Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

lunedì 29 settembre 2014

Un nome, una storia

Il militare GIOVANNI VISANI

di Luisa Calderoni


Il Monumento 
negli anni Trenta
(cartolina di G. Farolfi)


Per dare un volto ai nostri caduti e ritrovare la loro dimensione umana partiamo da un certo Giovanni Visani.
Il nome di Giovanni Visani appare in lettere di metallo tra i caduti della seconda Guerra mondiale sul lato sinistro del monumento ai caduti situato nell'omonimo giardino di Marradi.



Chi era Giovanni Visani? Cosa sappiamo di lui per ricostruirne la breve vita?
Come da relativa scheda anagrafica, sappiamo che Giovanni nacque a Marradi il 16 luglio 1916 da Pietro e Teresa Cavina. Giovanni  era celibe,  esercitava il mestiere di bracciante agricolo e sapeva leggere e scrivere.
Nel 1931 abitava a Marradi in località Casa Gondi al numero civico 160 ( dati del censimento del 1931), ma nel 1936 si trasferì nel Mulino Piani  e successivamente a Biforco, Strada per Cardeto n. 6, ed ebbe  l' ultima residenza al Casale di Biforco, numero 20,  Parrocchia di Marradi, Strada per Faenza. 






Da  una nota  scritta a mano sulla sua scheda anagrafica apprendiamo  che Giovanni Visani fu  " dichiarato irreperibile in seguito al fatto d'armi, anzi in occasione dell'affondamento della M.N. "Paganini " avvenuto il28 - 6 - 1940 XVIII.
Tale dicitura  viene poi  riportata a caratteri stampatello  quando Giovanni viene eliminato dal registro in data 16.10.1952 in questi termini: " Dichiarato irreperibile  quale militare disperso in guerra. Perito il 28.6.1940 per affondamento Motonave " Paganini". Non cens.4/II/1951"
Ma che ci faceva Giovanni a bordo della motonave Paganini?
Giovanni era imbarcato con altri novecentoventi soldati, nella maggioranza toscani, e stava navigando verso Durazzo, nell'ambito della campagna militare contro la Grecia voluta da Galeazzo Ciano.
La sera del 27 giugno del 1940 la motonave era salpata da Bari. Si trattava di una nave civile di circa 2450 tonnellate noleggiata alla "compagnia Tirrenia".I soldati della Paganini stavano raggiungendo l'Albania per la preparazione dell'attacco che avrebbe dovuto portare l'esercito italiano dritto a Salonicco:




La motonave Paganini mentre 
affonda davanti a Durazzo 


Su questo naufragio è stata scritta da Daniele Finzi un'opera presentata qualche tempo fa in Palazzo Medici Riccardi a Firenze; riportiamo alcune parole di Aldo Piccini, classe 1919, ex alpino sopravvissuto al naufragio:



Daniele Finzi
Una storia nel cuore
L'affondamento della MN Paganini

"Il mare era mosso, molto mosso. Noi eravamo giù nella stiva. C'erano i lettini a castello e ci avevano detto di stare fermi perchè il mare era mosso (...). C'era un fittacchiume incredibile, non si respirava. Mi alzai e andai sul ponte. Mi ricordo che le scale erano strette ed io che sono grosso ci passavo appena. Dopo una quindicina di minuti che ero sul ponte, la nave si inclinò e io mi ritrovai in mare."

Il libro di Finzi appare come un doveroso omaggio alla memoria delle vittime ma anche un atto di accusa contro la faciloneria dell' Italia Fascista e del capi supremi dell'Esercito Italiano. Sulla motonave tra animali, soldati, armamenti sistemati a forza in coperta, mancavano le scialuppe di salvataggio e le vie di fuga, costituite da strette scalette, non erano adeguate a far uscire i soldati in massa. A sole quattro  miglia da Durazzo la motonave affondò per sabotaggio,secondo  la versione ufficiale del tempo. Daniele Finzi sostiene invece la tesi dell' attacco inglese, testimoniata dalle modalità dell'incendio e dalla presenza di sottomarini inglesi nelle acque dell'Adriatico.


La ricerca ha evidenziato che le vittime della Paganini erano soldati e ufficiali giovanissimi fra cui i tecnici dell'Istituto Geografico Militare di Firenze mentre molti furono i caduti figli di un'Italia povera e contadina.


Anche il nostro Giovanni Visani era giovanissimo, aveva appena 24 anni ed era un bracciante agricolo.
Morì in questo viaggio funesto, morì senza colpo ferire?  No, scopriamo che era stato arruolato nel 1939....quindi deve aver partecipato alla campagna d'Africa.


Il relitto individuato dal gruppo 
di sommozzatori Betasom.



