Il dramma dell'intelligenza
ricerca di Claudio
Mercatali
Dino Fiorelli (Prato 1904 - 1979)
fu giornalista, saggista e poeta. Scrisse "Della
natura degli italiani e il dramma dell’ intelligenza" (Roma, Sigfrido
1928) e "Borghesismo: paradosso
contro il mio tempo" (Torino, Edizioni del Baretti 1929). Nel biennio
1929-1930, con altri giovani intellettuali pratesi pubblicò il periodico "Strabisenzio". Entrato PNF,
ne uscì nell’ottobre 1924 dopo il delitto Matteotti. In seguito divenne
antifascista tanto che fu spedito al confino nell'isola di Ponza.
Nel dopoguerra pubblicò Elegie del tempo perduto (Prato, Cupolin
degli Ori 1957) e Lasciatemi divertire
( Prato, Bechi 1972). Dino Fiorelli donò i suoi libri e le sue carte alla
biblioteca Roncioniana di Prato.
Strabisenzio, il periodico letterario
pubblicato da Fiorelli negli anni Venti
"Per gustare certi passi di
questo poeta bisogna conoscere il paesaggio romagnolo: i suoi rivi, i suoi
tramonti, i caseggiati rustici e fieri, le sue bettole sparse sulle strade
maestre, il rosa del suo cielo nell'albe e nei tramonti, i suoi monti aspri e
rocciosi, i torrenti fronzuti all'intorno.
Banchi di arenaria spezzata
nella valle di Campigno
... i suoi monti aspri e rocciosi ...
Bisogna conoscere la sensibilità
della donna che qua è molto diversa dalla donna toscana, tipo razionale e
borghese, con pochi sogni e pochissime follie.
C'è nella pagine di questo poeta
disgraziato e quasi del tutto sconosciuto, un sapore di cielo, di sole, di
aria, di solitudine: una freschezza autunnale di paesaggio montanino, con
sfondi di montagne severe.
La sua prosa, piena di ombre e di
chiaroscuri, è ricca di immagini e di figure, e vi è in queste pitture di cose
umili, di casupole, di tramonti, di visioni notturne, di crepuscoli mistici,
qualcosa di misterioso, di umanissimo, di trasfigurato.
Mi rammenta qualcosa di
Baudelaire, ma vi è qualcosa di più.
Si sente l'ansia di chi si cerca,
tremando in tutto l'essere per il turbamento che gli danno le cose che l'occhio
ha toccate, seguendo il suo sogno nostalgico - desiderio di vivere liricamente
e di superarsi. Oltre al fresco sapore delle cose, l'aspirazione commossa resa
meno tormentosa dalla vaga dolcezza del paesaggio.
Vi è qualcosa insomma in questo
poeta maledetto che voialtri, uomini delle pianure, difficilmente giungerete a
comprendere. Qualcosa della robustezza e della forza romagnola e la delicatezza
di un francese "decadente", ma niente delicatezze affettate e
moinose. Egli aveva pensato più che a fare poesia a viverla; più che a passare
per illustre a fabbricarsi la nomèa di poeta, ad esserlo. E lo era.
Perciò ha lavorato poco,
pochissimo. ma nella sua poesia frettolosa e malata vi è un sapore
"suo", una nota sincera dell'anima. (Considerare il poeta Campana un
temperamento originale).
Finito a ventisette anni, gigante
nell'aspetto - come lo raffigurano coloro che l'hanno conosciuto da vicino - ,
il suo male era, come in tutti i poeti veri, la sua originalità. La sua passione era la montagna,
e della montagna vi è, nella sua poesia, il ritmo, l'aspirazione, la purità.
A Marradi, ove è nato nel 1885,
da famiglia distinta, lo si vedeva di rado e parlava con pochissimi. Quando era
"a casa" si ritirava sulle solitudini della sua Campigno. - La
Falterona, la Verna, gli erano egualmente ospitali e sacre. Aiutava i contadini
nelle faccende dei campi e ne riceveva la ricompensa.
Parlava diverse lingue, aveva
viaggiato moltissimo: quasi sempre a piedi e senza un soldo - come amava
viaggiare lui, da poeta e da pellegrino dell'anima. Il suo temperamento scosso
aveva qualcosa di nordico, come la sua facciona barbuta.
***
La sua poesia ha la potenzialità
dell'immagine, la forza squisita di rappresentazione, e giunge sempre a un
linguaggio "suo". E' un lirico, un nostalgico; ma, come ho detto già,
anche nella sua malattia vi è qualcosa di robusto, di maschio. Niente di
femmineo decadente, di borghesucolo sentimentalismo alla Puccini Giacomo.
In questo poeta, in questo
errante disfatto dai sogni e dalla pazzia, vi è il pittore che coglie con
occhio attentissimo e cercante e rende vivissimo, palpitante, plastico, mobile,
umano.
E nascono i ricordi della
fanciullezza, insieme ai ricordi del paesaggio mutabile e molteplice, e lo
sgomento. Per capire inoltre certe
situazioni e movenze dei suoi "Canti", credo bisognerebbe averlo
conosciuto più da vicino.
Potenza scultorea
michelangiolesca, a volte sciupata in troppi particolari. Così non tutti i suoi
canti sono di una forza mirabile: alcuni perdono in originalità e hanno
pochissimo valore artistico, altri si potrebbero togliere perché sciupano
l'unità del libro. Inoltre, è necessario un lettore attentissimo, e non tutti
potranno ritrovarci quei pregi che uno spirito critico sa cogliere.
Ma questo poeta, non sempre
perfetto, ha infine la virtù di riaccostarci alle cose e di farci disprezzare
questa sterile civiltà: perciò chi porti nell'anima - oltre al tedio e al
disgusto della città - un bisogno di pace, di verde, di sole, amerà senza
dubbio questo poeta "maledetto" dimenticato".
... chi porti nell' anima - oltre al tedio e
al disgusto della città - un bisogno di pace,
di verde, di sole ...
di verde, di sole ...
Fonte: Biblioteca Roncioniana di Prato, Pzza S.Francesco 27 tel. 0574 24641.
Il giorno 15 ottobre 2015 sarà presentato il libro "L'avventura dei Canti Orfici".
Per saperne di più chiedere all'autore roberto.maini@email.it
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