lunedì 30 ottobre 2023

I seccatoi per i marroni a Marradi

Indagine su vecchie costruzioni

ricerca di Claudio Mercatali


Lo schema del classico
seccatoio a due piani



Per utilizzare i marroni bisogna sbucciarli e nei secoli vennero messi a punto diversi procedimenti adatti allo scopo. In casa si lessavano per fare el balòt, le ballotte da sbucciare a caldo, compito ingrato che come al solito toccava alle donne, o si incidevano con un coltello (marôn castré) poi si arrostivano finché non diventavano caldarroste (el brused). Ma per i marroni di seconda e terza scelta questi due procedimenti non andavano bene e allora come si faceva?


Una rievocazione storica della battitura dei marroni a Firenzuola.



Nel nostro Appennino si stendevano i marroni in un graticcio di verghe di castagno (la listèla) e sotto si manteneva il fuoco senza fiamma, solo con la brace. Per fare questo serviva il seccatoio (e scatùi), una casina a due piani con la stesa dei marroni sopra, le braci sotto e il fumo in uscita dal tetto fra i coppi e da una finestrella. Era un procedimento lento, che durava circa un mese. Poi i marroni venivano battuti su un ceppo e agitati in un piatto di legno (la piatèla) per staccare la buccia.


L'uso di un seccatoio come quello dell' eremo di Gamogna è descritto qui accanto in un articolo dell' Eco del Senio (un periodico di Palazzuolo) scritto quando don Antonio ripristinò quello che ancora oggi è nel "sagrato" della chiesa. Nel seccatoio il distacco della buccia avviene perché la polpa cala di volume quando si secca. In più la brace produce monossido di carbonio, gas soffocante per gli insetti penetrati nei frutti e le loro larve. Infine il fumo del legno che brucia è ricco di ossido di potassio che modifica il pH dell' ambiente e lo rende sfavorevole per muffe e batteri, così come avviene per la carne affumicata.






Però la procedura richiedeva una certa esperienza perché altrimenti il fumo lasciava nei frutti un odore e un sapore non gradito a tutti. Siccome Marradi è il paese dei marroni non non deve sorprendere il sapere che nel Comune ci sono diverse centinaia di seccatoi in disuso e in abbandono perché i tempi sono cambiati.


Anche a Gamogna di Sopra, un podere oltre l'Eremo, c'è un seccatoio grande, trasformato in chiesina dalle suore francesi che curano questi siti, disabitati da più di mezzo secolo.

I seccatoi avevano anche altri usi quando non era il tempo della raccolta. Quelli che sono nelle marronete hanno a volte un piccolo camino incassato nel muro, segno che servivano anche da capanni. Quelli accanto a casa se il caminetto era costruito bene servivano come piccoli ambienti riscaldati o per seccare altri frutti o per appendere aglio e cipolle. 


A Coltriciano di Sotto il seccatoio spento era usato come bagatéra, ossia come stanza per far proliferare il baco da seta in una stesa di foglie di gelso.



Poi i marroni venivano macinati per fare la farina. Qui da noi c'erano dei molini adatti per questo scopo. I marroni secchi richiedono una molitura lenta, attraverso un foro di macina grande, con le due pietre della macina più distanti, perché la polpa le impasta facilmente. Accanto alle case vicine ai grandi castagneti si trovano a volte i resti di questi opifici, vicino ai seccatoi. 


E' il caso di Vangiolino di Gamberaldi, di fronte ai castagneti del Corno e di Valdorséra, che lavorava con un minimo di acqua deviata da un fossetto, appena sufficiente solo in inverno. 




Lo stesso avveniva a Valcuccia, podere sotto ai castagneti di San Bruceto, e al molino della Guadagnina, alla Badia del Borgo. 


Erano dei tipici molĕn dla botazéda, che lavoravano aspettando ogni volta che il rivoletto d'acqua del fosso riempisse la botazéda (il bottaccio) ossia la vasca dell' acqua, che a volte era multipla, come a Valcuccia.






Il molino della Guadagnina fu demolito negli anni Cinquanta per usare le pietre dei muri nella costruzione di una briglia nel fosso sottostante. Era un edificio della fine del Settecento, costruito dai fratelli Mercatali che avevano comprato il monastero della Badia del Borgo ormai dismesso. "Guadagnina" è sinonimo di "Bottaccio" (o botazéda), la vasca  da dove partiva il canale della gòra.




