Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

venerdì 30 maggio 2014

La tomba di Dino Campana

da un racconto di Piero Bargellini
 ricerca di Claudio Mercatali




Piero Bargellini




Nel 1940 erano trascorsi otto anni dalla morte di Dino Campana e si avvicinava il decennale, tempo della rimozione della salma dal cimitero di san Colombano, vicino al manicomio di Castelpulci. Così prevedevano le regole cimiteriali di allora per i defunti non richiesti dalla famiglia. Bisognava provvedere, altrimenti i resti sarebbero andati a finire nell' ossario comune. Piero Bargellini, letterato e futuro sindaco di Firenze, non voleva che accadesse questo e assieme ad altri decise di intervenire per dare al poeta una nuova sepoltura in una cappella vicina alla chiesa.





La prima tomba di Dino Campana e la cappella dove vennero messe 
le spoglie riesumate. Le immagini vengono da una rara pubblicazione 
di Marco Valsecchi (1937).









Donato Bargellini, nipote di Piero, professore di Lettere al Liceo Giotto Ulivi di Borgo S.Lorenzo, racconta che il nonno, per concretizzare la sua idea decise di fare un sopraluogo senza dire niente a nessuno. Assieme a sua moglie andò verso sera al cimitero di S.Colombano per vedere di preciso il posto, ma il prete, sentiti dei rumori, scese e lo sorprese fra le tombe. Mentre cercava di spiegarsi spuntò fuori anche la moglie e il parroco si arrabbiò ... "ma come ... non si può venire qui a fare certe cose ..."


Le cose si chiarirono per bene solo dopo quindici giorni, quando Piero Bargellini tornò alla chiesa con il permesso ufficiale per la riesumazione.
Leggiamo il resoconto di quanto avvenne quel giorno nella rubrica Marginalia, della rivista Poesia, ideata e diretta da Enrico Falqui:







Maggio 1940. Piero Bargellini, Carlo Bo e Luigi Fallacara sono seduti sul prato del cimitero di San Colombano a Settimo. Hanno riesumato le spoglie di Dino Campana, hanno messo le ossa al sole in una cassetta di zinco e aspettano che si asciughino, per deporle nella cappella di San Bernardo ai piedi del campanile della Badia a Settimo.


«Una mattina presto cavammo di sotterra le ossa del poeta. Quando, adagiato tra la terra e i resti imporriti della cassa, apparve lo scheletro, Luigi Fallacara esclamò: “È lui”.
Aveva il teschio inclinato sulla spalla destra secondo il suo atteggiamento naturale, e rideva con tutti i suoi bellissimi denti intatti. Tirammo fuori i nostri fazzoletti e, ginocchioni attorno alla fossa, ripulimmo uno per uno gli ossi terrosi prima di riporli nella cassetta di zinco. Quando fu la volta dei grossi femori, Carlo Bò disse: "Ha camminato tanto".  Poiché gli ossi erano fradici, esponemmo la cassetta al sole, e si attese che l’umidità si esalasse, stando seduti sul prato del camposanto.»







Il 3 marzo 1942, a dieci anni dalla morte del poeta, a Badia a Settimo ci fu la cerimonia della definitiva sepoltura nella cappella di San Bernardo.
C'erano tanti uomini di cultura dell’epoca: Piero Bigongiari, Giuseppe De Robertis, Alfonso Gatto, Mario Luzi, Eugenio Montale, Giovanni Papini e Vasco Pratolini. C'era anche il Ministro della Cultura Giuseppe Bottai.






Ma le vicissitudini della tomba di Campana non finiscono qui. Nell'agosto del 1944 i Tedeschi minarono il campanile di Badia a Settimo, che, crollando, distrusse la cappella dov'era la tomba. Quindi nel dopoguerra i resti vennero di nuovo riesumati e sistemati in una umile tomba, dentro la chiesa, lungo la navata sinistra, dove tuttora si trovano.








La tomba attuale 
di Dino Campana a Badia a Settimo


Fonti: Articolo di Piero Bargellini su «Poesia»
(quaderni III-IV, gennaio 1946).

