Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

venerdì 31 marzo 2017

L'aceto di mele

Una ricetta per un buon
aceto naturale
del prof. Alessandro Bellini
(assieme ai suoi allievi)



Potremmo dire che non siamo stati “forti come l’aceto”, né delicati come la crema chantilly ma acetosi quanto basta per produrre tre tipi di aceto di mele dedicato ai tre agricoltori del Mugello che ci hanno aiutato in questa piccola avventura.
  • Ivan :  che ci ha fatto raccogliere le mele Fuij presso il podere “La Matteraia”.  L’aceto ha fermentato in una barrique di rovere ed ha un retrogusto al Sangiovese .
  • Sergio : che ha collaborato con noi nel spremere le mele ed ottenere un succo. L’ aceto è maturato in un contenitore di acciaio e quindi il suo gusto è neutro .
  • Paolo : che ci ha offerto un caratello con un poco di “madre” di vin santo sul fondo per cui l’aceto di mele ha un retro gusto particolare al santo vino.



 Procedura

Prendi delle mele di qualunque varietà (meglio se regalate o raccolte direttamente dall’albero)
Frullale con tutta la buccia e la polpa.
Ponile in un contenitore di legno, di acciaio, con alla base un poco di vin santo o sangiovese, come preferisci.
Non riempire completamente il contenitore dato che il succo deve essere ossigenato.
Non chiudere il contenitore, anzi lascia un apertura abbastanza ampia che poi coprirai con un panno di cotone.
Aggiungi un poco di zucchero e scegli uno “starter” a base di lievito secco per la vinificazione.
Si scatenerà cosi  la fermentazione degli zuccheri presenti nelle mele.
Mescola il composto ogni 15 – 20 giorni cosi da ossigenarlo.
Dopo circa 4 – 6 mesi l’aceto sarà pronto: filtralo, imbottiglialo ed usalo per cucinare con gli amici.

Perché lo abbiamo fatto?
Per dare valore aggiunto a mele che andrebbero al macero ;
Per comprendere le fasi di trasformazione di un prodotto.
Per imbottigliare e valorizzare un prodotto.
Per aromatizzare e rendere migliore una triste insalata o sfumare l’anonimo petto di pollo.
Per conoscere e collaborare con dei bimbi delle scuole elementari che un giorno saranno grandi e diventeranno forti quanto basta  come il nostro aceto di mele.

I ragazzi e le ragazze della 3I e 3L (2016)
dell’ Istituto Tecnico Superiore  “Giotto Ulivi”
di Borgo San Lorenzo (FI).





domenica 26 marzo 2017

1899 Il settimanale Il Lamone


Alcune invettive contro
il vescovo 
di Faenza
ricerca di Claudio Mercatali



Il settimanale Il Lamone è stato il più antico periodico faentino. Mazziniano, repubblicano, anticlericale oltre modo e fuor di misura cominciò le pubblicazioni nel 1884. Nel 1898 la Curia di Faenza si attivò per fondare il settimanale Il Piccolo, in modo da contrastarlo. Nacque subito un confronto aspro fra le due testate, senza esclusione di colpi. Nel 1899 il vescovo di Faenza Gioacchino Cantagalli, soprannominato Giuvachì dall' editorialista Olindo Guerrini, stanco degli insulti scomunicò Il Lamone e denunciò Guerrini, specialmente per il sonetto Parla il Pastore che è qui di seguito.




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Chi era Olindo Guerrini? Romagnolo di S.Alberto (Ravenna) poeta dialettale, laico e anticlericale oltre ogni dire, pubblicò diverse raccolte di gustosissime e scurrili poesie, che si trovano ancora oggi sulle bancherelle dei libri usati nelle fiere della Romagna e nei mercatini di Marradi. All' epoca era già noto e apprezzato o disprezzato, tanto che il foglio Il Goliardo, che nel 1912 pubblicò i primi scritti di Dino Campana, aveva in prima pagina proprio degli scritti di Guerrini.


Olindo Guerrini era un appassionato ciclista.
A S.Alberto gli è stato dedicato un museo. 


