sabato 29 agosto 2020

Un trekking con i Longobardi

A caccia con loro 
nella valle Acereta
ricerca di Claudio Mercatali


I Longobardi



I Longobardi furono rudi guerrieri, cacciatori e grandi mangiatori di carne di maiale, ma anche abitanti convinti del Mugello e del nostro appennino per quasi duecento anni. Lo considerarono apprezzabile e non solo una terra di conquista da tassare, come fecero i Bizantini in tante parti d’Italia. Poi conquistarono anche la pianura romagnola scacciando i Bizantini, temporeggiatori ed eleganti come quelli dei mosaici di Ravenna. Il re Liutprando nel 740 prese e saccheggiò Faenza ma fece edificare la chiesa di Santa Maria ad Nives, per farsi perdonare. Una certa storiografia ci ha descritto o rappresentato così queste genti, ma forse tutte queste cose non sono del tutto vere. 





Mettiamo da parte la storia, che ora non ci interessa e facciamo un trekking lungo il confine con Tredozio, in un sito che quasi di sicuro fu di caccia per i Longobardi, frequentato anche ai tempi nostri per le battute al cinghiale. Oggi uno dei nostri scopi è la caccia al toponimo, per trovare qualche nome che ci può far risalire fino a loro. “Trovare” è un verbo difficile da coniugare in questa indagine, perché la lingua longobarda è scomparsa da più di mille anni, e per giunta non era scritta. Sappiamo che era un dialetto sassone, bisnonno del tedesco attuale e quindi faremo riferimento a questo.

Sia chiaro che così facendo il vero, il verosimile e l'inverosimile si confondono, perché le regole della toponomastica intesa come scienza impongono di non fare affidamento solo sulle assonanze. Diamo un limite alla fantasia cercando dei nomi riferibili:
1) al tedesco, non tanto nella pronuncia, ma proprio nella radice delle parole.  
2) ad una caratteristica del posto altrettanto chiara.

Però questi luoghi sono interessanti anche senza pensare ai Longobardi e osserveremo un po’ anche la natura attorno, per capire perché questi antenati nostri diedero certi nomi ai posti.


La via da percorrere comincia dal Passo al confine con Tredozio, va a Trebbana e poi scende nella valle dell’Acerreta. Si parte dalla villa La Collina, della famiglia Vespignani dal 1576. Il posto è incantevole, con alcuni poderi sul versante di Tredozio e altri su Marradi, trasformati in agriturismi, con tanto di piscina.

Si riconoscono bene perché le case sono tinteggiate di rosso, anche a Lutirano, come piaceva a Jacopino Vespignani, il vecchio proprietario sindaco di Tredozio per tanti anni. Così è per il Manzino e la Collinaccia, nel crinale di confine fra Marradi e Tredozio, cioè fra la regione Toscana e l’Emilia Romagna.  La strada vicinale finisce al podere Il Campaccio e comincia una via percorribile solo a piedi. Dopo 1 km si arriva al Poggio Dornéta, primo toponimo di possibile origine longobarda, perché in tedesco dorn significa spino. Là sullo sfondo, sul crinale accanto c’è il Monte del Villio o Viglio, forse da wild selvatico, incolto. Si va avanti con poca fatica, perché siamo in un crinale pianeggiante per dei chilometri.


Il panorama è ampio: verso ovest, come si vede qui accanto e lungo la valle dell'Acerreta.

La segnaletica è chiara: una banda bianco rossa indica il sentiero 533 del CAI che segue il crinale, confine con Tredozio. Invece la segnaletica a bande giallo blu, dell’AGESCI, indica una campestre che scende verso Pian di Trebbana, più agevole ma fradicia il caso di piogge recenti.




Anche Tredozio fa un bell'effetto visto di qua.