Fonti: I documenti d'archivio sono stati trovati dall'archivista Mario Catani.

mercoledì 24 settembre 2014


Un modo non convenzionale per parlare 
della liberazione di Marradi.
di Luisa Calderoni e Claudio Mercatali




1915 - 1916 Truppe in addestramento 
nel piazzale che poi diventerà "del Monumento".


Le celebrazioni legate alle scadenze dettate dal tempo, i decennali, i centenari e quest'anno i 70 anni della liberazione di Marradi da parte della Ottava Divisione di Fanteria Indiana, sono così fitte nella storia dei popoli da rischiare di  diventare noiose o stucchevolmente retoriche. Per capirne il loro non senso, se le leghiamo al concetto di tempo scandito da orologi e calendari, bisogna riflettere un momento su come e da quando gli uomini hanno cominciato a "misurare" il tempo. La prima grande divisione del tempo fu tra preistoria, prima dell' invenzione della scrittura, e storia, caratterizzata dalla presenza di documenti scritti.





1926   L'inaugurazione del Monumento







Gli antichi  greci  contavano il tempo dalla prima Olimpiade ( 776 a.c),  i Romani  lo contavano "ab urbe condita", cioè dalla fondazione di Roma ( 753 a.c:), poi venne l'era cristiana e i famosi A.C e D.C. e in tempi più recenti quella musulmana che conta il tempo dall'Egira, la fuga di Maometto dalla Mecca  ( 614 d.c).

Insomma, che senso hanno le celebrazioni legate alle scansioni temporali se il tempo non ha né inizio né fine?







Nel 1942 la statua venne fusa per ricavarne il bronzo e sostituita con una fiaccola di cemento.




Allora basta celebrazioni retoriche intrise di falso patriottismo, meglio risvegliare in altro modo la memoria e l'interesse per il nostro recente passato, perché solo l'oblio uccide tutto e tutti.



 In occasione del settantesimo anniversario  della liberazione di Marradi si potrebbe tentare  di avvicinare la gente della nostra comunità ad una "cosa" che è sempre sotto i nostri occhi ma è ignorata per la gran parte dell'anno: il Monumento ai caduti della Prima e seconda Guerra Mondiale. Cambiato più volte nel tempo, esso reca alla base i nomi dei caduti e dei dispersi. In particolare nel lato verso " La Concia" c'è l'elenco dei caduti e dei dispersi della Seconda Guerra Mondiale. 


Negli anni Ottanta la fiaccola venne rimossa e collocata al campo sportivo. Al suo posto venne messa la statua di bronzo attuale.











I caratteri sono anneriti e quasi illeggibili anche a causa di una ringhiera che, recinto dentro il più ampio recinto del parco, tiene lontani gli osservatori.  E come non bastasse, due bombe dipinte di grigio, fanno perenne guardia al monumento! Strumenti  di guerra di fronte ad un monumento che nel ricordare la morte, dovrebbe essere un monito  affinché tali sciagure non abbiano a ripetersi...

Sarebbe auspicabile poter  rimuovere quei due terribili oggetti di morte e rimuovere quella ringhiera che allontana i vivi dai propri morti cercando al contempo di ridare una storia, un volto a quei nomi dietro i quali si nasconde una vita forse comune e banale, ma comunque una vita falciata da una guerra non cercata, non amata, non vinta. Su questo stiamo già lavorando e la storia dei nostri "militi ignoti" sarà argomento dei prossimi articoli....



domenica 21 settembre 2014

A La Verna con Dino Campana

Un trekking in bici
sulla via del poeta (seconda parte)
Claudio Mercatali





Questa è la seconda tappa del viaggio a La Verna in bicicletta. La partenza è da Bibbiena e si tratta di salire fino a Chiusi della Verna percorrendo il valico dello Spino. Sono 26 chilometri di salita continua, non eccessiva ma costante. Come descrive questi posti Dino Campana?





21 Settembre (presso la Verna)
Io vidi dalle solitudini mistiche staccarsi una tortora e volare distesa verso le valli immensamente aperte. Il paesaggio cristiano segnato di croci inclinate dal vento ne fu vivificato misteriosamente. Volava senza fine sull'ali distese, leggera come una barca sul mare. Addio colomba, addio! Le altissime colonne di roccia della Verna si levavano a picco grigie nel crepuscolo, tutt'intorno rinchiuse dalla foresta cupa.