Ora ci interessano le sue poesie pubblicate nel 1899 su Il Lamone, dove in prima persona ma anche sotto gli pseudonimi di Argia Sbolenfi (una zitella ossessionata dal sesso) e Lorenzo  Stecchetti se la prese con il vescovo rimediando un processo e una condanna . Leggiamo:


Siamo nel 1897 (Il Piccolo non è ancora stato fondato) e il vescovo di Faenza scomunica Il Lamone.

Argia Sbolenfi (Sbolenfoide) alias Guerrini, immagina questo dialogo surreale fra  Il Lamone e il periodico cattolico L'Avvenire ...








Nel settembre 1898 il vescovo Gioacchino Cantagalli si riconobbe nella poesia "Parla il Pastore" che si vede qui accanto e denunciò Olindo Guerrini, che fu condannato per vilipendio.









Dopo la condanna Stecchetti continuò le sue invettive ...









Nel 1899 Il Lamone pubblicò una delle invettive più belle di Olindo, firmata Lorenzo Stecchetti.
Lo scenario è il giorno del Giudizio, nel momento in cui tutta l'umanità nuda viene chiamata da Dio nella valle di Giosafatte:

Fa gli ignudi c'è anche il vescovo
di Faenza:

Come? Colui che già faceva paura
Scagliando l'anatema e la minaccia
Era fatto con questa architettura?


Poi la polemica contro il vescovo passò, ma rimase il sentimento anticlericale.

Nel 1899 gli astronomi avevano previsto il passaggio della cometa Tempel Tuttle, che secondo alcuni avrebbe potuto provocare la fine del mondo scontrandosi con la Terra.
La gente si spaventò e molti andarono a confessarsi per essere pronti. Olindo Guerrini commentò così ...

Che interesse hanno tutte queste cose per il Blog di Marradi? Ebbene Il Lamone, come del resto Il Piccolo erano in vendita qui da noi e questa era la stampa letta dai nostri bisnonni.

Fonte: Emeroteca della Biblioteca di Faenza per gentile concessione.


sabato 25 marzo 2017

25 marzo 1923 Il Bollettino interparrocchiale di Scarperia

Un vivace giornaletto 
di parrocchia
ricerca di Claudio Mercatali



Bollettino interparrochiale del comune di Scarperia è il nome buffo di un periodico trimestrale che nel 1922 - 1923 veniva distribuito da alcuni parroci. Era stampato dalla Tipografia Scarperiese e durò poco, non tanto per scarsità di vendite ma perché dopo la Marcia su Roma il nuovo regime fascista abolì
la libertà di stampa.

Non si può dire che il foglio fosse di opposizione, come si capirà leggendo più avanti, però quasi certamente i Fascisti mugellani apprezzarono poco l'ammirazione sincera ma mortificante che l'articolista manifestò per il Duce.


 Venne lanciata anche una campagna di abbonamenti, 
come si può leggere qui accanto.




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Il curato di Ars di cui si dice qui accanto è Giovanni Maria Vianney (1786 - 1859), 
patrono dei parroci e santificato nel 1925











Siamo nel 1923 e Mussolini è 
al suo primo anno di governo.










Il mons. Bartoloni e il Pievano
di S.Agata (Scarperia) erano gli
ideatori del Bollettino.











La Pieve di S.Agata è documentata
dal 984.











Il battistero



domenica 19 marzo 2017

Quando un nomignolo nasconde un cognome

Un ramo dei Fabroni
finora sconosciuto
ricerca di Claudio Mercatali



Nella storia di Marradi la famiglia Fabroni si incontra a ogni piè sospinto, perché era una vera e propria genìa, prolifica, attivissima e politicamente inaffondabile. 
Il cognome è già un piccolo enigma, perché si trova scritto con una "b" o con due, come se la famiglia fosse multipla.
Ci sono i Fabroni di Pistoia (la città d'origine), quelli di Livorno, i Fiorentini, i Marradesi, quelli di Tredozio e altri ancora.



Romualdo Maria Magnani (1742)
dà notizia dei Fabroni trasferiti a Faenza




Mancava un ramo di Fabroni faentini, che però per caso è stato trovato. Lo storico Romualdo Maria Magnani ci racconta che alla fine del Quattrocento il colonnello Domenico Fabroni, detto Il Ploia (la pioggia), si trasferì da Marradi a Faenza, al servizio del conte Astorre Manfredi, signore della città. Nel novembre del 1500 era comandante delle milizie faentine quando il duca Cesare Borgia assediò la città. Faenza resistette sei mesi sotto i cannoneggiamenti del potente Duca, che era figlio naturale del papa e spadroneggiava nelle Romagne.




