Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

venerdì 27 ottobre 2017

1744 I soldati del principe di Lobkowitz

Mille Tedeschi passano
nella valle del Lamone
Ricerca di Claudio Mercatali
 

Soldati Austriaci e Ungari
del Settecento

 

Nei secoli passati ogni crisi europea di un certo rilievo provocava la discesa di qualche esercito in Italia.
Accadde così anche nel 1743 e nel 1744, nel corso della Guerra di Successione Austriaca, che fu un complicato conflitto fra Austria e Spagna.

Dallo storico dell' Ottocento Antonio Metelli apprendiamo che nel 1743:

“… Durante la vernata si calarono a schiere dalla Germania le genti del Principe di Lobkowitz e passarono da Forlì e Rimini verso gli Spagnoli che da Pesaro si ritiravano verso il Lazio.
Lo scontro a Velletri fu sanguinoso ma di esito incerto e di dubbia vittoria. Gli eserciti stettero l’uno a riscontro dell’ altro lungamente finché il Principe di Lobkowitz vedendo assottigliarsi per le malattie le sue truppe levò il campo per tornare donde era venuto e a Perugia una parte delle sue truppe passò in Toscana e poi raggiunse la Romagna …”

 Eccoci al punto che ci interessa
 
Dalla piega degli eventi era chiaro che almeno una colonna di Austriaci e Ungari in ritirata, dopo aver percorso la Toscana in lungo e in largo per le necessità della guerra, avrebbe valicato la Colla per scendere nella Valle del Lamone e allora bisognava provvedere. Provvedere a cosa?
La secolare esperienza dei passaggi degli stranieri in Italia aveva insegnato che gli eserciti in transito andavano favoriti, foraggiati, pagati, perché altrimenti si abbandonavano ai saccheggi. Era una dura necessità che periodicamente si ripeteva e questa di cui stiamo parlando non è nemmeno la peggiore che sia capitata qui da noi.

Antonio Metelli, di Brisighella, ci dice che:

“ …Il cardinale che reggeva la Provincia di Ravenna, affinché la mancanza delle cose necessarie ai soldati non originasse qualche disordine, ordinò a Faenza che cinquanta carri ogni giorno fossero lesti in servigio delle truppe e i Faentini chiesero a Brisighella e a Marradi che si fornissero per aiuto venti paia di buoi da aggiungere ai traini. Arrivò l’avviso che una parte dell’esercito tedesco veniva verso Marradi per la qual cosa servivano tremila e duecento pani da mandare a quella volta.
Si inviarono a Marradi undici barrocci con cinquantatrè sacchi di pani numerati e si mandarono avanti alcuni villani armati di zappe che appianassero la via e dessero comodità di transito ad alcuni soldati Austriaci di scorta. Corsa voce che i Tedeschi erano a Marradi si stabilì di avvisare il fornaio (di Brisighella) che si tenesse pronto e si esercitò prudentemente e pavidamente l’ufficio cosicché a quei soldati non si porse l’appicco di tumultuare …”.

Così la colonna dei Tedeschi passò senza tanti guai e a Brisighella non furono “… da null’altro turbati che dal peso delle pubbliche imposte, che il furore della guerra aveva reso più gravi”.

E a Marradi che cosa si fece?
 
Qui da noi ci fu meno apprensione perché Francesco Stefano di Lorena, Granduca di Toscana, era uno dei pretendenti alla corona d’Austria e dunque gli Austriaci e gli Ungari del Principe di Lobkowitz in pratica stavano attraversando le terre del loro padrone e non potevano saccheggiarle. Però i marradesi non potevano lasciare a digiuno le truppe del Granduca e quindi si dovettero rassegnare a spendere.
Nei documenti dell’archivio storico del comune di Marradi c’è scritto che la guerra durava già da qualche anno e il Granduca aveva fatto una legge per regolare la questione:

 
“Avendo questo Real Consiglio delle Finanze considerati i disordini che sono nati in vari Luoghi della Comunità in occasione del passaggio e permanenza di Truppe, ha ordinato il seguente regolamento da osservarsi in futuro, in occasione di detti passaggi ... E Dio vi guardi”.
 
I Conservadori del Dominio fiorentino,  Firenze 16 novembre 1742

Il Regolamento stabiliva tante cose ma la sostanza era che i Comuni attraversati dalle truppe dovevano mettere mano al portafoglio.

