Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

domenica 30 dicembre 2018

L'ultimo poeta

Un giudizio su Dino Campana
in un periodico cattolico
ricerca di Claudio Mercatali

 
 
Nell'ultimo dopoguerra la critica letteraria rivalutò parecchio Dino Campana. Come venne giudicato dalla stampa e dai critici letterari di cultura cattolica? Il nostro poeta nella prosa Pampa, nei Canti Orfici, dice:

  " ... Mi ero alzato. Sotto le stelle impassibili, sulla terra infinitamente deserta e misteriosa, dalla sua tenda l'uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato dall' ombra di Nessun Dio".

Questa affermazione sembra definitiva, quasi una bestemmia. Eppure i critici letterari delle riviste cattoliche spesso apprezzarono Campana senza mezzi termini, per questo suo tendere le braccia al cielo, per il suo misticismo e la mancanza assoluta di materialismo. In lui c'era l'ateo ma anche il sentimento profondo, la ricerca, il cuore e molto altro ancora.

Il giornalista Fabio Dalla Torre nel 1949 scrisse un bel editoriale su Uomini quaderno mensile di letteratura, periodico edito dalla Scuola Tipografica Calasanziana di via Bolognese, a Firenze, e dunque curato dai Padri Scolopi. L'occhiello dell' articolo è addirittura una quartina della Divina Commedia:
 
... Egli partissi povero e vetusto
E se il mondo sapesse il cor ch'egli ebbe
Mendicando sua vita frusto e frusto
Assai lo loda e più lo loderebbe
(Par. 4, 140)               

 Paolo Buttini, "Il condor" e "La caccia"
dalla rivista Uomini, 1949

 




Secondo Fabio Della Torre nei Canti Orfici, nel pellegrinaggio a La Verna, Campana …

… scrive una delle più alte pagine della poesia universale:
"Io vidi dalle solitudini mistiche staccarsi una tortora e volare distesa verso le valli immensamente aperte ..."
 
La vita errabonda e disperata del poeta non fu criticata e neanche il fatto che Campana fosse un puttaniere dichiarato. Per il giornalista tutto si poteva comprendere per:

... la speranza di trovare in un abbraccio un po' di pace:
"Se ne vanno per le strade - strette oscure e misteriose" finché scacciato anche dalle prostitute, "per le strade - ei cammina e via cammina - or le case son più rade - Trova l'erba e si distende - infangato come un cane: - da lontano un ubriaco - canta amore alle persiane".

Questo e altro ancora si può leggere nel testo qui sopra.

 ... da lontano un ubriaco canta amore alle persiane
disegno di I. Codra, da Uomini, 1949


mercoledì 26 dicembre 2018

1424 I Visconti contro i Fiorentini

La rotta di Zagonara
e di Fognano
ricerca di Claudio Mercatali

 

Negli anni 1422 – 24  Firenze cercò di conquistare la Romagna fino a Ravenna.
I Medici non erano ancora al potere e il governo era ancora repubblicano. Questi furono anni di grande forza espansiva di Firenze, che mirava ad uno sbocco verso l’Adriatico e anche gli anni del massimo splendore dei Visconti, duchi di Milano, che avevano le stesse mire. I due contendenti si affrontarono a viso aperto nella pianura vicino a Lugo in una battaglia dura, diretta, dalla quale doveva uscire un vincitore indiscusso, per stabilire una supremazia che chiudesse la contesa.

 
 
Il posto preciso è Zagonara, una piccola frazione di Lugo (Ravenna) in cui il 28 luglio 1424 avvenne lo scontro fra le truppe di Firenze e le milizie milanesi di Filippo Maria Visconti. La battaglia culminò quando Carlo I Malatesta, signore di  Rimini, al servizio dei Fiorentini, intervenne a sostegno di Alberico II da Barbiano assediato nel castello di Zagonara da una compagnia di mercenari milanesi forte di 4.000 cavalieri e 4.000 fanti. Carlo Malatesta, con 8.000 cavalieri attaccò, ma fu sconfitto e catturato, con circa 3.000 uomini d'arme e 2.000 fanti, e il castello venne distrutto.

