secondo da sinistra

Le parole del Ravagli rivelano tutto l’affetto e l’ammirazione che lo avevano legato a Campana, affetto contraccambiato da Dino che spesso andava a trovarlo nella sua “vecchia casa umida e buia” di Via Zamboni, di fronte all’Università… ”con grave disappunto di mia madre, alla quale l’aspetto dello strano visitatore destava qualche preoccupazione."
Proprio quell'affetto incondizionato per il poeta e l'ammirazione profonda per la sua opera ,spinsero il Ravagli a raccogliere ulteriori informazioni per una biografia del poeta che fosse purgata da menzogne, sovrastrutture e false apologie, a completamento
 della stesura del " Fascicolo Marradese Inedito del Poeta dei Canti Orfici".

E così nell’ottobre del 1949 egli iniziò una fitta corrispondenza con Giovanni Buccivini Capecchi, Segretario Comunale di Marradi, che aveva conosciuto  Dino, essendo quasi suo coetaneo.


 Federico Ravagli, al centro, 
al liceo di Tripoli, dove insegnò
 negli anni Venti.

(1) da “ copia di lettera a Giovanni Buccivini Capecchi- Bologna, 10 novembre 1949
 (2) Nel 1912 Dino aveva 27 anni.
 (3) op. cit. pagg. 51 e segg.




Corrispondenza Ravagli - Buccivini
Lettera n.1   ( Bologna, 18 ottobre 1949)




Preg.mo Sig. Segretario
del Comune di Marradi


Voglia scusarmi se, pur non avendo il piacere di conoscerla, mi rivolgo direttamente a lei: ma vi sono costretto perché a Marradi non ho conoscenza di sorta. Sono uno studioso di Dino Campana, di cui fui amico ai tempi della sua vita bolognese e della pubblicazione dei “ Canti Orfici”. Ora attendo alla elaborazione di alcune note biografiche sul poeta, e mi occorrerebbe sapere se la casa di Via Celestino Bianchi, n. 16, dov’egli nacque, e quella di Via Pescetti, n.1, dov’egli dimorò per lunghi anni, sono ancora illese, oppure sono state distrutte da azioni di guerra.
Fiducioso ch’Ella vorrà aderire alla mia richiesta, le invio fin d’ora i miei più vivi ringraziamenti.


Obbli.mo Federico Ravagli
Via Amendola, 3 Bologna



Corrispondenza Ravagli - Buccivini
Lettera n.2    (Bologna, 25 ottobre 1949)



COMUNE di MARRADI
Provincia di Firenze


Preg.mo Sig. Prof. Ravagli

Il segretario capo di questo Comune, essendo nuovo di qui, ha pregato me, quale vecchio marradese, l’incarico di risponderLe.
La casa ove nacque Dino Campana, posta in via Celestino Bianchin.16 (allora e cioè all’epoca della nascita del poeta, era denominata in quel tratto Via Pescetti e la casa era distinta al numero civico n° 20) è rimasta distrutta da azioni di guerra; quella invece di via Pescetti N. 1, ove Campana è vissuto per molti anni, è rimasta illesa (in quei tempi la casa, in questa via, era segnata col n° 13. E’ da notare che l’antica via dedicata ad Orlando Pescetti, illustre letterato marradese del secolo XVI, fu divisa (nel 1909) per la denominazione, in due tratti, di cui uno fu intitolato a Celestino Bianchi nativo di Marradi, illustre statista e letterato, segretario di Bettino Ricasoli.
Colgo l’occasione per chiedere a Lei, quale studioso e senz’altro conoscitore del valore letterario del Campana ed amico di Lui in gioventù, il Suo parere circa l’opportunità, espressa da vario tempo a questa Amministrazione Com.le da alcuni cittadini marradesi, di intitoloare al nome dello stesso Campana, una via di questo paese, in sostituzione dell’attuale denominazione di “Via Umberto I”. L’Amministrazione Com.le ( di maggioranza socialista) pur ammettendo l’importanza del nome del Campana è stata fin’ora incerta nella decisione; è opinione di certuni che tale incertezza sia sorta col dubbio che con l’onorare il Campana si venga ad elevare uno dei precursori del movimento fascista.
Sembra intanto che la stessa Amministrazione stia facendo in proposito dei sondaggi oltre che presso Accademie, letterati, anche presso Autorità politiche e presso capi di partito.
Comunque desidererei che Ella, mi permetta l’ardire, esprimesse obbiettivamente la Sua opinione comunicandola direttamente agli amministratori di questo Comune.