A metà novembre il Commissariato di Guerra di Firenze fece sapere al Gonfaloniere di Marradi che sarebbero passate due colonne di soldati Austriaci. Con una certa avarizia chiese anche di risparmiare al massimo sul pane da dare ai soldati, in questo modo:

“Trasmetto a Vostra Signoria la nota delle porzioni di pane che dovrà somministrarsi alla prima e seconda colonna delle truppe Austriache, secondo la disposizione che poi le invierò dalla quale conoscerà il giorno che le dette truppe saranno costì. Questo Commissariato di Guerra mi fa sapere che per minima spesa si potrebbe fare il pane di due terzi di farina e di un terzo di segalato, con che essendo buono il macinato servirebbe levare libbre quattro di semola della più costosa per ogni staio e con il restante fabbricare il pane”.
Firenze, 14 novembre 1744
 
Maria Teresa d’Austria nel 1744

Quanti erano e da dove venivano
i soldati Austriaci?

 
“C’è un istaccamento di truppe di Sua Maestà la regina d’Ungheria e Boemia (la futura Maria Teresa d’Austria), in marcia rotta, (in ritirata) consistente in numero di venticinque ufficiali e mille fra fanti e bassi ufficiali e soldati comuni che da Pisa passano a Marradi facendo le seguenti stazioni:
a dì 9 novembre a Pontedera, a dì  14 a Empoli, dove faranno un giorno di riposo, a dì 17 alla Lastra a Signa, a dì 24 a Prato, dove faranno un giorno di riposo, a dì 30 a Borgo S.Lorenzo, a dì 1 dicembre a Marradi, dove faranno un altro giorno di riposo, per poi passare più oltre dove saranno comandati. Sarà perciò cura delle suddette Comunità di fornire l’alloggio con letti agli ufficiali ed il coperto con libbre dieci di paglia e altrettanto di legna per testa ed una libbra di olio ogni trentadue di essi, riportandone le opportune ricevute dall’ uffiziale comandante.”

A.Campani, dal Commissariato di Guerra, Firenze 19 novembre 1744

Tenuto conto che una libbra toscana era circa 350 grammi, ogni soldato ebbe 3,5 kg di paglia per fare da cuscino e 3,5 Kg di legna da bruciare nella fredda notte del dicembre marradese. In più un po’ d’ olio per friggere qualcosa. Insomma una vera miseria. Però moltiplicando per mille, quanti erano i soldati, si arriva a 10.000 libbre di paglia (35 quintali) altrettanti di legna e circa 11 litri d’ olio e a questo, oltre a 350 kg di pane, dovevano provvedere i marradesi. Si spese anche per alloggiare in qualche modo al coperto mille persone e per un buon soggiorno dei venticinque ufficiali, che non si potevano lasciare a dormire nella paglia con un pezzo di pane per cena.

 
Da Firenze il Commissariato di Guerra raccomandò al Cancelliere di Marradi di far firmare al Comandante delle truppe la ricevuta per quanto fornito, perché non potesse dire di essere stato trascurato.

“Dalle annesse copie di marce rotte (= ritirate) fattemi pervenire da questo Commissariato di Guerra vedrà Vostra Signoria il passo che devono fare da codesto luogo i due distaccamenti di truppe della Regina d’ Ungheria e Boemia ai quali vedrà di preparare tutto il bisognevole, con avvertire di riportarne all’ Uffiziale comandante le opportune quietanze per poi trasmettermele immediatamente dopo il passo delle medesime. Soprattutto invigili che le cose camminino a dovere e senza inconvenienti e frattanto accusi la ricevuta di questo mio ordine”.   
Firenze 20 novembre 1744
 
Alla fine fu avvisata la popolazione. Nel Settecento il modo più efficace per diffondere un annuncio era con il Tamburino o il Trombettiere. Costoro passavano lungo la strada, ogni tanto si fermavano e, dopo un rullo di tamburo o uno squillo, strillavano la notizia. Il Cancelliere ordinò che la gente nascondesse gli oggetti di valore e impedisse l’accesso alle cantine. Da quanto risulta nei documenti dell' archivio il Tamburino o il Trombettiere gridarono più o meno così:

 “Nascondete l’argento … calate il rame in fondo ai pozzi … murate le cantine … perché passano i soldati del Principe di Lobkowitz … ma non abbiate paura … perché vanno a sostenere le ragioni del Granduca nostro Signore … per il trono d’Austria e d’Ungheria”.

Poi il peggio passò ma i conti furono salati per tutti. I brisighellesi spesero per non suscitare l’ostilità dei Tedeschi, e i marradesi perché essi non erano ostili ma non si potevano lasciare a digiuno e all’addiaccio.