Ce n'era uno anche sotto la chiesa di Valnera, che macinava i frutti dei grandi castagneti di questa zona, di fronte a Cà di Bando e a Valnera di Sopra, sopra Vaglino e oltre. Nel 1822 i cartografi del Granduca lo disegnarono con cura nel Catasto Leopoldino, perché i punti di macina erano soggetti a tassazione e siccome non conoscevano il romagnolo scrissero il nome così come l'avevano capito cioè Molino della bottacciuta.




Il seccatoio di Cà di Bando è in rovina ma la sua struttura è riconoscibile. Quello di Valnera di Sopra è crollato, così come la casa. Ambedue gli edifici erano a torre e nella cartografia del Cinquecento sono indicati come "Case del Pratese" (I Pratesi sono anche oggi proprietari della soprastante fattoria di Gamberaldi). 


Il seccatoio di Gamberaldi è ben conservato e volendo potrebbe funzionare. E' antico, risale al periodo napoleonico.








Qual è il seccatoio più antico? Non si sa perché di solito queste costruzioni non hanno scritte scolpite. Però se ci fosse una classifica di certo uno dei primi posti spetterebbe al seccatoio di Monterotondo, sopra al monastero della Badia del Borgo, perché il podere è citato in contratti di compra vendita del 1100 e 1200 e tutta la pendice è coperta dagli enormi castagneti dei frati che già allora commerciavano castagne e farina.

Ci sono seccatoi in funzione? Si, uno è nel sagrato della chiesa di Popolano e viene acceso ogni anno.

Chi passa di lì in ottobre vede bene il fumo che esce dalle tegole e non dal camino. Più di una persona ha avuto l'impressione di un incendio, anche perché questo seccatoio ha una forma insolita, con la bocca di carico dei marroni in uno stanzino a lato e non dalla solita finestrella.



Un altro è al podere Gli Animaletti, sopra a Biforco e produce marroni secchi per fare la farina come una volta. E' una attività della Azienda agricola di Lia Perfetti.





La farina ottenuta con la macinatura a pietra del frutto essicato con il fumo del legno di castagno è il classico prodotto di base per preparare i dolci. Questa è in vendita a Marradi nel negozio l'Agrifoglio, di Maris Perfetti.




Alcuni seccatoi hanno dato il nome al podere in cui si trovano. E' il caso di Lischeta, un podere al Passo dell' Eremo che non figura nel Catasto Leopoldino del 1822 mentre il suo seccatoio c'è già.




E' probabile che sia stato così anche per il seccatoio di Scheta, un podere nella valle di Albero vicino a un grande castagneto di piante secolari.





Non è detto che il seccatoio sia nell'aia della casa poderale. Infatti i castagneti erano impiantati nei versanti a nord, a bacino, mentre si tendeva a costruire le case nei versanti a sud, a solame. Perciò certe volte il castagneto è distante anche un paio di chilometri dal podere al quale appartiene.



E' così per il seccatoio del podere La Costa, che si vede dalla strada per Palazzuolo nel versante a bacino mentre la casa poderale è nel versante opposto, a solame, e si incontra percorrendo la strada della Piegna.









Anche il seccatoio del podere Valle è in questa situazione. E' molto grande e Nello Camurani, che da ragazzo lavorò lì ricorda che si riusciva a seccare molti quintali di marroni ogni volta, in due mandate.

Profittando delle sue dimensioni e del sito remoto in cui si trova i mulattieri di Marradi che lavoravano a Terbana nel 1944 nascosero lì dentro i loro muli per evitare che venissero confiscati dai Tedeschi.



Capita spesso che a queste costruzioni, usate per secoli, sia abbinata qualche storiella o qualche circostanza particolare. Per esempio il seccatoio di Pian dell'Eremo oggi si trova in mezzo a una pineta con alberi alti una ventina di metri. Come mai?
Negli anni Cinquanta i marroni non li voleva più nessuno e molti castagni vennero abbattuti per vendere il legno dei tronchi ai falegnami e soprattutto alla fabbrica di tannino di Crespino del Lamone. In questo caso il Servizio Forestale provvide al rimboschimento con un impianto di pino nero, senza tener conto della flora precedente.






A  terra ci sono ancora i tronchi segati più grandi e più contorti, che evidentemente non erano adatti per le segherie o il tannino e furono abbandonati lì. Fanno da guida perchi scende da Casa del Gatto verso il Molino della Volta e verso sera sono anche un po' inquietanti.

Il fosso di Voltalto, dove siamo ora e dove si trova il castagneto di Scheta di cui abbiamo detto prima, è un sito ricco di castagneti secolari, coltivati anche oggi. Ci sono diversi seccatoi in rovina e anche qualcuno ancora in piedi, come nel paesino di Albero.



