sabato 12 aprile 2014

Un trekking da Valnera a Monte Romano

Per vedere i monti 
e le stelle
ricerca di Claudio Mercatali




La chiesa di Monte Romano
negli anni Trenta



Nell' Alto Medioevo Monte Romano era abitato dai Longobardi. Il nome in romagnolo è "mont ermàn" e la traduzione corretta sarebbe "Monte Ermanno" dal tedesco herman = fratello. I prefissi "mont" e "val" sono longobardi e indicano "un posto in alto, un poggio" e "un posto in basso, una buca". Dunque il nome significa "poggio dei miei fratelli, della mia tribù" e i Romani non c'entrano. Ora saliremo da Valnera e percorreremo il crinale sopra Valgrande, secondo il percorso mostrato nella mappa qui sotto. I Longobardi non ci interessano, però il sito dimostra che i nomi hanno un preciso significato e, se si riesce a ricostruire la loro origine, raccontano la loro storia. A proposito di storie, ecco che cosa dice lo scrittore Pino Bartoli su Valgrande:

Una manciata di tenebre (da Fuochi sulle colline)

"Correva l'anno 1836. In quell'anno si era rapidamente sparsa la voce che il Granduca di Toscana si apprestasse ad aprire una strada che dall'altipiano di Casaglia raggiungesse Marradi e Brisighella. Il Consiglio della Comunità brisighellese fissò in duecento scudi il contributo, tassa di passo, così la chiamò il Granduca, che avrebbe concesso ai fini della concretizzazione del progetto. Solo una famiglia non volle saperne di pagare ulteriori imposte: la famiglia Ceroni di Valgrande.
Il podere Valgrande, posto verso Monte Romano e precisamente nella parrocchia di Grementiera, costituiva allora come oggi, l'estremo lembo della Romagna incuneato fra i contrafforti dell' Appennino Tosco - Romagnolo. Oggi è uno dei tanti poderi abbandonati dell'alto brisighellese, ma nel 1836, Valgrande con l'appendice di altri piccoli poderi, era considerata residenza padronale tanto da giustificare, in quei tempi di sapore feudale, il rango di signorotti della zona che i Ceroni avevano assunto nei confronti dei villani.




Quello che rimane della casa
poderale di Valgrande



I Ceroni di Valgrande davano un' interpretazione eccessiva al prestigio di cui credevano di essere investiti, con l'aggiunta di una arroganza e una prepotenza senza limiti. Erano cinque fratelli, scolpiti in modo uguale dal tempo, impietriti dalla solitudine e da un orgoglio smisurato.
Quando il gabelliere Gandini si recò ad esigere il nuovo balzello, i padroni di Valgrande non solo si rifiutarono di pagare ma stracciarono l'intimazione dicendo che "le tasse per una strada che a loro non serviva non le avrebbero pagate". Il gabelliere non osò protestare e non protestò neppure quando uno dei cinque energumeni lo invitò, anzi gli ordinò di mettersi a tavola con loro.
- Non si esce da casa Ceroni senza prima aver mangiato -
Il poveretto si accartocciò sulla sedia e sebbene vedesse la fame girare sui muri per i venti e più chilometri che aveva dovuto sorbirsi a piedi per portarsi a Valgrande, non toccò quasi per niente l'enorme scodella di maccheroni che una delle donne di casa gli aveva messo sotto il naso. Il buon odore della minestra infiorata da uno spesso strato di ragù teneramente abbracciato ai funghi, faceva ballare il suo stomaco vuoto, ma la paura di quei cinque che lo guardavano come un porcellino alla grassa, gli aveva tappato il gozzo.
Lasciò che i padroni di casa finissero i loro piatti, poi fra mille scuse e poveri sorrisi volse i suoi passi verso Brisighella. Otto giorni dopo, in compagnia di due carabinieri il messo gabelliere Gandini tornò a Valgrande. Lasciarono i cavalli legati a una croce di legno che fino a pochi anni fa segnava il bivio della mulattiera che porta a Montusco, podere nascosto alla vista dei Ceroni, e proseguirono a piedi con l'intento di sorprendere gli abitanti di Valgrande nella loro tana e procedere quindi alla riscossione o al sequestro. I Ceroni invece sembravano attenderli.