Per approfondire: Dino Campana da Castel Pulci a Badia a Settimo (CentroLibro, Scandicci 2007) curato da Marco Moretti e Lorenzo Bertolani.







lunedì 26 maggio 2014

La dogana di Rugginara

Truffe e pasticci
al confine
con lo Stato Pontificio
ricerca di di Claudio Mercatali




Negli anni 1820 – 1830 circa fu completata la strada granducale per Faenza, da Popolano al ponte di Marignano. Prima si passava dalla parte opposta del fiume lungo la direttrice Popolano – Campora – S.Martino cioè a solame, come d’uso per le strade antiche. La costruzione del ponte di Popolano, demolito nel 1970 e sostituito dal brutto ponte attuale, tagliò fuori la vecchia dogana, chiusa nel 1841. 




La strada Faentina nel 1833. 
Le case di Rugginara non ci sono 
perché furono costruite dopo qualche 
anno ed erano uffici doganali.



La nuova dogana fu costruita a Rugginara e le case che ci sono in quella località sono appunto i vecchi uffici doganali. Chi passava di lì si doveva fermare e pagare il dazio o le gabelle, in vigore nel Granducato di Toscana. Invece la dogana pontificia era a S.Cassiano.

Lo storico Antonio Metelli di Brisighella ci dice che lo Stato Pontificio nel 1848 incassava dalla sua dogana 6.000 scudi all’anno e il Granducato altrettanti. E’ tanto o poco? Per capire servirà sapere che nel 1839 la costruzione della “Strada nuova” cioè via Razzi costò circa 6.000 scudi. Dunque dalla dogana si ricavava un bel gettito, fra le proteste e i mugugni dei marradesi. I gabellieri di Rugginara ogni giorno andavano avanti e indietro, da Popolano a Marignano e fino a Galliana, per impedire che qualcuno passasse la frontiera senza pagare, ma era una lotta impari perché qui da noi non c’è un confine naturale che impedisca il transito da Marradi a Brisighella. Come si poteva fare per eludere la Dogana? Le tecniche erano diverse, e spesso efficaci, ma qualche volta andava male e allora i doganieri denunciavano l’evasore al Vicario di Marradi e si andava a processo. Nell’ Archivio storico del Comune ci sono i documenti di diversi processi per contrabbando, evasione fiscale, elusione del dazio e quant’altro. Leggiamo che cosa successe negli anni dal 1843 al 1848: 


Il ponte granducale di Popolano, 
demo­lito nel 1970 circa. 
La casa sulla destra è la vecchia 
dogana chiusa nel 1841



1843 Il modo più semplice per passare a S.Martino senza pagare le gabelle era quello di guadare il Lamone. Così fece Franco Cappelli, con i suoi amici, ma furono sorpresi e:



“Dani Marcello, doganiere a Rugginara le rappresenta (al Vicario) che la mattina del primo maggio scorso Ciani Giovanni, Cappelli Franco e Nannini Paolo, tutti di S.Adriano, infransero la Legge di Finanza perché con due muline e una cavallina attaccate a tre legni senza molle (tre barrocci) varcarono il Lamone al podere Fiume di Sotto per accedere dallo stato estero senza far capo al ponte di Marignano per pagare la tassa di transito. L’esponente porta a testimoni Luigi e Pasquale Benerecetti, abitanti a Fiume di Sotto e Giorgio Alpi, loro garzone”. 5 maggio 1843



... varcarono il Lamone al podere Fiume di Sotto ...

1843 Si poteva nascondere la merce, ma i doganieri avevano il diritto di perquisizione, fino a Marradi. Fu così che Giovanni Sangiorgi di Filetto, che veniva dalla Romagna con un carico di biancheria da portare al signor Fabio Fabroni fu trovato a Popolano con una certa quantità di tabacco da fiuto nascosto in una cesta di panni e pagò una multa ricevendo questa quietanza come ricevuta: 

“Il sottoscritto doganiere fa quietanza a Giovanni Sangiorgi di Filetto della multa fattagli a Popolano il 23 novembre scorso per due libbre di tabacco in polvere, da fiuto, di qualità estera. La multa di 21 lire è stata depositata nelle mie mani e ne sono contento e soddisfatto”.

Il doganiere Francesco Paladini 6 dicembre 1843.



