lunedì 10 marzo 2014

Il sentiero di Dino Campana



Una passeggiata 
sulle pendici
di Monte Colombo
di Claudio Mercatali



Dino Campana era spesso in conflitto con i familiari, soprattutto con la madre e i contrasti quasi sempre sfociavano in liti e sfuriate.
I ricordi di paese sarebbero tanti ma ora i singoli episodi non ci interessano.
Il finale era immancabilmente quello di tutte le liti in famiglia: improperi e porte sbattute. Dove andava Dino Campana a sbollire la rabbia e a sfogare la sua inquietudine?
Un posto molto amato era la solitaria pendice del Monte Colombo, cioè il ripido versante che è proprio sopra a casa sua e incombe su Marradi. Il più vivo ricordo che gli anziani che lo conobbero avevano di lui, è appunto quello di un ragazzo che trascorreva giorni e giorni nelle capanne dei vignaioli di Monte Colombo, sempre intento a scrivere su foglietti di carta che poi nascondeva fra le travi. Suo padre Giovanni, visto che questi soggiorni campestri avevano qualche effetto tranquillizzante e che consentivano ai familiari di tirare il fiato, dava qualche mancia ai vignaioli perché lo lasciassero fare.


E' bello percorrere i viottoli del Monte Colombo, quelli più frequentati da Dino. Si parte dal paese, proprio dalla casa del poeta, e oggi,  l'accesso più facile è dal parco con la nicchia della Madonnina del Popolo.


L'imbocco del sentiero






Il sentiero sale serpeggiante e ripidissimo. E' a solame, piacevole nei giorni d'inverno, e si suda quasi subito. E' la stagione giusta, perché gli alberi senza foglia permettono una bella visuale; oggi  le vigne non ci sono più e al loro posto crescono  pini e  cipressi.







La casa del poeta è laggiù, accanto al campanile. I luoghi fanno venire in mente diversi passi dei Canti Orfici, un po' per suggestione ma anche perché è certo che qui ebbero origine alcune delle immagini trasfigurate del poeta.



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Nella fotografia qui accanto si vede in primo piano la casa dello zio Torquato, proprio sul fiume. Come dichiarò lo stesso Campana al dottor Carlo Pariani, uno psichiatra che lo visitava al manicomio di Castelpulci, guardando da queste finestre sul fiume Lamone, ebbe l'ispirazione per la poesia "L'invetriata".




L'invetriata
La sera fumosa d'estate
Dall'alta invetriata mesce chiarori nell'ombra
E mi lascia nel cuore un suggello ardente.
Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha
a la Madonnina del ponte chi è chi è che ha acceso la lampada? - c'è
Nella stanza un odor di putredine: c'è
Nella stanza una piaga rossa languente.
Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:
E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c'è
Nel cuore della sera c'è
Sempre una piaga rossa languente.


Gli scorci del paese che si vedono da qui corrispondono molto bene ai versi di questa poesia:

Marradi
Il vecchio castello che ride sereno sull'alto
La valle canora dove si snoda l'azzurro fiume
Che rotto e muggente a tratti canta epopea
E sereno riposa in larghi tratti d'azzurro:
Vita e sogno che in fondo alla mistica valle
Agitate l'anima dei secoli passati:
Ora per voi la speranza
Nell'aria ininterrottamente
Sopra l'ombra del bosco che la annega
Sale in lontano appello
Insaziabilmente
Batte al mio cuore che trema di vertigine

Foto a destra: Il castello "che ride" visto dal podere Monte Colombo. Sullo sfondo c'è il  monte Lavane, un altro "monte campaniano".
Foto sopra: "la valle canora" è la conca di Marradi. Qui i rumori del paese si sentono benissimo, anche a distanza,  perché i monti fanno da cassa di risonanza. Anche il rumore dell' acqua corrente si amplifica ....(l'azzurro fiume rotto e muggente ...).


E ben presto si arriva alla Capanna del Castelletto, così detta per la struttura un po' a torre. E' detta anche la Capana de Rossè (la Capanna del Rossino). Chi vuole fantasticare un po' sappia che non c'è memoria di nessun vecchio vignaiolo con i capelli rossi, mentre Campana li aveva e non era alto di statura. Ora è un rudere ma entrando si capisce che non era un semplice deposito di attrezzi: all' ingresso c'è la colonnina del cancello e nel muro interno c'è ancora l'incasso del camino.






E' probabile che il poeta abbia passato in questo rifugio tanto tempo, girando per il monte, immerso nei suoi pensieri. Avrà avuto anche qualche buona ispirazione per le sue immagini, specialmente per quelle in cui parla di Marradi.




La Capanna del Rossino, dentro e fuori. Era un piccolo rifugio, nel quale si poteva abitare comodamente per qualche giorno.


Marradi (antica volta. Specchio velato)
Il mattino arride sulle cime dei monti. In alto sulle cuspidi di un triangolo desolato, si illumina il castello, più alto e più lontano. Venere passa in barroccio accoccolata per la strada conventuale. Il fiume si snoda per la valle: rotto e muggente a tratti canta e riposa in larghi specchi d'azzurro: e più veloce trascorre le mura nere (una cupola rossa ride lontana con il suo leone) e i campanili si affollano e nel nereggiare inquieto dei tetti al sole una lunga veranda che ha messo un commento variopinto di archi!



Nella foto qui a sinistra, il centro di Marradi visto dal Monte Colombo: in primo piano, lungo il fiume, le "mura nere" del convento delle suore Domenicane, e sullo sfondo "la cupola rossa" del comune (che ha per stemma un leone).


Le Cabannon de Jourdan è un dipinto di Cèzanne, ora alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, che colpì molto Campana, che ne parla nella prosa " Arabesco Olimpia".
La capanna di Cèzanne era il rifugio di Jourdan e di nessun altro. La porta, anziché introdurre in una stanza, immette direttamente nell’azzurro del cielo.

La capanna del Fico


Le rovine sono tutte somiglianti, e per un caso la Capanna del Fico, un altro possibile rifugio di Campana, oggi è proprio uguale a quella dipinta da Cézanne.
Il tempo è volato e, immerso in tutte queste fantasie, sono arrivato al crepuscolo. E' ora di tornare perché non ho la torcia e il sentiero al buio si percorre male. Il rumore del fiume si sente ancora di più e si è levato un vento freddo. Così mi accorgo che anche in notturna questo posto ricorda Dino Campana.


 

Il canto della tenebra
La luce del crepuscolo si attenua inquieti spiriti sia dolce la tenebra al cuore che non ama più. Sorgenti sorgenti che state a cantare? Sorgenti sorgenti che abbiam da ascoltare? Sorgenti notturne che state a cantare? Più più più più. Ascolta: ti à vinto la sorte, ma per i cuori leggieri un'altra vita è alle porte. Non c'è di dolcezza che possa eguagliare la morte più più più. Intendi chi ancora ti culla. Intendi la dolce fanciulla. Che dice all'orecchio più più. Ed ecco si leva e scompare il vento, o ritorna dal mare, ed ecco sentiamo ansimare il cuore che ci amò di più. Guardiamo: e di già il paesaggio degli alberi e l'acqua è notturno: il fiume fuggì taciturno. 



Versione in prosa, da "Taccuini" abbozzi e carte varie dell'  omonima poesia dei Canti Orfici.

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