Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

lunedì 27 aprile 2015

25 aprile 2015

L' Allegra Brigata del Maggiociondolo" lungo la Linea Gotica, verso il Passo del Giogo.




Il Passo del Giogo




Serie di postazioni costruite dai tedeschi sulla Linea Gotica



























domenica 26 aprile 2015

Un tour nella Valle del Lamone e del Marzeno

100 km di allenamento ciclistico primaverile
di Claudio Mercatali


Il ponte di Marignano, che ha la buffa particolarità di avere il confine
 fra Toscana e Emilia Romagna
 a metà dell'arco.



Una regola generale del cicloturismo dice che prima di affrontare le salite dell' appennino bisogna fare mille chilometri nelle strade piane per "fare la gamba". In questi allenamenti conta il movimento agile, ma scegliamo un percorso dove ci sia qualcosa da vedere, perché le strade di pianura sono poco faticose, ma monotone e spesso bruttine.
Il tour di oggi è da Marradi lungo la valle del Lamone, con un approccio finale alle prime colline di Faenza.





A Popolano di Marradi deviamo subito verso la comunale per S.Martino, perché le vie giuste per le bici sono quasi sempre quelle con meno traffico. Questa stradina era la strada principale per Marradi prima del 1830, e venne abbandonata perché il Granduca Leopoldo fece costruire il ponte di Marignano e spostò la carreggiata oltre il Lamone.
Da un punto di vista viario aveva ragione, ma qui siamo a solame e d'inverno o nella mezza stagione si va meglio. Del resto se da Marradi a Faenza la strada corre sempre a sinistra del Lamone un motivo ci sarà.



Il ponte di Sant' Eufemia (Brisighella)


A Brisighella conviene imboccare la strada di Sarna, perché la via verso Faenza da quella parte è piacevole e non c'è traffico. Al bivio della strada detta Carla c'è da fare la prima salitella.
Sono 1500 metri duri ma panoramici su per un collinotto che dà sulla valle di Marzeno. In cima c'è il monumento al ciclista e un cartello spiega che è dedicato "A tutti i Radunisti d'Italia".





Il monumento ai "Radunisti d'Italia" 
e il bel panorama 
della valle di Marzeno.


Chi sono costoro?
Nelle intenzioni di chi scrisse sarebbero i cicloturisti che a gruppi passano di qui e forse anche quelli delle auto d'epoca, che fanno bollire un po' d'acqua nei radiatori mentre percorrono queste curve guardando il bel panorama della Romagna.





Il campo sportivo
della chiesa di Rivalta



Anche la vallata del Marzeno è piacevole in bicicletta, forse più di quella del Lamone, ma oggi la percorreremo poco, fino alla chiesa di Rivalta, dove c'è l'imbocco di una straduccia che porta a Santa Lucia delle Spianate.
Nel 2013 dall'aereo si trovava facilmente, perché qualcuno si prese la briga di tosare l'erba del campo sportivo parrocchiale in questo modo (ingrandisci la foto e guarda). Senza l'aereo si deve fare attenzione al cartello "Via Uccellina" che è sette - ottocento metri dopo il campanile.





Come si sarà capito si cerca di evitare Faenza e il traffico, grande nemico dei ciclisti. Santa Lucia è un bel paesino, oggetto di  speculazione edilizia non esagerata negli anni Novanta.
E' un crocevia di straducce che portano in diversi posti interessanti ma oggi andremo diritti per un paio di chilometri fino alla strada per S.Mamante, una chiesa in cima ad una collina, che merita una visita.
Si arriva con qualche affanno in questo posto già noto agli amanti del pedale di cento anni fa.







Olindo Guerrini era un poeta dialettale di fine Ottocento e inizio Novecento. Anticlericale e blasfemo, fu denunciato dal vescovo di Faenza e condannato per diffamazione. Girò mezza Italia in bicicletta, scrivendo poesie. In questa qui accanto parla della chiesa di S.Mamante, nella collina dove siamo ora.
Dice che dopo la messa sua moglie comprò un' ampollina d'olio benedetto, contro i dolori, ma lui lo usò per ungere la catena della bicicletta e (... per punizione?) successe che ... ingrandisci e leggi ... 




Da S.Mamante, imboccando una straduccia chiamata Via di Oriolo, si passa facilmente all'altura di fronte. E siamo così giunti a Oriolo dei Fichi, un collinotto dal quale si vede mezza Romagna.
Il posto è incantevole e piacque anche a Guidantonio Manfredi, signore di Faenza.