 
 
 
L’esercito fiorentino sbandò e volse in fuga verso l’appennino. Quando la notizia arrivò a Firenze si diffuse il panico, perché si temeva che i Visconti potessero invadere il Mugello. Per questo i Fiorentini armarono un altro esercito che arrivò a Marradi nel gennaio 1425. C'era anche Ludovico Manfredi, l'aggressivo feudatario signore del Castellone, con una compagnia di circa 50 marradesi. Firenze voleva impedire l'accesso nella valle alle rapaci truppe dei Visconti.


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I Fiorentini avevano fatto le cose in grande e l'armata era sotto il comando di Niccolò Piccinino, uno dei migliori condottieri sulla piazza.
La battaglia vera e propria non ci fu, perché a Fognano Piccinino cadde in un' imboscata, e dopo un violento combattimento fu fatto prigioniero e portato a Faenza legato e diritto su un carro, perché tutti vedessero com’era ridotto.

Come andarono le cose a Fognano il primo di febbraio 1425? Come mai un capitano esperto come il Piccinino cadde in una trappola in un posto facile da attraversare, alle soglie della pianura?
Giovanni Cavalcanti, uno storico toscano vivente all' epoca dei fatti dice che l'esercito fiorentino entrò nel paese e il Piccinino si raccomandò di fare attenzione e di non abbandonarsi al saccheggio, perché la popolazione era ostile. Fissò un presidio al ponte, che era ed è anche oggi un punto obbligato e proseguì.
 
 

Però le truppe disattesero gli ordini e i popolani occuparono il ponte e lo demolirono, isolando i Fiorentini che erano già passati da tutti gli altri. Così Piccinino fu catturato dopo una furibonda mischia. Ecco qui accanto il racconto di Cavalcanti:



Il Ludovico di cui dice Cavalcanti è Ludovico Manfredi, conte di Marradi, che seguiva Piccinino con 50 lance (= cavalieri).



La battaglia di Fognano è descritta
anche dallo storico faentino
del Seicento Giulio Cesare Tonducci come si può leggere qui sotto.
 

 
 
L'armata fiorentina andò di nuovo allo sbando risalendo la nostra vallata e Firenze chiese l'armistizio. I Visconti furono quasi costretti a concederlo perché Venezia, profittando della situazione, minacciava il Ducato di Milano per avere Brescia. Qui in zona i Faentini, convinti da Piccinino, passarono dalla parte di Firenze e così cambiarono le forze in gioco. Per questo contò molto anche il fatto che la vittoria dei Milanesi era stata schiacciante e a Faenza si era diffuso il timore di essere assoggettati dai Visconti. Nel Quattrocento questi "giri di valzer" nelle alleanze erano frequenti.

 
Oriolo dei fichi
 
 
Guidantonio Manfredi signore di Faenza aveva ricevuto dai Fiorentini la promessa di avere il castellare di Oriolo dei fichi, un ricco colle al confine con Forlì.
Fu un mezzo imbroglio, perché il sito era del papa e le cose poi si complicarono abbastanza. Però questa è un'altra storia e ne parleremo fra un po'. La rotta di Zagonara e la successiva rivincita mancata a Fognano sono due episodi storici rilevanti,  descritti in tanti libri antichi. Le conseguenze furono importanti per la nostra zona perché fu chiaro che Firenze non aveva la forza per conquistare la Romagna e così la sua espansione si arrestò e non riprese mai più.

Guido Antonio Manfredi, detto Guidaccio, riuscì ad ottenere il castello
che i Fiorentini gli avevano promesso?
Da questo documento dell'Archivio delle Riformagioni di Firenze apprendiamo che il 7 marzo 1431 poco dopo la morte del papa, Guidantonio pensò che fosse giunto il momento di agire e scrisse ai governanti di Firenze, che la tiravano per le lunghe ... 

 
 
 
"Nobili ed egregi uomini ... la grandissima confidenza e la speranza indubitata che sempre ho avuto e ho in voi mi muove a notificarvi questo messaggio.
Voi sapete la singolare e filiale devozione che in passato ho avuto in quella magnifica ed eccelsa corte (Firenze) e quanto sempre per quella ho operato e fatto per la sua esaltazione e grandezza, mettendo per conservazione di essa non solo l'avere ma la propria persona e sottomettendomi a grandissimi pericoli. E inoltre vi è noto come mi fosse promesso, a chiare lettere, finita la guerra, di assegnarmi il castello di Oriolo, e seguita la pace non è successo.