Incantevolmente cristiana fu l'ospitalità dei contadini là presso. Sudato mi offersero acqua. «In un'ora arriverete alla Verna, se Dio vole». Una ragazzina mi guardava cogli occhi neri un po' tristi, attonita sotto l'ampio cappello di paglia. In tutti un raccoglimento inconscio, una serenità conventuale addolciva a tutti i tratti del volto. Ricorderò per molto tempo ancora la ragazzina e i suoi occhi conscii e tranquilli sotto il cappellone monacale.
Sulle stoppie interminabili sempre più alte si alzavano le torri naturali di roccia che regge vano la casetta conventuale rilucente di dardi di luce nei vetri occidui. 
Si levava la fortezza dello spirito, le enormi rocce gettate in cataste da una legge violenta verso il cielo, pacificate dalla natura prima che le aveva coperte di verdi selve, purificate poi da uno spirito d'amore infinito: la meta che aveva pacificato gli urti dell'ideale che avevano fatto strazio, a cui erano sacre pure supreme commozioni della mia vita.




22 Settembre (La Verna)
«Francesca B. O divino santo Francesco pregate per me peccatrice. 20 Agosto 189...» Me ne sono andato per la foresta con un ricordo risentendo la prima ansia. Ricordavo gli occhi vittoriosi, la linea delle ciglia: forse mai non aveva saputo: ed ora la ritrovavo al termine del mio pellegrinaggio che rompeva in una confessione così dolce, lassù lontano da tutto. Era scritta a metà del corridoio dove si svolge la Via Crucis della vita di S. Francesco: (dalle inferriate sale l'alito gelido degli antri). A metà, davanti alle semplici figure d'amore il suo cuore si era aperto ad un grido ad una lacrima di passione, così il destino era consumato!

... Era scritta a metà del corridoio
 dove si svolge la Via Crucis ...


Antri profondi, fessure rocciose dove una scaletta di pietra si sprofonda in un'ombra senza memoria, ripidi colossali bassorilievi di colonne nel vivo sasso: e nella chiesa l'angiolo, purità dolce che il giglio divide e la Vergine eletta, e un cirro azzurreggia nel cielo e un'anfora classica rinchiude la terra ed i gigli: che appare nello scorcio giusto in cui appare il sogno, e nella nuvola bianca della sua bellezza che posa un istante il ginocchio a terra, lassù così presso al cielo:
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stradine solitarie tra gli alti colonnarii d'alberi contente di una lieve stria di sole ...........................
finché io là giunsi indove avanti a una vastità velata di paesaggio una divina dolcezza notturna mi si discoprì nel mattino, tutto velato di chiarìe il verde, sfumato e digradante all'infinito: e pieno delle potenze delle sue profilate catene notturne. Caprese, Michelangiolo, colei che tu piegasti sulle sue ginocchia stanche di cammino, che piega che piega e non posa, nella sua posa arcana come le antiche sorelle, le barbare regine antiche sbattute nel turbine del canto di Dante, regina barbara sotto il peso di tutto il sogno umano
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Il corridoio, alitato dal gelo degli antri, si veste tutto della leggenda Francescana. Il santo appare come l'ombra di Cristo, rassegnata, nata in terra d'umanesimo, che accetta il suo destino nel la solitudine. La sua rinuncia è semplice e dolce: dalla sua solitudine intona il canto alla natura con fede: Frate Sole, Suor Acqua, Frate Lupo. Un caro santo italiano.





Ora hanno rivestito la sua cappella scavata nella viva roccia. Corre tutt'intorno un tavolato di noce dove con malinconia potente un frate .......... da Bibbiena intarsiò mezze figure di santi monaci. La semplicità bizzarra del disegno bianco risalta quando l'oro del tramonto tenta versarsi dall'invetriata prossima nella penombra della cappella. Acquistano allora quei sommarii disegni un fascino bizzarro e nostalgico. Bianchi sul tono ricco del noce sembrano rilevarsi i profili ieratici dal breve paesaggio claustrale da cui sorgono decollati, figure di una santità fatta spirito, linee rigide enigmatiche di grandi anime ignote. Un frate decrepito nella tarda ora si trascina nella penombra dell'altare, silenzioso nel saio villoso, e prega le preghiere d'ottanta anni d'amore. Fuori il tramonto s'intorbida. Strie minacciose di ferro si gravano sui monti prospicenti lontane. Il sogno è al termine e
l'anima improvvisamente sola cerca un appoggio una fede nella triste ora. Lontano si vedono lentamente sommergersi le vedette mistiche e guerriere dei castelli del Casentino. Intorno è un grande silenzio un grande vuoto nella luce falsa dai freddi bagliori che ancora guizza sotto le strette della penombra. E corre la memoria ancora alle signore gentili dalle bianche braccia ai balconi laggiù: come in un sogno: come in un sogno cavalleresco!



Esco: il piazzale è deserto. Seggo sul muricciolo. Figure vagano, facelle vagano e si spengono: i frati si congedano dai pellegrini. Un alito continuo e leggero soffia dalla selva in alto, ma non si ode né il frusciare della massa oscura né il suo fluire per gli antri. Una campana dalla chiesetta francescana tintinna nella tristezza del chiostro: e pare il giorno dall'ombra, il giorno piagner che si muore.






