giovedì 23 dicembre 2010

1773 Il palazzo comunale di Marradi

Si costruisce il nuovo Pretorio
sulle fondamenta
di un vecchio edificiodi Claudio Mercatali


Il Pretorio nel 1898

Il Palazzo Pretorio di Marradi verso la fine del Settecento era mal ridotto, e si decise di ristrutturarlo completamente. Per questo il Granduca concesse 1500 scudi con un Regio Decreto datato 23 agosto 1773. Però questo era solo un contributo, e per far fronte al costo totale si dovettero aumentare le tasse nel biennio 1774 – 1775. Anche Palazzuolo fu chiamato a concorrere alla spesa, perché nel palazzo c’era la sede del nuovo Vicariato (= il tribunale), che comprendeva tutti e due i comuni e sostituiva le vecchie Podesterie, che erano state soppresse.

Il primo sopralluogo di un tecnico non fu molto confortante:
“Io sottoscritto, nel giugno 1772, ho visitato il Palazzo Pretorio di Marradi. Questo palazzo è com­posto di una pessima costruzione, tutta piena di squarci, scollegazioni, con una parte della loggia fuori piombo. Conviene disfare e rifare gran parte del muro maestro e porvi quattro catene che do­vranno arrivare da sotto a tenere diritta la fabbrica, la quale si trova malandata e umida …”.
Che è quanto, a dì 12 agosto 1772 Agostino Fortini, ingegnere

I lavori cominciarono nel 1773. Intanto il tribunale del nuovo Vicariato aveva cominciato a funzionare in modo un po’ provvisorio:
“Il notaro di codesto tribunale lamenta che essendo in costruzione il Pretorio, si pretende di obbli­garlo a portarsi a Palazzuolo, invece di trovargli una conveniente abitazione in codesta Terra. Se­condo le leggi in vigore, nel tempo in cui non sarà finito il Pretorio, gli spetta un quartiere dove possa tenere la sua abitazione senza alcuno aggravio o spesa. E resto”.
Il Notaro civile Filippo Cioni 15 marzo 1774

Durante la costruzione ci furono delle varianti nel loggiato (che aveva solo cinque archi e non sette come oggi) e si decise di costruire la Torre dell’orologio. Questo fece raddoppiare la spesa. Palazzuolo protestò e chiese di concorrere solo per la quota inizialmente prevista e iniziò così una lite. 

Quando il conto con la spesa raddoppiata arrivò a Firenze, assieme alle proteste di Palazzuolo, il Curatore granducale scrisse questa lettera dura e molto bella al Gonfaloniere di Marradi:
“Ho ricevuto la lettera di vostra Eccellenza datata 30 maggio, e con essa alcuni dei documenti da me richiestili per l’opportuno chiarimento delle ragioni di Codesta Comunità di Marradi in ordine al Palazzo Pretorile e ricevo pure un ristretto di ragioni della medesima Comunità contro quella di Palazzuolo. Tutto questo va bene, ma se non m’inganno credo che ancora qua siano mancanti altri documenti, perché non comprendo come avendo proposto quel Generale Consiglio un disegno che porta alla spesa di 1500 scudi, approvato dal Sovrano con il suo R.D. al dì 23 agosto 1773, si sia poi potuta fare la spesa di 3317 scudi. Io capisco benissimo che oltre alla spesa del divisato disegno vi sarà quella del loggiato, vi sarà quella del Rologio, della Torre e qualche altra cosa, ma se si hanno da fare le giustificazioni ci vuole per questo anco il corredo degli opportuni documenti. Perciò favo­rirà Vostra Eccellenza rimettermi tutto ciò che ci sia in codesta Cancelleria riguardo a questo affare. Vi aggiungerà tutte le decisioni del Consiglio Generale (= il Consiglio comunale) e dei Soli di Seggio (= i Priori, cioè gli assessori), affinché noi vediamo com’ei s’ingegna di sapere il bene e il male per poter fare l’opportuna distinta. Favorisca avvisarmi se il ricorso fatto dai Palazzolesi per l’esenzione di Palazzuolo dalla spesa fu fatto nel 1774 o dopo terminata la fabbrica e se fu fatto prima della terminazione della fabbrica mi invii quel foglio che fu fatto”.
La piazza di Marradi e il Pretorio nel 1822, (catasto Leopoldino).

