Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

domenica 30 ottobre 2016

Gli Ubaldini di Marradi


 I discendenti dei padroni
dell'Appennino
ricerca di Claudio Mercatali



Gli Ubaldini furono una famiglia di feudatari di probabile origine longobarda che  per quattro o cinque secoli dominarono su ambedue i versanti dell’ appennino soprattutto nella valle del Senio, nell’ alto Santerno e nel Mugello dove ora ci sono i comuni di Barberino e Scarperia.
I Fiorentini ebbero ragione di loro con una guerriglia durata per tutto il Trecento e solo dopo aver fondato Scarperia e Firenzuola che servivano appunto a sottometterli.
Il loro dominio si estendeva fino all’ alta valle del Lamone e nella zona che va da Marradi alla Badia di Susinana, una sede del loro feudo. Qui alla fine del Trecento signoreggiava Maghinardo Pagani degli Ubaldini, che morì nel castello di Benclaro, sopra a S.Adriano e forse è il fondatore di Brisighella. Però il territorio dell’ attuale Comune di Marradi non era tutto sotto il loro controllo, e si facevano sentire con forza anche i Conti Guidi di Modigliana, un’altra famiglia di feudatari come gli Ubaldini.







I Fiorentini presero definitivamente Marradi e Modigliana nel 1428  (Palazzuolo era stato preso nel 1377) ma gli Ubaldini e i conti Guidi furono spodestati poco dopo la metà del Trecento, con una intricata serie di vicende.
La famiglia degli Ubaldini,  si divise: un ramo si trasferì a Urbino, dai Duchi di Montefeltro loro parenti, perché Bernardino Ubaldini della Carda era il padre naturale di Guido da Montefeltro. 

Infatti a Urbino c’è Piazza degli Ubaldini, in centro vicino al Palazzo Ducale. Fra questi alcune famiglie costituirono la Contea di Apecchio, che sotto l'egida dei duchi del Montefeltro rimase indipendente fino al Settecento. Un altro ramo ancora si trasferì a Firenze dopo aver ceduto i residui possedimenti alla Signoria e in tempi diversi si integrò e ottenne la cittadinanza.
Un quarto ramo si stabilì a Marradi, dove c’è traccia di loro fino alla fine del Settecento. 
La casa di famiglia era in Piazza Scalelle, ma non c’è più perché nel 1928 fu demolita per costruire la sede del Credito Romagnolo (ora Unicredit). Lo stemma di famiglia venne messo nell'atrio del Comune, dove si trova tuttora. Però nelle vecchie foto di Marradi la loro casa si vede ancora.

In questa foto la casa degli Ubaldini è al centro, in fondo alla discesa, con quattro finestre in fila.



Come si fa a sapere che gli Ubaldini sconfitti si dispersero in questo modo?

Ce lo dice soprattutto l'abate Eugenio Gamurrini, nella sua Istoria Genealogica (1679) che si vede qui accanto. Da lui apprendiamo che il capostipite del ramo marradese si chiamava Bartolomeo, detto Il Tronca, perché era rimasto zoppo dopo una rissa ...

Che cosa si sa del ramo marradese degli Ubaldini? Qualcuno di loro si è segnalato per qualcosa nel Cinquecento, quando ormai il loro potere feudale era svanito? Vediamo:


Domenico di Bartolomeo Ubaldini, detto Pulìgo, fu un pittore di buon livello, nel primo ventennio del Cinquecento. La sua famiglia si era trasferita nel Quattrocento da Marradi a Ponte a Rifredi (FI) ma Bartolomeo era rimasto in contatto con i parenti marradesi.  
La storia ce la racconta per bene Elena Capretti che nel 2002 svolse un’ importante ricerca su di lui, pubblicata dalla Cassa di Risparmio di Firenze e qui accanto c'è un estratto di questa.

Il Vasari e altri lo descrivono gioviale, membro della Compagnia del Paiolo, una allegra brigata di artisti fiorentini che aveva per motto “l’arte si fa a cena”.
Sempre dal Vasari apprendiamo che gli amici e le donne lo distoglievano talvolta dal lavoro, e per questo di lui abbiamo una ricca serie di ritratti e di quadri ma nessuna opera di grande respiro, di quelle che si fanno per i posteri.




