ricerca di Claudio Mercatali
Negli anni 1880 - 1890 il nostro
governo cominciò a mettere gli occhi sulla Libia, che allora era una provincia
dell'Impero Ottomano. Con la scusa della missione commerciale il nostro
Ministero degli Esteri spedì là alcuni esploratori, che in realtà erano degli agenti,
perché documentassero i siti e fornissero delle informazioni. La fotografia era
una tecnica ancora agli albori che dava risultati scarsi e quindi i nostri
agenti portarono in Italia soprattutto dei disegni di luoghi e città, anche
pregevoli come fattura come questi qui sotto, che stuzzicarono ancora di più i
nostri appetiti coloniali.
Clicca sulle immagini se le vuoi ingrandire
In realtà la Libia era una enorme
distesa di sabbia che difficilmente avrebbe potuto assorbire un nostro flusso migratorio,
però era anche l'ultimo lembo d' Africa conquistabile, perché l'Impero Ottomano
era decrepito, sull' orlo del tracollo e nei suoi confronti avevamo la forza di
compiere qualche atto di prepotenza.
L'occasione capitò nel 1911
perché l'Impero Ottomano era minacciato nei Balcani dalla Grecia e la Bulgaria
e non poteva difendere a dovere la Libia. Le sorti della guerra volsero
quasi subito al meglio per noi e dopo qualche mese cominciarono i rimpatri
anche se le ostilità non erano del tutto finite. Il 13 aprile 1912 giunse a
Marradi il treno dei primi reduci che furono accolti in paese con tutti gli
onori.
Quando la locomotiva a vapore addobbata
di coccarde e nastri tricolori sferragliò sul Ponte della Lontria la banda di
Marradi intonò la Marcia Reale e la gente cantò:
le trombe liete squillano
Viva il Re, viva il Re, viva il Re
con esse i canti echeggiano ...
Chi vuol sapere il resto può
digitare "Marcia Reale" su Internet e sentirà una musichina non
sgradevole, che è l'inno nazionale di allora.
Quel giorno c'erano 4000
marradesi per le strade del paese (su un totale di 9000 abitanti) che gioivano
per la vittoria e per il ritorno dei reduci. Per sapere esattamente come
andarono le cose è meglio leggere il resoconto fatto il 21 aprile 1912 dal
corrispondente del Corriere Mugellano, un giornale che si stampava a Borgo
S.Lorenzo ...
La vittoria fu molto sentita
dalla gente, anche se non si capiva bene che cosa avessimo conquistato. I Nazionalisti
gioivano perché questa era una sorta di rivincita dopo i disastri della guerra
d'Abissinia nel 1896, i Socialisti erano contenti perché era finita presto e i Marradesi
anche perché non era morto nessun compaesano.
L'anno seguente il bravo milite Enrico
Graziani venne insignito della medaglia di bronzo, consegnata dal sindaco
Vincenzo Mughini il 15 giugno 1913. Ce lo ricorda questo manifesto conservato
nell'Archivio storico del Comune di Marradi, che invitava la popolazione a
partecipare alla cerimonia, di fronte alle scuole elementari.
Fra i reduci della Guerra di
Libia c'era anche mio nonno Attilio Piazza, che è questo qui accanto con l'elmetto coloniale
rivestito di sughero contro il sole africano.
In casa c'è ancora il quadernino
del suo diario "Ricordi e Pensieri della Guerra Italo - Turca, 7.1.1912,
3° Genio Telegrafisti, Bengasi". Non era fra i rimpatriati di cui abbiamo
detto prima e tornò a Marradi con un altro gruppo nei mesi successivi.
Sentiamo come racconta i fatti:
L'assalto di notte Bengasi, 17.2.1912
Ancora sotto l'impressione in me vivissima del combattimento terribile
di questa notte famosa. Che notte d'inferno! Che colpi! Che scene e che strazi!