1844 Si poteva anche cercare la via della corruzione. I commercianti Luigi Villa e Lorenzo Gondoni, forestieri, arrivarono il giorno 13 giugno a Rugginara. Erano le dieci di sera e forse venne offerto un passaggio rapido e notturno della frontiera, pagando una tangente al posto delle gabelle o furono loro a offrire denaro ai gabellieri. Sta il fatto che qualcosa non andò per il verso giusto e scoppiò una lite. La merce fu sequestrata e i commercianti denunciarono i doganieri al Vicario di Marradi. La vicenda non era chiara e il Vicario prima di decidere chiese lo Stato di servizio dei tre Doganieri all’ufficio delle Regie Entrate e così scoprì che:

· Paladini Francesco, Livorno 1809: “sottoposto dal capo distaccamento ad un giorno di arresto per essersi rifiutato di fare il servizio di guardia dal medesimo ingiuntogli”.

· Marzi Giovanni, colle Valdenza 1804: “sottoposto a calcato monito onde impiegasse maggiore fermezza nella direzione di un Distaccamento, per non essere eliminato dal comando dei sottoposti, cioè degradato” (cosa poi avvenuta, trasferito a Marradi).

· Pasqualetti Pasquale, Cortona 1812 “Sottoposto a monito per essere attaccato da malattia venerea. Otto giorni di arresto di rigore per aver accettato un regalo dal console francese mentre era di guardia a un brigantino francese carico di merce di contrabbando naufragato nella spiaggia di Migliarino (Pisa)”. 

I due commercianti si resero conto di aver sollevato un putiferio e allora cercarono un accordo e scrissero questa lettera a Firenze:

Alla Direzione Generale delle Regie Imposte di Firenze

A proposito del sequestro di sedici colli di cotone eseguito il 16 giugno 1844 dalle Guardie di Rugginara, ci siamo determinati ad avanzare umilissima istanza per il recupero della mercanzia previo pagamento delle gabelle e diamo quietanza discretissima prima dell’ inizio del processo. Intendiamo renunziare spontaneamente di buon animo ad ogni risentimento per le offese ricevute. Luigi Villa e Lorenzo Gondoni 13 agosto 1844

L’intendenza di Finanza accettò e il Vicario dichiarò chiuso il caso.

Tutti questi impicci e soprattutto le pignolerie erano mal tollerati dalla gente, e in effetti l’imposizione di questi balzelli era una vera ingiustizia.




La “carta di via” era una specie di passaporto 
per la Romagna. Questa è del sig. Angiolo 
Felice Fabroni, che andò a Faenza il 27.04.1852



1848 Dopo la Prima guerra di Indipendenza, vinta dagli Austriaci, ci furono accenni di rivolta contro lo Stato Pontificio e il Granducato e successe il fatto più noto, che a quanto ci racconta lo storico Antonio Metelli avvenne così:

“ … Erasi di quei dì tumultuato in Modigliana, per odio contro la tassa di pedaggio posta al varco dé confini, il che aveva fatto nascere i medesimi appetiti in Marradi, poiché avendo i Modiglianesi rotta la catena che serrava il passo, pareva alla minutaglia che togliendo ogni divisione tra gli Stati fosse un andare a libertà e alla riunione dell’Italia e facilmente i Marradesi se ne persuasero consistendo il commercio loro nel carbone che giornalmente portavano in Romagna. Essi, corsi a furia a Rugginara vi svelsero dagli arpioni la catena e tolsero di mezzo l’odiato balzello. Queste cose si seppero a Firenze e affinché lo Stato non venisse a mancare della pecunia che ritraevasi dalle gabelle venne mandato a Marradi un nerbo di Polacchi che nel disfacimento degli eserciti si erano rifugiati in Toscana ed erano stati poco prima assoldati per togliere loro ogni pretesto di tumulto, i quali poi per loro natura lasciarono le cose poco meno come prima…”. 