Domenico Pulìgo era già noto ai suoi tempi, e Giorgio Vasari gli dedicò una scheda nelle Vite e parlò dei suoi quadri diffusamente .

Quindi lasciamo che sia
lui a dire  e leggiamo:



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se le vuoi ingrandire


Però occorre dire che forse non ebbe tempo per raggiungere la completa maturità artistica perché morì poco più che trentenne a Firenze durante la peste del 1527. 








Aveva contratto il morbo da una sua amica. I suoi amici scrissero sulla tomba:




Esse animum nobis coeleste e semine et aura, / hic pingens, passim credita, vera docet.
Ci strugge l’animo per lui celestiale, fecondo e prezioso / questo pittore insegna qua e là cose vere e apprezzabili . 




…………………   C'è memoria di qualche altro Ubaldini di Marradi?    …………………………







Lorenzo d'Ottaviano di Michele Ubaldini era un altro della famiglia del ramo marradese. 

Nel 1564 chiese alla Signoria di Firenze di essere nominato Capitano di Marradi e ottenne le patente, cioè la nomina. Non era un ritorno del feudatario ma la semplice nomina di un funzionario che amministrava Marradi e Palazzuolo in nome di Firenze. 






Forse qualche suo antenato si sarà rivoltato nella tomba a sentire che un Ubaldini aveva accettato una nomina per delega dagli odiati Fiorentini per amministrare i territori che furono tolti alla famiglia con la forza. Ma tant’è …





Il documento è bello e chiaro e specifica che cosa era autorizzato a fare il Capitano e che cosa non doveva fare. Leggiamo:



sabato 29 ottobre 2016

La Cagnina

Il vino che dà sapore ai marroni

La Cagnina è un vino dolce fermentato poco. Gli enologi dicono che si ricava da un vitigno antico, il Refosco dal peduncolo rosso, che si fa risalire addirittura ai Bizantini. Era uno di quei vinelli di pochi gradi che un tempo venivano lasciati ai contadini perché non vanno a maturazione quanto basta per essere conservati negli anni.

Questo vino fu dimenticato quando la gente ebbe i soldi per comprare il sangiovese e l’albana. Però negli ultimi vent’ anni è tornato in auge, e qui a Marradi se ne vende una gran quantità perché si abbina bene ai marroni, specialmente alle ballotte. Qui da noi si dice:

Un bicìr ed Cagnèna o dà savur ai maròn, du bicìr i t’arschelda, con tri bicìr tu si brieg.

In effetti dopo il secondo bicchiere il freddo delle giornate d’autunno si sente meno e dopo il terzo, alternato a un pugno di bruciate, viene una piccola sbornia secca, piacevole, che lascia un po’ storditi per mezz’ ora e passa senza làsciti. Alla Sagra di Marradi la metà delle persone che incontrate con l’aria un po' evanescente è in questa situazione. Provare per credere …

sabato 22 ottobre 2016

La Centrale elettrica di San Cassiano

L'energia pulita 
dall' acqua del Lamone
 ricerca di Claudio Mercatali



La Centrale
e la ripida scala
d'accesso



La centrale idroelettrica di S.Cassiano è vicino alla stazione ferroviaria. Fu costruita nel 1906 dalla famiglia Lega di Brisighella, per fornire energia alla vicina fornace di calce e la luce al paese. Le turbine ad asse orizzontale davano circa 100 Kw/ora, che all'epoca era abbastanza. 
Nel 1944 i Tedeschi in ritirata la minarono, ma negli anni Cinquanta venne rimessa in funzione, per dare energia a un vicino laboratorio di gomma che nel frattempo era stato aperto.


Nel 1986 chiuse ma nel 1994 riaprì, rinnovata, e anche oggi preleva l' acqua dal Lamone per mezzo di un canale che passa vicino a Pedrùsla, cioè al bivio della strada per Boesimo.
Nel periodo autunno inverno produce energia idroelettrica pari a 250 Kw/ora.
In media la produzione elettrica è di un milione di Kilowattora, come risulta da un diagramma messo a disposizione dei visitatori.




Per saperne di più la cosa migliore è leggere direttamente la storia della centrale in questo articolo pubblicato dal settimanale fentino
Il Lamone nel 1906, l'anno dell' inaugurazione.



