L'ultimo
incontro d'amore
fra
Sibilla Aleramo e Dino Campana
La storia fra Sibilla e Dino
cominciò ai primi d'agosto del 1916 a Casetta di Tiara, dove vissero alcune
settimane d'amore appassionato. In ottobre il rapporto era già instabile e
cominciarono le incomprensioni e le liti, sempre più frequenti.
Anstrid Anhfelt era una
giornalista svedese amica di Sibilla Aleramo. Per arrotondare affittava camere
a Settignano (vicino a Firenze) e alla vigilia del Natale 1916 ne diede una a Sibilla e Dino. La
storia fra i due volgeva al termine e le liti furibonde si alternavano alle
pacificazioni provvisorie.
Anstrid Anhfelt a
Leonetta Cecchi Pieraccini
Settignano 22 dicembre 1916
Egregia Signora,
La Sibilla mi prega di impostare l'acclusa. Se Ella ha qualche influenza
sulla Sibilla la prego di venirmi (a me!) in aiuto.
Tutta la notte si sono battuti e graffiati. Si ammazzano senz'altro, se
qualcuno non interviene. Egli ha detto che non tornerà più, ma chi mi assicura,
ch'ella non gli vada in cerca.
La mia pace è distrutta. Non avevo mai cercato la Sibilla. Ha voluto
venire per forza. Certo che non sarò crudele con lei. Sebbene il nostro Natale
sarà rovinato, non le dirò di andare via. Ma voglio sperare che qualcuno dei
suoi connazionali cercherà di farla tornare in sé. Sarà meglio che vada a stare
a Firenze. Io non ne posso più!
Tutta la notte a temere qualche grave fatto. Tutto quanto è così
disgustevole. Mi vengono in aiuto.
Anstrid Anhfelt
L'affittacamere disperata aveva
avuto la buona idea di scrivere a Leonetta Pieraccini, moglie di Emilio Cecchi
perché sapeva che i coniugi Cecchi erano amici di Dino e Sibilla.
L'intermediazione non fu necessaria perché la tempesta passò e Dino invitò
l'amata a Marradi, per il Natale ...
Sullo sfondo l'albergo Lamone
di Marradi, dove forse Dino e Sibilla soggiornarono
la notte di Natale 1916
Sibilla Aleramo a Dino Campana
24 dicembre 1916
Un letto profondo, la notte di Natale, nel tuo paese dove non sono mai
stata — dove soltanto da bimbo hai riso di gioia. Stanotte. T’aspetto per
partire — son sola nel mondo, oh letto profondo anche questo, se tu non
venissi. Tu che tanta gioia devi avere — e ami il mio dolore, dolore d’aver già
tanto guardato l’acqua fluire. Ma il tuo fiume, lo vedrò? Questo strazio, d’amarti,
di volerti felice, e di non poter tramutarmi in una cosa di freschezza, rosa
per la tua fronte, amore, amore. Non poter che consumarmi, sempre più. Non ho
più voce per parlarti. Soltanto le mani sono ancora dolci.
Stanotte, ti daranno
il sonno? Nel tuo paese. E poi addormentarmi — e svegliarmi il mattino di
Natale, bimba. C’è un bimbo, un fratellino vicino a Rina — oh Dino, Dino, che
cosa si scioglie nel cuore di Rina? Silenzio, tienmi le mani. Nessuno m’ha
detto mai, da bimba, una favola bella. Guardavo le stelle, come te. Stanotte
non ci saranno. Ci saremo noi, favole, stelle, cose lontane, irraggiungibili.
Nessuno mai più ci coglierà, anche se crederà vederci, sentirci. Stelle. Tienmi
le mani, prendine tutta la dolcezza, toglimi tutto, sono tanto felice di
morire, ma tu ma tu… Tremo, mi guardo intorno, non vieni ancora, l’acqua
scorreva…
Sibilla Aleramo
Il Lamone a Marradi
... Ma il tuo fiume, lo vedro? ...
Fonte: Gabriel Cacho Millet Le
mie lettere sono fatte per essere bruciate,
All'Insegna del pesce d'oro,
Milano, 1978
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