Il poeta disse al medico Carlo Pariani, che lo visitò al manicomio di Castelpulci: "Ci andai alla Verna, quando avevo venticinque anni. Partii da Marradi. Ci vogliono due o tre giorni per andare alla Verna". Per un bravo cicloturista basta un giorno solo, da mattina a sera, ma per me ne sono serviti due.

Bisogna superare i quattro valichi qui accanto, per un totale di circa 120 km. La tappa descritta qui sopra ha avuto inizio a Bibbiena, dove comincia la salita che porta al valico dello Spino.







Curiosamente, proprio al chilometro 1 la segnaletica verso una stradina laterale indica che Biforco dista 11 km e per la stessa via si arriva a Val della Meta ...







martedì 16 settembre 2014

Dino Campana verso i monti del Casentino

Il diario del viaggio a La Verna (prima parte)
Claudio Mercatali



... Davanti alla fonte hanno
stazionato a lungo i Castagnini ...



Nel settembre 1910 Dino Campana compì il pellegrinaggio a piedi da Marradi a La Verna, attraverso i sentieri dell' appennino. Le varie tappe di questo lunghissimo "trekking" sono descritte nei Canti Orfici.

Approfitteremo dei bei giorni di questa fine estate per ripercorrere tutto l'itinerario del poeta, da Marradi fino al santuario. Con me c'è Giovanni Ravagli. Il nostro mezzo di locomozione è la bicicletta. La prima tappa è da Marradi a Stia, (dai Passi dell'Eremo e del Muraglione e della Calla). Più avanti ne riparleremo. Ora leggiamo che cosa dice il poeta a proposito di Castagno d'Andrea:




Percorso presunto fatto da Dino Campana per salire il Falterona.


Castagno, 17 Settembre
La Falterona è ancora avvolta di nebbie. Vedo solo canali rocciosi che le venano i fianchi e si perdono nel cielo di nebbie che le onde alterne del sole non riescono a diradare. La pioggia à reso cupo il grigio delle montagne. Davanti alla fonte hanno stazionato a lungo i Castagnini attendendo il sole, aduggiati da una notte di pioggia nelle loro stamberghe allagate. Una ragazza in ciabatte passa che dice rimessamente: un giorno la piena ci porterà tutti. Il torrente gonfio nel suo rumore cupo commenta tutta questa miseria. Guardo oppresso le roccie ripide della Falterona: dovrò salire, salire. Nel presbiterio trovo una lapide ad Andrea del Castagno.


Chiesa di Castagno d'Andrea: La lapide nel presbiterio e il crocifisso di Pietro Annigoni (che ai tempi di Campana non c'era).





Mi colpisce il tipo delle ragazze: viso legnoso, occhi cupi incavati, toni bruni su toni giallognoli: contrasta con una così semplice antica grazia toscana del profilo e del collo che riesce a renderle piacevoli! forse. Come differente la sera di Campigno: come mistico il paesaggio, come bella la povertà delle sue casupole! Come incantate erano sorte per me le stelle nel cielo dallo sfondo lontano dei dolci avvallamenti dove sfumava la valle barbarica, donde veniva il torrente inquieto e cupo di profondità! Io sentivo le stelle sorgere e collocarsi luminose su quel mistero. Alzando gli occhi alla roccia a picco altissima che si intagliava in un semicerchio dentato contro il violetto crepuscolare, arco solitario e magnifico teso in forza di catastrofe sotto gli ammucchiamenti inquieti di rocce all'agguato dell'infinito, io non ero non ero rapito di scoprire nel cielo luci ancora luci. E, mentre il tempo fuggiva invano per me, un canto, le lunghe onde di un triplice coro salienti a lanci la roccia, trattenute ai confini dorati della notte dall'eco che nel seno petroso le rifondeva allungate, perdute.

Il canto fu breve: una pausa, un commento improvviso e misterioso e la montagna riprese il suo sogno catastrofico. Il canto breve: le tre fanciulle avevano espresso disperatamente nella cadenza millenaria la loro pena breve ed oscura e si erano taciute nella notte! Tutte le finestre nella valle erano accese. Ero solo.
Le nebbie sono scomparse: esco. Mi rallegra il buon odore casalingo di spigo e di lavanda dei paesetti toscani.

La chiesa
... ha un portico a colonnette quadrate 
di sasso intero ...


La chiesa ha un portico a colonnette quadrate di sasso intero, nudo ed elegante, semplice e austero, veramente toscano. Tra i cipressi scorgo altri portici. Su una costa una croce apre le braccia ai vastissimi fianchi della Falterona, spoglia di macchie, che scopre la sua costruttura sassosa. Con una fiamma pallida e fulva bruciano le erbe del camposanto".