 




Ai tempi d'oro, cioè nel primo Novecento questo impianto era all'avanguardia 
e faceva un bell'effetto.



 





Clicca sulle immagini 
se le vuoi ingrandire


 



Il signor Claro Lega,
che vediamo qui accanto,
era orgoglioso del suo impianto, 
e offrì la fornitura anche alla Congregazione di Carità di Marradi, che era l'Ente che gestiva l'Ospedale
San Francesco.



Brisighella, 22 settembre 1906
Illmo Sig. Presidente 
della Congregazione di Carità
Marradi

Le condizioni di favore alle quali dovremo attenerci per la fornitura di energia elettrica agli Istituti Pii, in base alle disposizioni del Capitolato d'oneri accettato da codesto municipio speriamo vorranno farci avere l'adesione di codesta Spett. Congregazione di Carità per l'illuminazione elettrica degli istituti dipendenti e specialmente dell'Ospedale ...
Con la massima stima
Claro Lega










In ottobre, in occasione della Sagra della Polenta di San Cassiano, che si svolge nelle stesse domeniche della Sagra delle Castagne di Marradi, l'impianto è aperto ai visitatori.
Il posto merita senz' altro una visita.

Il canale di presa è lungo e parte molto prima di San Cassiano, da una diga sul Lamone che si vede dal Molino di Perdrùsla, cioè dalla strada che porta a Boesimo.


L'acqua scorre placida ai margini del campo lungo il Lamone, per sette - ottocento metri.














... poi arriva alla chiusa 
sopra la Centrale ...








... e una condotta forzata scende ripida verso l'edificio.











Il rombo dell'acqua che entra
e muove la turbina si sente bene ...










il Sig. Palli addetto alle relazioni coi visitatori per tanti anni ha spiegato con passione ai visitatori il funzionamento dell'impianto.







Una bella lapide di ceramica spiega che tutto è risorto dalla rovina, come l'Araba Fenice, per interessamento
dei Lions di Faenza.


Chi era la Fenice di cui si parla in questa lapide?
Secondo il mito è l' uccello fantastico che rinacque dalle sue ceneri.
Per Metastasio è il simbolo della forza delle persone che amano davvero, tanto energica da far risorgere le cose che si desiderano di più.
 "L'Araba Fenice, che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa".


domenica 16 ottobre 2016

I laboratori per fare il miele

Una interessante attività 
per Marradi
ricerca di Claudio Mercatali



In questi giorni Marco Maretti ha aperto in via Pescetti il laboratorio per la fabbricazione del miele. Poco tempo fa in via Fabbri aveva aperto il laboratorio di Mirco Camurani e questo è un buon segno.

In effetti per questo prodotto sull’ appennino siamo competitivi. Il nostro vantaggio sta nel fatto che qui non ci sono colture trattate con prodotti chimici e le api operaie lavorano in un ambiente naturale. Le loro colleghe della pianura romagnola producono di più, perché le colture floreali sono fitte, però raccolgono anche i residui dei trattamenti agrari.



IL LABORATORIO DI
MARCO MARETTI


Il laboratorio - rivendita è  lungo la strada principale del paese in un posto facile da trovare.






Nella rivendita fa bella mostra
di sé tutta la produzione:
miele di tiglio, di acacia
e naturalmente di castagno.





















Nel laboratorio ci sono i classici strumenti per questo lavoro.

Però solo una parte dell'attività dell' apicultore avviene in laboratorio, perché in primavera si deve svolgere un attento lavoro di posizionamento delle arnie, nei posti di migliore fioritura. Per questo serve sensibilità, attenzione al decorso delle stagioni e una perfetta conoscenza del territorio.


Fra i tanti c'è anche un miele scuro con il nome "melata". Le api lo ricavano dalle mele? Chiediamo e Marco sorridendo ci spiega:

Le api approfittano degli afidi che rosicchiano le foglie per nutrirsi della linfa e delle essenze della pianta. In pratica raccolgono la cacchina degli afidi, che è molto zuccherina e la rielaborano ottenendo un miele scuro, meno dolce di quello classico e con un vago sapore di mela cotta  ... così vanno le cose in natura.


