Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

lunedì 25 febbraio 2013

Nella neve a Monte Gianni



Un trekking in un crinale
dal bel panorama
di Claudio Mercatali




La Badia del Borgo


Ieri e ieri l'altro è nevicato di nuovo, in abbondanza, e oggi è spuntato il sole. Il meteo dice che il beltempo durerà mezza giornata e dopo cadrà del nevischio e allora bisogna andare.
Il trekking di oggi 24 febbraio è un anello da Marradi alla Badia del Borgo e poi nella antica strada per l'eremo di Gamogna e indietro lungo il crinale verso il paese. Il percorso è lo stesso della "stralunata di settembre" la passeggiata notturna con la luna piena, che è nell'archivio del blog. Eravamo 44 quella sera ma oggi sono solo. E' l' ultima luna piena prima dell'equinozio di primavera e allora era l'ultimo plenilunio prima dell'equinozio d'autunno.

C'è una strana arietta di fine stagione, tiepida, però in terra c'è più di mezzo metro di neve. Fino alla Badia del Borgo la strada è pulita e le ciaspole non servono. Da Jum e Burg (Imo il Borgo) in poi la musica cambia. Questo gruppo di case antichissimo era il "borgo basso, umile" contrapposto al Borgo Badia, che è di là dal fiume, dove abitavano i padroni e l'abate.

 
Jum e Burg


 
Al bivio di Val Bigoncio comincia la fatica. Di qui non è passato nessuno e si affonda fino al ginocchio. La strada di Gamogna è proverbiale per essere ripida e quindi è chiaro che dovrò procedere a tappe. Me l'hanno spiegato bene gli esperti dei trekking invernali: "Quando sei da solo nella neve fonda non ti accanire, conta quaranta passi e poi fermati un po' anche se potresti andare ancora".


Il bivio per l'eremo
di Gamogna


    

E per due ore ho fatto così, fino alla cima. Dentro la macchia i rami piegati dalla neve, colpiti e scossi con la racchetta
frustavano quelli in alto e così ho fatto una serie di docce. Tutto fa parte del gioco e  non me ne dolgo. In compenso ho avuto modo di fotografare molto.
 














Valcroce

 Ormai è fatta. La Badia è laggiù in fondo e qui sopra di me compaiono i ruderi del podere di Valcroce, che è sul crinale.



Clicca sulle immagini 
se le vuoi ingrandire



 A Pian della Quercia (è il podere immediatamente sopra alla Badia del Borgo, al centro di questa foto) c'è un famoso castagneto, che si vede sulla sinistra.



 


Da Valcroce comincia un bel crinale soleggiato, con qualche saliscendi e con un panorama esagerato anche verso nord. La prossima meta è il podere di Monte Gianni.


A destra: La strada per Monte Gianni
Sotto: due scorci panoramici verso nord





 Sono così giunto a Castelnuovo, di cui si vedono i ruderi qui accanto. Questo nome deve avere qualcosa di veritiero, perché questa casa ha degli archi eleganti e dei muri maestri di pietre ben lavorate, molto più di quelle che di solito si trovano nelle case dei contadini,


 



Uno sguardo verso la Romagna 
da Castelnuovo






 

Il porco nero, detto anche  mora romagnola, era il tipico suino allevato qui da noi fino a settanta anni fa. Poi fu introdotto il maiale che conosciamo, quello rosa per intenderci, che viene dall'america.
Il marito della proprietaria di questo sito è un estimatore della mora romagnola e ha qui a Castelnuovo un allevamento di maiali in libertà. Di notte alla luce delle lampade frontali si vedono degli occhini brillanti là nel campo, che fanno un po' impressione se uno non lo sa, però il porco nero è tranquillo e anche buffo con le sue orecchie a sventola. Ora i maiali sono al pasto, in mezzo alla neve, non alzano la testa per nessun motivo e si disinteressano di me, che invece li chiamo per fotografarli. Insomma mangiano come dei porci.

Monte Romano dista da qui 10km in linea d'aria




L'allevatore è arrivato fin qui con le ciaspole, vedo le sue impronte e questo mi rende lieto, perché mi lascia una pista di neve battuta e finalmente finisce la storia dei 40 passi.