Dalle carte dell' Archivio Mediceo avanti Principato risulta che costui nel 1428 si accordò con i Fiorentini rinunciando a Marradi e Modigliana, ed ebbe da Firenze l'appoggio per ottenere la media e bassa valle del Lamone e dell' Acerreta. La Signoria dei Manfredi era difficile da espandere ulteriormente, perché a Forlì dominavano gli Ordelaffi, ossi duri, e a Imola gli Alidosi, ai quali si poteva strappare qualche sito, ma a prezzo di una guerra.



Lo stemma dei Manfredi, 
signori di Faenza.


Però per via più o meno diplomatica si poteva ottenere Oriolo dei Fichi, un castellare con cinque o sei chilometri quadri di territorio, "comune rurale" per privilegio medioevale, e cioè quasi indipendente, sottoposto solo all' autorità papale. Per averlo serviva un accordo con i Fiorentini, padroni di Modigliana, e con il papa. Con i Fiorentini fu semplice, perché Guidantonio aveva una Compagnia di Ventura, comandata dal fratello Astorre e Firenze era ai ferri corti con i Visconti di Milano, e aveva bisogno di gente armata.
Con il papa Martino V invece ci furono dei problemi. Il 7 marzo 1431, poco dopo la morte del papa, Guidantonio pensò che fosse il momento di agire e scrisse questa lettera ai governanti di Firenze, che la tiravano per le lunghe. Leggiamo ...


Oriolo dei fichi 
in una vecchia stampa di Guido Rossi


"Nobili ed egregi uomini ... la grandissima confidenza e la speranza indubitata che sempre ho avuto e ho in voi mi muove a notificarvi questo messaggio.
Voi sapete la singolare e filiale devozione che in passato ho avuto in quella magnifica ed eccelsa corte (Firenze) e quanto sempre per quella ho operato e fatto per la sua esaltazione e grandezza, mettendo per conservazione di essa non solo l'avere ma la propria persona e sottomettendomi a grandissimi pericoli. E inoltre vi è noto come mi fosse promesso, a chiare lettere, finita la guerra, di assegnarmi il castello di Oriolo, e seguita la pace non è successo.
Sia tramite il magnifico Signore e padre mio Conte di Urbino sia eziandio (anche) tramite i miei ambasciatori e cancellieri ho fatto domandare a quella Vostra Signoria e da loro sempre mi fu data risposta di ben fare senza alcun effetto, per la ragione che sua Santità non era contenta e nonostante che non ci fosse bisogno che quella parte fosse d'accordo con me, sono stato paziente com'era nella volontà delle Signorie loro.


Ora che il papa è morto e non c'è più ostacolo né scusa, di nuovo ho fatto domandare alla Vostra Signoria di avere il detto castello di Oriolo e la risposta loro è stata che essi erano impediti e che senza nessun dubbio l'intenzione era di darmi quello come promesso e che le cose erano andate per le lunghe non per volere ma per darmelo con l'assenso del papa e della chiesa, e perché il papa è morto ma non sono morti i cardinali che fanno tutto, e così non era morta la chiesa. Volevano attendere e vedere chi fosse papa perché avevano piacere che fosse d'accordo e allora con licenza di chi sarà mi darebbero questo castello. Della qual risposta mi meraviglio molto che, trattenendo così il mio avere, vogliano darmi a intendere di volermi più bene di quanto me ne voglia io stesso.



La qual cosa ho deliberato di notificarvi pregandovi sopra di ciò e che facciate dove bisogna quello che vi pare e comprendiate che sia un onere e un debito di quella corte (Firenze) e anche se non mi è stato detto ho inteso che è stato creato nuovo pastore (papa) il vescovo di Siena (Eugenio IV) nel quale posso comprendere che lor signori hanno o avranno grande confidenza, per la qual cosa ora mi pare il caso di dover di nuovo supplicare per la detta materia e anche considerata la risposta che ho avuto dalla Signoria loro, sperando di avere un buon effetto ... ".

da Faenza, die VII marzo 1431


Da buon romagnolo Guidantonio era stato duro e diretto nel dire, ma Oriolo dei Fichi gli venne dato solo in via provvisoria. Il castello passerà sotto Faenza solo nel 1478 dopo che il suo successore avrà pagato 2.500 fiorini all' arcivescovo di Ravenna.