1849 Qualche tempo dopo anche il Governo Pontificio mandò dei soldati al confine con il Granducato e successe che:

“ … vennero da Brisighella venticinque fanti pontifici, condotti da un tenente. Andando costoro ogni giorno pel contado in traccia dé malandrini che infestavano le campagne, accadde per la poca pratica che avevano dé luoghi, che entrassero nei confini della Toscana dalla parte di Marradi, e arrivati a Rugginara sparsero terrore fra i soldati che vi riscuotevano le gabelle, sicché arraffato in fretta il pubblico denaro se ne fuggirono verso Marradi. Scopertasi poi la verità il Governo Toscano richiamossi fortemente pei violati confini a quello del Pontefice, il quale per satisfare i vicini ordinò che que’ fanti venissero ritratti …”. 





Le case della Dogana
di Rugginara





La riscossione delle gabelle cessò nel 1859, dopo il plebiscito per l’Unità d’Italia. I due Stati non c’erano più e quindi la dogana non aveva più significato. Gli uffici di Rugginara furono chiusi, però l’edificio era praticamente nuovo e l’Erario del nuovo Regno d’Italia lo mise all’asta e lo vendette a dei privati. Con il passare degli anni il ricordo della dogana di Rugginara sbiadì sempre di più fino a cancellarsi. Le colonnine di confine dove c’era la catena non ci sono più e anche lo stemma granducale sopra la porta di ingresso si è consumato e non si riconosce.







Quello che rimane dello stemma 
granducale sulla porta degli uffici doganali.




Fonte: Documenti dell'archivio storico
del Comune di Marradi




lunedì 19 maggio 2014

Dino Campana: l'iscrizione nelle liste elettorali

1913: la riforma elettorale di Giolitti
ricerca di Mario Catani e Claudio Mercatali




Nel 1912 il governo Giolitti allargò il suffragio a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto 30 anni o che, pur minori di 30 anni, avessero un reddito di almeno 19,20 lire, o la licenza elementare, o avessero prestato il  servizio militare. Le donne furono escluse e non votarono.

Siccome si prevedeva una tornata elettorale per l'ottobre 1913 tutti i comuni dovettero modificare le liste elettorali ed estenderle a comprendere i nuovi elettori. Da questo lavoro risultò che avevano diritto al voto 8.644.699 italiani, e alle Politiche del 1913 votarono 5.100.615 persone (59%). C'era Dino Campana nelle liste del Comune di Marradi? Aveva fatto il servizio militare?

L'archivista Mario Catani e Claudio Mercatali, nel corso di una ricerca d'archivio hanno trovato questi documenti:



16 gennaio 1904
Dal Comando del Distretto militare
di Firenze
Al Comune di Marradi


... vorrà disporre che sia pure inscritto sui ruoli del Comune secondo è prescritto dal paragrafo 1043 del Regolamento suddetto, essendo detto giovane essere stato arruolato volontario il 4 gennaio 1904 colla classe 1883 nel 40° Reggimento fanteria ...  















25 gennaio 1904
Dal Comando del Distretto militare
di Firenze
Al Comune di Marradi

OGGETTO: sollecitatoria

Prego V.S. a voler riscontrare al mio foglio in data 16 gennaio n° 242 di protocollo relativo alla iscrizione nelle liste di leva di codesto comune del giovane Campana Dino di Giovanni ...

Il Comandante del Distretto













Dino Campana il 4 aprile 1904 venne anche promosso caporale. Fece il servizio militare per 11 mesi, come risulta dal foglio qui accanto:









Per aver prestato il servizio militare ed essendo diplomato aveva diritto ad essere iscritto nelle liste elettorali revisionate nel 1912 e infatti lì lo troviamo.




Fonte: Archivio storico del Comune di Marradi
Documenti inediti

mercoledì 14 maggio 2014

Palazzo Torriani

Una visita in una elegante residenza d'epoca
ricerca di Luisa Calderoni
e Claudio Mercatali



Palazzo Torriani nel primi anni 
del Novecento




Il Palazzo della famiglia Torriani è stato completamente ristrutturato e restaurato in questi ultimi anni. Ora è la residenza della sig.ra Annamaria Tagliaferri, discendente diretta della famiglia che ne fu proprietaria e che per diversi secoli abitò qui. Il Palazzo è sotto tutela della Soprintendenza per i Beni culturali, che lo descrisse così ...

Relazione storico-artistica del Ministero 
per i Beni Culturali e Ambientali  
dicembre 1987.

