martedì 1 maggio 2012

Marradi, ottobre 1944

La vita nel “cerchio di fuoco”
di Luisa Calderoni



Il cerchio 
di fuoco



Marradi fu liberato il 25 settembre del 1944 dallo sforzo congiunto dell’ 8a Divisione di Fanteria Indiana e della 1a Divisione Britannica ma il fronte si assestò a poche centinaia di metri dal paese in direzione di Faenza. Quando gli alleati giunsero a Marradi, i Tedeschi, dopo aver minato e fatto crollare il “Ponte Grande” e le case adiacenti, si ritirarono attestandosi dopo Popolano su una linea che correva fra il podere “Casa di Gò”, San Martino, Sant’Adriano , Grisigliano e Lutirano. La liberazione di Marradi non coincise quindi con la liberazione dell’ intero territorio comunale perché gli scontri con i tedeschi si susseguirono a lungo e gli Alleati impiegarono circa tre mesi per arrivare a Brisighella.



Popolano visto da Cà d'Gò, 
dove c'erano le linee tedesche.



Secondo la testimonianza del Tenente inglese Jack Perry, Ufficiale della VII Divisione Indiana nel 4° Reggimento anti-carro Maharatta dell’Artiglieria Reale, (cfr “Marradi com’era”, pag 504 e segg), la sera del 30 settembre il 4° Maharatta Anti Tank Regiment inglese fece giungere i suoi pezzi, quattro cannoni da 17  pounder trainati da Half Truck.

Il ten. Perry, per difendere la zona di Popolano e Sant’Adriano, piazzò due pezzi della sua batteria dopo Filetto, a monte della strada. Divelte le rotaie della ferrovia Faentina dopo la stazione di Popolano (che già era interrotta verso il podere “Campora” a causa di un bombardamento), fu usata questa strada improvvisata per collocare i due cannoni sul lato sinistro del Lamone. Gli altri due pezzi furono collocati a valle ma il 4° pezzo posto sotto la casa di Mario della Cuccola si ribaltò e restò lì coperto alla meglio alla vista dei tedeschi che erano a “Casa di Gò”.


Sopra: un cannone da 17 pounder
A sinistra: il suo veicolo di traino half truck.



Il mese di settembre e di ottobre 1944 furono molto piovosi e ciò rese i sentieri impraticabili tanto che i mezzi corazzati del nemico non furono attivi contro le postazioni alleate sebbene i Tedeschi, attestati nei dintorni del paese, bombardassero Popolano e Marradi.
Ciò rese molto difficile la vita di coloro che erano rimasti intrappolati in quello che io voglio chiamare "Cerchio di Fuoco”, punta avanzata degli Alleati e retrovia dell’agguerritissimo esercito tedesco. Ma gli ordini del Fuhrer erano stati perentori: occorreva che i Tedeschi difendessero l’Alto Appennino, lungo la cosiddetta Linea Gotica 2, a tempo indeterminato. Il Feldmaresciallo Kesselring comunicò ai suoi corpi d’armata di non abbandonare un metro di terra senza infliggere gravissime perdite alle riserve del nemico.
Quelle che seguono sono le memorie e i racconti di coloro che in quei lunghi mesi, chiusi nel “cerchio di fuoco” dovettero aspettare l’offensiva finale e l’effettiva liberazione del nostro territorio. I ricordi di mia mamma Isea Ceroni, Leo e Olga Naldoni e della famiglia Filipponi di “Casalino”.




La Linea Gotica 2 
(ultima difesa a nord, segnata in questa carta)


Mia madre Isea Ceroni, nel 1944 aveva 17 anni e viveva nel podere “La Casa” di Sant’Adriano. I suoi racconti sulla guerra erano frammenti di memoria slegati e senza una precisa collocazione temporale. Il passaggio del tempo era scandito solo dall’alternanza degli “occupanti” nella sua casa: prima i Tedeschi e poi gli Inglesi. Gli Inglesi in particolare occuparono “La Casa” di sicuro fino alla fine del dicembre 1944: mia madre raccontava spesso della festa che i soldati allestirono nella stalla addobbandola con degli strani “palloncini” che poi scoprì essere preservativi d’ordinanza appositamente gonfiati!!
Quel che è certo è che tutti i Ceroni e altre famiglie contadine che vivevano nei paraggi, fino alla definitiva ritirata dei Tedeschi trovarono rifugio sotto i tunnel della ferrovia Faentina, sul lato sinistro del Lamone, dopo l’abitato di Popolano.
Sotto il primo tunnel che conduce al podere “Belvedere” c’erano gli abitanti del podere “Badia”, Teresa e Filippo Filipponi con le figlie Lina (Paola), Bina e Maria e Assuntina.