Nei giri in bici si cerca l'anello, cioè si evita il più possibile di ripetere la stessa strada al ritorno. Dunque scendiamo da Oriolo dei Fichi senza tornare a Santa Lucia. C'è una straduccia che dopo un certo girovagare porta a Faenza e sbuca nella strada per Modigliana proprio accanto alla circonvallazione. Poi un'altra strada va a Brisighella  passando da Sarna.



Siamo nel cuore delle piantagioni di peschi del faentino, che sono così estese che al momento della fioritura si vedono anche dal satellite Landsat. Ve la ricordate la canzone di Lucio Battisti?

"... fiori rosa fiori di pesco ... c'eri tu ... fiori rosa ... stasera esco ... ho un anno di più ..."


Se si passa nel pieno della fioritura l'ambiente distoglie dalla fatica, il saliscendi della strada impone uno sforzo giusto e pensando al più e al meno si arriva facilmente vicino a Brisighella.

Poco prima delle Terme si potrebbero imboccare le strade della Bicocca o del Casale, che portano entrambe a Modigliana con uno scavalco da infarto. Una decina di anni fa durante un Giro d'Italia passò di qui Mario Cipollini, della Saeco, che era un velocista e un play boy ma in salita era un brocco. Si racconta che una donna gli urlò e lui scese dalla bicicletta e la rincorse un po' nel campo. Però lei da lontano gli urlò ancora:

" ... t'un nì capì! Adess t'i da corr drì a ch'itre, no drì al donn!" .


Mario Cipollini


Ecco il ponte delle Terme. Siamo a Brisighella, che da questa parte della valle fa un effetto ancora migliore. Il paese venne fondato nel 1290 da Maghinerdo Pagani da Susinana, signore di Faenza e dell'intera valle del Lamone. "Fondare"  forse non è il verbo giusto, perché in realtà Maghinardo rase al suolo il castello di Baccagnano, che era sopra alle Terme, per punire gli abitanti del luogo che gli si erano ribellati e li costrinse a rifare le case nel calanco là di fronte, dal quale emergono i tre colli di gesso. Da un punto di vista agricolo il danno fu grosso, però in compenso prese forma l'abitato attuale, che ha un assetto urbanistico unico.

Adesso si tratta di trovare una pedalata agile e di risalire la valle consumando le residue energie.
Ecco la Pieve di Tho, la Piev dl'ot, dell' ottavo miglio a partire dalla via Emilia. Un miglio romano era poco più di un chilometro e mezzo e quindi si arriva quasi subito a Ponte Nono.
I nomi d'origine romana continuano fino alla Pieve di Undecimo, subito a monte di Fognano, e poi non ce ne sono più.

Le forze svaniscono rapidamente e devo misurare il passo con la gamba. Salgo con il 34/21 un rapporto leggerissimo, e se siete dei cicloturisti scuoterete senz'altro la testa leggendo queste righe. A quindici km/h ci vogliono circa tre quarti d'ora per arrivare al Ponte di Marignano. Qui si cambia regione e si passa in Provincia di Firenze. Però il confine non dice il vero e siamo sempre in Romagna. Sembra impossibile ma è così.
Comincia l'alta valle del Lamone e si vede il castello di Marradi, laggiù in fondo ...


Fonti: Archivio mediceo avanti Principato, filza 11 doc.7.
Olindo Guerrini, Sonetti romagnoli, Zanichelli (BO)


martedì 21 aprile 2015

Dall' album di Vincenza Montuschi....

 


Questo qui accanto è "il bar di Schiaccione" che era in via Talenti a fianco dell'agenzia del Credito Romagnolo (poi entrato nel gruppo Unicredit).




Un coro alle scuole elementari (anno 1960 circa). Da sinistra, accanto al pianoforte: Vincenza Montuschi e Eleonora Barzagli. 

Esattamente dietro, fra di loro: Gianluca Baroni.
A destra, in primo piano con il fiocco e il grembiule nero: Emiliano Benericetti, alla sua sinistra Fabrizio Tosti, dietro, alla sua destra: Feliciana Caglia.



 Il carnevale dei bambini alla metà degli anni Sessanta.



A sinistra lungo il muro sotto i palchi: Rita Bassi (con il fiocco bianco)  Paolo Parrini, Carlo Poli, Enrico Mercatali, Flavio Ronconi.

Sotto il palco n°4
Elena Piani e Chiara Fossi.

Sotto il palco n° 5 Claudio Mercatali e Roberto Pierantoni.


Al centro, in mezzo: Luisanna Scheda, Giuliano Mercatali, Carla Cappelli.