... su una costa una croce ...










Il Falterona dal camposanto
di Castagno d'Andrea





Come si è svolto il trekking in bici?
Si parte da Marradi 7,30. Giovanni è più veloce di me e pieno di energia positiva, però sopporta di buon grado la mia lentezza. E' di buon umore e mi racconta tante cose, ma gli dò poca soddisfazione, perché lungo le salite dell'Eremo il fiato mi serve per sopravvivere. Facciamo una pausa caffé a S.Benedetto, e un'altra al Muraglione. Scendiamo a S.Godenzo in un quarto d'ora, e poi saliamo a Castagno in un'altra ora.

Dal 1910 l'ambiente non è cambiato molto qui a Castagno d'Andrea e i luoghi descritti da Campana sono ancora riconoscibili. Invece il nucleo del paesino è stato riedificato dopo la seconda guerra mondiale, perché questi luoghi erano sede di guerriglia partigiana e i nazisti per rappresaglia minarono quasi tutte le case e la chiesa.

A Castagno le mie possibilità ciclistiche sono esaurite, Giovanni ha altri percorsi da fare e mi lascia. Non mi rimane che cambiare le scarpe e proseguire a piedi, con la bicicletta a mano. Così comincia un trekking podistico di circa tre ore. Da Castagno d'Andrea (quota 700m circa) al Passo di Piancancelli (quota 1490m) ci sono 12 km di strada quasi tutta sterrata o malmessa, sette per arrivare alla Fonte del Borbotto e cinque dentro una interminabile faggeta.

Dino non percorse la strada che sto facendo, perché non c'era. Il sentiero antico è più in basso, in questa stessa pendice e dal Passo di Piancancelli, dove anch'io sono diretto, scende a Campigna e poi risale al Passo della Calla. Lasciamo la parola al poeta:





Sulla Falterona (Giogo)
La Falterona verde nero e argento: la tristezza solenne della Falterona che si gonfia come un enorme cavallone pietrificato, che lascia dietro a sé una cavalleria di screpolature screpolature e screpolature nella roccia fino ai ribollimenti arenosi di colline laggiù sul piano di Toscana: Castagno, casette di macigno disperse a mezza costa, finestre che ho visto accese: così a le creature del paesaggio cubistico, in luce appena dorata di occhi interni tra i fini capelli vegetali il rettangolo della testa in linea occultamente fine dai fini tratti traspare il sorriso di Cerere bionda: limpidi sotto la linea del sopra ciglio nero i chiari occhi grigi: la dolcezza della linea delle labbra, la serenità del sopra ciglio memoria della poesia toscana che fu. (Tu già avevi compreso o Leonardo, o divino primitivo!)


Il mondo visto da Monte Falco (una delle punte del Falterona)




Campigna, "la casa quadrangolare in pietra" oggi è l'albergo Granduca.



Nella foto sotto si vede il cosiddetto viale dei tigli, che in realtà è un percorso di querce con un leggìo a ricordo del poeta.




Campigna, foresta della Falterona
(Le case quadrangolari in pietra viva costruite dai Lorena restano vuote e il viale dei tigli dà un tono romantico alla solitudine dove i potenti della terra si sono fabbricate le loro dimore. La sera scende dalla cresta alpina e si accoglie nel seno verde degli abeti.)
Dal viale dei tigli io guardavo accendersi una stella solitaria sullo sprone alpino e la selva antichissima addensare l'ombra e i profondi fruscìi del silenzio. Dalla cresta acuta nel cielo, sopra il mistero assopito della selva io scorsi andando pel viale dei tigli la vecchia amica luna che sorgeva in nuova veste rossa di fumi di rame: e risalutai l'amica senza stupore come se le profondità selvaggie dello sprone l'attendessero levarsi dal paesaggio ignoto. Io per il viale dei tigli andavo intanto difeso dagli incanti mentre tu sorgevi e sparivi dolce amica luna, solitario e fumigante vapore sui barbari recessi. E non guardai più la tua strana faccia ma volli andare ancora a lungo pel viale se udissi la tua rossa aurora nel sospiro della vita notturna delle selve.