 
Stemma di Francesco Stefano di Lorena, Granduca e Imperatore d’Austria.

 
 

Chi vinse la Guerra di Successione Austriaca?
Il Granduca Francesco Stefano di Lorena, il 14 settembre 1745 divenne imperatore d’Austria, e il Granducato fu amministrato da Vienna come una provincia dell' Impero. Nel 1765 la Toscana passò al figlio Leopoldo, che tornò a risiedere a Firenze.

 
Bibliografia
Documenti dell’Archivio storico del Comune di Marradi, filza degli anni 1743 – 45. Antonio Metelli Storia di Brisighella e della Val d’Amone.
 
 

sabato 21 ottobre 2017

1930 - 1931 Lutirano

Si costruisce l'illuminazione pubblica a lampade elettriche per i 366 abitanti della frazione
ricerca di Claudio Mercatali
  

 
Planimetria di Lutirano (1930)
con l'indicazione dei nuovi punti luce
 
 

Negli anni Trenta la valle Acerreta era densamente abitata. A Lutirano e nei poderi del circondario abitavano 366 persone, tutti agricoltori, che non erano certo i più poveri del Comune, perché qui la campagna è fertile e il fondovalle ampio. Però la zona era isolata e nel 1930 c'era ancora l'illuminazione pubblica con lampade a petrolio, che un incaricato accendeva ogni sera con uno stoppino in cima ad una pertica. Occorreva modernizzare e allora il Podestà di Marradi chiese un preventivo alla Società Elettrica del Valdarno, che gli rispose così:
 
Società Elettrica del Valdarno
Borgo S.Lorenzo     9 maggio 1930

Onorevole Podestà del Comune di Marradi

Mi pregio comunicarle, che la spesa occorrente per l'installazione di N° 5 lampade per la Illuminazione Pubblica di Lutirano delle quali 4 su bracci e una a sospensione, accensione con interruttore a mano, lavoro eseguito in perfetta regola d'arte, lampade escluse, ammonta a lire 1200.

Con ossequi     L'Ufficio di Borgo S.Lorenzo

  


 

Era tanto o poco? Una famosa canzone del 1939 diceva: " ... se potessi avere ... mille lire al mese ..." e dunque per la luce pubblica a Lutirano il Comune doveva spendere l'equivalente di una buona mensilità. Il podestà Federico Consolini fece i suoi conti e dopo qualche mese decise che si poteva fare. Siccome durante il Ventennio i Consigli Comunali erano aboliti, venne fatta la cosiddetta "Deliberazione podestarile" cioè si mise per iscritto la volontà del Podestà:

 COMUNE DI MARRADI
Copia di deliberazione podestarile
Marradi, 8 settembre 1930

L'anno millenovecentotrenta, VIII° dell'Era Fascista, nel giorno otto, del mese di settembre , alle ore 10, nella Residenza del Comune ...

 Riconosciuto che era opportuno provvedere alla illuminazione pubblica del centro abitato di Lutirano, illuminazione fatta, fino ad ora, con antichi fanali a petrolio e che importa spese sensibili mentre uguale e forse minore spesa si avrebbe adottando la luce elettrica con tanto miglioramento del servizio stesso ...

Delibera di dare incarico alla Società Elettrica del Valdarno di provvedere.
Il Segretario del Comune A. Bosi

 
Nel 1931 al censimento decennale, gli abitanti di questa frazione risultavano così ripartiti:

 
 
 
 
 
 
 
Panorama di Lutirano, visuale dalla strada per Tredozio.
 
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"Violino" è la deformazione italiana del romagnolo "Viotlèn = viottolino".
La stessa etimologia si trova a Modigliana a Violano, il borgo appena all'inizio del Trebbio.
 
Nei poderi Senzano e Taverna ci sono i più antichi insediamenti del Comune di Marradi. Esistevano già al tempo dei Romani, come fattorie di cui sono stati trovati i resti (che sono al Museo Archeologico di Palazzuolo sul Senio).
 
 

domenica 15 ottobre 2017

Il vescovo di Brisighella

Un tentativo (fallito) di formare
 una nuova Diocesi
ricerca di Claudio Mercatali



Brisighella ha dato i natali a ben sette cardinali e ha sempre fatto parte della Diocesi di Faenza. Però nel 1612, per ambizione, ci fu un tentativo di formare una nuova Diocesi, separata da quella faentina.
Lo storico Antonio Metelli, nella sua Storia di Brisighella e della Valle di Amone ci racconta che, essendo cambiati i tempi, passato il periodo delle fazioni fra Guelfi e Ghibellini, gli animi dei brisighellesi erano diventati "fiacchi e mogi", però ad un certo punto si risvegliò l'animo gagliardo degli abitanti della Terra e successe che... leggiamo ...
  