... lasciarono i cavalli al bivio della mulatiera che porta a Montusco ...






La tavola era apparecchiata anche per loro, per la "forza" come si diceva allora per chiunque portasse una divisa.
- Siamo venuti per quelle tasse - e stavolta il sorriso del gabelliere era coperto da un buono strato di sfottitura e autorità - non crediate di comprarci con due maccheroni ... Questi spilorci non pagano le tasse e vorrebbero magari anche farci morire di fame - finì col dire il Gandini rivolto ai suoi angeli custodi.
I Ceroni non dissero niente.
Sul fuoco un paiolo enorme stava arricciando con gli ultimi bollori una catasta di maccheroni.
- Stavolta - pensò il gabelliere - mi rifaccio. Non ho mica paura stavolta ... e guardò di nuovo la "forza" che messa lanterna e fucile in un angolo, si era già sistemata a tavola. I piatti che arrivarono di lì a poco sembravano covoni di grano.



I Carabinieri pontifici.



Incominciarono.
E per far vedere che proprio proprio non aveva nessuna paura, Gandini finì per primo la sua parte nettandosi con le mani i baffi impregnati di sugo.
- Non si va in giro a dire che in casa dei Ceroni si muore di fame ... e Sabèn, l'azdòr (il reggitore, del podere, il capo famiglia) riempì di nuovo la scodella dell'esattore.
Sembra, così mi raccontò il vecchio Nannini, ultimo proprietario di Valgrande, che il gabelliere il mercoledì, giorno di mercato a Brisighella, avesse spiegato a suo modo le scontro con i Ceroni, dicendo che "i maccheroni di Valgrande erano buoni ma pochi, e sono arrivato a casa morto di fame". E questo in fondo era vero.
Il gabelliere fece un debole tentativo per rifiutare e poi abbassò la testa sul piatto, visto che anche i carabinieri si sforzavano di finire la loro porzione, intimoriti dalle pesante, fastidiosa presenza di tre fratelli che come ad un segnale convenuto si erano portati alle spalle di ognuno dei convitati.
L'azdòr era sparito. l'altro fratello intanto, aiutato dalle donne, riempiva i piatti posandoli con fare imperioso sotto il naso dei malcapitati.
- Mangiate! Avanti mangiate! Sono pochi? Coraggio, ce ne sono degli altri! -
Con lo sguardo ormai spento, tutti sbracati a causa dei bottoni che saltavano via come tappi di bottiglia, i tre cercavano faticosamente d'alzarsi. Prontamente erano rimessi a sedere senza tanti complimenti dai rispettivi "camerieri" appostati alle spalle. Nessuno parlava più. Una poltiglia di tenebre era scesa sulla cucina dove stava per avvenire un delitto atroce, ripugnante.
Mentre i carabinieri pontifici ad un certo punto furono lasciati liberi di trascinarsi nella buca del letame a vomitare l'inferno che era in loro, Gandini incapace ormai di qualsiasi reazione veniva ingozzato a forza. Nella bocca tenuta aperta i maccheroni gli furono spinti in gola con il mattarello.
Con gli occhi schizzati fuori dall'orbita, Gandini morì soffocato nella maniera più schifosa e orripilante. Lo gettarono nella buca del letame come "un sacco di merda" così dissero i Ceroni. Poi presero a braccio i due gendarmi e si recarono ai cavalli.
La terribile vendetta di quelli di Valgrande, che ancora oggi non si racconta senza rabbrividire d'orrore, non si era fermata con la barbara  morte inflitta al gabelliere.
Sabèn, che si era allontanato un'ora prima, aveva tagliato le labbra ai cavalli che impazziti dal dolore mostravano i denti in un ghigno spaventoso.
- Anche loro ridono, vedete come ridono! Ridono come ridiamo noi ... - e la risata dei Ceroni sembrò un'onda pazza di violenza che andava a schiantarsi su quel mondo così semplice, così arcaico di allora, lasciando un segno che ancora oggi ti fa restare con il fiato sospeso.
La sera stessa i Ceroni, lasciata Valgrande nelle mani delle loro donne, si rifugiarono nel confinante Granducato di Toscana. Nessuno seppe più niente di loro ...".