L'assedio di Faenza 
nel racconto di Michel 
Angelo Salvi (1662)



Da Michel Angelo Salvi apprendiamo che Il Ploia morì sulle mura negli ultimi giorni di assedio cercando di resistere ancora.
I suoi famigliari rimasero a Faenza e siccome erano marradesi, al cognome Fabroni pian piano si sovrappose il soprannome "i Marradi" . Poi nel 1563 quando il Concilio di Trento sancì definitivamente l'uso dei cognomi essi furono registrati come "Marradi".





Un'altra descrizione dell'assedio, 
fatta da Gian Marcello 
Valgimigli (1864)










La storia è curiosa, però è chiara e nei blasonari Baccarini, Calzi e Tassinari delle famiglie storiche faentine, conservato alla Biblioteca comunale Manfrediana si vede il cognome e la figura di un cavaliere un po' abbacchiato, con la lancia spezzata, sconfitto, come fu appunto Il Ploia, il capostipite.






 Oggi il cognome Marradi 
in Emilia Romagna non esiste più. 




Però nei testi antichi qualche componente della famiglia faentina Marradi si trova, come si vede qui sotto.



Historie di Faenza
di Giulio Cesare Tonduzzi
(1675)


Ad esempio apprendiamo dallo storico Tonduzzi  che Giulio Cesare Marradi nel 1642 fece parte di una ambasceria mandata da Faenza a trattare con Odoardo Farnese duca di Parma, che si avvicinava minaccioso 
e il cavalier Valerio Marradi nel 1675 fu uno dei Cento Pacifici 
(la Magistratura faentina che cercava di dirimere le controversie e le liti).


giovedì 16 marzo 2017

La spezieria di Orlando Pescetti

Una antica farmacia 
di Marradi nel Settecento

ricerca di Claudio Mercatali



Ci sono tanti tipi di sentenze: civili, penali, per i reati contro il patrimonio o contro le persone e altro ancora. 
Alcune sono rilevanti dal punto di vista giuridico e vengono registrate negli archivi dei tribunali come riferimento per altri casi simili. Senza scendere nel dettaglio diciamo che “fanno giurisprudenza”. Si faceva così anche nei secoli passati.

Questa ricerca riguarda appunto una sentenza del Settecento, su un fatto avvenuto a Marradi, ritenuta significativa e registrata nel “Tesoro del Foro Toscano” ossia nella raccolta degli atti da ricordare. I fatti sono questi:

Orlando Pescetti, discendente dello scrittore del ‘600 che si chiamava come lui, era un farmacista che nel 1763 teneva bottega a Marradi, probabilmente nella casa di famiglia, che era proprio accanto a quella di Dino Campana. 


La Spezieria Pescetti nel Settecento era in un edificio distrutto nel 1944 in un bombardamento aereo, sotto un terrazzino artistico, che si vede in questa foto degli anni Trenta.

All’epoca le medicine non si compravano dalle Case farmaceutiche ma venivano fatte direttamente in farmacia, con le erbe aromatiche e le spezie, da cui il nome di spezziere.
Nella spezieria di Pescetti lavorava l’ apprendista Giuseppe Piazza, tanto bravo da essersi meritato nel tempo la fiducia completa del suo principale, che lo lasciava “fare e disfare” sicuro che si sarebbe comportato bene.



Però a un certo punto Pescetti  cominciò a dubitare dell’onestà del suo dipendente e alla fine lo denunciò per furto di denaro e di merce dal suo negozio. Il processo si tenne a Marradi e le cose andarono così:





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lunedì 13 marzo 2017

Angelo Gatti

Uno scienziato mugellano 
da rivalutare
 ricerca di Claudio Mercatali


Jenner vaccina 
un bambino 



Il fatto è noto a tutti: iniettando un po' di agente infettivo nel corpo di un paziente si sollecita il suo sistema immunitario a produrre gli anticorpi che poi serviranno per agire subito se ci sarà un contagio vero.