 

 
Dunque il clero di Marradi si oppose alla costituzione di questa nuova diocesi e i preti di Modigliana si rivolsero addirittura al Granduca Cosimo II perché impedisse il fatto.

  
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Cosimo II
de' Medici


Il Granduca scrisse a Guicciardini, suo ambasciatore in Vaticano, per impedire che Brisighella avesse giurisdizione religiosa anche nella parte della valle sotto la sua sovranità e i brisighellesi si rivolsero a Paolo Spada, il Tesoriere di Romagna, cioè un alto funzionario pontificio. Era scoppiata una guerra diplomatica fatta di intrighi e di sotterfugi, fra i corridoi vaticani. La spuntò Guicciardini e la nuova diocesi non si fece.


 

Daria Albicini di cui parla Metelli nel suo articolo era la moglie di Paolo Spada. Questi erano i genitori del futuro cardinale Bernardino Spada, che all'epoca dei fatti narrati (1612) era ancora un ragazzo.

NOTA
Una diocesi staccata da quella faentina venne poi costituita in un'altra circostanza storica (nel 1851) e la ottennero i modiglianesi. Comprendeva Dovadola, Marradi, Rocca S.Cassiano, Tredozio e altri territori della Romagna Toscana.
  


lunedì 9 ottobre 2017

La Gazzetta di Firenze

Marradi nella prima metà
dell’ Ottocento.
ricerca di Claudio Mercatali



La Gazzetta di Firenze era un giornale che fu stampato a Firenze dal 1814 al 1848, come pubblicazione ufficiale del Granducato di Toscana. Usciva il martedì, il  giovedì e il sabato e riportava notizie di cronaca ma anche avvisi legali, d’asta e di vendite coatte.

Ecco una rassegna di notizie che riguardano Marradi …







  
  1814
E' vacante la condotta medica di Palazzuolo e viene pubblicato un bando con le condizioni d'impiego ...




1817
I Pratesi specificano bene che il loro fattore a Marradi è Antonio del fu Biagio Ricci, di Luco del Mugello.
Evidentemente qualcun altro aveva cercato di spacciarsi come loro amministratore ...






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1817
C'è la carestia: il raccolto di grano è stato scarso e i castagni per il quinto anni consecutivo non hanno dato il frutto ...



1817
A Faenza c'è anche quest'anno la plurisecolare Fiera di S.Pietro e la Gazzetta di Firenze pubblica l'avviso, per gli abitanti di Marradi, Modigliana e Tredozio.

1821
Il Granduca Ferdinando III è guarito dopo una lunga malattia. Felicità e giubilo anche a Marradi ...


1830
Dopo le ripetute richieste del Comune di Marradi il Granduca concede una nuova fiera annuale del bestiame ...

1834
I fratelli Mercatali della Badia del Borgo vietano la caccia nelle loro proprietà ...



1835
Nasce Ferdinando IV, figlio del Granduca. Feste e giubilo a Marradi e a Palazzuolo ...








1835
Francesco Piani (un ricco marradese) esplode un colpo d'arma da fuoco contro il notaio Giuseppe Cavina Pratesi ...



1836
Manca il Maestro di Belle Arti e viene pubblicato un bando per trovarlo ...






1842
Il Comune pubblica il nuovo regolamento per il mercato dei bozzoli del baco da seta ...
 
 


1845
La Festa della Madonna del Popolo è particolarmente solenne ...





1845
A Rugginara si rovescia una carrozza e muore l'attore Gattinelli, di passaggio qui da noi ...

Gattinelli è il cognome di una famiglia di attori di teatro, di Lugo di Romagna, che ha dato quattro generazioni di artisti.


martedì 3 ottobre 2017

La Cecca

Una commedia del Cinquecento,
di fra' Silvano Razzi
ricerca di Claudio Mercatali



Silvano Razzi era un frate camaldolese, di Marradi, che da giovane scrisse alcune frizzanti commedie piacevoli da leggere. Suo fratello Serafino era un frate predicatore di cui abbiamo detto diverse volte qui nel blog e di cui avremo modo di ridire, ma non ora. Una delle commedie di Silvano ha titolo La Cecca ed è firmata Girolamo Razzi, che era il nome del Nostro prima di prendere i voti.
Andiamo subito a leggerla, senza divagare in notizie biografiche già note o che si possono leggere anche su internet.