 



Sopra: Monte Gianni
A destra: la valle del Lamone
fino a S:Martino

 



E sono così giunto a Monte Gianni, posto panoramico oltre ogni dire. Il nome in romagnolo è Mont Zenn e a volerlo proprio tradurre sarebbe Monte Zeno (o monte di Giove).

Ora si tratta di scendere lungo il crinale di Pian dei Preti. Il nome particolare di questo sito cela forse qualche episodio particolare? La spiegazione che ne danno gli anziani del luogo delude un po' perché il nome preciso sarebbe Pian dei prati, visto che qui c'era un prato piano prima che venisse piantata l'attuale pineta.


La vista del paese che si avvicina è piacevole e tiene compagnia per un lungo tratto. Visto da qui Marradi sembra ancora più compresso fra i monti di quanto non sia in realtà.


 
















sabato 23 febbraio 2013

Eduardo Gordigiani "pioniere della luce"

 Cittadino onorario di Marradi
di Luisa Calderoni



Dal registro degli atti del Consiglio Comunale di Marradi riunito in sessione straordinaria in prima convocazione – seduta pubblica del 4 novembre 1957 ore 11:

Delibera n° 55 del 4 Novembre 1957
 Oggetto: Conferimento cittadinanza onoraria al pittore fiorentino Eduardo Gordigiani.

L’anno millenovecentocinquantasette, addì quattro del mese di novembre alle ore 11 nei locali del Cinema G. Borsi in Marradi, si è riunito il Consiglio Comunale, previa trasmissione di inviti a domicilio dei singoli componenti.

Presiede il Sig. Cassigoli Prof. Antonio – Sindaco

Presenti i Consiglieri Sigg.ri
BERNABEI Dr. Ludovico
BIAGI Giuseppe
CECCHERINI Emilio
DONATINI Geom. Carlo
FABBRI Giacomo
MUGHINI Renzo
PIERI Antonio
SANGIORGI Giovanni
SCALINI Angiolo

Assenti i Consiglieri Sigg.ri
CAPPELLI Domenico
GAMBERI Pietro
MARETTI Pietro
SARTONI Carlo
TAGLIAFERRI Giuseppe
VESPIGNANI Alberto
BELLINI Mario
CAPPELLI Aldo
MASI Carlo 
MERCATALI Giuseppe

Assiste il Segretario Comunale
Sig. Lalumera Rag. Quinzio.



Eduardo, da piccolo, con la madre e la sorella
(ritratto da Michele, suo padre).


Verificato che gli intervenuti in numero di 10 sono sufficienti per la validità della deliberazione, il Presidente dichiara aperta l’adunanza ed invita i presenti a discutere e deliberare sugli affari posti all’ordine del giorno.
.......................................

Il Consiglio Comunale di Marradi, riunito in seduta pubblica straordinaria il 4 novembre 1957,

RITENUTO

che l’insigne e venerando pittore Eduardo Gordigiani, la cui arte è stata definita “un soffio di gioventù, una serena e limpida luce”, ha ben meritato di questa terra, alla quale è stato ed è tenacemente legato da vincoli di adozione; per qui possedere la culla dei suoi più cari affetti; per avere, nel suo eremitaggio di Popolano, “con un crescendo di luminosità, anzi quasi con una parossistica lotta contro le ombre ed il grigio incolore”, immortalato aspetti e paesaggi della campagna marradese;

ad unanimità di voti delibera

di conferire la cittadinanza onoraria ad EDUARDO GORDIGIANI di Michele, grande ritrattista dell’800, nato a Firenze il 18 gennaio 1866.

.............................................

Secondo i ricordi di Francesco Cappelli, il Consiglio Straordinario si tenne nei locali del Cinema Borsi per consentire alla popolazione di assistere alla cerimonia. Cappelli ricorda che furono numerosi i marradesi richiamati dall’evcnto, tra cui anche la pittrice Dacci, e naturalmente il pittore Gordigiani che all’epoca aveva ormai 91 anni.



Dall'Enciclopedia Treccani
GORDIGIANI, Eduardo. - Nacque a Firenze il 18 gennaio 1866 dal pittore Michele e da Gabriella Coujère. Frequentò l'Accademia di Belle arti di Firenze e attorno al 1885 ebbero inizio i ricorrenti viaggi a Parigi con gli amici E. Fabbri e A. Müller, durante i quali conobbe E. Manet, J.-A. Renoir, H. Toulouse-Lautrec e P. Cézanne. 