Con distinto ossequio
Dev.mo Giovanni Buccivini Capecchi



Corrispondenza Ravagli - Buccivini
Lettera n.3    (Bologna, 10 novembre 1949)



Pregiatissimo Sig. Professore
Federico Ravagli


L’Arciprete Mons. Luigi Montuschi Cavina che avrebbe potuto dare dettagliate notizie sul conto del poeta Campana, è deceduto il 20 ottobre 1944 in seguito a fatto di guerra.
Il poeta è vissuto per vario tempo in casa dell’Arciprete poiché amava di stare in contatto con questo che egli altamente stimava anche perché di vasta cultura specie nel campo letterario.
Della famiglia dell’Arciprete è rimasta una sorella di lui, ma per le sue condizioni fisiche e per la sua avanzata età non è in grado di raccontare gran che sul Campana. Il Dott. Comun.e Manlio Campana abita tuttora a Palermo e ricopre la carica di Direttore Centrale del Banco di Sicilia. Pare che l’Amministrazione Comunale sia venuta finalmente nella determinazione di intitolare una via al Campana; sarà mia premura di tenerla poi informata al riguardo.



Gradisca distinti ossequi                                 Clicca sulle immagini se le vuoi ingrandire
Devot.mo  G. Buccivini Capecchi


lunedì 2 luglio 2012

1856 - 1859 La copertura del Rio Salto


Che cosa c’è sotto 
il centro di Marradi
di Luisa Calderoni
e Francesco Cappelli



Marradi 1833

Fino alla prima metà dell’Ottocento il Rio Salto (fosso della Badia) scorreva a giorno, dagli Archiroli al Lamone, di fronte a Casa Vigoli, ed era scavalcato da tre ponti: il Ponte delle Monache, davanti alla chiesa del convento delle Monache, il Ponte del Suffragio, di fianco alla chiesa omonima e il Ponte del Magazzino, davanti al palazzo Fabroni ora sede della Banca popolare di Ravenna. Il "magazzino" che dava il nome al ponte era quello del grano, di Enea Fabroni (del '500), all'imbocco di via Fabbrini. La cartina qui sopra, tratta dal Catasto Leopoldino del 1833 chiarirà il tutto.
Il centro del paese era senz'altro caratteristico, con le case che partivano dal fiume, un po' com'è ora la zona di Casa Vigoli, però i problemi igienici non mancavano. Per questo un certo numero di cittadini scrisse questa lettera al Gonfaloniere, cioè al Sindaco di allora:


Eccellenza

Il Municipio di Marradi facendo eco al voto della maggioranza della popolazione con sue deliberazioni del dì 29 novembre e 30 dicembre 1853 ordinò il cuoprimento del fosso denominato Rio di Salto, sanzionò la Perizia dei Lavori, l'esecuzione degli stessi e le spese previste, salva la Superiore approvazione accettando nel tempo medesimo le rilevanti offerte di denaro fatte da diversi abitanti della Comunità in attestato di gradimento per quell'opera pubblica tanto importante e per lungo tempo desiderata così per lato dell'ornamento e della politezza del paese, come per lato della pubblica igiene.
Il fatto del Municipio indusse la popolazione a vivamente sperare che quel fosso (posto per sventura del Paese nella di lui parte migliore e più popolosa), quel fosso sorgente di grande umidità nel Verno, ricettacolo nell'Estate quand'è privo di acqua di tutte le immondezze gettatevi dalle fabbriche circostanti e scaricatevi dalle latrine e dai pozzi neri della metà del paese, che tutte vi fanno capo, quelle vaste pozzanghere di acqua putrida nera esalante perniciosi miasmi, quella indecenza pubblica, quella ributtante offesa alla presente Civiltà, finalmente fosse tolta, e fatta scomparire dalla pubblica vista ... Ma basta egli forse che un'opera pubblica sia bella ed utile perché debba incontrare l'assenso di tutti?
Corre la fama che vi fossero oppositori segreti anche tra coloro che apparentemente e ad alta voce favorivano il lavoro e oppositori puranche fra i possidenti della campagna i quali ingiustamente disconoscevano il principio che ad ogni comodo aggiunto al capo luogo ritorna a pro della campagna medesima perché essa viene a trovar così in lui tutte le facilitazioni migliori per lo spaccio delle proprie derrate. Di fatti sottoposto l'affare alla Superiore Approvazione questa restò sospesa. Frattanto nell'anno presente il morbo asiatico dominante invase la maggior parte del comune e il paese medesimo. Il flagello fu spaventevole perché in tre mesi secondo gli Stati Parrocchiali mancarono dai vivi 619 individui e il paese con una popolazione di 1600 abitanti ebbe 193 decessi. Nessun comune vi è stato in Toscana che relativamente sia stato più percosso di questo. Non poche delle famiglie dimoranti lungo il fosso fatale partirono: avrebbero forse dovuto rimanere a respirare le emanazioni pestifere di quel luogo di abominazione? E nonostante le partenze 47 furono i casi di colera in quel circuito e 24 i morti.



A sinistra: Il centro di Marradi
 prima del 1853, secondo un plastico 
di Vitaliano Mercatali
Sotto: i firmatari della petizione 
al Gonfaloniere

Ove il terribile morbo tornasse di nuovo l'anno venturo a colpire questo infelice paese che sventuratamente ha tutte le condizioni per favorire il colera, perché collocato nel basso di una valle, solcato da un fiume, anche due fossi,  in mezzo all'umidità e alle emanazioni pestilenziali, quale potrebbe essere il suo destino? Ma gli Abitanti non disperano che la Provvidenza voglia abbandonarli e neppure disperano nell'aiuto del Governo per difenderli dal Flagello con tutti i mezzi possibili con togliere i germi di distruzione che il Paese tiene in seno. La vita di un popolo val più del suo oro. I sottoscritti Abitanti di Marradi pregano l'Eminenza Vostra di volersi degnare di ottenere Loro dalla clemenza del Principe l'approvazione dei Partiti Magistrali dei giorni 29 e 30 novembre 1853 e l'esecuzione dei lavori in quelli ordinati.
Che è quanto   Marradi 18 novembre 1855

..........................................................................................

Alla fine i dubbi e le perplessità vennero superati e i lavori partirono. Chissà che confusione ci sarà stata dal 1856 al 1859 nel centro del paese, con il cantiere aperto e i lavori di copertura del fosso!
Che cosa c'è oggi sotto la volta che copre il Rio Salto? Vincenzo Benedetti, Enzo Lollini, Vitaliano Mercatali, Claudio Mercatali, Giovanni  Tagliaferri sono andati a vedere:


A sinistra: questa galleria 
è sotto via Fabroni.
A destra: quello che rimane 
degli archi del 
“ponte delle Monache”


Clicca sulle foto se le vuoi ingrandire





Accanto: disegno della metà 
dell’ 800. Si vede il profilo 
del ponte del Magazzino, 
a schiena d’asino, e il nuovo 
ponte che gli venne sovrapposto.


 














L'arco del ponte del Magazzino c'è ancora e si vede nella foto qui sopra a sinistra scattata dal greto del Rio Salto, dietro a Palazzo Fabroni, in un punto accessibile e visibile solo dopo aver percorso la galleria descritta prima. La copertura ottocentesca arrivava fino alla chiesa delle Monache, poi il Rio Salto era a giorno, lungo via Castelnaudary, fino allo sbocco nel Lamone. Quest’ultimo tratto è stato coperto nei primi anni del Novecento, subito dopo l’edificazione delle Scuole Elementari. Prima l'aspetto del paese era quello mostrato qui sopra.


Fonti Documenti dell'archivio storico del Comune di Marradi