Perché il vaccino si chiama così? Che cosa c'entra la vacca?
La storia della biologia ci dice che il primo vaccino, contro il vaiolo, fu ricavato dal medico inglese Edward Jenner dal corpo delle mucche infette. Egli infatti si era accorto che i figli dei contadini, che vivevano a stretto contatto con il bestiame, si ammalavano di vaiolo vaccino, che non è mortale, e rimanevano poi immuni dal vaiolo umano, ben più pericoloso. Perciò pensò di iniettare in un bambino un po' di vaiolo di mucca e, dopo la sua guarigione, un po' di vaiolo umano, per vedere se guariva ...
Se oggi un medico facesse una cosa del genere finirebbe in carcere subito, ma nel Settecento le cose andavano diversamente.

 


Angelo Gatti era un medico di Ronta, emigrato in Francia dove lavorava al servizio del re. Il suo metodo di immunizzazione era diverso da quello di Jenner e consisteva nell' iniettare nei pazienti il vaiolo umano, in soluzione acquosa molto diluita, in modo da provocare solo l'inizio della malattia.

Ecco qui accanto un articolo su questo argomento pubblicato sul periodico Al Contrario, un foglio originale e alternativo che si stampava a Borgo san Lorenzo nei primi anni Ottanta.



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Questo sistema detto vaiolazione, era efficace ma pericoloso. 
Gatti tornato in Toscana convinse il Granduca a far "vaiolare" gli abitanti del Mugello, che però non ne volevano sapere ...

Allora il Granduca per dare l'esempio sottopose  alla vaiolazione i suoi figli, che guarirono dopo pochi giorni e rimasero immunizzati. Così i contadini del Mugello e anche i marradesi si sottoposero alla cura con meno scetticismo.


Perciò qui da noi a fine '700 venne fatta una delle prime campagne di prevenzione di massa nella storia della medicina. 

Lapide nella casa natale di Gatti, al Fondaccio, cioè all' ingresso di Ronta da Borgo S.L.  




Dallo storico Emmauele Repetti (1839, leggi qui sopra) apprendiamo che i Marradesi non erano tanto diffidenti nei confronti delle vaccinazioni:

"... Prova della robustezza e della sanità di codesti abitanti sia la decrepita età alla quale giungono; giacché a Marradi e nel distretto si contano molti vecchi di età superiore alla ottuagenaria e nonagenaria. Le malattie dominanti costà sono quelle dei climi freddi e rigidi, del genere cioè infiammatorio.
Sono già decorsi diversi anni senza siasi riaffacciato il vaiolo arabo, stante la facilità con la quale i genitori si prestano a far inoculare il vaccino ai loro figliuoli, e mercé lo zelo dei professori dell'arte salutare che hanno potentemente cooperato a togliere un notevole pregiudizio ...".


Il fatto che il Granduca si fosse fidato delle nuove cure di Angelo Gatti fece scalpore anche fuori dalla Toscana.
Ecco qui accanto alcune corrispondenze da Firenze pubblicate dalla Gazzetta di Ravenna del 1774.





Fonte: periodico Al Contrario, per gentile concessione del dr. Benvenuti, proprietario di Radio libera Mugello e a suo tempo editore della testata.



martedì 7 marzo 2017

In giro fra la Romagna Toscana e lo Stato Pontificio


Un tour in bici
come se oggi
fosse un giorno
a metà dell’Ottocento
Fatto da Claudio Mercatali


Il percorso

Questo giro in bicicletta si svolge fra Marradi, Modigliana e Brisighella, cioè fra le province di Firenze, Forlì e Ravenna. Nella prima metà dell’Ottocento, percorrendo questi siti avremmo incontrato due volte il confine fra il Granducato di Toscana (Marradi e Modigliana) e lo Stato Pontificio (Brisighella).

Le strade di oggi c’erano già, ma le biciclette non erano ancora state inventate e avremmo dovuto usare un cavallo. Se partiamo da Marradi dopo 5 km, a S.Adriano comincia la Traversa di Romagna, oggi è la Provinciale che va a Modigliana. A metà Ottocento era modernissima e sostituiva la vecchia via, da Marignano a Galliana e a Santa Reparata.

In bici dopo 5 km di salita dura si arriva in cima al Torretto. Con la mia gamba devo salire con calma, con il 34/27, il rapporto dello stento, però per voi potrebbe essere più facile.