Il tunnel vicino 
al podere Belvedere


Agostino Filipponi era sfollato nel podere di “Grizzano” da cui proveniva la madre: qui potè dedicarsi ai lavori dei campi e alla raccolta dei marroni tanto che racconta che lui la guerra non l’ha quasi vissuta. Da lassù egli vide arrivare gli inglesi che si attestarono a Popolano così Agostino ritornò a casa, “La Badia”, dove si erano insediati circa 70 indiani “senza turbante”, agli ordini degli inglesi.
Olga Brunetti, moglie di Leo Naldoni viveva nel podere “Popolano di Sotto”: qui gli uomini avevano potuto costruire solo un semplice rifugio in prossimità del castagneto fatto di legna e terra, buono solo per difendersi da qualche scheggia ma inutile contro i bombardamenti. Intanto, in seguito all’ultimatum del 25 Maggio 1944 e alla “Strage di Crespino” di cui si era sparsa la notizia per tutte le vallate, si erano andati intensificando i rastrellamenti dei tedeschi coadiuvati dai collaborazionisti italiani. Allora Olga e la sua famiglia lasciarono il podere ”Popolano di sotto” e si trasferirono a ”Val Pozzo”, cercando rifugio in località più defilate rispetto ai poderi della vallata del fiume Lamone, che erano sotto il tiro continuo dei tedeschi e degli alleati.

Val Pozzo 
e la zona
del "cerchio 
di fuoco"

Da qui, poiché c’era un vecchio soldato tedesco, brutto e sdentato, che la infastidiva, la famiglia la mandò al di là del fiume Lamone, in località Pedù. Quando Olga con i suoi tornò a casa a “Popolano di sotto” vi trovò insediati gli indiani sikh “con turbante”, così numerosi che gli abitanti si dovettero accontentare del pollaio e della stalla sistemandosi nelle “poste” degli animali.


I Sikh, i soldati indiani
con il turbante.

Numerosi gli aneddoti sugli Indiani: quelli col turbante si pettinavano i lunghi capelli prima di arrotolarli nel turbante stesso. Tutti si preparavano delle particolari focacce dette “chapati” che impastavano con i piedi e cuocevano su una lastra condendola con carne, lenticchie e zenzero.
Per farsi un bicchiere gli Indiani inserivano un ferro rovente in una bottiglia in cui c’era dell’acqua. Dando un colpo secco alla bottiglia, questa si rompeva con una linea perfetta al livello dell’acqua e il bicchiere era pronto (le differenze tra indiani con e senza turbante sono di origine religiose: indu e musulmani)



Le focacce "chapati" che i Sikh
impastavano con i piedi



A destra: il tunnel sotto la ferrovia di fronte al podere Casalino.


Sotto l’ultimo tunnel, in prossimità del podere “Casalino”, si rifugiò la famiglia di mia mamma (Emilio “Nato” Ceroni, la moglie Maria e i figli Orfeo, Isea e Angiolina) e quella del fratello di mio nonno “Nato” costituita da Attilio Ceroni, la moglie Irma e i figli Dante, Leonardo e Liliana. Tra gli altri c’erano anche Adolfa, nipote di mio nonno, con il marito Giuseppe Filipponi e alcuni abitanti di “Casalino” tra cui Angelo, Gaspare e Anna Benericetti, Antonio e Marco e Tino figli di Filumena nei Filipponi. Marco e Tino, tornati una notte a dormire a casa, furono catturati, forse dietro una spiata, e deportati come disertori non avendo risposto all’ultimatum del 25 maggio.
Questo tunnel era molto lungo, un centinaio di metri circa, adatto ad ospitare i numerosi letti di fortuna degli sfollati ed era protetto da un alto terrapieno. Inoltre era abbastanza vicino ai vari poderi per permettere ai contadini di andare a “governare” gli animali lasciati nelle stalle e nelle stie.


Un minaccioso manifesto affisso dopo
la scadenza dell'ultimatum del 25 maggio.



Anche mio zio Orfeo ogni giorno tornava a casa per accudire il bestiame e una volta, dopo aver guadato il fiume, si ritrovò sotto il tiro di un tedesco. Provvidenziale fu l’intervento di un altro tedesco che, avendolo riconosciuto come abitante del podere, lo salvò da una morte certa.
Mamma raccontava spesso di un giovane soldato tedesco che sconsolato, in un misto di tedesco ed italiano, le ripeteva “Oggi Kaputt, domani Kaputt, egual…” Morire oggi, morire domani è la stessa cosa: in queste poche parole quel ragazzo mandato a morire esprimeva un forte sentimento di rassegnazione ad una sorte terribile ed ineluttabile nella consapevolezza diffusa ma taciuta di aver perso la guerra e anche la sua giovinezza.

Un altro tedesco aveva con sé una valigetta piene di piccole sveglie da tavolo sicuramente razziate nelle case abbandonate dagli sfollati. Forse perché mia mamma era una bella ragazza, forse perché i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri gli ricordavano qualche fanciulla tedesca, fatto sta che il soldato le “regalò una sveglietta di rame che ancora possediamo.










Un ricognitore Tiger Moth, largamente usato dagli Inglesi nella nostra zona, anche per lanciare sulle linee tedesche dei "safe conduct", salvacondotti, per i soldati Tedeschi disposti ad arrendersi. Però non si arrese nessuno.