Eduardo Gordigiani, al centro, fra gli amici E.Fabbri e A.Muller. Quadro dipinto da Michele Gordigiani, suo padre.

La loro influenza, insieme con quella di G. Boldini, si rivelò determinante per il superamento dei precetti accademici e per i successivi sviluppi della sua pittura. Tra il 1893 e il 1894 si trasferì a New York dove lavorò con successo per tre anni esponendo in alcune delle maggiori città americane (Baltimora, Filadelfia, Boston); risalgono a questo periodo i più bei ritratti del Gordigiani, come quello di Eleonora Duse, amica della sorella Giulietta. Nel 1896 sposò Sophie Carpenter Dunning.

E.Gordigiani, ritratto di Eleonora Duse, 1890


Nel 1930 conobbe Irene Fabbri, sua giovane allieva, che sposò dopo la morte di Sophie nel 1956. La prima personale di Gordigiani venne allestita nel 1915 a Firenze; ma solo a partire dalla mostra fiorentina alla galleria di via Ricasoli, nel 1937, le sue esposizioni ottennero consensi e pubblici riconoscimenti.
Tra il 1955 e il 1956, in occasione del novantesimo compleanno del pittore, gli vennero dedicate importanti mostre antologiche al Centro culturale S. Fedele di Milano, all'Accademia di belle arti di Firenze, che nel 1939 lo aveva nominato professore emerito, e alla Casa della cultura di Livorno. Eduardo Gordigiani morì il 30 gennaio 1961 a Popolano di Marradi.

Sopra: Conversazione 
all'aperto di Irene Fabbri 
(capelli neri) con una amica.



A sinistra: Edoardo Gordigiani. il Priore di Popolano e Irene Fabbri (a destra) in occasione del restauro di un dipinto della Madonna che poi fu messo in chiesa.




lunedì 18 febbraio 2013

Un trekking nella neve di febbraio





Il mondo visto da Bolano

Da Bolano a Gamberaldi
di Claudio Mercatali



Oggi è il 14 febbraio, San Valentino. Per amore dei miei monti mi sono dato al trekking sulla neve. Il pulmino di Palazzuolo mi aspetta alla stazione di Marradi, alle 15,00 per portarmi alla Colla di S.Ilario. I puristi dei trekking con le ciaspole disdegnano un po' questo modo di scansare la salita, ma io abito qui, la marcia di avvicinamento l'ho fatta tante volte e non mi interessa più. Il nocciolo della questione è il podere di Bolàno, in cima al monte, perché la parte topica del trekking comincia qui.

Il vento è a scirocco e dunque il cielo è nuvoloso dalla parte della Toscana e la temperatura è mite. Questo vento, che a Marradii si chiama Corìna, rende bello il cielo, come si vede nelle foto qui accanto. Non sono il primo che passa di qui, perché nella neve ci sono le tracce di un altro ciaspolatore solitario, vecchie di un paio di giorni. Molto bene perché così ricalcando le sue orme posso andare senza ciaspole, senza sprofondare. La neve è compatta sopra ma bagnata e scivolosa sotto, dùica, come si dice nel dialetto locale.





Il monte Lavane 
visto da Caselle


In cima alla Colla di Bolano il mio sconosciuto compagno di viaggio prende la strada di Mondéra, quella che avevo intenzione di fare. Non lo seguirò perché a sinistra, nella campestre per Gruffieto non è passato nessuno e il manto intatto mi attira. Quindi tornerò a casa passando da Gamberaldi. Non è la stessa cosa, perché in questo modo il cammino si allunga di quattro o cinque chilometri e praticamente devo percorrere una vecchia via fino ai campi del podere della Perdolina, che si vede sullo sfondo, nella foto qui sotto.


Dal crinale sopra Mondéra 
c'è la visuale completa 
del cammino da fare.



La strada per Gruffieto oggi mi piace poco, perché mi danno noia i tonfi sordi delle mine nella cava d'arenaria che c'è più avanti, però il panorama è fantastico. Il sole al tramonto ogni tanto sbuca dalle nuvole portate dallo scirocco e conviene fare sosta in attesa di qualche bello scorcio da fotografare. Nell'attesa approfitto per mangiare, seguendo il consiglio degli esperti che raccomandano di mandare giù qualcosa di dolce e di bere tanta acqua prima di avere fame o sete.