Anche durante la costruzione c’era stato qualche pa­sticcio e un certo Gaetano Piani si lamentò perché un muro del nuovo palazzo era stato costruito nella sua proprietà. Alla fine il capomastro ammise il fatto e il Piani fu risarcito:
“Io appiè sottoscritto perito muratore, capomastro alla ricostruzione del Palazzo Pretorio accetto la pura e vera verità di aver occupato un pezzetto del cortile di pertinenza della casa del sig. Gaetano del fu Francesco Piani, e di essermi servito di un suo muro d’appoggio e di aver murato una finestra dalla quale si vedeva maggior lume di quella che è stata aperta di nuovo. Io stimo e valuto il danno in 28 monete fiorentine (scudi). In fede io Stefano Mazza affermo quanto sopra

A chi spettava il mantenimento dei nuovi palazzi pretorili sedi di Vicariato? Data l’aspra lite fra Marradi e Palazzuolo il Granduca intervenne perentorio:
La piantina del primo piano del Palazzo Pretorio prima della ristrutturazione del 1773 (clicca sulla piantina per ingrandirla)
“Sua Altezza Reale, volendo togliere ogni dubbio sulla spese di mantenimento dei Palazzi Pretori, si è degnato di dichiarare che dette spese sono considerate ordinarie e toccano alle varie Comunità. Per il caso che un Palazzo Pretorio serva a più comunità, e non si trovi accordo nel riparto delle spese, ogni Comunità concorrerà con un importo pari a quello che ogni anno impegnava per la sua soppressa Podesteria”. Firenze, 6 febbraio 1776

Per attivare il nuovo Vicariato servivano anche le carceri, che erano nel retro del Comune. Perciò nel 1776 da Firenze si volle sapere se le prigioni erano finite e idonee:
“ Desidero sapere da Vostra Signoria (il Gonfaloniere) in quale stato si trovi codesto palazzo Preto­rio e le sue carceri, e se siano abitabili senza pericolo per la salute di chi vi fosse messo. Ella dunque unitamente a codesto Vicario a cui pure scrivo per l’istesso oggetto, si compiacerà di commettere a due periti muratori, al medico e al cerusico condotto una visita in dette carceri e gli farà fare la relazione del loro sentimento. Favorirà di trasmettermi la relazione dicendomi anche quello che ne pensa la Signoria Vostra, che assisterà alla visita. Vorrei un sicuro riscontro per decidere se convenga differire l’apertura del Tribunale del nuovo Vicariato e con sincera stima mi confirmo”. Dalle Legazioni delle Tratte, Firenze, 10 Settembre 1776

Finalmente alla fine del 1776 l’opera ebbe termine e fu inaugurato anche il nuovo orologio da torre, costruito dall’artigiano fiorentino Giuseppe Baggiacchi, che rilasciò questa garanzia:
Io infrascritto, avendo venduto al prezzo stabilito al Magistrato di Marradi un orologio da torre e postolo convenientemente nella nuova torre del Comune, in virtù di ciò prometto e mi obbligo che qualora detto orologio venisse a soffrire, nel corso di anni tre, qualunque alterazione e difetto dell’ arte, di raggiustarlo a tutte mie spese e di rimetterlo nello stato in cui di presente si ritrova e ciò sotto l’obbligo della mia propria persona, eredi e beni e beni de’ miei eredi, presenti e futuri, e che così sia fatto”.
Io Giuseppe Baggiacchi, orologiaio, tutto ciò affermo, In Dei nomine, amen 11 giugno 1776

Fonte Documenti dell’Archivio storico di Marradi, filza degli atti dal 1771 al 1778, come da inventario


Gabbanino "il tenore"

Cantastorie del nostro
Appennino
di Giuseppe Gurioli

 

                                                                  Gabbanino suona la fisarmonica

 
 