"Palazzo Torriani è situato nel centro storico di Marradi. Non è noto l'esatto periodo di costruzione ma si può, senza incorrere in grave errore, attribuirla alla seconda metà del 1600 con un prolungamento di lavori, per vari ragioni, molto probabilmente ultimati nei primi anni del '700.



La composizione architettonica della facciata è di impianto tipicamente toscano, semplice e chiaro: consta di tre piani fuori terra scanditi orizzontalmente da sue fasce continue in arenaria che corrono all'altezza dei bancali delle finestre del primo e del secondo piano. 

Nel mezzo della facciata è collocato il portale di accesso che si pone in chiara evidenzia nel disegno del prospetto adottato, essendo l'unica apertura ad arco, totalmente fasciata da stipiti in arenaria modanati ed al cui sommo è situato un elegante stemma della nobile e antica famiglia Torriani.
Purtroppo lo stemma, specie nella parte superiore, accusa con molta evidenza le ingiurie del tempo. A destra e a sinistra del portale vi sono due aperture i cui vani interni sono adibiti a negozio: le luci di queste aperture hanno stipiti e architravi in pietra arenaria e, al di sopra dell'architrave, una cornice sempre in arenaria.
Anche le luci delle finestre del primo e del secondo piano sono delimitate da stipiti dello stesso materiale arricchiti da modanature e da motivi decorativi sotto i bancali specie in quelli del piano nobile. Oltre a quanto sopra detto, queste finestre sono maggiormente evidenziate dalle altre del piano sovrastante, con un aggettante cappello la cui sporgenza è favorita dalle mensole poste in corrispondenza degli stipiti delle finestre stesse.
L'ombra dei coronamenti di dette finestre e la grande ombra del cornicione di coronamento del palazzo, (cornicione consistente in una spessa cornice e in una serie di mensole ben aggettanti), modellano plasticamente la severa architettura dell'edificio.
Da considerare nel suo giusto valore è pure il piano nord, nobilitato dalla lunga distesa del cornicione che come anche sulla testata ad est è in tutto uguale a quello della facciata.
L'atrio di accesso al palazzo conduce ad un cortiletto rettangolare in cui uno dei lati minori, quello a nord, porticato, viene a trovarsi in asse all'atrio stesso.


L'atrio di accesso al palazzo conduce ...


Il portico è composto da due arcate a tutto sesto sostenute da un pilastro: ai piani superiore lo schema architettonico si ripete e diviene loggiato; quello a livello del piano nobile conduce al giardino pensile.
Un certo interesse si prova nell'osservare il fondale dell'atrio rappresentato da una nicchia delimitata da lesene sormontate da un arco a tutto sesto il cui spazio è decorato da una conchiglia in rilievo.


Il portico è composto da due arcate a tutto sesto 
sostenute da un pilastro: 
ai piani superiori lo schema architettonico 
si ripete ... 



L'interno dell'edificio, sia pure nelle'attuali condizioni di degrado presenta la tipologia di casa da signore: in alcune sale sono presenti stucchi e decorazioni nei soffitti e nelle pareti eseguiti in epoche diverse. In una sala del piano nobile, racchiuso da ampi ante lignee, si trova un vano nel quale è collocato un altare di bella fattura con tutte le suppellettili necessarie al culto, con pitture eseguite nella parete di fondo.


... una nicchia ... il cui spazio è decorato
da una conchiglia in rilievo ...





In un'altra sala,  al centro del soffitto, é collocata una pittura a olio su tela che si ritiene opera di Silvestro Lega, rappresentante un'allegoria relativa a un evento tragico della famiglia Torriani.




Silvestro Lega: 
Zeus ed Ebe, la coppiera degli dei.
Sotto tre bambini: due portati via da un uccello nero che li trascina verso il regno delle ombre ad indicare che morirono prematuramente. Il terzo bimbo,  piangente, rappresenta Cesare Torriani.



Oltre lo scalone principale esiste un collegamento di servizio realizzato da una scala a chiocciola, eseguita magistralmente in pietra a rocchi sovrapposti.
Per quanto sopra esposto, il palazzo Torriani rappresenta un esempio particolarmente importante di architettura civile inserito nel contesto urbanistico del centro antico di Marradi e per tanto meritorio di essere sottoposto alle disposizioni di tutela ai sensi della legge 1.6.1939 numero 1089".