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E ora andiamo. Il tracciato del trekking non è difficile. Si tratta di percorrere per intero l'orlo della valletta dove di trova Valgrande. La mappa qui accanto è chiara quanto basta.
 Si parte da Cà di Pedù, un podere lungo la strada per Valnera ben riconoscibile e mostrato qui sotto.
L'imbocco della nostra strada è alle spalle rispetto al punto di scatto di questa foto.
  
La strada sale costantemente e si percorre con poca fatica. La zona è bella, con grandi spazi, campi di grano e, in giugno, una gran fioritura di ginestre e altro.
Il primo podere, Il Casotto, si intravede nella foto qui accanto ed è già nella parrocchia della Grementiera, che comprende tutta questa valletta.
La pianta in primo piano è il finocchio selvatico. Se viene stropicciato fra le mani libera delle essenze profumate, che svaniscono dopo poco ma lasciano addosso una nota bassa di odore gradevolissimo.


Dopo aver faticato un po' si arriva a Pedù, un podere disabitato, a mezza costa.



Pedù




Il panorama è già interessante, ma per goderlo appieno bisogna guadagnarselo, salendo una ripida erta lunga quasi un chilometro, che porta al Crinale delle Salde.
Uno dei modi per ingannare la fatica è quello di non guardare continuamente avanti, perché il pendio ripido scoraggia. Così, guardando a terra, scopro che questo posto è ricco di erbe commestibili, che non mi sarei aspettato di trovare.
Ci sono quasi tutte le compagne del finoccchio selvatico, cioè le monocotiledoni che vivono a solame, nei terreni basici e siccitosi, con poca terra e molto galestro.
Ecco qui accanto il tarassaco a foglia roncinata, la plantaggine a nervatura parallelinervia e i vitalbini, cioè le punte di vitalba. Mescolando queste tre con un 60% di radicchio selvatico si ottiene un' insalata amarognola appetitosa. Però bisogna arrivare qui a metà primavera. Terrò a mente per un prossimo trekking.





Ora più delle parole contano le immagini, perché da qui si vede mezzo mondo.







Al Crinale delle Salde la visuale si allarga. Per andare a Monte Romano bisogna imboccare verso destra la strada campestre che si vede qui accanto nella prima foto in alto, altrimenti si va a Gamberaldi, un posto dove siamo già stati con questo blog il 13 ottobre del 2010 (vedi nell' archivio).  



Clicca sulle immagini
se le vuoi ingrandire








Si arriva così alla Chiesiuola di Monte Romano, che è questa. Qui c'è un altro bivio, al quale bisogna girare a destra, lungo una strada piana che passa poco sopra a Valgrande, il podere del fattaccio descritto prima.


 La Chiesiuola di
Monte Romano






I Longobardi saranno stati anche dei rozzi barbari, ma questo posto l'avevano scelto proprio bene.



L'Osservatorio di Monte Romano
ha una sala vetrata per le comitive.











Da qui si vede anche una gran parte del cielo e infatti c'é un osservatorio astronomico gestito dal Gruppo Astrofili Antares di Romagna, al quale si può accedere come specificato al sito www.osservatorioastronomico.info.


E così sono passate piacevolmente tre ore, e cinque o sei chilometri.





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