Gabbanino, al secolo Nello Sartoni, era nativo di Razzuolo e abitò per tanti anni a Crespino del Lamone. Di mestiere faceva il boscaiolo e per passione il cantastorie. In romagnolo “e gabàn” è un soprabito lungo, rustico, ma la parola “gabbana” c’è anche in italiano. Il personaggio è interessante e merita parlare di lui. Però è meglio lasciar dire a sua figlia Miranda:
 
“Nel comune di Borgo S.Lorenzo, a Razzolo, da Angelo e Rosa il 6 ottobre 1912 nacque un maschietto che venne chiamato Nello, e precisamente in un podere chiamato Giuvigiana, in una famiglia numerosa dove nonni, figli, cognate, zie, nipoti e cugini vivevano insieme nella stessa povertà. I primi anni della sua vita furono spensierati come lo sono quelli di tutti i bambini, ma questo durò poco. Nel 1915 scoppiò la guerra e suo padre partì per il fronte, tornò tre anni dopo stanco e ammalato. Ebbe anche la brutta idea di lasciare quella grande famiglia e con la moglie e il piccolo Nello andò ad abitare a Gattaia; purtroppo in quel paese anche i gatti morivano di fame e la famiglia si era ingrandita. Erano nati due gemelli e per poterli sfamare i tre bimbi furono mandati a fare i garzoni in famiglie anche più povere della loro, dove del cibo se ne vedeva poco. Nello era ormai un bel ragazzo di diciotto anni, che seguiva il babbo nel mestiere del boscaiolo, ma soprattutto lo seguiva quando con la fisarmonica in spalla andava a fare qualche veglia in casa di qualche amico: lui adorava la fisarmonica, aveva la musica nel cuore e nel sangue. Amava le feste, il canto e il ballo e presto con estrema facilità e senza nessun maestro aveva imparato a suonare benissimo …”
 
L’inverno del 1930 fu terribile, freddo e lungo. Nello aveva le scarpe rotte, i piedi bagnati e gelati. Si ammalò di polmonite e per poco non morì. Questa vicenda si coglie nello stornello “Il Carnevale”, che dice così:
 
IL CARNEVALE (1931)
Poveri giorni del Carnevale – morìto male senza danzare. – Queste ragazze son mezze pazze – se i giovanotti non le fanno divertire – e la causa della moneta non torna più. – Nella cuccagna c'è una magagna e la cincina ha fatto il nido già. Se non potremo andare scarnevalando – staremo in casa a raccontar novelle. – Così le scarpe non si sciuperanno – a strascicare forte forte – per ballare sulle pianelle. – Così non prenderan le rinfrescate – anche se loro vanno scollacciate. – Così le mamme non brontoleranno – con le figlie staranno – e noi gli canterem la cin cin cin. E la cin cin cin la ci rovina – pulin, pulin pulin; la vuoi cantar – e la cocuzza ci rimpetuzza – filin pulin pulin; - e per canzonar le damigelle - coi cavalieri, questi pensieri – le fan tremar – le ballerine coi ballerini – senza i quattrini non si posson divertir – tristo carnevale del ’31 – non ballerà quasi nessuno – perché in terra c’è la cin cin cin. - Quando verrà la Quaresima non sarà più medesima, si farà un grosso cambiamento - le aringhe vanno a spasso e i salacchini - abbasso il baccalà - si mangerà la domenica - lungo la settimana sei polente si farà, - e ancor più se nevica, poi c'è una donna - fra tutte, fra queste più brutta fa una - discreta figura, mi sembra un camino o una - vettura quando viaggia in pianura. - E farci un vestito lei ci fa una grande strage - e il suo specchio le dà gran bellezza gli appar - lei mi sembra un rimorchio in garage.
 
Sua figlia continua dicendo:
“ … molti dicevano a Nello che con le sue doti di suonatore e cantante sarebbe diventato celebre. Lo indirizzarono al maestro Cesarini, famoso compositore e pianista fiorentino autore di “Firenze sogna” che dopo averlo ascoltato gli diede buone speranze, ma le speranze costarono troppo care , e dopo aver speso i miseri risparmi per poche lezioni decise di ritornare in famiglia, che si era trasferita a Crespino del Lamone …”.
 