Altri seccatoi sono vicino ai castagneti dove si pratica la raccolta diretta dei frutti e vengono descritti alle persone che in ottobre passano di lì.



Questo per esempio è il seccatoio di Ravale, non attivo ma ben conservato.






Quest'altro è vicino al Maneggio La Casetta, alla Badia del Borgo, punto di partenza per trekking a piedi nei castagneti o a cavallo verso l'Eremo di Gamogna.



Nella stessa azienda agricola si può praticare la raccolta diretta dei marroni nel podere Funtèna Quéra.



Oppure si può fare un trekking rilassante che aiuta a pensare di meno (infatti Claudio Mercatali qui accanto non fa caso se piove).




martedì 24 ottobre 2023

Il Passo della Colla

Un passaggio storico 
dalla Romagna
al Mugello

ricerca di Claudio Mercatali



La strada del Passo della Colla è uno dei quattro valichi che permettono il passaggio dalla Romagna al Mugello. Gli altri sono il Passo della Futa, il Valico del Giogo e il Passo del Muraglione. 

A ciascuno di questi fa capo un sistema di sentieri di antica viabilità per carbonai, mulattieri, pastori transumanti, pellegrini diretti a Roma, contrabbandieri e fuggiaschi per qualche motivo. 

In questi Passi c'è sempre stato traffico, fin dai tempi della Antica Roma, perché i valichi sono tutti a circa 900slm, cioè bassi. La strada della Colla, la Faentina, partiva da Firenze, arrivava a Borgo San Lorenzo in modo agevole ma poi peggiorava fino al valico e nel versante romagnolo fino a Marradi. Era un fatto voluto dalla Signoria di Firenze, perché una semplice mulattiera permetteva a fatica il transito delle salmerie e degli eserciti provenienti da nord ed era una barriera difensiva. Questa necessità venne meno alla fine del Settecento, perché i granduchi di Lorena, succeduti a Medici, erano Asburgo e governavano anche nel nord Italia. Quindi non avevano necessità difensive da quella parte e favorirono il commercio del grano e del sale che spesso scarseggiavano in Toscana.

L'antico tracciato si può ritrovare con un sopralluogo usando la cartografia storica e le vecchie foto dei versanti spogli. Nelle immagini qui accanto è il tracciato più in basso.



Una nevicata poco prima del valico. La casa è l'Hotel Gran fonte dell'Alpe, oggi in disuso.




La stessa visuale negli anni Cinquanta.






Gli ultimi tornanti prima del Passo visti dalla pendice sopra il bar ristorante della Colla. 



L'erosione della roccia qui ha formato una specie di profilo molto noto.
Il valico fu sede di accaniti combattimenti nel 1944 perché era sulla Linea Gotica. Questo è il periodico americano Parade che illustrò i fatti con belle foto.


Negli anni Cinquanta la valletta del torrente Ensa, dove sorge Razzuolo era ancora brulla.



Clicca sulle immagini
se le vuoi ingrandire





Oggi non c'è più la necessità di tagliare il più possibile per scaldarsi e la macchia ha ripreso il sopravvento. Il tracciato però si vede molto bene nei prati di Casaglia, dal monte Faggeta.








Come ai Passi del Giogo e del Muraglione in cima c'è un punto di ristoro.

Gli edifici più vecchi sono quelli nel versante di Casaglia.

I geometri del granduca Leopoldo abbandonarono il tracciato vecchio perché era franoso e lo portarono in alto, scavando nella roccia, come si vede qui.


Il valico è alto quanto basta per essere soggetto a delle copiose nevicate, ma il manto nevoso scompare presto perché la Colla è esposta a scirocco.





La strada della Colla per gli Inglesi che la percorrevano nel 1944 era la Strada freccia (Arrow route) per la lentezza e il disagio nel transito.







Fu festa grande il 12 dicembre 1898 perché si inaugurò l'Hotel Gran Fonte dell'Alpe. Ecco il resoconto scritto dal corrispondente del settimanale Il Messaggero del Mugello.










L'albergo venne costruito dalla famiglia Sicutèri, di Razzuolo. Erano ricchi allevatori di pecore, proprietari di grandi estensioni di terreno.




... Furono ballate delle danze con molto slancio da questi pastori con certe movenze da suscitare l'ammirazione di un professore di coreografia. Chiuse la festa una corsa di cavalli alla romana, senza sella, davvero emozionante ...