In primo piano al centro: Marzia Filipponi.


In queste occasioni il fotografo ufficiale era Oreste Meucci, che aveva una bottega di fotografo
e di vernici in via Razzi.





A quel tempo il centro di Marradi era ancora segnato dai danni dei bombardamenti aerei del 1944.















Il  compleanno di  Francesco De Pasquale, che sta per soffiare sulle quattro candeline della sua torta (perciò è il 1961).

Siamo all'asilo e le due suore sono: suor Amedea, in primo piano (la più amata) e suor Aniceta (la meno amata). Siedono al tavolo, A sinistra: Luigi Ciottoli, a destra Fabrizio e Roberto Scarpa.



La chiesa di Fantino

La risposta dell'Arcidiocesi di Firenze
a Claudio Mercatali


Ricordate l'articolo dell' anno scorso sulla chiesa di Fantino, crollata e abbandonata? 

E' nell'archivio tematico alla voce "chiese".
Allora scrissi all'arcidiocesi di Firenze e l' 8 aprile 2015 (dopo un anno) è arrivata la risposta.

Leggetela voi stessi ...





Clicca per ingrandire 
le immagini




giovedì 16 aprile 2015

La Filanda Guadagni di MarradI

Memorie di Franca Baschetti.
ricerca di Luisa Calderoni- foto di Lally Ceccherini



Le memorie di Franca Zacchini Baschetti  risalgono  al novembre del 2002. Incontriamo Franca alla Filanda, nella villa padronale dove andò a vivere nel 1944, poco dopo essersi sposata con Giuseppe Baschetti.
Giuseppe era uno dei due figli del Signor Curzio, direttore della Filanda, e di Leda Guadagni, figlia di Gaspare, uno dei tre soci fondatori della "Filanda Guadagni-Nati- Vespignani".
 La facciata della villa è stata da poco restaurata e son stati rimossi quei mattoni faccia a vista che conservavano i segni del terribile bombardamento che distrusse l'opificio della Filanda.



Entriamo nell'atrio della villla che è ancora diviso in due parti da una sontuosa cancellata: nella prima parte  si apre una piccola finestra munita di grata che dava nell'uffico e attraverso la quale le filandaie e gli addetti alla filanda ritiravano la busta paga.
 
 Oltre la cancellata si aprono due appartamenti originariamente destinati ad uso ufficio, con la foresteria e la famosa  "Sala", dove avveniva il controllo  finale  delle matasse di seta prima della spedizione.



Franca abita al secondo piano cui si accede per una scala la cui ringhiera ripete i sinuosi motivi della cancellata.  Mentre saliamo ci sussurra che il vecchio Guadagni spese quasi più in ringhiere e grate che nell'intera opera muraria...



 Entriamo in un salottino in parte arredato con i mobili dell'ufficio della filanda: una scivania, uno schedario a cassetti, un tavolino per la macchina da scrivere.











Franca ci racconta la storia della villa che fu costruita 20 anni dopo l'opificio. Gaspare Guadagni, il fondatore della filanda, inizialmente faceva il pendolare tra tra Marradi e Faenza, sua città di origine,  ma si trasferì definitivamente in paese con tutta la famiglia nel 1908, quando l'opificio entrò in funzione.



La casa risale dunque alla fine degli anni '20 ma prima i Guadagni abitarono per un pò nell'attuale abitazione di Roberto Randi che era stata acquistata da Giuseppe Vespignani, socio del Guadagni, quando la figlia andò sposa al Maestro Ottorino Randi.








All'epoca la proprietà della famiglia Guadagni si estendeva fino a Casa Gondi e comprendeva  anche la casa del contadino. Successivamente parte del terreno fu espropriato dal Comune di Marradi per farne una zona industriale e fu concesso ad Antonietta Masi Baschetti, cognata di Franca, di ricostruire una casa dove originariamente sorgeva il capannone della filanda.
E così iniziano i ricordi della guerra e gli orrori del bombardamento del 30 giugno 1944 che distrusse completamente l'opificio e arrecò  danni alla villa, al magazzino, alla caldaia e alla ciminiera, successivamente minata e fatta crollare perchè pericolante.