Il panorama "giusto" capita dopo un po', quando il sole trova un varco fra le nuvole. Sembra il giorno del Giudizio là, sul Passo della Sambuca.

L'attesa mi è costata cara perché la nuvola che ho sul capo scarica una pioggerellina gelata. Sta voltando il vento a tramontana e in più se non mi affretto il buio mi coglierà per strada.



Clicca sulle immagini
se le vuoi ingrandire


Nel crinale la via è stata ben segnata dal CAI e anche da quelli delle mountain bike, che usano degli efficaci cartellini di legno con la scritta MTB2 e 5.



  

La segnaletica MTB5 permette di imboccare la campestre per Gamberaldi, dentro la faggeta qui accanto. E' un punto delicato, in cui si può sbagliare. Dopo cento metri il cartellino MTB5 invita ad andare a sinistra, verso Gruffieto, ma la mia meta è avanti e per diritto. Tutti questi percorsi laterali sarebbero degli anelli di trekking interessanti, ma non sono per oggi. Chi vuole saperne di più può informarsi al sito www.seniobike.

 L'arrivo a Valsorbo segna l'entrata nelle terre della fattoria di Gamberaldi, da secoli di proprietà della famiglia Pratesi. La tramontana ha preso il sopravvento sullo scirocco e la temperatura è crollata. Però il cielo si è rasserenato.




 
 La casa poderale 
di Valsorbo

 

 

A destra: la quercia 
di Pianello
e il tabernacolo.



 











Dal podere successivo chiamato Pianello, si vede finalmente Gamberaldi.







   
In questo sito antico c'è una bella villa padronale e la via è comoda. Volendo si potrebbe scendere a Marradi lungo una strada asfaltata ma la regola generale del trekking dice di praticare sempre e solo dei sentieri e la devo rispettare.

  

La villa di Gamberaldi e il tabernacolo 
al bivio della Perdolina.


Un tempo da questo tabernacolo partiva una processione, nel giorno dell' Ascensione, che andava fino al tabernacolo della quercia, a Pianello, che si vede in una delle foto precedenti.
 
Per evitare l'asfalto percorrerò la vecchia strada comunale, che per tanti secoli è servita per arrivare qui da Marradi. Fu dismessa nei primi anni Cinquanta, quando il Consorzio di bonifica di Brisighella costruì quella attuale. Ora mancano sei chilometri per arrivare a casa.






E' una delle tante vie dei passi perduti, quelle che ormai nessuno percorre più. Si imbocca dalla chiesa e scende a rotta di collo lungo il borro di Gamberaldi, fino al podere Il Corno.
D'inverno il passaggio alla notte è più breve e in fondo al borro il buio arriva ancora più rapidamente. In alto è sorta la luna.




 











mercoledì 13 febbraio 2013

Le Differenze



Le prime poesie pubblicate
da Dino Campana



L'Istituto Ciamician, sede della facoltà 
di Chimica, frequentata 
da Dino Campana





Dino Campana, durante il periodo bolognese, pubblicò alcuni scritti nei giornali goliardici del mondo universitario usando pseudonimi chiaramente allusivi al suo cognome che certo si prestava a facili e divertenti ironie:
il Campanone, Din Don, Campanula …

Tra questi scritti La Chimera e Le barche amorrate  presentano numerose differenze rispetto all' edizione del 1914 e La chimera anche rispetto a “ Il più lungo giorno” così come Torre Rossa che apre i Canti Orfici. La lettera aperta a Manuelita Etchegarray è diversa alla: 16a e 17a riga.
dalla 22a alla 26a c'è un pezzo in più, dalla 50a alla 66a manca un pezzo e  il finale è differente.



La  chimera

Non so se tra rocce il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina o Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose,
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l’immobilità dei firmamenti
E i gonfi rivi che vanno piangenti
E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.


Qui sopra: la versione definitiva 
dei Canti Orfici 1914,


In alto a destra: la poesia 
nel Più lungo giorno,
Qui accanto: nel foglio goliardico 
Il Papiro, Bologna 1912.

