Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

sabato 12 gennaio 2019

In favore del buon uso della zeta

Le regole secondo
Orlando Pescetti (1588)
Ricerca di Claudio Mercatali

  


Orlando Pescetti era un letterato vissuto a cavallo fra il Cinquecento e il Seicento, nativo di Marradi. Ce lo dice lui stesso nel prologo de “La Regia Pastorella” una commedia pesantissima da leggere, come quasi tutte quelle di quel periodo. Orlando per motivi che non conosciamo si trasferì a Verona e visse sempre in Veneto, mentre i suoi parenti rimasero a Marradi, nella casa di famiglia, vicino alla chiesa arcipretale e a fianco di quella di Dino Campana. Oggi non c’è più perché una bomba la rase al suolo nel 1944.

 
 
Pescetti oltre che commediografo era un critico letterario spesso al centro di dispute e polemiche e anche un linguista abbastanza autorevole e autoritario. Ecco, ora ci interessa in quest’ultima veste, a proposito della corretta pronuncia della lettera zeta. Per capire bene quello che stiamo per leggere ci serve un ripassino sulle consonanti. Queste lettere per essere pronunciate richiedono un certo movimento della bocca. Se avete dei dubbi provate con voi stessi: riuscite a dire “b” senza battere le labbra? E “c” senza appoggiare la lingua al palato? No di certo e quindi i linguisti le hanno suddivise così:

Labiali: dobbiamo chiudere e aprire le labbra (p, b, f, v, m)
Linguali: per pronunciarle usiamo la punta della lingua (l, r)
Dentali: la lingua si appoggia ai denti anteriori (d, t, s, z, n)
Palatali: la lingua si appoggia al palato (c, g)
Gutturali: serriamo le labbra come per fischiare (c di collo, g di gufo, q)

Oltre a questo le Dentali esse e zeta, hanno una doppia fonetica:

 
 
 
La esse è sonora (o dolce)  in “rosa”, e sorda (o aspra) in “sala”. La zeta è sonora (o dolce)  in “zanzara”, e sorda (o aspra) in “pazzo”.

Ora ci interessa la zeta, che per la sua doppia fonetica condiziona la pronuncia di tante parole. In Toscana si usa dolce o aspra a seconda delle parole, mentre in Emilia si usa quasi sempre dolce. Insomma la parola “zucchero” si deve dire con la zeta di pazzo, come fanno a Firenze o con quella di zanzara, come a Bologna? Oggi il problema non c’è, perché si accettano ambedue le pronunce, ma in passato non era così.

Leggete che cosa scrisse Orlando Pescetti sull’ uso corretto della zeta, che secondo lui va usata sempre come in Toscana.
 
 
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Fonte: Testo estratto da un originale della stamperia Girolamo Discepolo, Verona 1588.


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