IL LABORATORIO DI
MIRCO CAMURANI


Andiamo a curiosare anche in questo laboratorio, dove il titolare ci spiega delle cose importanti, ovvie per lui ma del tutto insolite per noi ...



Come si prepara un' arnia?
Oggi non conviene aspettare che le api facciano da sole i favi dove depositare il miele, perché questo è tempo perso, nel senso che l'ape che lavora la sua cera per fare il favo  non gira a cercare il nettare dei fiori.

Ci sono dunque ditte specializzate che vendono i favi di cera già pronti, da sistemare dentro dei telaietti di legno, come ci mostra Mirco Camurani in questa foto.



Se l'ape trova il favo pronto lo riempie di miele senza indugio. Un favo pieno versa il miele che contiene anche se si striscia con un dito.








Però il miele non si estrae facendolo colare ma  per centrifugazione. Cioè i telaietti si mettono in una centrifuga che ruota veloce e fa uscire il miele dai favi.

Il lavoro poi prosegue con le operazioni di raffinazione e di arricchimento, secondo l'arte dei vari apicultori.





Nel laboratorio di Mirco Camurani il miele è stato usato anche per preparare una birra particolare. Il fatto non deve sorprendere più di tanto, perché le sostanze zuccherine fermentate si trasformano in alcool.
Non è come dirlo e infatti è stata necessaria l'esperienza della birrificio Cajun, di Marradi, che da anni produce birra di castagne secondo i procedimenti di Gianfranco Amadori e Walter Scarpi.









Anche i frutti secchi come le nocciole possono essere un ingrediente per il miele. I frutti secchi sono oleosi e dunque insolubili negli sciroppi zuccherini, però danno un gusto particolare, che mitiga il forte sapore dolce tipico del miele.

Dagli zuccheri per fermentazione si può ricavare anche l'aceto e qui accanto se ne vede qualche esempio, sempre secondo la ricetta di Mirco Camurani.






Pensavate che il miele fosse un alimento un po' stucchevole per eccesso di dolcezza?
A questo punto dovrebbe essere chiaro che non sempre è così.

Si potrebbe ancora dire che i liquori forti sono soluzioni alcoliche al 30 - 40% con una buona dose di zucchero aggiunto, e si può preparare una grappa o un' acquavite e addolcire con il miele, proprio come facevano i Romani, che non conoscevano lo zucchero da cucina.



Infatti questo alimento è arrivato in Europa dopo la scoperta dell' America, dove appunto prospera la canna da zucchero. Quello di barbabietola è ancora più recente ed è stato messo in commercio solo ai primi dell' Ottocento.

L'APIARIO DEL COLONNELLO

A Marradi c’è una buona tradizione apistica, perché le api favoriscono in modo evidente la fecondazione dei fiori di castagno dai quali si ricava un miele scuro, tipico qui da noi e con un sapore particolare. All’ inizio del Novecento a Marradi c'era l’apiario di Edmund Schmidt von Secherau.   
Chi era costui?

Il colonnello Edmond Schmidt Von Secherau a caccia nei monti sopra
Marradi



Nato a Vienna, per molti anni fu ufficiale dell’ esercito italiano e si congedò da colonnello.
Dopo dedicò molto tempo all’ apicultura, la sua grande passione. Forse per questo si trasferì da Firenze a Marradi e abitò per trent’ anni a Biforco, in una villa all’ inizio del paese, distrutta durante un bombardamento aereo nel 1944 nel quale lui stesso morì.





Il colonnello scriveva proprio bene, asciutto e conciso. Ecco qui due articoli suoi pubblicati dalla Società Toscana di Orticultura di Firenze, che parlano delle api e del miele.









Il colonnello si inserì benissimo nella vita del paese, venne accettato come se fosse nativo e nel 1921 fece anche il sindaco.
Il nome Schmidt pian piano venne deformato e in romagnolo divenne Smic. La sua famiglia negli anni Cinquanta donò al Comune il terreno sul quale sorgeva la casa bombardata, nel quale ora c’è un parco pubblico, che la gente di Biforco chiama appunto “l’ort de Smic”.



Altre notizie su di lui sono nell’ archivio di questo blog in una ricerca facile da trovare.