Un editto i Napoleone
abolisce
i conventi
ricerca di Claudio Mercatali
Il ponte sul
Lamone
e il Convento nel 1801
Nel 1796 Napoleone conquistò l’Italia e dopo qualche anno
fondò la Repubblica Cisalpina. Tutti i vecchi sovrani furono cacciati e anche
il Granduca di Toscana dovette lasciare Firenze. Dal 1799 al 1807 il Granducato
si chiamò Regno d’Etruria. Le vicende di quegli anni furono tumultuose e
sarebbe difficile riassumerle qui. In sostanza l’inizio del periodo napoleonico
segnò una vera rivoluzione politica e di costume, con tante leggi nuove. Una di
queste aboliva i privilegi della Chiesa e i monasteri, con una procedura dura e
spicciativa.
Vediamo che cosa successe al
Monastero delle Domenicane di Marradi, secondo il racconto dello storico Carlo
Mazzotti: “ … il giorno 13 giugno 1808 il Commissario governativo dell’
Amministrazione generale della Toscana, procedeva all’inventario dei beni
immobili del monastero e poco dopo si venne alla confisca del patrimonio e
all’abolizione del convento...”
E le suore? “ … Quando il
convento fu abolito le Religiose dovettero far ritorno alle loro famiglie.
Alcune furono accolte presso famiglie distinte del paese. Si narra che quando
le famiglie vennero a riprendere le loro figlie la Superiora, lasciata la
chiave nella porta di clausura, si ritirò nella sua cella per non essere
spettatrice di tali strazianti partenze …” .
E il convento? “ … Il
Convento fu venduto, il 15 ottobre 1810 per lire 2500, ad un certo Francesco
Ravagli di Marradi, il quale per ricavarne qualche utile lo affittò ad alcuni
inquilini”. Costui era il nonno di Ottavio Ravagli, per tanti anni gestore di un tabaccheria al centro del paese.
Sopra: il giardino interno
Sotto: La parte detta “Ort del Mong”.
L’epoca napoleonica fu una
tempesta. Gli editti di Napoleone avevano immediata efficacia ed erano
applicati senza indugio. Dunque per le monache non ci fu nulla da fare e furono
sfrattate ed espropriate di ogni bene. Diciamo pure che furono depredate di
tutto. Il dramma per loro, che erano di clausura, era soprattutto il fatto che
dovettero tornare alla vita quotidiana, di tutti noi, senza conoscerla e senza
saper fare un mestiere. Questo per sette lunghi anni, cioè finché durò il Regno
d’Italia napoleonico.
Alla caduta di Napoleone (1815)
successe che:
“ … non appena piacque a Dio di ridonare la pace alla
Chiesa, esse si affrettarono a riacquistare il loro convento e a ritornare alla
pace della vita claustrale. Fu la superiora Teresa Margherita Torriani, di
Marradi, a recarsi alla Corte di Firenze (quella del Granduca che nel frattempo
era tornato) a perorare la causa del Monastero e a riacquistarlo per il prezzo
stesso per il quale era stato venduto… non tutte fecero ritorno, perché alcune,
nelle angosce dell’esilio, erano volate al cielo; due, insofferenti di rimanere
più a lungo nel mondo, erano entrate nel Monastero delle Domenicane della
Crocetta, a Firenze, ove continuarono a permanere fino alla morte …”
La pianta del monastero nel catasto
leopoldino (1822).
Le Domenicane di Marradi furono brave e intraprendenti e
riuscirono a rientrare in possesso dei loro beni. Non fu così per tutte le
suore.
Per esempio quelle di Tredozio:
Per esempio quelle di Tredozio:
“ … le Religiose tornate nella Comunità furono
31, ma fra loro vi erano alcune Domenicane del convento di Tredozio, le quali
non videro più ritornato a nuova vita il loro Convento dopo la raffica
napoleonica. Queste portarono nel Convento di Marradi, spoglio di tutto, molte
mobilia, utensili da cucina, panche del coro, le tavole del refettorio, le
campane della chiesa, eleganti e preziosi paramenti sacri, scampati alla
confisca...”.
IL CONVENTO DI TREDOZIO
Il convento Domenicane di
Tredozio, fu venduto nel 1840 ai Fabroni
di Marradi ed è stato acquistato
dal Comune di Tredozio nel 1986.
Dopo la caduta di
Napoleone una parte del patrimonio dei Vallombrosani della Badia di Susinana fu
concesso alle suore di Marradi. Con le nuove rendite fu costruita la chiesa del
Monastero, la “gisa del mong”. Quella precedente era pericolante. A ricordo fu
posta una lapide all’ ingresso:
dedicata a Maria
V. madre di Dio
che il tempo
edace
aveva reso
labente
e le pie monache
del patriarca
S.Domenico
fecero di nuovo
costruire
ed abbellire
fu consacrata con
solenne rito
il 21 ottobre 1838
da Mons. Giovanni Alberto Folicaldi
da Mons. Giovanni Alberto Folicaldi
La sottopriora del Convento, suor
Margherita Torriani di cui abbiamo detto prima, guidò con polso fermo la
ricostituzione e pur di avere indietro i beni del convento accettò l’obbligo di
far scuola alle figlie del popolo, cioè capì che era necessario darsi anche
un’utilità sociale, pur rimanendo di clausura. Inoltre non accettò la
supervisione dell’Arciprete sulle faccende del Monastero, così come era stato
per più di duecento anni.
L’arciprete di Marradi, un
certo don Lorenzo de’ Pazzi, il 3 febbraio 1817 si lagnò di questo con il
Vescovo:
“ … Non essendo a
mia notizia se sia ripristinato nelle debite forme questo Convento, ricorro
all’ Eminenza Vostra per intendere come mi debbo regolare circa i diritti
parrocchiali relativi a detto Convento, tanto più che ora sta per morire una
monaca, della quale io non ne sono stato informato per somministrarle i
Sacramenti. Se questo Convento adunque è esente dai diritti parrocchiali, come
sembra che creda l’attuale custode don Giovanni Fabroni, il quale nella notte
di Natale cantò messa a porta aperta, anzi nell’atto stesso che si cantava
nella parrocchiale … attendo dell’E.V. le opportune istruzioni…”.
In sostanza il buon Arciprete si
lagnava della perdita “dei diritti parrocchiali” e di una certa “concorrenza“
che le suore gli stavano facendo con queste forme di apertura verso l’esterno.
E il Vescovo gli rispose: “
… non è così facilmente definibile quali siano le debite forme perché un
convento abbia a dirsi ripristinato se principalmente si abbia a riguardo alle
attuali circostanze. La Clausura ristabilita, la Superiora dichiarata, la
Disciplina prescritta possono riguardarsi come dati, nel caso, bastanti…
Confido nella saggia di Lei prudenza che vorrà prestarsi a queste mie viste e
protestandole la mia distinta stima”.
Perciò il vescovo disse che il Monastero poteva andare bene così e da allora l’arciprete non fu più automaticamente il Confessore delle monache. Insomma il monastero riaprì in una forma che potremmo dire un po’ più aggiornata e aperta verso l’esterno con la chiesa fruibile anche per il pubblico, con il coro delle monache durante la messa, l’educandato, la scuola di cucito, e soprattutto con l’obbligo di istruzione delle bambine. E dunque in fondo anche il terremoto napoleonico ebbe qualche utilità per le monache e non passò invano.
Fonte Carlo Mazzotti Il Monastero
delle domenicane di Marradi, Lega srl,
Faenza 1960