A carnevale e nelle serate danzanti Nello era sempre più ricercato e applaudito. Ora lo chiamavano “il tenore” e dove c’era lui si creava allegria. Le donne se lo contendevano ma lui si innamorò di Rosina e la sposò il 23 aprile 1936. Nel 1940 nacque la sua primogenita e fu chiamata Miranda.
 
Nel 1944, con l’arrivo degli Alleati, ricominciò la vita e Nello riprese a cantare i suoi stornelli:
“ … i soldati inglesi avevano viveri, soldi e una gran voglia di divertirsi e portavano Gabbanino sempre con loro, e gli riempivano il tascapane di roba da mangiare … nel 1949 nacque Milena, bella come una bambola. Anche la figlia Miranda aveva passione per il canto e prese lezioni dal maestro Bentini i Faenza e dal maestro Sardi di Borgo S.Lorenzo. Poi emigrò in Svizzera.
Nel settembre del 1977 Gabbanino fu investito da un’auto a Borgo S.Lorenzo, a pochi passi da casa, e dopo 40 giorni morì. Aveva solo 65 anni. Dopo più di trent’anni il suo ricordo era ancora vivo nella gente e: “ … questo aveva stupito sua figlia Miranda che, tornata dalla Svizzera, aveva ricominciato a cantare nelle piazze del Mugello e nelle feste folcloristiche le canzoni di Gabbanino, per non dimenticare il padre, l’uomo che aveva tanto amato”.



 
Gabbanino "in azione" durante una serata
Nello Sartoni è stato ricordato nell’Ottobre del GEM (gruppo escursionistico marradese) al rifugio di Coloreto, e la figlia Miranda ha cantato le ballate di suo padre accompagnata dal chitarrista Antonio Rocca e da alcuni componenti dei Maggiaioli di Povlò.
 
Nelle serate di Gabbanino le ballate più richieste erano queste: Il Carnevale (1931), la Canzone di Calistro (1933), La pentola bolle (1934), La Nella di Razzolo, La volpe di Santòla, Il toro di Massalto. A proposito del Toro di Massalto Gabbanino diceva che: “Questa non è una semplice novella, ma la narrazione di una vicenda realmente accaduta ai Razzolesi, che insieme a me furono sorpresi da un toro infuriato, nei pressi di Acqua Buona …”.

Su internet c'è una bella versione di questa ballata, di Caterina Bueno, che è stata una brava interprete di canti popolari. Chi vuole può digitare "Il toro di Massalto Caterina Bueno" andare sui video e cliccare sull' icona "Le raccolte di nonno Ovilio". Partirà un canto piacevole … e potrete seguire il racconto con il testo qui sotto, se avete problemi con la cadenza mugellana ...
 
IL TORO DI MASSALTO

· Amici cari se mi ascolterete – la verità vi fò toccar con mano – raccapricciante quando sentirete – de’ Razzolesi un fatto molto strano.
· Una bella squadra organizzata – di giovanotti fà una girata – per divertirsi con l’organino – il suonatore gli è Gabbanino – era Cannozza l’uomo più retto – e l’organino portava Giorgetto – il suonatore ci ha il piede zoppo – poi sentirete cammina anche troppo. D'estate sull'altura è bello frescheggiar - c'e l'aria bona e pura - l'è una felicità.
· Tutti eleganti fecero partenza – la passeggiata si iniziò discreta – in quella strada in piena conoscenza – diretti se ne andarono a Moscheta.
· Si divertirono tutta la sera – con le ragazze discrete che c’era – nei casolari e nella foresta – la sera tardi a gamba lesta – e per ritornare all’abitazione – or sentirete che confusione – a Rifredo e al Barco fecero sosta – poi nuovamente fecer ribotta – verso le due di notte decisero partir – finite le ribotte comincia il gran soffrire.
La Badia di Moscheta