" Noi tre eravamo qui quel giorno, io, mio suocero e Beppe. Io stavo facendo il minestrone. loro erano lì fuori: Scappammo...ci siamo salvati per miracolo nel campo del contadino, in un avvallamento tra i solchi. Quando tornammo su, che disastro!!Per la prima volta nella nostra vita vedemmo Curzio piangere.Tutto il tetto, tutte le finestre erano distrutte: ci sono ancora i segni della bomba nella facciata, ormai ci eravamo abituati e ora stanno richiudendo i buchi con dei mattoni che non sono uguali, perché così non si trovano nemmeno a raccomandarsi. 
La bomba aveva preso in pieno la filanda, proprio a metà, e anche la ciminiera era rimasta  lesionata. Sì, la ciminiera era alta 36 metrime lo ricordo bene. La filanda non fu bombardata per sbaglio. I ricognitori girarono sopra di noi tutto  il giorno prima per vedere tutte le mosse e Beppe dise che non era tranquillo.Loro videro questa fabbrica con quella grande ciminiera. Di fronte c'era la ferrovia con un treno merci fermo sui binari. Chissà cosa avranno pensato, forse a qualcosa di militare, che qui si producesse qualcosa per l'esercito, ad un fabbrica d'armi. Solo dopo avranno capito che non avevano buttato giù niente di importante.










La distruzione dell'opificio che aveva dato lavoro a tante donne e a tante famiglie fu certamente un disastro per l'economia locale ma Franca ci fa notare che: 

" forse la filanda non avrebbe lavorato più.  C'era già un gran cambiamento nel lavoro. Mio suocero sfollò a Firenze, poi andò a Cento. Fecero una trafila...ma noi eravamo sempre in contatto con loro. Mio suocero che era una persona d'oroe aveva una vera passione per la Filanda, lasciò le pellicce, l'argenteria, le cose di casa, tutto, per portare via i registri delle donne che avevano lavorato qui. Aveva solo quello nella mente, era fissato da questa cosa, era una persona come non ne nascono più."



Si spiega così il buon ricordo che le vecchie filandaie serbano del Signor Curzio proprio perchè, grazie a lui che aveva messo in salvo i libri paga e i registri della filanda,  hanno poi ottenuto la pensione. " Certo, conferma Franca, e poi hanno avuto una buona pensione perché questa era un'industria e i Guadagni avevano sempre versato i contributi in modo regolare."

Ora Franca inizia aparlarci della famosa "Sala della Seta", il luogo d'eccellenza della Filanda, dedicato al controllo qualità della seta. " La Sala era comunicante con la villa. Lì c'erano le "piegatore", le donne che intrecciavano le matasse di seta e le imballavano prima della spedizione. La "Sala era molto grande ed era il luogo più prestigioso per lavorare."
Le matasse venivano imballate in sacchi di tela bianchi che riportavano le iniziali dei tre soci fondatori della Filanda e cioè Guadagni, Nati, Vespignani e poi caricate sul vagone merci che arrivava direttamente alla Filanda  su un binario privato.



" Ma in seguito, continua Franca, i Guadagni liquidarono tutti e rimasero solo Gaspare con i figli Tina, Leda e Giuseppe.Con gli avanzi delle balle e delle fodere interne delle balle, abbiamo fatto tante tovaglie e tante coperte. Da qualche parte so di avere anche una matassina di seta della Filanda....sembra oro



matassina di seta della Filanda
Qui abbiamo molte cose fatte di bavella (1), tutti coltroni della Filanda son di bavella, il cascame della seta che fa un caldo particolare." A
 Alla fine di questa  interessante chiacchierata, Franca ci fa visitare le cantine e ci mostra la balla stampata con le tre iniziali e delle mascherine di ferro per stampare la sigla della Filanda.
Nelle grandi cantine son conservate 3 grandi bilance per la pesatura dei bozzoli: Una è particolare perchè veniva usata attaccata al muro e presenta un piatto molto ampio e leggermente convavo per accogliere le grandi ceste in cui venivano collocati i bozzoli per il conferimento e la pesatura.





 C'è anche un a bacinella, una specie di paiolo di zinco dal fondo traforato. Forse questa assomiglia alle  centinaia di bacinelle in cui venivano collocati i bozzoli per dipanare il lungo filo di seta in quel'opificio  che è rimasto  nella memoria  collettiva col semplice nome " la Filanda", ma con la F maiuscola, per quello che ha significato per tante donne del paese.


Il pannello di controllo elettrico della Filanda

 1) -  la bavella è un filato di seta di seconda scelta ricavato dalla sbavatura, operazione che consiste nell'eliminazione  della bava esterna che circonda il bozzolo. Questo filo di seta  è il primo secreto dal baco nella fase in cui inizia a cercare un appiglio nel " bosco" di ginestre appositamente predisposto.