Sia tramite il magnifico Signore e padre mio Conte di Urbino sia eziandio (anche) tramite i miei ambasciatori e cancellieri ho fatto domandare a quella Vostra Signoria e da loro sempre mi fu data risposta di ben fare senza alcun effetto, per la ragione che sua Santità non era contenta e nonostante che non ci fosse bisogno che quella parte fosse d'accordo con me, sono stato paziente com'era nella volontà delle Signorie loro.
Ora che il papa è morto e non c'è più ostacolo né scusa, di nuovo ho fatto domandare alla Vostra Signoria di avere il detto castello di Oriolo e la risposta loro è stata che essi erano impediti e che senza nessun dubbio l'intenzione era di darmi quello come promesso e che le cose erano andate per le lunghe non per volere ma per darmelo con l'assenso del papa e della chiesa, e perché il papa è morto ma non sono morti i cardinali che fanno tutto, e così non era morta la chiesa. Volevano attendere e vedere chi fosse papa perché avevano piacere che fosse d'accordo e allora con licenza di chi sarà mi darebbero questo castello. Della qual risposta mi meraviglio molto che, trattenendo così il mio avere, vogliano darmi a intendere di volermi più bene di quanto me ne voglia io stesso.
La qual cosa ho deliberato di notificarvi pregandovi sopra di ciò e che facciate dove bisogna quello che vi pare e comprendiate che sia un onere e un debito di quella corte (Firenze) e anche se non mi è stato detto ho inteso che è stato creato nuovo pastore (papa) il vescovo di Siena (Eugenio IV) nel quale posso comprendere che lor signori hanno o avranno grande confidenza, per la qual cosa ora mi pare il caso di dover di nuovo supplicare per la detta materia e anche considerata la risposta che ho avuto dalla Signoria loro, sperando di avere un buon effetto ... ".

da Faenza, die VII marzo 1431

Da buon romagnolo Guidantonio era stato duro e diretto nel dire, ma Oriolo dei fichi gli venne dato solo in via provvisoria. Il castello passerà sotto Faenza solo nel 1478 dopo che il suo successore avrà pagato 2.500 fiorini all' arcivescovo di Ravenna.

 

Fonti: Archivio mediceo avanti Principato filza 11 doc.7.
G.C. Tonduzzi, Historie della città di Faenza, parte III.
G.Cavalcanti, Historie Fiorentine.


sabato 22 dicembre 2018

1512 I Medici cercano di tornare a Firenze

La Repubblica vuole arruolare
dei soldati. Tumulti a Marradi.
 ricerca di Claudio Mercatali

Scritti inediti
di Nicolò Machiavelli


Nel Quattrocento i Medici furono cacciati da Firenze due volte e ogni volta ritornarono fino ad imporsi definitivamente.
La cosiddetta “seconda cacciata” avvenne nel 1494 e a Firenze nacque la Repubblica, che durò fino al 1512.
Quell'anno la situazione era drammatica perché i sostenitori dei Medici erano tanti e avevano l'aiuto degli Spagnoli. Per difendere la Repubblica serviva gente armata e Niccolò Machiavelli propose di formare una Guardia Civica, per avere un esercito senza mercenari.
Quando l’Ordinanza per l’arruolamento arrivò a Marradi in paese scoppiò un mezzo tumulto, perché una parte dei marradesi era favorevole ai Medici e non voleva combattere per la Repubblica e poi perché così venivano a mancare le migliori braccia per l’agricoltura e si rischiava la carestia.

Ecco come andarono i fatti secondo lo storico dell' Ottocento Antonio Metelli:

“I Fiorentini, per consiglio di Nicolò Machiavelli si erano risoluti di eleggere nelle milizie paesane il fiore della gioventù. Per questo avevano dato incarico a Nicolò, ma quando egli volle metterlo in atto sorsero mali umori. Ai Marradesi, che allora erano gente poco sociabile, pareva che fossero stati iscritti più uomini di quanti il Comune potesse dare, e si dolevano che troppi per famiglia fossero estratti per militare. I clamori andarono crescendo e un certo Gaspare Fabbri di Popolano, fattosi capo, non solo aveva tentato di scompigliare l’Ordinanza, ma venuto davanti a Daniello da Castiglione, connestabile in Marradi, aveva con lui usate male parole. I Fiorentini temevano che tutte quelle genti, lacerate dalle discordie civili, nel raccozzarle insieme si appiccassero fra loro qualche zuffa, che guastasse ogni cosa”.