          Il soprintendente
                Arch. Angelo Calvani

La signora Annamaria Tagliaferri ci ha fatto visitare il palazzo e ha permesso 
di fotografare gli interni. Così ora parleranno molto le immagini. 


Il retro del Palazzo e l'edificio che ospitava la filanda di Cesare Torriani




L'edificio è stato residenza signorile per diversi secoli, praticamente dal Seicento. I Torriani, fuggiti da Milano alla fine del '400, acquistarono l'edificio ancora incompleto dalla famiglia Razzi.

Il palazzo era dimora signorile ma anche centro dell' attività, visto che i Torriani erano grandi proprietari terrieri.

Nelle vastissime cantine del piano interrato c'erano i magazzini dei prodotti agricoli e del vino.


Accanto al palazzo, nell'Ottocento, fu edificata la filanda della seta Torriani della cui attività si hanno notizie fino agli anni '20, anche dopo la morte di Cesare.


Panorama di Marradi nel 1958:
 a sinistra la Filanda Torriani, sopravvissuta ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, e parte del resede circondato da un muro di pietra




Carta intestata di Giuseppe Torriani


 Ora seguiamo  il percorso fatto con la signora Tagliaferri.


  • Il pianterreno 
In fondo all'atrio ci sono i locali delle antiche cucine. Questa parte del palazzo è del Cinquecento e sul camino c'è ancora lo stemma dei Razzi, che allora erano i proprietari della nobile dimora.

Il camino di arenaria scolpita è così grande che al suo interno, ai lati, ci sono le sedute per le persone che volevano stare al caldo.






Nel locale in fondo al cortile interno sono conservate le attrezzature più belle della cantina, cioè gli enormi tini, il torchio di legno, il vaglio, e una gran quantità di attrezzi.

Si dice che i Torriani avessero cento poderi e dobbiamo immaginare che qui, al momento dei raccolti, arrivasse una gran quantità di prodotti agricoli da immagazzinare.









Nella foto sotto, appeso al muro,  si vede un oggetto particolare, diverso da tutti gli altri. E' un piatto doccia del primo Ottocento, con il beccuccio per lo scarico.
La servitù versava l'acqua calda in una specie di annaffiatoio appeso al soffitto e il signore faceva la doccia tirando una cordicella che apriva lo spruzzo. Era un lusso all'epoca, perché il locale per il bagno allora era privilegio di pochi.




clicca sulle immagini
se le vuoi  ingrandire











Da una finestra sopra un acquaio scolpito nella pietra si vede uno scorcio dell'esterno, vicino al giardino, che è la prossima tappa della visita.



  • Il giardino


Sul retro del palazzo, all'altezza del primo piano, c'è un elegante giardino. Si arriva lì percorrendo questo corridoio.





















Il "giardino dei Torriani" è un posto ricordato spesso dai vecchi del paese, per l'eleganza e la presenza di una grande vasca e soprattutto di una ghiacciaia sotterranea, dove d'inverno si accumulava la neve per avere ghiaccio fino all'estate.





































  • La famiglia

Chi erano i Torriani? E' difficile rispondere qui, perché la storia della famiglia è lunga diversi secoli e le vicende sono state tante. Nell'Ottocento le loro fortune raggiunsero il massimo ed erano fra i più ricchi e i più brillanti proprietari di Marradi. Ecco, forse il bel vivere, la generosità, la facilità con cui spendevano il loro denaro furono, assieme alla passione per le belle cose, la loro caratteristica peculiare o almeno questo è il ricordo che più spesso si ha di loro qui in paese.

Il Castellone era una  proprietà entrata in possesso della famiglia in seguito alle nozze tra Emilia Torriani, figlia di Giuseppe, e Leopoldo Tagliaferri.  Oggi appartiene al Comune di Marradi  cui  la Signora   Annamaria lo donò circa quindici anni fa.  In una sala del palazzo c'è una stampa dell'Ottocento che lo rappresenta.