 
Barche amorrate

Le vele le vele le vele
Che schioccano e frustano al vento
Che gonfia di vane sequele
Le vele le vele le vele!
Che tesson e tesson: lamento
Volubil che l'onda che ammorza
Ne l'onda volubile smorza...
Ne l'ultimo schianto crudele...
Le vele le vele le vele


Sopra: Barche amorrate
in Varie e Frammenti (1914?)





Qui a fianco: sul foglio 
goliardico  Il Papiro, 
 Bologna, 1912.


Nel Più lungo giorno 
questa poesia non c'è.



  
Lettera aperta 
a Manuelita Etchegarray

 
Voi adorabile creola dagli occhi neri e scintillanti come metallo in fusione, voi figlia generosa della prateria nutrita di aria vergine voi tornate ad apparirmi col ricordo lontano: anima dell’oasi dove la mia vita ritrovò un istante il contatto colle forze del cosmo. Io vi rivedo Manuelita, il piccolo viso armato dell’ala battagliera del vostro cappello, la piuma di struzzo avvolta e ondulante eroicamente, i vostri piccoli passi pieni di slancio contenuto sopra il terreno delle promesse eroiche! Tutta mi siete presente esile e nervosa. La cipria sparsa come neve sul vostro viso consunto da un fuoco interno, le vostre vesti di rosa che proclamavano la vostra verginità come un’aurora piena di promesse! E ancora il magnetismo di quando voi chinaste il capo, voi fiore meraviglioso di una razza eroica, mi attira non ostante il tempo ancora verso di voi! Eppure Manuelita sappiatelo se lo potete: io non pensavo, non pensavo a voi: io mai non ho pensato a voi. Di notte nella piazza deserta, quando nuvole vaghe correvano verso strane costellazioni, alla triste luce elettrica io sentivo la mia infinita solitudine. La prateria si alzava come un mare argentato agli sfondi, e rigetti di quel mare, miseri, uomini feroci, uomini ignoti chiusi nel loro cupo volere, storie sanguinose subito dimenticate che rivivevano improvvisamente nella notte, tessevano attorno a me la storia della città giovine e feroce, conquistatrice implacabile, ardente di un’acre febbre di denaro e di gioie immediate. Io vi perdevo allora Manuelita, perdonate, tra la turba delle signorine elastiche dal viso molle inconsciamente feroce, violentemente eccitante tra le due bande di capelli lisci nell’immobilità delle dee della razza. Il silenzio era scandito dal trotto monotono di una pattuglia: e allora il mio anelito infrenabile andava lontano da voi, verso le calme oasi della sensibilità della vecchia Europa e mi si stringeva con violenza il cuore. Entravo, ricordo, allora nella biblioteca: io che non potevo Manuelita io che non sapevo pensare a voi. Le lampade elettriche oscillavano lentamente. Su da le pagine risuscitava un mondo defunto, sorgevano immagini antiche che oscillavano lentamente coll’ombra del paralume e sovra il mio capo gravava un cielo misterioso, gravido di forme vaghe, rotto a tratti da gemiti di melodramma: larve che si scioglievano mute per rinascere a vita inestinguibile nel silenzio pieno delle profondità meravigliose del destino. Dei ricordi perduti, delle immagini si componevano già morte mentre era più profondo il silenzio. Rivedo ancora Parigi, Place d’Italie, le baracche, i carrozzoni, i magri cavalieri dell’irreale, dal viso essicato, dagli occhi perforanti di nostalgie feroci, tutta la grande piazza ardente di un concerto infernale stridente e irritante. Le bambine dei Bohemiens, i capelli sciolti, gli occhi arditi e profondi congelati in un languore ambiguo amaro attorno dello stagno liscio e deserto. E in fine Lei, dimentica, lontana, l’amore, il suo viso di zingara nell’onda dei suoni e delle luci che si colora di un incanto irreale: e noi in silenzio attorno allo stagno pieno di chiarori rossastri: e noi ancora stanchi del sogno vagabondare a caso per quartieri ignoti fino a stenderci stanchi sul letto di una taverna lontana tra il soffio caldo del vizio noi là nell’incertezza e nel rimpianto colorando la nostra voluttà di riflessi irreali!
....................................
E così lontane da voi passavano quelle ore di sogno, ore di profondità mistiche e sensuali che scioglievano in tenerezze i grumi più acri del dolore, ore di felicità completa che aboliva il tempo e il mondo intero, lungo sorso alle sorgenti dell’Oblio! E vi rivedevo Manuelita poi: che vigilavate pallida e lontana: voi anima semplice chiusa nelle vostre semplici armi. So Manuelita: voi cercavate la grande rivale. So: la cercavate nei miei occhi stanchi che mai non vi appresero nulla. Ma ora se lo potete sappiate: io dovevo restare fedele al mio destino: era un’anima  inquieta quella di cui mi ricordavo sempre quando uscivo a sedermi sulle panchine della piazza deserta sotto le nubi in corsa. Essa era per cui solo il sogno mi era dolce. Essa era per cui io dimenticavo il vostro piccolo corpo convulso nella stretta del guanciale, il vostro piccolo corpo pericoloso tutto adorabile di snellezza e di forza. E pure vi giuro Manuelita io vi amavo e vi amo e vi amerò sempre di più di qualunque altra donna....dei due mondi.