I Marradesi mandarono degli ambasciatori al Magistrato fiorentino che aveva emesso l’ Ordinanza per ottenere un alleggerimento dell’ aggravio, e Machiavelli in persona il 24 gennaio 1512 scrisse al Comune di Marradi la lettera LVIII, qui accanto:

I Marradesi proprio non ne volevano sapere di spendere e il connestabile (= il funzionario di Firenze), un certo Daniello da Castiglione, aveva dovuto prendere alloggio in un'osteria, a spese sue.


Machiavelli si arrabbiò per questo e impose al comune di Marradi e a quello di Palazzuolo di pagare due ducati d'oro al mese per una sistemazione dignitosa.

Ecco qui accanto la lettera LIX spedita a Daniello che parla di questo e gli raccomanda anche di essere misurato e prudente, perché " ... tu vedi come cotestoro (= i Marradesi) sono poco socievoli ... tanto che a poco a poco e' si assuefaccino a questo ordine ..."






Il popolanese Gaspare Fabbri, che aveva dato il via a una protesta, doveva essere un tipo poco trattabile, tanto che Machiavelli scrisse questa lettera (LX) a Giovanni Ridolfi, commissario nella Romagna fiorentina:
Anche a Modigliana c'era agitazione e protesta per gli arruolamenti.
Machiavelli scrisse a Giovanni Ridolfi per dirgli che erano arrivati a Firenze gli ambasciatori di Modigliana. Avevano detto che il loro Comune non era disposto a fornire milizie. Machiavelli chiese di insistere.
Clicca sulle immagini per ingrandirle e leggerle meglio.



I modiglianesi risposero che in caso di bisogno il loro paese aveva una cinta muraria e una rocca. Machiavelli replicò:
... E avete per securtà vostra sanza dubbio a fare più fondamento in su questo ordine, che in su codesta fortezza, e in su codeste mura.
La Repubblica di Firenze non riuscì ad arruolare la milizia così come Machiavelli avrebbe voluto, né a Marradi né altrove. Dopo pochi mesi Giovanni de' Medici, sconfitti i Francesi di Luigi XII, rientrò a Firenze e la Repubblica venne abbattuta.

Fonti: Antonio Metelli Storia di Brisighella e della Val d'Amone
Giuseppe Canestrini (1857) Scritti inediti di Nicolò Machiavelli

  

mercoledì 19 dicembre 2018

Un trekking nella neve a Grisigliano

Un sito antico
con tante belle vedute
 Resoconto di Claudio Mercatali

La partenza

Oggi è il 17 dicembre ed è caduta la prima neve. Un manto di dieci centimetri copre i monti e le strade del paese. E’ spuntato il sole, la temperatura è a zero e quindi non c’è fango. Tempo ottimo per un trekking a Grisigliano.

Dov’è questo posto? L’imbocco della strada che porta là è quasi in cima al Passo del Torretto, dove c’è un cartello molto chiaro. L’anello di oggi si potrebbe fare anche in mountain bike, perché è campestre per metà e poi lungo una salita tosta ma asfaltata. Sarebbe ottimo anche con le ciaspole se fosse nevicato di più, però oggi bastano gli scarponi impermeabili.
Beccugiano
Il primo chilometro è una strada campestre in piano che si snoda di fronte alla villa di Beccugiano, che fa bella mostra di sé sul versante opposto. E’ un complesso di diversi edifici del Cinquecento, rivendicato dallo Stato Pontificio per almeno due secoli, finché alla fine del Settecento il Granducato e lo Stato della Chiesa vennero a un accordo per la rettifica del confine: il podere di Loiano passò al Comune di Brisighella e Beccugiano rimase nel Granducato in modo definitivo.
Nell’archivio storico di Marradi ci sono diversi documenti che parlano di questa disputa, fra i quali questa lettera di risposta al Gonfaloniere Nuti, di Marradi, che aveva scritto a Firenze preoccupato:

Magistrato Vostro, si è veduto dalla vostra lettera riguardo ai confini del Granducato con quello della Santa Sede, che si sono ritrovati i Termini rotti a Loiano, al Poggiolo delle Lame e a Beccugiano, e paga bene che li abbiate serbati, ammassati nella villa e datomene conto, ma adesso manco di ordinarvi altro intorno alla questione, perché si va trattando a Roma sulla questione e perciò bisogna aspettare la futura primavera a restaurare questi Termini, lasciandoli ora costì". E che il Signore vi guardi,

Firenze 11 dicembre 1732


Beccugiano, Loiano, Grisigliano sono tutti toponimi con la stessa origine. Giano nella antica Roma era il dio bifronte e il suo nome è stato usato tante volte, qui da noi e altrove, per indicare dei posti con ampia visuale, come sono appunto quelli che stiamo percorrendo.
Dopo un quarto d’ora di cammino in mezzo alle belle vedute dei monti si arriva a Casa Checca, una villa di campagna secolare proprietà della famiglia Zacchini di Marradi.



L’interno è decorato con dei bei dipinti attribuiti a Galileo Chini, visibili nel blog alla voce “Affreschi" dell’archivio tematico.

Un dipinto
nella sala di Casa Checca.

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se le vuoi ingrandire
 Da Casa Checca si vede bene la chiesina di Grisigliano, costruita per metà nel Cinquecento e per l’altra metà nel 1712, come indica la data incisa sulla porta di ingresso.


 A fianco: La chiesa vista dalla parte costruita nel 1712. Sopra: La chiesa dalla parte già costruita nel Cinquecento.



 

La campestre che stiamo percorrendo è una via medioevale molto antica, probabilmente precedente alla attuale strada per Modigliana. Dopo la chiesa questa via scende in mezzo ai campi fino al podere Le Ville, dove bisogna deviare per cambiare versante.
Le Ville
  
La nostra meta ora sono i poderi Zana e Zanella, che si vedono benissimo da qui.

A Zana si arriva alla strada provinciale asfaltata, da percorrere in salita per due chilometri per ritornare al punto in cui è parcheggiata l’automobile. La camminata è piacevole, c’è il sole pieno e si suda abbastanza anche se la temperatura è a zero. Con la mountain bike si farebbe prima ma con altrettanta fatica perché il Passo del Torretto è tosto. La sera scende rapidamente perché il Sole tramonta dietro ai monti lontani, alle mie spalle. Nel silenzio della campagna mi fa compagnia la mia ombra sempre più lunga stampata nella strada.
 
La zona nella carta del Catasto
Leopoldino (1830) con l'altimetria
attuale sovrapposta.
In 200 anni qui non è cambiato quasi niente.

domenica 16 dicembre 2018

La liberazione di Faenza

 La Cronaca dei duri
combattimenti
nei dintorni della città
Ricerca di Claudio Mercatali


Il 16 dicembre 1944 i neozelandesi della VIII Armata inglese entrarono a Faenza da Borgo Durbecco, dalla parte di Forlì e altre truppe inglesi entrarono da Porta Montanara.

I Tedeschi avevano fatto una resistenza accanita, durata più di un mese, nelle campagne attorno alla città e poi nella periferia e dentro il centro abitato. La popolazione era sbigottita, stremata, i morti fra i civili erano stati molti.


 

 

 

Il motivo di tanto accanimento era dovuto al fatto che la direttrice Faenza – Ravenna era l’ultimo caposaldo della Linea Gotica e doveva essere difeso dai Tedeschi a tutti i costi. In effetti il fronte si fermò subito dopo la città, e gli Inglesi si attestarono sul fiume Senio senza arrivare a Castelbolognese, che dista solo sei chilometri da Faenza. L’avanzata definitiva ci fu solo dopo alcuni mesi, il 25 aprile 1944, quando il fronte tedesco fu travolto. I Tedeschi pagarono un prezzo altissimo per questa resistenza: l’Amministrazione del Cimitero tedesco della Futa, dove ci sono 32.000 tombe, ci dice che nel trimestre settembre – novembre le truppe della Wermacht lungo la Linea Gotica, soprattutto in Romagna, subirono in media 200 morti al giorno.