 
Clicca sulle immagini
se le vuoi ingrandire

Nel crinale di fronte, a solame, si vedono i resti di Frassanello (qui accanto), uno dei quattro poderi antichi di questa zona. Gli altri sono Linsetola, la Casetta del forno e Pian di Trebbana.
La Casetta del forno? Chi veniva a comprare il pane qui? Forse c’è un equivoco: il forno, e fùrne somiglia a fern che in tedesco significa lontano. In effetti questo è il posto più remoto di Trebbana. Anche Linsetola è un nome interessante per noi oggi, perché linse in tedesco è la lenticchia. Pian di Trebbana è una casa poderale in rovina, ben nota perché lì accanto c’è una quercia plurisecolare con la circonferenza di quasi cinque metri. E’uno dei patriarchi vegetali più noti di questa zona.



 
Alcuni componenti della Allegra brigata del Maggiociondolo (un gruppo di escursionisti di Marradi) abbracciano la quercia di Trebbana e cercano di misurarla.


Trebbana viene da trivium, parola latina che significa “luogo dove si incrociano tre vie”. Qui, a San Michele in Trebbana, la chiesa dell’ incontro, confluivano gli abitanti di questa remota valletta per la liturgia e per ogni altra ricorrenza. Siamo in un sito abitato fin dall’Alto Medioevo, che compare in una donazione del 1062 a San Pier Damiani e in questa pergamena del 23 marzo 1297, conservata all’Archivio delle Riformagioni di Firenze.

Quell’anno i frati del Convento faentino di San Ippolito, padroni del sito da tempo immemorabile, vendettero i poderi al Comune di Firenze e il dì del contratto convocarono i 46 capifamiglia alla chiesa per comunicare il cambio della proprietà. La pergamena qui accanto è appunto l'atto di vendita, con i nomi degli abitanti e la firma del notaio. La scritta in giallo è la trascrizione dell'originale in caratteri moderni. 








I Magistrati fiorentini ben presto si accorsero che questa comunità aveva delle consuetudini antiche che erano diventate leggi e le rispettarono. Trebbana divenne un Comunello, una specie di zona franca che non dipendeva né da Marradi né da Portico, ma aveva un vincolo elastico e diretto con il Vicariato di Rocca San Cassiano. C’è una precisa traccia di questo nelle vecchie cartine topografiche del Settecento. La situazione cambiò solo alla fine di quel secolo, quando la Riforma del Granduca Leopoldo assegnò la zona a Marradi, come semplice parrocchia.



La statua di legno di San Michele arcangelo, alla chiesa di Trebbana. La fece Luca, il custode del luogo qualche anno fa. E' mutila delle ali perché un vandalo le tagliò.

Sotto: l'interno della chiesa, ristrutturato da don Antonio Samorì. il prete che ha fatto rinascere anche Gamogna e Lozzole, cittadino onorario di Marradi.





 
Quali erano le consuetudini irrinunciabili che convinsero i Magistrati fiorentini a concedere l’autonomia a queste zone? 

Non lo sappiamo ma dovevano essere forti e la qualifica di “comunello” fu riconosciuta anche a Portico, Bocconi e San Benedetto. In questo angolo chiuso e affascinante dell’ appennino forse per un paio di generazioni rimasero isolate le ultime comunità di Goti o di Longobardi, dopo la fine disastrosa dei loro regni in Italia. Poi pian piano furono assimilate ma lasciarono traccia in alcuni nomi di luoghi e forse in qualche tradizione, come il culto di San Michele, che dà il titolo alla chiesa ed è l’angelo con la spada caro ai Longobardi. Qui in zona ci sono altre tre chiese dedicate a lui (Abeto, Grisigliano, Tredozio). e in più c’è un dipinto alla Maestà di Piaiano, vicino a Cesata. Se l'angelo qui ha così tanta devozione un motivo ci sarà.

Borgo di sopra e di sotto sono due poderetti con il nome chiaro: burg in tedesco significa posto sorvegliato, custodito, controllato. Ci sono tanti esempi anche nella lingua odierna. Sono le uniche due case poderali della valle che si chiamano così.



Mestìolo (muscióla) è un altro poderetto, del quale rimangono solo i ruderi. Il suo nome  può avere una doppia origine: 1) dal romagnolo mèz stiór, mezzo stiòro,  un’unità di misura di 500mq 2) da muschio perché nelle cartine recenti il podere è segnato come Muschióla (però il muschio non è poi così tanto).