Girolamo qui scrive con un buon spirito laico, ben lontano dal linguaggio monastico e religioso dei suoi scritti successivi. La vicenda è ambientata a Pisa, in un anno imprecisato della metà del Cinquecento  e tratta degli intrighi e delle avventure di Hippolito e Lattanzio, due studenti universitari.
I principali personaggi si muovono spinti dal sesso e dai soldi, e solo in secondo luogo dal sentimento.
Hippolito si è invaghito di Lucrezia, la moglie del dottor Ricciardo, e cerca in ogni modo di infilarsi in casa sua profittando di qualche assenza del geloso marito, che non la lascia mai uscire. Lucrezia è al corrente di questi tentativi e sarebbe disposta a imbastire un relazione con Hippolito perché è insoddisfatta della sua condizione di moglie.


Lattanzio invece è innamorato di Emilia, figlia del ricco Bonifazio, e soprattutto sa che lei ha una dote di 1000 ducati (una somma notevole). Suo padre l’ha data in sposa a un giovane pisano che però è scomparso in mare, su una nave assalita dai pirati mentre tornava da Palermo. Anche per lui il problema è infilarsi in casa della ragazza di nascosto e per questo si accorda con la Cecca, la serva di casa.

 

Le vicende di Hippolito e Lattanzio si intrecciano variamente nel corso della commedia e alla fine ognuno dei due ottiene il suo scopo:

Hippolito riesce a intromettersi in casa di Lucrezia, che però si mette a urlare spaventata. Poi si calma e fa sesso con lui.
Le grida mettono in allarme  il vicinato, il marito torna prima del previsto e Hippolito si butta addosso un mantello e fugge fingendosi un ladro. Lucrezia urla un’altra volta, il marito la trova spettinata e mezza nuda e non le crede, ma accetta il fatto compiuto per non perdere la faccia.

Per Lattanzio le cose sono più complicate e cerca di introdursi in casa di Emilia da una porticina laterale aperta dalla Cecca, la donna di servizio vera protagonista della commedia.

La Cecca è la serva di Bonifazio e Lisabetta, i genitori di Emilia. E’ una povera contadina, in apparenza sprovveduta “vestita di romagnuolo come si usa ai paesi suoi” e forse il marradese  Razzi quando tracciò il personaggio aveva in mente la tipica campagnola dei nostri monti serva in città. I suoi padroni la trattano male, le dicono  … o merda, che ti sia in gola …” (pg 23).

Ma come dice l’autore “ … ogni serpe ha il suo veleno” e la Cecca favorisce in ogni modo Lattanzio dietro la promessa di avere un posto di serva in casa sua quando lui sposerà la ricca Emilia. E ci riesce …

L’avventura di Lattanzio passa per tante vicissitudini e contrattempi. Il padre di Emilia, che già l’aveva data in sposa al giovane pisano scomparso in mare, la promette in sposa a Gianser Ricciardo figlio del possidente Chisica. Lo scomparso torna, inatteso, e quindi Emilia si trova con un marito, un promesso sposo e il pretendente Lattanzio, che nel frattempo ha imbastito una relazione con lei.
Anche qui c’è la scena madre: Bonifazio trova la figlia mezza nuda e scapigliata e la costringe a dire dove si è nascosto Lattanzio: si è infilato in un forziere e Bonifazio lo serra dentro con l’intenzione di buttarlo nell’ Arno …
Poi torna il sereno. Lattanzio viene accettato in casa e così anche gli interessi della rozza ma intraprendente Cecca vanno a buon fine. Girolamo Razzi sembra quasi parteggiare per lei, e la loda nell’ultima pagina della commedia come se egli fosse uno spettatore e non l’autore.  Infatti fa dire alla Cecca:

“Ho questa fede, o spettatori e mi pare di sentirvi bisbigliando dire, che la Cecca è più valente che Orlando e più d’assai ch’el Secento, poi ch’ella ha saputo fare questo mercato e guadagnarsi un padrone, el pan per sempre, e se voi gentildonne perdete i vostri begl’anni, ve ne pentirete, quando non troverete più cane che v’abbai ..”.

Girolamo Razzi non sembra proprio uno che poi si farà frate. Però si sa, la vita ha le stagioni …






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