Al Passo di Beccugiano (il Torretto) si imbocca una discesa al 18% e per chi non è pratico di bici dirò che si percorre con i freni tirati al massimo, tanto che alla fine fanno male le dita.

A metà c’è la villa di Sessana, con la sua chiesetta, antica parrocchia. Nel 1838 il parroco di Sessana, che aveva subito un furto, scrisse così …

Al Vicario di Marradi 

Il sacerdote Alessandro de’ Pazzi, parroco a Sessana, vi riferisce che la sera del primo giugno 1838 alle 11, udito qualche rumore, uscì di casa e trovò una persona, non riconosciuta stante il buio, che aveva trascinato lontano la sua cagna da caccia e aveva posto una leva fra la soglia e l’uscio della stalla del cavallo e forzato il catenaccio.
Rincorse detta persona per i campi ed esplose contro di essa una fucilata con la munizione n°3, ma sparò a stabilita distanza. Tanto si crede di dover far noto a Vostra Signoria.       

 L’esponente don Alessandro de’ Pazzi       


Dopo la frazione di Abeto comincia una piacevole strada piana. Al Ponte di Santa Reparata cambia la regione e si passa da Firenze (Marradi) a Forlì (Modigliana). Però alla metà dell’ Ottocento qui cambiava solo il comune, perché ambedue i paesi facevano parte del Granducato di Toscana.

La chiesa di Santa Reparata



Nel febbraio 1811 il brigante Buriga e la sua banda di renitenti alla leva napoleonica avevano ben chiaro il fatto e sconfinarono nel comune di Marradi a Santa Reparata. Pensavano di essere al sicuro ma i gendarmi di Marradi li aspettavano e all’ Osteria de Vdòc (del pidocchio ) ci fu lo scontro. Morirono due briganti e un gendarme, però Buriga e i suoi furono arrestati e processati.

Dov’è precisamente questo posto? Se prendiamo a riferimento il Catasto Leopoldino il Poggio del Pidocchio è proprio sopra la chiesa di Santa Reparata.



La strada è sempre pianeggiante e non si fa fatica. Si arriva così a Modigliana, paese agitatissimo nel 1848 - 49, perché i patrioti che volevano l’Italia Unita erano molti. La popolazione gioì in questo modo quando il Granduca dovette fuggire, a seguito degli eventi della Prima Guerra di Indipendenza.

In quegli anni qui viveva don Giovanni Verità, prete patriota e rivoluzionario, scomunicato dal vescovo ma tollerato perché la gente lo amava. Nel 1885 ai suoi funerali c’era una folla esagerata, come si vede in questa fotografia. Però con il tempo sopravvenne l’oblio.




Nel 1929 la sua tomba era in abbandono al cimitero comunale e alcuni modiglianesi, in una vampata di patriottismo, fecero quello che si può leggere qui accanto.



... nonostante i 501 anni di permanenza nel Granducato i Modiglianesi non avevano perso per niente il loro umore di Romagnoli e questo è un bel segno ...

La circonvallazione di Modigliana non esisteva e quindi non la facciamo. Passiamo dall’ex Seminario, poi dalla piazza della Chiesa Vescovile, poi dalla stretta via che porta al centro, anche
se è un senso unico e non dovremmo.



Siamo vicino alla parte storica del paese, quella sotto la Rocca. Nel 1773 passò il Duca di Chartres Orléans e si fermò ospite al Palazzo della contessa Borghi. In quei giorni sua moglie partorì una femmina, ma per motivi dinastici aveva bisogno di un maschio, e la scambiò con il pupo che una domestica della contessa Borghi aveva avuto in quei giorni. Il padre era Lorenzo Chiappini, guardia granducale al carcere di Modigliana. Nel 1826 Maria Stella Chiappini, in realtà duchessa d’Orléans, apprese tutto da una tardiva lettera di suo padre in punto di morte e denunciò il fatto. Ne venne una controversia infinita, ma gli Orlèans non la riconobbero mai. Non potevano, perché il figlio scambiato era diventato re di Francia con il nome di Luigi Filippo d’Orléans, dal 1830 al 1848.


Ora andiamo a Violano, un sobborgo all’inizio del Passo del Trebbio dove c’era la Dogana Granducale. Siamo diretti verso Faenza, lungo la via vecchia che passa dal nuovo cimitero di Modigliana, dove c’è appunto la tomba rifatta di don Giovanni Verità.