Scendiamo a Ponte della Valle, lungo una strada antica, a fianco del Fosso di Trebbana. Nel 1868 il ponticello che lo attraversa era di legno decrepito e fu travolto da una piena. Il commissario prefettizio che governava il Comune di Marradi ordinò che fosse ripristinato e nella sua relazione lo chiama ponte sul Fosso dell’ Acquadrini, che però in realtà scende dall’ Insetola e questo è un suo affluente.



Le Ghialde è un podere con il nome assonante con I Eld  (gli Aldi, i vecchi, i nonni) con il solito toponimo longobardo – aldo.
El tόl, le Tavole. C’era una trattoria qui? No, la Tavola era un’antica misura agraria che da noi era di 34 mq. Dalle cartine catastali qui accanto sembra proprio che il terreno sia spartito con questa unità.
E siamo così giunti a Ponte della Valle, dove e foss del Quadrȇn  sbocca nell’Acerreta. Siamo usciti dalla valletta di Trebbana ed entrati nell’alta valle dell’ Acerreta, dove l’ indagine continua camminando verso Lutirano. Qui si incontrano delle belle case poderali ristrutturate, con dei nomi che sono uno più interessante dell’altro.

Pizzafrù (Psafrù) è uno dei toponimi più buffi del comune di Marradi, forse dal tedesco spitze, vetta. Il Catasto del 1822 ci conforta in questa etimologia, perché riporta la Capanna di Pizzafrù, in alto, nel modo indicato qui accanto. Però i lutiranesi intendono con questo nome la casa vicino alla strada comunale, che nel Catasto granducale del 1822 si chiama Mancorti.

Rio di Corniòla è un toponimo che sembra chiaro ma non lo è. Il corniòlo è un alberotto alto qualche metro, con bacche rosse e legno duro, che un tempo si usava per fare le pipe.  Linneo nel 1755 lo chiamò Cornus mas, si trova già in un contratto di compravendita del 1794. E' una pianta spontanea ma a Badia della Valle ce ne sono poche. Può darsi che nei secoli si sia diradata, in fondo il tempo non passa invano, però è resistente, tanto che si dice “sano come un corniòlo”.


Il dialetto romagnolo ci aiuta a trovare una alternativa: se il nome del posto derivasse dalla pianta si direbbe Rè ed corniό e riferito al frutto Rè ed cόrniola, con la prima “o” chiusa e accentata. Ma si dice Rè ed corniόla e allora dobbiamo staccare “- ola” che è un diminutivo e andare alla radice “kòrn” che in tedesco significa grano. Dunque così facendo il toponimo significa “Rio dove si coltiva un po’ di grano” il che è compatibile con la morfologia del luogo e con altri quattro toponimi “còrn” qui in zona.

Rio Faggeto è una bella villa vicino al torrente Acerreta a circa 450m di quota, però i faggi vivono dai 700m in su. In nome forse deriva da Cafaggio, parola longobarda che significa "posto recintato, Bandita", proprio come Cafaggiòlo, il noto castello mediceo del Mugello.



Vallamento grande e Vallamento piccolo sono due poderi sullo sfondo di questa foto, sulla sinistra dell' Acerreta. Chi si lamentava là? Nessuno, lamm in tedesco significa agnello e dunque è come dire Val dell'agnello, nome di un sito a Palazzuolo.





Il nostro trekking è finito e siamo a Lutirano, di fronte al podere Il Violino, la casina a destra nella foto qui a fianco. C’era qualche musicista qui? No, il nome viene dal romagnolo viotlȇn, viottolino, che c’è anche a Modigliana nella variante Violàno, un gruppo di case all’ inizio del passo del Trebbio e i Longobardi non c’entrano. Poteva essere una scorciatoia per il trekking di oggi, se fossimo scesi dal Monte del Viglio attraverso Valladoccia, una lunga vallecola che finisce accanto al Violino. Mai nome fu più appropriato: scende diritta a Lutirano con un fosso gagliardo ricco di piccole sorgenti e infatti a metà c’è il podere Fontanelle. Qualche cacciatore longobardo l’avrà percorsa di certo, però noi non l’abbiamo fatto.