Nel frattempo continuava la ritirata delle truppe tedesche: tutte le notti la strada maestra era percorsa da mezzi e soldati tedeschi in marcia in direzione di Faenza. Ma una notte un camion pieno di soldati tedeschi che stava procedendo verso Sant’Adriano dopo il Podere “Casa del Billo”, fu centrato in pieno dal fuoco alleato e non si salvò nessuno. Al mattino mio nonno andò a vedere da vicino la carneficina. I corpi dei tedeschi furono seppelliti nello” scassato” della strada, ognuno con sopra il proprio elmetto e furono recuperati a guerra finita.
Olga che dal podere di “Popolano di Sotto”, sapeva della strage, provando pena per quei giovani morti, spesso andava a deporre dei fiori su quelle semplici tombe e la gente dei paraggi si interrogava su chi potesse essere a fare quel gesto di umana pietà. (Un episodio molto simile è raccontato nella nota 3 di pag 609 della citata “ La guerra nelle mie valli”).

Molti erano i segnali che la guerra era ad una svolta: si intensificavano i lanci notturni dei bengala e dei paracadutisti alleati e una mattina sul balzo della ferrovia fu rinvenuto un bellissimo paracadute di seta bianca da cui in seguito furono ricavate camicie per tutti.
Partiti i Tedeschi arrivarono gli Inglesi e i miei poterono rientrare a casa. In realtà, verso la fine di novembre, tutti gli sfollati dei tunnel dovettero precipitosamente abbandonarli a causa delle piogge incessanti che li stavano allagando.
Il podere “La Casa”, considerato uno dei più belli della zona, era molto cambiato: distrutti i filari e il campo dei gelsi, abbattute le lunghe siepi che fiancheggiavano il vialetto d’accesso, i grandi campi pianeggianti del podere già martoriati dai bombardamenti e pieni di voragini, erano stati trasformati in una pista di aviazione per aerei da ricognizione denominati “cicogne”.
Tutta la vallata di Sant’Adriano era sotto il tiro di un pezzo di artiglieria nemica che gli Alleati durante le ricognizioni aeree non riuscivano ad individuare. Infatti i Tedeschi avevano montato un cannone su un carro ferroviario alla Stazione di Sant’ Eufemia e dopo averlo usato per cannoneggiare le postazioni alleate, lo ritiravano dentro la galleria rendendolo invisibile ai bombardieri e alle perlustrazioni aeree.
Finita la guerra, lasciando la pianura di Sant’Adriano un canadese, secondo quanto racconta Leo Naldoni, si portò via la bandiera italiana con il simbolo dei Savoia che era nella locale scuola elementare. Dopo 50 anni la bandiera fu restituita al Comune di Marradi e fu ricollocata nel Circolo di Sant’Adriano.


La bandiera con lo stemma sabaudo
ora esposta al Circolo di S.Adriano



Oltre ai miei, tante altre persone vivevano dentro questo “cerchio di fuoco” tra Popolano, Gamberaldi, Sant’Adriano. Infatti, dopo il primo bombardamento di Marradi molti avevano abbandonato il paese rifugiandosi nelle campagne circostanti e nelle case dei contadini piene all’inverosimile per sfuggire agli attacchi aerei degli Alleati e ai rastrellamenti dei Tedeschi divenuti sempre più intensi…
Fernanda Maria Visani in Filipponi era originaria di Gamberaldi e viveva con la famiglia nel podere della Chiesa attaccato alla canonica. In questa chiesetta era appena arrivato un nuovo prete, Don Vinci, di appena 26 - 27 anni. Nelle macchie circostanti erano nascosti molti giovani tra cui Giovanni Cappelli fidanzato con Zilia, nipote di Don Vinci e Averardo Vinci fratello del prete, nascosto nel bosco verso il podere” Spianamonte”, mentre in una grotta sopra il podere di“Vangiolino”, erano rifugiati Claudio e Amedeo Pierantoni.
Fernanda, la più grande di otto fratelli, era addetta a portare al pascolo le mucche e spesso le veniva dato un fagotto con del cibo da portare ad Averardo Vinci: se fosse stata fermata da qualcuno doveva semplicemente dire che il cibo era per lei…
La zona non era affatto tranquilla tra rastrellamenti, presenza dei partigiani, imboscati e bombardamenti alleati che provocarono anche il crollo del campanile lasciando fortunatamente illesi gli abitanti del podere annesso alla Chiesa. Gamberaldi fu liberato il 24 settembre dagli Alleati passati dal Monte Carnevale e dal podere “Mondera” ma gli Inglesi e gli Indiani impiegarono ancora un mese per sfondare le linee dei Tedeschi attestati a Monte Romano.


Fonti: Ricordi delle persone citate. Immagini gentilmente fornite da Francesco Cappelli. Giuseppe Tarabusi, "Marradi com'era". Luigi Cesare Bonfante "La guerra nella mie valli".

2 commenti:

  1. Buongiorno,vorrei iete a conoscenza di un libro scritto da un soldato inglese che e' tornato a Marradi negli anni 70,sarei interessato ad averlo!
    Alessandro Galeotti 3395022901

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  2. Così come hai detto è troppo vago ... potresti chiedere alla biblioteca comunale di Marradi ... saluti

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