 

 
Ora lasciamo che la cronaca di questo avvenimento sia raccontata da un sopravvissuto, che tenne un diario su quanto gli capitò di vedere in quei giorni a Faenza.
 
Come si vede qui sopra, l'VIII Armata Inglese, composta anche da reparti Canadesi, Polacchi, Indiani, Neozelandesi e Australiani avanzava in due direzioni: lungo la Via Emilia (frecce rosse) e le valli dell' appennino.

 25 novembre
La città è in mezzo ai combattimenti da più di due settimane:
... Giornata nebbiosa. Appare la "cicogna" (un ricognitore inglese) e comincia il tiro delle artiglierie anche di giorno. Si parla di fame! ...
  


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 4 dicembre
... Dalle 9 alle 11 sei ondate di bombardieri cercano di sconvolgere le postazioni di mitragliatrici attaccate alla sponda sinistra del fiume ...





8 dicembre
... E' impossibile uscire dai rifugi: ogni punto della città è battuto da granate di ogni calibro ...




13 dicembre
... nella notte sentiamo la battaglia accanirsi a sud della città ...











16 dicembre (sabato)
... al mattino si sparge improvvisa la notizia che i Tedeschi hanno abbandonato la città ...










 17 dicembre
... e termina il periodo in cui abbiamo più sofferto e più amato ...







Fonte:   Emeroteca della Biblioteca Manfrediana di Faenza, per gentile concessione.


venerdì 7 dicembre 2018

Le Maire di Marradi


Quando Marradi
faceva parte
dell'Impero Francese
ricerca di Claudio Mercatali

 

Le Maire in Francia o il borgomastro in Belgio e altrove, è l'equivalente del nostro Sindaco, però con maggiori poteri. Anche il Comune di Marradi, per circa cinque o sei anni, venne amministrato da un maire.

Successe dal 1808 al 1814, durante il periodo napoleonico, quando la Toscana fu annessa all'Impero Francese ed entrarono in vigore qui da noi gli ordinamenti transalpini. L'unico maire di Marradi fu un certo Remigio Fabroni e non ebbe un successore, perché Napoleone cadde e tornarono in vigore le leggi del Granducato di Toscana, che non prevedevano un maire ma un gonfaloniere.

Remigio era un signore che scriveva molto e bene, era un po' polemico nelle sue richieste, e per vezzo non si firmava quasi mai. Le sue lettere hanno solo l'intestazione "Maire di Marradi" o "Al Prefetto di Firenze" e danno per scontato che si riconoscesse la sua grafia e che il maire era lui. Che cosa successe a Marradi nei cinque anni in cui il paese fece parte dell'Impero Francese? Le maire Remigio dovette far fronte a una serie di situazioni incredibili. Leggiamo ...
 
19 luglio 1809
 
Nel 1809 il Comune di Marradi era poco sicuro, perché il confine con l'agitata Romagna del primo Ottocento, che faceva parte di un altro stato, veniva spesso oltrepassato da "insorgenti". Chi erano costoro? Era gente varia: ribelli anti napoleonici, disertori, renitenti alle leve francesi, sbandati ...



Sig. Direttore della Polizia e Sig. Prefetto

Oggi verso le ore sette pomeridiane sono corsi qui in fretta il tenente d'ordine della Dogana di Popolano ed il Cancelliere di questa Giustizia di Pace ad annunziare che un preposé (in italiano un preposto, un doganiere) aveva riferito che una grossa banda di insorgenti si avanzava verso questo paese. La costernazione è stata somma, ma uguale si è dimostrato il buono spirito degli abitanti e il loro attaccamento al Governo. Sembra certo che la voce suddetta non abbia avuto altro fondamento che l'ubriachezza del suo preposé. Qui tutto è tranquillissimo ...



L'Italia sotto Napoleone (1809 - 1814). In chiaro i territori uniti alla Francia.
In grigio i territori del Regno d'Italia e di Napoli.

 
 

 Non era vero niente. C'era in giro la banda del bandito Burìga, però chiamare i soldati francesi sarebbe stato peggio. Chi era questo Buriga? Per saperlo si può leggere l'articolo pubblicato nel luglio 2010 su questo blog. Dunque non si poteva far finta di niente e Remigio scrisse quest' altra lettera al Prefetto:
 

21 Luglio 1809 I Banditi

Al Sig. Prefetto e al Sig. Direttore Generale della Polizia in Toscana, Firenze
 
Dall'accluso Processo Verbale rileverete che ieri si è fatta vedere, dall'estremità di questo comune dalla parte del Regno Italico (... dalla Romagna) una banda di uomini armati la quale però ha fatta un'apparizione momentanea ...