E’ rimasto qualche carattere genetico longobardo in noi, qui nella zona? Vediamo. La genetica dice che uno trasmette sempre esattamente il 50% del suo DNA. Dunque nel giro di tre generazioni nei miei discendenti rimarrà solo il 12,5% di me. Considerato che i Longobardi sono stati assimilati 1300 anni fa e da allora sono passate 1300 : 25 anni = circa 52 generazioni …
E’ rimasto qualche retaggio culturale? No, al massimo ci può essere qualche parola deformata, perché le culture orali si mescolano più o meno con la stessa rapidità dei caratteri genetici.


domenica 23 agosto 2020

I fenomeni meteo dell'estate

Quattro manifestazioni tipiche
della bella stagione
di Claudio Mercatali




Che cos’è un fenomeno? Nel linguaggio comune è un evento eccezionale, culturale, sportivo, di cronaca e altro ma in realtà la parola in sé è la traduzione schietta del greco antico fenomai che significa solo “una cosa che avviene”
Dunque una goccia che cade su una foglia è un fenomeno così come un turbine che abbatte la pianta. Questi che seguono sono fenomeni meteo intesi in questo senso, ossia cambiamenti ordinari delle condizioni atmosferiche, che avvengono, capitano, succedono, senza essere dei record, ossia delle cose da ricordare.

LE NUVOLE
                                               cumulinembi

Le nuvole sono simili alle nebbie: sono fatte da minute goc­cioline d’acqua sospese nell’aria. Si formano quando una massa d’aria calda e umida si solleva, l'acqua condensa sotto forma di vapore. 


cirri

La condensazione può avvenire a diverse quote e quindi ci sono tanti tipi di nuvole:

Gli strati e i cumuli sono nubi basse, che si for­mano per piccoli fenomeni di condensazione.


I cumulonembi sono nubi a torre, che a volte raggiungono i margini supe­riori della troposfera (10 km) e spesso pro­vocano violenti tempo­rali.
I cirri sono le nubi più alte e hanno forme allungate.
cirrocumuli

I cirro­cumuli hanno invece un aspetto tondeg­giante. Non portano pioggia, ma spesso prece­dono gli ammassi nuvolosi più grandi. Da qui il detto “cielo a pecorelle, acqua a catinelle”.

Quanto pesa una nuvola? I meteorologi hanno calcolato che il vapore ha una densità D = 0,5 grammi al metro cubo e quindi una nuvoletta di raggio 100 m se fosse sferica avrebbe un volume di:

V = 4/3 πr3 =4 x (3,14 x 1003 )/3 = 4.186.667 metri cubi          
e peserebbe  P = D x V =  20,93 q

Come può sostenersi in cielo se pesa quasi 21 quintali? Non è una questione di peso ma di densità: l’aria poco umida o secca ha una densità variabile da 1,0 a 1,225g / mc e quindi l'aria molto umida che formerà la nuvola sale come un palloncino perché è meno densa. Perché sta ferma ad una certa quota? Con la salita si è raffreddata e ha raggiunto un equilibrio con l’aria circostante.

I TEMPORALI

I temporali sono eventi meteo tipici dell’estate e si sviluppano con un ciclo di fasi ben preciso:

Prima fase: una massa d’aria vicina al suolo si scalda molto con il sole estivo, e si carica di umidità, proveniente dai suoli che si asciugano.
Seconda fase: l’aria calda e umida, che è leggera, sale veloce verso l’alto e si raf­fredda.
Terza fase: con il raffreddamento l’umidità raggiunge il 100% e il vapor d’acqua condensa. Così si formano delle grandi nubi come i cumulonembi. Il movimento delle piccole particelle d’acqua dentro un cumulonembo è veloce e caotico: si urtano e si ingrandiscono, finché non riescono più a sostenersi e precipitano al suolo sotto forma di pioggia.
  
I temporali sono violenti ma durano poco, e si esauriscono quando l’acqua dentro al cumulonembo è precipitata al suolo. Così il cumulonembo scompare e il cielo torna sereno.