Un'altra proprietà storica della famiglia era la fattoria di Galliana, che fu venduta negli anni Trenta per pagare i debiti del fallimento della Fornace Marcianella, una fabbrica di tegole e mattoni di cui i Torriani erano soci, e che subì un rovinoso tracollo economico.


In questa fotografia degli annui Venti si vedono alcuni membri della famiglia in una elegante automobile,  in gita a Galliana, nella loro fattoria.


L'elegante caminetto della suite
L'auto di marca "Nazzaro"












Nel giardino del palazzo, dopo  una battuta di caccia: il terzo da sinistra  é Giuseppe Torriani. Il quinto, seduto, é Mario Tagliaferri, nonno paterno di Annmamaria, il primo da destra, seduto, è Filippo Fabroni.












la seconda da destra è Emilia Torriani, madre di Anna Maria 
















Emilia Strigelli e Cesare Torriani il giorno delle nozze
Emilia Strigelli adolescente


Cesare Torriani, che fu sindaco di Marradi nell' Ottocento, con i nipoti
Emilia (a sinistra) Cornelia e Carlo





  • I lampadari


Percorrendo le varie sale si va verso il centro del palazzo, in un crescendo di locali sempre più eleganti, tutti affrescati, con soffitti e lampadari da favola:



























































  • I dipinti di Pio Chini

E così,  di sala in sala,  si arriva alle stanze affrescate da Pio Chini, della nota genìa di artisti, decoratori e ceramisti di Borgo S.Lorenzo. Pio era lo zio di  Galileo Chini  che vedremo più avanti.
Questo artista della seconda metà dell'Ottocento era un raffinato decoratore di interni. Aveva tecnica, buon gusto, senso della prospettiva e cura dell'immagine, come si può vedere.










































A Pio Chini non mancava
certo la fantasia
e l'inventiva per le decorazioni.














  • I dipinti di  Galileo Chini

Galileo Chini

E siamo così giunti alla parte topica della visita, cioè alle sale decorate da Galileo  Chini. Senza fare tanti discorsi si vede che il livello artistico è cresciuto ancora e siamo al capolavoro. Questi dipinti perfettamente conservati e restaurati, sono il principale motivo per cui il Palazzo è sotto tutela delle Belle Arti.







Cesare Torriani venne sequestrato dai banditi a Galliana, negli anni precedenti al 1872. Qui da noi i sequestri per estorsione erano una rarità e il signor Cesare girava sicuro nella sua fattoria accompagnato dal fattore.
Ma i briganti li sequestrarono entrambi e chiesero un riscatto altissimo. Le trattative andarono avanti con alterne vicende e alla fine Cesare Torriani fu liberato. Sua moglie Emilia Strigelli, in avanzato stato di gravidanza, , spaventata da un colpo di fucile esploso da un bandito e stremata da questa vicenda, nei giorni seguenti partorì prima del tempo e morì.

Nel salone principale il soffitto è decorato con una allegoria attribuita a Silvestro Lega. Vi è rappresentata la morte prematura di due bambini e un terzo piangente, che sarebbe Cesare Torriani.



 L'affresco al soffitto è
accompagnato


da tante decorazioni
a corredo












Il queste stanze l'arte di Galileo Chini
è quella della piena maturità






In queste decorazioni si riconosce già lo stile che poi l'artista userà nelle decorazioni del palazzo del re del Siam (regno dell'Estremo Oriente).









Infatti la biografia dell'artista dice che nel 1910 il Re del Siam, Rama V, dopo aver ammirato i suoi lavori alla Biennale di Venezia lo invitò a lavorare a corte, a Bangkok.
Nel giugno 1911 Galileo Chini si imbarcò a Genova, diretto in Estremo Oriente. A Rama V, morto nel frattempo, successe il figlio, il coltissimo Rama VI, che accolse il pittore a Bangkok.

















 Questi decori d'angolo sono stati i più apprezzati dai critici d'arte, che parlano di arts nouveaux, liberty, influssi e rapporti con l'arte di Gustav Klimt ...












 Allo stesso modo in queste decorazioni si colgono degli spunti che poi saranno sviluppati nelle successive realizzazioni del Chini
















Per approfondire, digita
su internet "Palazzo Torriani"