 4 Agosto 1809   San Napoleone

Il nome Napoleone mancava di un onomastico, che poteva servire per il culto della personalità. Nel 1805 il cardinale Caprara, consultando il Martirologio, trovò al 2 maggio la memoria dei santi martiri di Alessandria, tra cui un certo "Neopolus", parola che assomigliava a "Napoleo". Così, l'ignoto san Neopolo venne ribattezzato san Napoleone.
La memoria del santo fu spostata dal 2 maggio, data del suo martirio, al 15 agosto, compleanno dell' Imperatore. Che cosa non si fa per accontentare il despota!



L' 11 agosto 1809 la festa del "santo" il Prefetto scrisse al Vicario maire di Marradi perché organizzasse le opportune celebrazioni, e così Remigio dispose che i marradesi alle cinque del pomeriggio di ferragosto andassero alla chiesa arcipretale dove si celebrò una messa solenne con tutti i preti. Ecco qui accanto il resoconto del fatto ...
 
Sig Vicario di Marradi
 
Il Decreto Imperiale del 29 febbraio 1806 all'art. 3 prescrive che nella celebrazione della Festa di San Napoleone del 15 agosto di ciascun anno un ministro del culto pronunzierà davanti alla processione un discorso analogo alla circostanza ...
 
 
 
 

Ottobre 1809 Il disertore

Napoleone era saldo al potere ed era prevedibile che Marradi sarebbe rimasto per sempre nell' Impero. Remigio per adeguarsi ai tempi cominciò a scrivere al Prefetto in francese. Ecco qui accanto una corrispondenza, scritta in un francese un po' nostrano, in cui le Maire dà notizie di uno dei tanti coscritti disertori ...
Ms le Prefet
Jai le deplaisir de voir par votre lettre ...


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 Il prefetto non gradì per niente lo sgrammaticato francese di Remigio e gliela restituì ... però nemmeno lui era un gran che a scrivere ...
 
Sig. Sindaco di Pace di Marradi
 
Vi ritorno la vostra lettera acciò mi facciate il piacere di farmene una traduzione perché è scritta in una lingua che rassomiglia in qualche parola il francese ma che assolutamente non è il francese che ho studiato ...
 
 
 
 
 
Accanto: i coscritti in una rievocazione storica a Tolentino

 
Aprile 18010  I coscritti

I Francesi portavano idee nuove, la modernità, la liberté, l'egalité, la fraternité, ma qui da noi erano poco amati, perché con loro arrivavano anche tante tasse per le spese di guerra e la coscrizione, cioè l'obbligo di arruolarsi negli eserciti dell' Impero. Con Napoleone la guerra si faceva davvero, di continuo e dappertutto in Europa e i marradesi non erano per niente contenti di essere "coscritti" cioè richiamati alle armi, però non era facile sottrarsi. Ecco un elenco di coscritti dell'anno 1810.
 
 

 

 

Aprile 1810 Il matrimonio dell'Imperatore

Il primo aprile 1810 Napoleone sposò Maria Luisa, figlia dell' Imperatore d'Austria. Il Prefetto da Firenze ordinò di gioire e Remigio organizzò una festa, con la distribuzione di pane a cento poveri, l'albero della cuccagna in piazza, una festa da ballo in comune e altro ancora, come si legge nel bando qui accanto ...

 Le maire della Comunità di Marradi ai suoi Amministrati
 
Un avvenimento quanto impensato, altrettanto fecondo delle più lusinghiere speranze il Matrimonio, cioè, di Sua S.M. l'Imperatore e Re Nostro Sovrano risvegliar deve in ogni cuore la riconoscenza e la gioia.
Penetrato da tali sentimenti il maire predetto per vie più inspirali altrui intende al Decreto del Sig. Prefetto del Dipartimento dell'Arno de 4 aprile 1810 e alla di Lui lettera del 16 detto.
Gode di annunciare che domenica prossima 29 aprile è il giorno destinato a festeggiare in questo Comune l'augusta unione foriera di pace e di felicità.
La mattina pertanto circa le ore undici Cento Poveri riceveranno una distribuzione di pane onde esultino essi pure in un giorno si lieto ...
 