La Notte

A destra: 
Il manoscritto sul Più lungo giorno 
(in grigio) e sul foglio Il Goliardo (1912).




Qui sotto: La Notte nei Canti Orfici


3. Inconsciamente colui che io ero stato si trovava avviato verso la torre barbara, la mitica custode dei sogni dell’adolescenza. Saliva al silenzio delle straducole antichissime lungo le mura di chiese e di conventi: non si udiva il rumore dei suoi passi. Una piazzetta deserta, casupole schiacciate, finestre mute: a lato in un balenìo enorme la torre, otticuspide rossa impenetrabile arida. Una fontana del cinquecento taceva inaridita, la lapide spezzata nel mezzo del suo commento latino. Si svolgeva una strada acciottolata e deserta verso la città ...


Fonti: llustrazioni e progetto grafico di Claudio Mercatali

venerdì 8 febbraio 2013

Un esproprio per costruire la ferrovia


 Angelo Felice Fabroni
contesta alle ferrovie un danno alla sua proprietà.


 
Per costruire la linea ferroviaria, nota come Faentina, furono  espropriati alcuni terreni posti nel comune di Marradi. Le carte riportate di seguito riguardano alcune questioni sorte tra il proprietario terriero Angelo Felice Fabroni, fu Carlo, e la Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali in seguito alla demolizione di un aggetto sulla facciata retrostante della casa colonica del podere " La Vigna", posto in località Popolano subito dopo Filetto, venendo da Marradi.


La casa colonica del podere " La Vigna" a Popolano
Ill.mo Sig.r Angiolo Fabroni,

La Superiore Direzione mi fa conoscere con sua lettera in data di ieri che per ordinare lo svincolo della nota somma di £. 488.36 le è necessario saper se la S.V. ha eseguito la ricostruzione in altra parte, dei locali che trovavansi in aggetto alla facciata tergale della Casa Colonica La Vigna, stati da tempo demoliti e ciò perché nell’atto di transazione in data 6 Aprile 1888 è detto che “ nel caso che siano eseguiti i lavori ai locali posti in aggetto alla facciata tergale della Casa Colonica, sarà dall’Ammin.re Gov.o disposto, dopo la loro esecuzione, il pagamento di altre £. 488.36 valutati nella ricordata perizia 8 dell’Ing. Antonio Canestrelli) facendosi luogo ad altro deposito suppletivo fino a concorrenza di quest’ultima somma.

Tanto per opportuna norma della S.V. Ill.ma …. salutandola distintamente , colla massima considerazione in vero   Suo Dev.mo                         Faenza, 12 luglio 1889