Ora che sono in cima al Passo della Calla ritorno ciclista, per venti chilometri in discesa,  fino a Stia, nel fondovalle del Casentino. Alla stazione ferroviaria di Pratovecchio il giorno prima avevo portato l'auto e così questo particolare trekking, a metà fra il ciclismo e il podismo finisce. Sono le 16,30 e ho percorso 83 km. Invece Dino Campana si fermò qui una notte e nei Canti Orfici dice che:



Stia, 20 Settembre
Nell'albergo un vecchio milanese cavaliere parla dei suoi amori lontani a una signora dai capelli bianchi e dal viso di bambina. Lei calma gli spiega le stranezze del cuore: lui ancora stupisce e si affanna: qua nell'antico paese chiuso dai boschi. Ho lasciato Castagno: ho salito la Falterona lentamente seguendo il corso del torrente rubesto: ho riposato nella limpidezza angelica dell'alta montagna addolcita di toni cupi per la pioggia recente, ingemmata nel cielo coi contorni nitidi e luminosi che mi facevano sognare davanti alle colline dei quadri antichi. 
Ho sostato nelle case di Campigna. Son sceso per interminabili valli selvose e deserte con improvvisi sfondi di un paesaggio promesso, un castello isolato e lontano: e al fine Stia, bianca elegante tra il verde, melodiosa di castelli sereni: il primo saluto della vita felice del paese nuovo: la poesia toscana ancor viva nella piazza sonante di voci tranquille, vegliata dal castello antico: le signore ai balconi poggiate il puro profilo languidamente nella sera: l'ora di grazia della giornata, di riposo e di oblio. Al di fuori si è fatta la quiete: il colloquio fraterno del cavaliere continua:

Comme deux ennemis rompus
Que leur haine ne soutient plus
Et qui laissent tomber leurs armes!



sabato 13 settembre 2014

1926 La maestra di Popolano

Una descrizione
della scuola elementare
ricerca di Mario Catani



Il Diploma, Marradi 1922



Nell'ottobre del 1926, all'inizio del nuovo anno scolastico, la maestra Rosa Cattani, indispettita per aver trovato ancora una volta la scuola comunale in pessime condizioni, scrisse questa lettera al Sindaco:






Illmo Signor Sindaco

La sottoscritta - insegnante titolare nella scuola mista rurale di Popolano, appartenente a codesto Comune - fa premura presso la S.V. Illma affinché voglia tenere presente che l'aula scolastica, di proprietà dei signori Scheda, posta nella frazione suddetta, fu adibita provvisoriamente, perché ad essa mancavano tutti i requisiti necessari alla dignità, all'igiene, alla serietà di scuola italiana, intesa secondo il nuovo regime.
Con tutto lo spirito di adattamento che l'insegnante italiano deve religiosamente coltivare nel cuore, parallelamente alla sua - vorrei chiamarla - vocazione di Maestro, per non sentirsi umiliata continuamente, di fronte alla società civile e pulita, io debbo affermare che è impossibile la vita scolastica, non solo ma semplicemente sana, in quell' ambiente.
Non parlo tanto della scuola in sé come aula scolastica, quanto all'ambiente in cui è posta.
L'aula è in una casa abitata anche da privati ed è posta in un vicolo breve, umido, stretto e buio: è posta proprio nella località più povera e più sporca della frazione. Un poco a sinistra della scuola, nella casa di fronte, vi è una stalla di suini che grugniscono continuamente e prendono i loro pasti - meno male un po' rari causa il caroviveri - proprio sotto le finestre della scuola.
Appena oltrepassata la porta di ingresso per la quale si accede al locale in cui è posta la scuola, a destra, sempre al piano terreno, vi è la latrina che può dirsi pubblica, perché di essa si servono non solo i pigionali, gli alunni e il maestro, ma ancora tutto il vicinato.

E ora saliamo la scala.
A sinistra vi è l'inizio della scuola, a destra, sullo stesso pianerottolo vi è l'inizio dell'abitazione di una mendicante (auguro alla scuola che ciò non sia una amara ironia). Al piano superiore abita una famiglia di operai in continua lotta ... per sbarcare il lunario, forse. Quindi:
a) sul pianerottolo, tutto il giorno, vi sono bimbi a cantare ed a giocare, suini a grugnire e stridere maledettamente;
b) in fondo alla scala, il continuo sbatacchiare dell'uscio della latrina per opera di visitatori interni ed esterni:
c) al piano superiore il vocio continuo di una donna che grida, accompagna e assiste con la voce un continuo tramestio del quale è opera di un bimbo;
d) sul pianerottolo (almeno da quando è aperta la scuola quest'anno) un'anatra, imprigionata sotto una cesta, urla tutto il giorno graziosamente;
e) dappertutto, cattivo odore di latrina; ronzio e pizzichi di mosche, le quali sono prodotte dai suini;