I FULMINI E I TUONI  

Se strofiniamo una penna di plastica sulla manica di una maglia di lana e poi la av­vici­niamo ad un pezzetto di carta, pos­siamo notare che esso viene attirato. Il fe­nomeno av­viene perché lo sfrega­mento elettrizza la plastica. Anche l’acqua si può caricare di elettricità per stro­finio, quando è in forma di minute gocce come nelle nubi. In un cumulo­nembo lo stro­finio av­viene di continuo, fra i vari volumi d’aria umida che sal­gono in alto.

Alla fine la nuvola è tanto carica di elettricità da non poterla più conte­nere e la sca­rica verso il suolo con un fulmine accompagnato da un tuono. Sic­come la velocità della luce è molto più alta di quella del suono, noi vediamo subito il bagliore del fulmine e sentiamo il rumore dopo un certo tempo. Una regola approssimata dice che se contiamo lentamente quando vediamo il fulmine e smettiamo quando sentiamo il tuono, otteniamo un numero che indica a quanti chilometri di distanza è caduto il fulmine.
E il lampo? E’ una scarica elettrica dentro la nuvola per cui si vede il bagliore ma non il percorso verso il suolo. Affidiamoci al poeta Giovanni Pascoli:
 
Il lampo
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto;
come un occhio, che, largo, esterefatto,
s’aprì si chiuse, nella notte nera.

LA GRANDINE

La grandine è un fenomeno meteoro­lo­gico estivo o primaverile. Un chicco di grandine tagliato a metà mostra una struttura che spiega bene la sua origine: è formato da strati di ghiac­cio tra­sparente e opaco. Spesso con­tiene anche bolle d’aria. Si pensa che questi strati si formino in diverse fasi:




Prima fase: dentro un cumulonembo turbolento una goccia d’acqua viene tra­scinata in alto, si raf­fredda, ghiaccia e  cade.
Seconda fase: la goccia d’acqua ghiacciata non arriva al suolo, per­ché una corrente d’aria la riporta in alto. Così si ricopre di un altro velo di ghiaccio e diventa più grossa.
Terza fase: Le correnti d’aria dentro il cumulo nembo fanno compiere diversi “giri” alla pallina di ghiaccio e ogni volta essa si ricopre di un velo d’acqua ghiacciata. Così si forma il chicco di grandine con la struttura interna stratificata.
Quarta fase: Il chicco è diventato pesante e l’aria turbolenta 
non riesce più a trasci­narlo in alto. Cade e dà origine a una grandinata.



martedì 18 agosto 2020

La Manomorta ecclesiastica

          Uno studio di Jacopo Fabroni del 1830
Ricerca di Claudio Mercatali



Ognuno di noi sa che nella nostra Economia il denaro produce ricchezza se passa di mano in mano. Il motivo è evidente: una banconota da 50 euro soddisfa una mia necessità quando la spendo, e qualche esigenza di chi l’ha ricevuta se a sua volta la spende. Invece se sta sotto il mattone è solo un pezzo di carta. Inoltre lo Stato incassa molto dal denaro che circola, perché su ogni bene c’è un' imposta.




"Manomorta ecclesiastica" era un modo di dire per dire che i beni di un Ente religioso non essendo ereditati non pagavano la successione e nemmeno le tasse di registro perché di rado venivano venduti.




Nel '700 il patrimonio ecclesiastico formato nei secoli con le donazioni era così ampio da creare problemi agli Stati perché non era tassabile. In più una gran parte era gestita male, per negligenza o per l’eccessiva vastità e il fatto era un danno per l' economia degli Stati italiani preunitari. 


Per ovviare a questo il Granduca di Toscana nel 1751 promulgò una legge sulla manomorta che vietava la donazione di beni immobili a Enti ecclesiastici senza una licenza granducale a pagamento. 







Nel Regno delle due Sicilie il primo ministro Bernardo Tanucci  nel decennio 1767 - 1777 introdusse delle tasse sulle donazioni e sui testamenti a favore degli Enti ecclesiastici. Napoleone conquistata l’Italia fu più drastico e confiscò i beni della Chiesa a favore del Demanio Pubblico. Finito il periodo napoleonico la Chiesa recuperò una parte dei beni ma il Regno di Sardegna introdusse l'imposta di manomorta (pari allo 0,90% del valore del bene) e questa tassa passò nell'ordinamento del Regno d'Italia nel 1861. Anche Cavour confiscò molti beni ecclesiastici. L'imposta di manomorta fu soppressa solo con la legge 31 luglio 1954, n. 608.