 
 
Accanto:
il Re di Roma

 


Marzo 1811
Il Re di Roma

Napoleone ebbe un figlio da Maria Luisa d'Asburgo, detto il Re di Roma. Il suo vero nome era Napoleone Francesco Giuseppe Carlo Bonaparte o Napoleone II (1811 - 1832). Nei giorni seguenti la nascita, come al solito, il Prefetto scrisse al Maire di Marradi perché la popolazione fosse informata e gioisse. E il copione si ripeté: elemosina ai poveri, messa solenne e fuochi d'artificio, come si legge in questo bando ...
Però a parte tutto questo nel periodo napoleonico vennero introdotte importanti riforme. I privilegi degli ordini religiosi furono aboliti e i monasteri soppressi, compreso quello delle Domenicane di Marradi, che furono espropriate (e depredate) di tutto.
Il nuovo Codice Napoleonico abolì quasi tutte le vecchie leggi granducali e introdusse il matrimonio civile e il divorzio, destando scandalo. Ognuna di queste novità ebbe un effetto a Marradi, ma ora non è il caso di parlarne per non allungare troppo questa ricerca.
 
 
1 luglio 1810  
La "denuncia dei redditi"
 
Fra le tante riforme napoleoniche c'era anche quella della pubblica amministrazione e il maire, con i suoi consiglieri, venne obbligato a pubblicare i propri redditi.
Fu così che Remigio Fabroni, abituato per tradizione di famiglia a stare un po' al di sopra delle leggi, dovette rassegnarsi a rendere pubblici i suoi redditi.
Però trovò uno stratagemma per non farlo, e infatti nel documento qui accanto ci sono le rendite di tutti i consiglieri ma non le sue. Come fece? Dichiarò nel documento che i suoi beni non erano definibili perché indivisi con quelli di suo fratello Antonio. Il compito di controllore di se stesso era difficile anche allora.
  

 

 

16 marzo 1814 La disfatta
Tutte le fortune politiche toccano un vertice e poi scendono e quella di Napoleone non fu da meno.
Dopo la disastrosa campagna di Russia l'imperatore fu sconfitto a Lipsia, alla metà di ottobre del 1813, e confinato in un primo tempo all' isola d'Elba.
Quando arrivò la notizia del disastro di Lipsia l'Armée d'Italie si sfasciò e i soldati disertarono in massa vendendo le armi. Il viceprefetto di Firenze (il Prefetto si era defilato) mandò un bando a Marradi, nel quale si offriva un premio ai cittadini che riconsegnavano alle autorità le armi abbandonate.

Il documento è qui accanto.
 
STATO MAGGIORE GENERALE Ordine del giorno
 
Un gran numero di soldati italiani e di disertori napoletani rientrati nei loro focolari con armi e bagagli si sono disfatti delle prime vendendole a prezzi vili agli abitanti delle terre occupate ...
 
L'ultimo tentativo di rifare l'Impero fallirà a Waterloo il 18 giugno 1815.
 

Ottobre 1814
Il ritorno del Granduca

L'epoca napoleonica finì così, e tornarono i vecchi regnanti. Ferdinando III di Lorena rientrò in Toscana nel settembre 1814. I marradesi avevano un buon ricordo di lui e forse non furono scontenti. In Comune venne allestita una cerimonia di giuramento di fedeltà al Sovrano, un po' mesta a dire il vero, che si svolse come si legge in questo documento.

A Sinistra: Il giuramento

... Sarà preparata una stanza, con un tavolino con tappeto sopra del quale la và collocato il ritratto del Sovrano ...

 
Ferdinando III di Lorena

 

La calligrafia non è quella di Remigio, perché non ha le esse con lo svolazzo. Evidentemente le Maire aveva pensato di sparire per qualche tempo. Però non ci furono vendette, perché il Granduca amnistiò tutti.
 

Fonti: Documenti dell'Archivio storico del Comune di Marradi. Si ringrazia l'archivista Mario Catani per l'indispensabile aiuto dato.