E ora entriamo nell'aula scolastica.
E' piccola, insufficiente al bisogno ed al numero degli alunni; i banchi son quasi tutti rotti e portano pazientemente secolari ricordi di chiodi e temperini; essi sono addossati gli uni agli altri, non solo ma anche al tavolino dell'insegnante, in una maniera che il maestro, appena raggiunto per mezzo di sforzi acrobatici la sua seggiola, non può muoversi più. I banchi sono contro tutte le prescrizioni didattiche e igieniche della scuola, perché il margine interno del sedile non si trova sulla perpendicolare del margine interno del leggio ma sono distanti, l'uno dall'altro, di ben 19 centimetri. I bimbi di prima si sdraiano addirittura per giungere ai loro quadernini!
La lavagna è piccola, appoggiata su di un cavalletto il quale, a sua volta, si regge su di un tavolino perché, durante la non breve età, i tarli gli hanno fatto perdere una gamba. Il tavolino è incassato nel vano della finestra, costruita a sua volta con sistemi medioevali, in maniera da rendersi necessaria una scala per dare aria alla stanza. Il soffitto è ricoperto di un panno rosso (!?) e si fa ricettacolo di tutta la polvere e di tutti i microbi. E guai ad urtarvi: una pioggerellina fine e fitta di polvere si spande per tutta la stanza. In essa manca perfino l'armadio indispensabile in ogni scuola. Il cassetto sul tavolino non si chiude.
Sembra impossibile che una località come Popolano abbia delle aule scolastiche così pezzenti. Si rende subito necessario provvedere un locale unico per ambedue le aule, un locale che sia igienico e decoroso, per l'onore della scuola e anche - Dio mio - per la dignità dell'insegnante il quale ogni giorno deve arrossire della sua posizione, sentirsi umiliato e confuso, aver la coscienza dolorosa che Maestro sia la condanna più umiliante per un individuo. Giacché è nuovamente in vendita il locale, già di proprietà del signor Luca Fabbri, la S.V. Illma farebbe atto prettamente umano, generoso, italiano e fascista, a volersi interessare direttamente per l'acquisto di quella parte del locale che potrebbe ottimamente adibirsi a locale scuola.
Io credo che la S.V. Illma vorrà tener presente quanto veridicamente ho espresso in questo mio breve memoriale, il quale sarà firmato dall'Ufficiale Sanitario e dal Direttore didattico, nonché dall' insegnante, a comprovare la impellente necessità di provvedere, prima che la popolazione stessa abbia a reclamare alle Autorità superiori della scuola.
Con tutta la stima ossequio attendendo impazientemente e fiduciosamente.

Popolano 17 ottobre 1926                            
 La maestra   Rosa Mara Cattani

L'Ufficiale Sanitario  dott. Tommaso Savorani    
 Il Direttore Didattico   Torquato Campana


Il Sindaco (che dopo il 1928 diventerà Podestà), rispose cortese ma un po' risentito, per aver ricevuto da una maestra una lettera così pungente ...


All'Illmo Direttore Didattico di Marradi
OGGETTO : scuola di Popolano

E' pervenuto un lungo esposto della maestra di Popolano Rosa Maria Cattani firmato anche dalla S.V. Ritengo che quasi tutte le lagnanze dell'Insegnante siano fondate e disporrò che siano adottati almeno i provvedimenti più urgenti. Non deve essere dimenticato che la scelta dell'aula ebbe carattere provvisorio e che contemporaneamente erano state iniziate trattative (rimaste senza risultato per cause non imputabili all' Amministrazione) coi Signori Fabbri per l'acquisto di un fabbricato il quale avrebbe potuto accogliere entrambe le scuole della frazione e che della scelta ebbe notizia preventiva anche la S.V.
Questo comunico con preghiera di disporre che, da ora in poi, di qualsiasi argomento relativo alle Scuole tratti con l'Amministrazione la S.V. esclusivamente anche per evitare carteggi eccessivamente lunghi, inutili e redatti in forma non ammissibile.

30 ottobre 1926     Distinti saluti
Il Sindaco   dott. Federico Consolini



I provvedimenti disposti dal Sindaco non furono così solleciti come egli disse, perché un mese dopo la combattiva maestra scrisse all' Ispettorato di Firenze, che a sua volta scrisse al Sindaco ...


Regio Ispettorato Scolastico di Firenze
OGGETTO: scuola di Popolano


All'Illmo Signor Sindaco di Marradi

Sono ancora una volta rese presenti a questo Ufficio le deplorevoli condizioni nelle quali trovasi dal punto di vista del locale la scuola tenuta a Popolano dalla maestra Cattani Rosa Maria. Il locale è piccolo, esposto a tutti i rumori, con un cesso frequentato da chiunque, antigienico, per riconoscimento dell'Ufficiale Sanitario.
E' necessario provvedere sollecitamente ad allogare detta scuola in altra aula dove gli inconvenienti lamentati non esistano; e fido per questo nell'opera premurosa della S.V. Illma a cui stanno tanto a cuore le sorti della scuola.
In attesa di sapere che sono stati adottati i necessari provvedimenti, gradirò intanto un cortese cenno di assicurazione.