· Mezzi assonnanti, un po’ bevuti e stanchi – chi brontolava e chi cantava in coro – eran vestiti in pantaloni bianchi – sbagliando strada incontrarono un toro – quella bestiaccia vedeva bianco – si incamminò per raggiungere il branco – muggiva forte come una iena – or sentirete la brutta scena – col manto grigio color del lupo – la sera tardi col cielo cupo – i giovanotti in quel momento – dissero siamo in un brutto cimento. Vedevan di lontano le vacche biancheggiar - decisero far presto potersi riposar.
· A un tratto lo sentirono soffiare – un istrice pareva scatenato – non è più tempo di star qui a pensare – a pochi metri s'era avvicinato – e Stroncapali disse a Giorgetto – fagli sentire un po’ l’organetto – siamo colpiti dalla sventura – forse potrebbe aver paura – quando lo videro a pochi passi – dall’organino suonavano i bassi – gettato a terra suona la voce – il toro si fece ancor più feroce – sentendo far quei versi e i panni biancheggiar – il toro si credeva le vacche di afferrar – il suonatore che ha anche un piè malato – gettava il male e camminava forte – vedendo l’organino abbandonato – lo riprendeva rischiando la morte – senza bullette che scivoloni – si arrampicarono tutti carponi – pei praticelli e caspe di faggio – si eran persi ormai di coraggio – disorientati tutti smarriti - dalla paura trasfiguriti – senza stanchezza senza più sonno – poi tutti insieme si ritrovonno – si guardano fra di loro dicendo come va – siam liberi dal toro ci voleva ammazzar.
Giovanotti che vi piace andare sulle montagne a far le passeggiate – prego la strada di non sbagliare – per non aver dai tori le imboscate.
· E Stroncapali voleva andare – dal Maresciallo per denunciare – il contadino di quel toraccio -  poi ripensando è un affaraccio – siam dipendenti da quel padrone – si compromettono  le condizioni – diamogli un taglio in questi momenti – un’altra volta staremo più attenti.
· Del toro di Massalto il fatto sta così – nei prati di Acqua Buona credevan di morir.
 
Nella ha ricevuto l’invito per andare a una festicciola a Razzuolo, ma suo marito non ne ha voglia. Allora lei aspetta che si sia addormentato e poi …
 
 
Razzuolo negli anni Trenta

LA NELLA DI RAZZOLO
· In un paesino del Mugello – quando deciser ballare – successe un fatto assai bello – che a tutti voglio narrare – di una elegante signora – che tutti rincuora vederla danzar.
· Bisogna andar anche noi – disse una sera al marito – ci hanno mandato l’invito – e ora ci stanno ad aspettar.
· Ma lui rispose alla lesta – con occhio rude e sospetto – cosa svanita sia questa – stasera si va proprio a letto.
· Lei per finire la scena – prepara la cena e a letto sen va – quando il marito si accuccia – sotto le bianche lenzuola – lei se lo rincantuccia – l'abbraccia e lo consola – e lui si trova dormento – senza pensare più a niente – sentite l’esercente – ora cosa gli fà.
· Appena lo sente russare – lei dice è giunto il momento – piano la fa scivolare – i piedi sul pavimento – e dopo il manto si allaccia – si incipria la faccia – con grande attenzion – poi lentamente cammina – scende quattro scalini – e giunta giù in cucina – si mette gli scarpini – e poi abbandona la casa – in quella notte nera – arrivederci Carnera – questo saluto gli fa.
· Appena raggiunse il salone – da tutti fu applaudita – c’erano tante persone – uno a ballare l’invita – gli altri che stanno in disparte – capaci nell’arte cominciano a dir – quanto ci vuoi giocare – da letto l'è scappata – or ci vogliamo andare – a far la serenata – e dette queste parole – partirono alla lesta – a sotto la finestra – cominciano a cantar.
· Giacinto dovrai compatirci – se questa storia è noiosa – siamo venuti per dirti  - che ti è scappata la sposa – allora Giacinto si sveglia – chiamando la Nella – comincia a frugar – e dopo vane ricerche guardava sotto al letto – in mezzo alle coperte e dentro il gabinetto – questa è curiosa davvero – diceva tutto stizzito – il povero marito – s'incominciava a vestir.
· Sia maledetta la donna – diceva tutto arrabbiato – questa è una vera vergogna – da tutti son criticato – poi con Pietrino discorre – cercando Bacchiorre – la fece chiamar – questa è una vera sorpresa – quando si sente invitare – appena le scale fu scesa c’era il marito ad aspettare- e lei gli fece impressione – quello che in mano teneva – era un grosso bastone – e lo voleva provar.