C’erano delle rendite di manomorta nel Comune di Marradi? Di che entità? Siccome qui da noi c’erano cinque monasteri millenari è facile immaginare la risposta, ma per essere precisi affidiamoci al notaio Jacopo Fabroni, che nel 1830 aveva sott’ occhio i fatti e in questa Memoria, pubblicata nel Giornale Agrario Toscano curato dal Gabinetto Vieusseux di Firenze ci dice quello che puoi leggere nei quadri qui accanto.

Per altri scritti di Jacopo Fabroni sul blog

12.04.2020  J.Fabroni sul Giornale Agrario Toscano (tematico Scienze Agrarie)
02.08.2019 I miglioramenti di un fondo alpino ( tematico Scienze della Terra)
17.11.2018 J.Fabroni descrive la Romagna Toscana (tematico La Romagna Toscana)
28.02.2017 J.Fabroni eclettico signore dell' '800 (tematico I Marradesi dell' '800)
20.03.2013 Gli affreschi di Palazzo Fabroni (tematico Gli affreschi)

mercoledì 12 agosto 2020

Eduardo Gordigiani


Una serie di quadri del pittore 
fiorentino che visse i suoi 
ultimi anni qui da noi.
ricerca di Claudio Mercatali



Eduardo Gordigiani nacque a Firenze il 18 gennaio 1866 figlio di Michele, noto ritrattista. Da piccolo visse nelle varie residenze di famiglia, a Firenze e dintorni: Bellosguardo, Montughi e Striano, in Mugello.
Frequentò l’Accademia di Belle Arti con buoni risultati ma suo padre all’ inizio era scettico sulle sue capacità artistiche. Nello stesso anno strinse amicizia con Egisto Fabbri e Alfredo Müller con il quale si recò a Parigi, che allora era una mèta per tanti pittori. Nel 1893 a New York conobbe Eleonora Duse e le fece un famoso ritratto. Nel 1900 si stabilì a Villa Vorsé a Settignano.  In questo periodo la pittura di Gordigiani subì una metamorfosi e divenne ricca di emozioni personali.
Nel 1906 si trasferì a Pisa dove rimase fino al 1915. Poi rientrò a Firenze e divise lo studio paterno con il pittore Federico Andreotti e l’amico Alfredo Müller. Nel 1939 ottenne la medaglia d’oro all’ Esposizione internazionale di Parigi e giunse così alla notorietà che fino ad allora gli era mancata.


Nel 1930 conobbe Irene Fabbri, sua giovane allieva, che sposò nel 1956 dopo la morte della moglie Sophie Carpenter. 


Casa Fabbri, ora e allora 

Con lei si trasferì a Popolano, a Casa Fabbri, residenza storica della sua famiglia . 


Nel 1858 divenne cittadino onorario di Marradi. Morì il 30 gennaio 1961 a Popolano di Marradi.






Dunque fu popolanese di adozione e da quella realtà trasse ispirazione per i quadri qui accanto. La chiesa di Popolano, dell' alto medioevo, fu uno dei soggetti preferiti.








La donna con i capelli scuri che compare spesso nei quadri è Irene Fabbri.


Il ponte che scavalca il Fosso della Cavallara porta da Casa Fabbri alla chiesa di Santa Maria in Popolano.

Casa Fabbri è l'edificio rosso in primo piano nella foto qui accanto.






La sensibilità del pittore per il panorama della valle del Lamone vicino a Popolano era alta.














Clicca sulle immagini
se le vuoi ingrandire
















Anche il lavoro dell'uomo era oggetto di attente osservazioni.





L'età avanzata non consentiva al pittore di allontanarsi da Popolano e per questo i soggetti riguardano i dintorni del paese. Fa eccezione il quadro di Casa Cappello, che vediamo qui accanto com'era negli anni Cinquanta. E' una antica casa torre medioevale di Sant' Adriano, che per motivi di difesa non aveva la porta a pian terreno. Si entrava con la scala a pioli direttamente al primo piano.