Il Prefetto della Provincia di Firenze

Visto il precedente suo Decreto in data 23 maggio ( 1893 ) col quale il Ministero dei LL.PP R.o Ispettorato Generale delle SS.FF veniva autorizzato a versare nella Cassa Depositi e Prestiti la somma di £ 1400 dovuta a titolo d’indennità per liquidazione d’espropriazione di terreni posti in Comune di Marradi di proprietà del Sig. Fabroni Angelo Felice fu Carlo necessari per la costruzione della Ferrovia Faenza Firenze.
Vista la polizza N. 10489 rilasciata dalla cassa Depositi e Prestiti sotto dì 30 Giugno 1893, dalla quale risulta essersi dal Prefato Ministero eseguito il deposito della somma anzidetta ed in conformità del Decreto sovraccennato
Visti gli art. 30 e 53 della legge 25 Giugno 1869, N.o 2059 sulle espropriazioni per causa di pubblica utilità
                                                                         DECRETA
L’Amministrazione dello Stato è autorizzato ad occupare in modo permanente e definitivo i fondi dettagliatamente descritti nel seguente prospetto


Nel prospetto suddetto non sono indicate né la località né il nome del podere espropriato ma solo i confini del terreno, in questi termini:

Coerenze dei Fondi espropriati- Comune di Marradi
A Faenza col fosso di Popolano e a Firenze colla proprietà Colletti Giovanni ed altri e a destra e a sinistra della ferrovia colle residue ragioni Fabroni dicontro
A Faenza e a destra della ferrovia colle residue ragioni Fabroni dicontro, a Firenze colla proprietà Mughini Antonio , ed a sinistra della Ferrovia colla proprietà espropriata a Celletti Giovanni ed altri




A dì 4 Settembre 1893

Io sottoscritto usciere addetto alla Pretura di Marradi ho notificato al Sig. Angiolo Felice Fabroni il presente trascritto Decreto consegnandolo nella sua residenza in persona di lui medesimo.

Cappelletti Ulderico



In una lettera sempre relativa ai rimborsi si apprende che tra il Fabroni e la Società Italiana per le STRADE FERRATE MERIDIONALI doveva essere sorta qualche questione inerente la ricostruzione di una parte del fabbricato della casa colonica del podere La Vigna abbattuta per far spazio alla linea ferrata.


Firenze, li 3 Maggio 1893
Società Italiana per le
STRADE FERRATE MERIDIONALI

Oggetto: Faenza-Firenze

Istanza Fabroni
Circa l’istanza da Lei presentata a questa Società in data 1° Aprile u.o s.o ( ultimo scorso…) sono spiacente doverle specificare che non può venire accolta favorevolmente, inquantochè, dalle assunte informazioni è resultato che la sua Casa Colonica può essere prolungata, senza inconvenienti, dal lato verso Faenza invece che dal lato verso Firenze, senza creare così una nuova servitù alla Ferrovia, mentre Ella fu già soddisfatta all’atto dell’espropriazione, di quella derivante alla detta sua casa dalla vicinanza della ferrovia medesima.
        Per il Direttore Generale                                 Onorevole Signor   Angelo Felice Fabroni




E' ancora del 1893 una minuta scritta per conto del cui si apprende vhe un'altra proprietà dei Fabroni, sita vicino alla tratta ferroviaria Fantino - Crespino, era stata oggetto di esproprio e occupazione del suolo per la costruzione della ferrovia.

L’anno 1893 3e questo giorno……………in…..

Dichiaro io sottoscritto Fabbroni Angelo Felice del …….di condizione possidente, domiciliato a Marradi, di aver ricevuto, siccome ho ricevuto dall’Impresa Ing. Antonio Colacicchi la somma d’italiane lire Ottocento. Questa somma rappresenta l’ indennità concordemente stabilita per le occupazioni fatte dall’Impresa medesima nei fondi di mia proprietà in Comune di Marradi, ed occorse per la costruzione del tronco ferroviario Fantino-Crespino, linea Faenza - Firenze.
Nelle dette lire Ottocento però non è compresa l’indennità per la occupazione della particella di numero 479, essendosi concordato di lasciar sospesa la liquidazione e il pagamento della medesima che l’Impresa ritiene spettante al Governo. Eccezione fatta però della particella suddetta dichiaro d’aver ricevuto colle suddette lire ottocento il saldo totale di quanto mi spetta per le dette occupazioni, e di nulla più dovevo avere pretendevo dall’Impresa medesima in riguardo alle medesime, o alle loro conseguenze.
Resta inteso che le occupazioni potranno esser protratte a tutto il corrente anno, senza ulteriore compenso.