Una simile notte non la passai mai dacché mi trovo in guerra e non mi succederà
più e più non la scorderò campassi cento anni. Stavamo sotto la tenda a dormire
quand'ecco si sentirono le vedette gridate "All'armi" e giù colpi di
moschetto. Le nemiche si fanno sempre più vive invomitando qualche colpo di
cannone. Non passarono tre minuti che si sentì "tetterete tetterete"
grido all'armi con la tromba e allora noi tutti via il cappotto, su in piedi
moschetto in mano, le tasche piene di caricatori e giù in trincea. Lo
scompiglio che successe e quanti colpi abbiamo sparato non ve lo saprei dire.
Si sentivano urli e grida strazianti, pallottole fischiare, i colpi dei
cannoni, granate che scoppiavano da una parte shrapnel dall'altra e i colpi
della marina facevano traballare tutto e quando scoppiavano tutta la massa nera
e facevano dei vuoti immensi. C'era la luna e i riflettori che illuminavano
tutto, ma che scene, che notte terribile. Accidenti quanti colpi!
... c'era la luna e i riflettori
che illuminavano tutto ...
Il colmo fu verso mezzanotte quando cercarono di passare i reticolati.
Figuratevi che scariche! Il combattimento durò fino alle due del mattino e
quando videro che man mano che si avvicinavano cadevano morti pensarono bene di
scappare. Dopo tutto tornò silenzioso, solo qualcuno sparava quando vedeva
qualche arabo che strisciando cercava di scappare. Alla mattina verso le 8 si
poté vedere bene qua e là dei mucchi di cadaveri e feriti. Fu una bella lezione
per loro; fra morti e feriti furono 200.
... il colmo fu verso mezzanotte quando cercarono
di passare i reticolati ...
La messa di Pasqua Bengasi
7.4.1912
Il giorno 7 giorno di Pasqua, si passò discretamente, se non bene, un
po' meglio degli altri. Il nemico ci aveva fatto avvertire per mezzo dei nostri
informatori che in quel giorno solenne per gl'Italiani avrebbero tentato un
attacco generale in tutta la linea di difesa con la speranza di tornare in
Bengasi abusando così della nostra grande festa credendoci in tale giorno tutti
ubriachi. Magari si fossero provati; i nostri ufficiali avevano preso tutte le
misure e precauzioni per essere pronti in caso di attacco. La giornata era
bella e magnifica proprio di quelle primaverili. Noi intanto per tale giorno si
era preparato un piccolo teatrino per recitare poi alla sera e in verità
improvvisato così era riuscito benissimo. Alcuni giorni prima essendosi
presentato al nostro capitano l'onorevole padre Geroni per chiedere quando
poteva venire a celebrare la messa per noi soldati con il capitano pensò di
farla celebrare il giorno di Pasqua e precisamente sul nuovo teatrino.
Geroni Francesco
(padre Gioacchino)
di Firenzuola (Firenze)
sul cammello, a Bengasi.
Era un frate al seguito
delle truppe.
Sotto: la copertina del diario
di Attilio Piazza
Il ghibli,
Bengasi 21 giugno 1912
Ieri notte imperversava il ghibli, come mai finora. Sotto il soffio
impetuoso della bufera ululavano i palmizi e ad ogni raffica le case di Bengasi
tremavano. Il vento spostava le imposte rabbiosamente e i nuovi colpi facevano
gemere le baracche degli accampamenti come navi in tempesta.
Il mare furioso levava il suo
gran ruggito lontano, nella vastità profonda, con calore di incendi senza fuoco
passava nell'aria. E' questo soffio ardente che dà al ghibli qualche cosa di
pauroso e di vivo soprattutto alla notte quando la tempesta vicina e il vento
pieno di voci possenti, prodigiosamente caldo, fa pensare ad un alito
mostruoso.
Dalle ridotte non era possibile vedere un mestìo lontano prima che la
luna sorgesse. Quale ora propizia per il nemico! Io stavo di sentinella. Dal comando
un fonogramma circolare aveva fatto avvertire tutti i forti: "si faccia
buona guardia".
La ridotta di Sidi Dakis
Fonti delle
illustrazioni:
Cirenaica e
Tripolitania, Giuseppe Haimann 1886
Settimanale Il
Corriere mugellano, tipografia Toccafondi, Borgo S.Lorenzo
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