Con distinta stima
Il Regio Ispettore Scolastico    L. Menichetti





Gli alunni delle scuole di Marradi alla Festa degli Alberi,
Castellaccio di Biforco 28.04.1929



Fonte: Documenti dell'Archivio Storico del Comune di Marradi, Illustrazioni di Silvana Barzagli (quaderno), Paola Cassigoli (Festa degli Alberi), Sergio Zacchini (il bambino e il topo).

lunedì 8 settembre 2014

Il trekking di settembre

Una passeggiata 
di notte con la luna piena
di Claudio Mercatali





E' da qualche anno che qui a Marradi sono venuti di moda i trekking di notte, specialmente con la luna piena. Questo che segue è il rendiconto della stralunata del 6 settembre. La luna è al 90% perché il plenilunio è fra qualche giorno ma oggi è sabato, giorno libero per molti di noi e quindi abbiamo anticipato un po'.


Si va alla Colla di S.Ilario con un pulman, e poi si scende a piedi secondo il percorso segnato qui di seguito. La partenza è dal villaggio turistico I Cancelli, a 700m di quota, esattamente a metà strada fra Marradi e Palazzuolo sul Senio e la meta è Marradi, che dista 5,5 chilometri lungo la strada provinciale ma sette o otto chilometri lungo i sentieri che faremo.




Siamo cinquanta, quasi tutti ormai esperti di questi particolari percorsi al buio. Alla fine ci sarà una spaghettata al ristorante La Taverna. Ci avviamo lungo la strada del villaggio turistico



Questa sera la Luna sorge alle 18.20 e tramonterà alle 5.40 Quindi è già in cielo alle 19,30 quando comincia il trekking.



Appare quasi subito, già alta, dietro al villaggio turistico e ci illumina perfettamente. Siamo diretti ai poderi di Montemaggiore.



Montemaggiore è laggiù, dopo questa cresta, ma la strada finirà molto prima. Dopo c'è un sentiero malagevole nel bosco, però fa parte del gioco.



Verso Montemaggiore



I poderi sono due: c'è Montemaggiore di Qua e Montemaggiore di Là. Di qua e di là da che?



Qui nel medioevo finivano le terre dei Manfredi, signori del Castellone di Marradi e cominciavano quelle degli Ubaldini, signori del castello di Palazzuolo. Nel 1362 Gioavacchino di Mainardo degli Ubaldini per testamento lasciò tutto al Comune di Firenze e quindi Palazzuolo entrò nella Signoria. I nuovi venuti vollero chiarire le cose con gli aggressivi feudatari di Marradi e con i loro consorti e definire
per bene il confine. Siccome nessuno dei due si fidava dell'altro, si incontrarono proprio sul limite delle rispettive proprietà, a Montemaggiore appunto, e spartirono il sito. Da questo il nome dei poderi, che dunque sono nel comune di Marradi (di qua) e di Palazzuolo (di là). Il tutto ce lo racconta Bernardino Azzurrini, un notaio faentino del Cinquecento nel suo Cronicon, che è qui accanto. E' in latino ma si capisce bene:

Anno 1370 Fuit facta pax et concordia in Monte majori in camera D. Johannis D. Alberghettino de Manfredis ...

 







E' chiara anche la bella carta del Catasto Leopoldino (1830) che riporta il confine fra Marradi e Palazzuolo.


Clicca sulle immagini 
se le vuoi ingrandire




Da Montemaggiore si scende al quadrivio della Bocchetta della Fossa del Lupo, dove si potrebbero prendere diverse vie. La nostra è quella che va diritta verso il podere Monte Colombo.


Il panorama è bello: nell'ultima luce, si vede il Castellone, che da ora in poi ci farà compagnia fino alla fine del trekking.




Dopo un percorso agevole in una strada campestre si arriva a Monte Colombo. E' scesa la notte, non c'è più luce per le foto panoramiche. L'ultimo espediente è usare un filtro blu.

Il Castellone da Monte Colombo



Con la luce della luna si distingue appena il profilo dei monti. Conviene allora abbinare la fotografia con l'equivalente scattata di giorno quando siamo andati a verificare il percorso.






... e dopo un percorso disagevole dentro una pineta, al buio, in discesa con le pigne che rotolano sotto i piedi, si arriva a Val di Vinco, dove ci fermiamo un po' per ricompattare il gruppo.
La più fresca di tutti è Olga, la cagnolina di Gianmartino, che sembra chiedere al suo padrone: e ora dove si va?

Val di Vinco







Dopo Val di Vinco il Castellone si intravede appena, ma è più vicino.


Sotto: la chiesa di Cardeto







E alla fine siamo giunti a Biforco dalla parte di Cardeto. Da qui al ristorante della spaghettata ci sono ancora due chilometri fino a Marradi, ma non ce ne accorgiamo nemmeno. Il disprezzato asfalto ci permette di camminare per bene e così abbiamo tempo e modo di chiacchierare un po'.