FERROVIA FAENZA-FIRENZE
Direzione tecnica Governativa
Oggetto:Tronco Fognano-Marradi

Espropriazione Fabroni Angiolo

Felice in Comune di Marradi
L’Esattore di Marradi interpellato da questa Direzione ha significato, che attese pendenze insolute non può rilasciare il Certificato di nulla osta per il rimborso imposte dovutole.
Questa Direzione pertanto non può dar corso al Verbale di rimborso imposta dalla S.V. firmato in data 21 Gennaio 1896 se prima non risulti regolata la di Lei pendenza col predetto Esattore.
Tanto per di Lei norma
L’Ingegnere Direttore
Al Signor Fabroni Angiolo Felice fu Carlo



lunedì 4 febbraio 2013

Un trekking a Monte Colombo



il monte che sovrasta
Marradi
di Claudio Mercatali







La bocchetta delle Fosse


Questa montagna, che incombe letteralmente sul paese, per tanti secoli è stata coltivata a vigna, fino in cima. Con un lavoro trasmesso di padre in figlio la pendice era stata sistemata a furia di muretti, e dietro a ognuno c'era un campetto. Ora il bosco ha preso il sopravvento, ma se si guarda attentamente dal paese i segni di questi terrazzamenti esasperati si vedono ancora. Forse è proprio da questo che viene il nome Marradi, che vuol dire lavorato con la marra, con lo zappetto.
Monte Colombo è grande e il versante che guarda il paese si estende dal fosso di Collecchio fino al lago dell'Annunziata, cioè per quasi due chilometri ed è tutto a solame, rivolto esattamente a est. Il versante che percorrerò oggi è invece quello a nord ovest, quasi tutto nel bacino del fosso di Collecchio.

Per un trekking piacevole, poco impegnativo, si può prendere il pulmino per Palazzuolo, che parte dalla stazione di Marradi alle 8.00 o alle 15,00 e scendere quasi al valico di S.Ilario, all'imbocco della strada per la Piegna. Il biglietto costa 1 euro e l'autista darà tutte le indicazioni del caso.
La strada della Piegna è una campestre in piano, che dopo qualche centinaio di metri porta alla bocchetta delle Fosse, un crinale dal quale si vede il Castellone. Qui ci sono tre strade e la mia è quella di sinistra. A destra si va alla cava della Piegna e se si scende si arriva al Castellone, con un bel trekking che è nell'archivio di questo blog alla data 6 febbraio 2012.

Il panorama è bello, perché il sito è alto, di crinale e completamente aperto verso sud. Si vede tutta la valle di Campigno e il Lavane con la cima coperta dalle nuvole.


 

Il panorama dalla strada
per il podere Monte Colombo


Ieri è nevicato, qui c'è uno spessore di trenta centimetri di neve pesante e un po' acquosa, perché il vento si è voltato a scirocco, come si vede dal cielo.
Nel dialetto locale si dice che una neve fatta così è "dùica" e si cammina bene anche senza ciaspole, però servono le ghette, perché non è ghiacciata e bagna parecchio.

La casa del podere Monte Colombo marca il punto più alto di oggi e ora non rimane che scendere verso I Ronchi.

Si cambia direzione e devo rinunciare alla vista del Lavane e del Castellone, che mi ha fatto compagnia fino qui.

In compenso entro in una zona di castagneti secolari e bellissimi. Girare nei castagneti innevati è gustosissimo, perché sono tutti a bacino e la neve è più consistente. Gli stradelli lungo il bosco non si vedono e si deve andare un po' a occhio, il che significa che è inevitabile finire ogni tanto distesi.
Il vento di scirocco stacca la neve dai rami ed è quasi inevitabile anche la cosiddetta "scuffia" cioè il ritrovarsi con la neve nel collo.




Chi ha passione per la fotografia trova senz'altro dei bei soggetti, perché i contorcimenti dei castagni innevati fanno un bell' effetto.


 
Ora sono bagnato fradicio. La regola generale in questi casi dice che bisogna fermarsi subito e cambiare i vestiti sudati ma la mia casa è qui a due chilometri e posso arrivare anche così, se cammino svelto.



Passo dai Capitelli, dal Ponte di Collecchio, da Vosciaròla e dalla chiesina della Cappellina, che è alle porte del paese. Ho camminato per sei o sette chilometri, il giusto per me, e ho fatto un bel  trekking e un buon safari fotografico.



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