La strada è sempre pianeggiante e si va con il 50/17 un rapporto da pianura che permette di tenere i 30 km/h senza faticare tanto. Oggi è una fresca giornata di mezza stagione e si sta benissimo. Quasi senza accorgersene si arriva alla chiesa di Tossino, l’ultima parrocchia del Granducato e poi al Ponte sul Marzeno (cioè alle Cantine Intesa) dove c’era il confine.

Si passa così nella Provincia di Ravenna, ossia nello Stato della Chiesa. Dopo un chilometro c’è via delle Balze, con la vecchia Dogana Pontificia. Alle Dogane si veniva fermati in entrata, per pagare le tasse in ragione delle merci trasportate. Dunque andando in questa direzione i doganieri di Modigliana non ci avrebbero fermato ma quelli pontifici si.

Nel 1845, a seguito di un moto rivoluzionario romagnolo fallito, arrivarono qui due gruppi di rivoltosi in fuga, che cercavano scampo nel Granducato, e nella collina qui di fronte (le Balze di Scavignano) furono affrontati dalla Gendarmeria Pontificia. Don Giovanni Verità li aveva avvisati ma costoro, guidati dal patriottico conte Pasi di Faenza accettarono lo scontro e riuscirono a passare al prezzo di due morti e un certo numero di arrestati. L’episodio è illustrato in questo quadro …

Ora si tratta di imboccare “la Carla” una strada provinciale corta ma dura che scavalca il calanco dalla parte di Brisighella. In cima c’è il Monumento al Ciclista, un cippo in un crinale panoramico che in qualche modo ripaga della fatica fatta. Si scende per un miglio fino a Sarna, dove una piacevolissima strada piana porta alla chiusa di Errano, uno sbarramento sul fiume Lamone.
Comincia la risalita della valle del Lamone, verso Brisighella e si incontra una chiesina ad ogni miglio. La strada qui ha ancora l’antica toponomastica romana: Quartolo, Rio Quinto, Sestolo, Pieve di Ottavo, Ponte Nono, sono tante località che distano dalla via Emilia quanto dice il loro nome.



A quei tempi la strada passava dentro Brisighella e quindi faremo il percorso
segnato in questa carta del Catasto
Pontificio Gregoriano.

Le vampate di patriottismo e le storie un po’ tese dette prima colpirono la fantasia della scrittrice irlandese Ethel Lilian Voynich che nel 1898 scrisse il romanzo The  Gadfly (Il Tafano) ambientato nella valle del Lamone (il Cap. 11) e tradotto il italiano con il titolo “Il figlio del Cardinale”. Parla di Arthur Burton, detto Il Tafano, mazziniano della Giovine Italia, impegnato in un traffico d’armi verso la Romagna per fare la rivoluzione, e perciò pedinato a Marradi e poi arrestato dopo una sparatoria in mezzo al mercato di Brisighella. Leggiamo …





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E così, dopo tutti questi racconti, si arriva alla Dogana Pontificia di San Cassiano, che era proprio vicino al ponte. Stiamo uscendo dallo Stato della Chiesa e non dobbiamo pagare dazio, sicché i doganieri non ci avrebbero fermato.





  A sinistra: la Dogana Pontificia
di San Cassiano (Brisighella)

Sotto: La Dogana Granducale
di Rugginara (Marradi)
Al contrario i dazieri del Granduca ci avrebbero imposto l’alt a Rugginara, che era la dogana granducale. Nel 1848 ci furono dei problemi, perché allo scoppio della Prima Guerra di Indipendenza i marradesi, avuta notizia della rivolta di Modigliana, corsero qui e tagliarono la catena che sbarrava la strada.



Tutto sommato ottennero poco, perché la guerra fu persa in pochi mesi e tornarono gli Austriaci. Però nella zona rimase una certa agitazione, con tanti sbandati che si aggiravano senza una meta precisa. Lo storico di Brisighella Antonio Metelli racconta che …

Prima di arrivare a Marradi ci sarebbe toccato un altro controllo, alla Dogana di Popolano, cioè al ponte, e poi finalmente avremmo avuto il permesso di arrivare in paese. Così andavano le cose nella agitata Romagna Toscana di metà Ottocento.