martedì 31 maggio 2022

I castellari rasi al suolo e persi per sempre

Cinque trekking nei siti
dove sorgevano
ricerca di Claudio Mercatali

Il castello di famiglia di Maghinardo era nel poggio sopra al podere Le Ari (Badia di Susinana, Palazzuolo)


Quando un edificio è simbolo di potere può essere raso al suolo se sopraggiunge un nuovo padrone che vuole cancellare la memoria del vecchio. Per esempio Maghinardo Pagani spianò il castello di Baccagnano, che era del faentino Francesco Manfredi in modo così accurato che oggi nemmeno gli archeologi riescono a trovarne le tracce. Il vescovo Giovanni Andrea Calegari (1527 – 1613) nella sua Cronaca di Brisighella e Val d'Amone dice che:


I campi di Baccagnano (sullo sfondo) visti dalla Signora del Tempo (la Torre dell'Orologio di Brisighella).

"Questo Maghinardo l'anno 1290 andò a campo a un castello di Francesco Manfredi da Faenza, chiamato Baccagnano, posto in Val di Amone, di là dal fiume a man manca, per andare da Faenza a Firenze, di riscontro appunto dove è hoggi Brassichella, e l'assediò per molti giorni continui, combattendo giorno et notte; et perché l'assedio fosse più stretto ed aspro, fondò un altro castello dirimpetto a Baccagnano, di qua dal fiume Amone, a man dritta per andare in Toscana, che è hoggi la torre vecchia di Brisighella, e la fondò sopra un sasso di gesso alto e spiccato a torno a torno, come uno scoglio; e lo fabbricò di quadroni del medesimo gesso, tagliati a scarpello, e vi mise suoi soldati e guardie con una grossa campana per dare i segni che bisognavano; et con tal modo strinse sì Baccagnano, che lo prese et distrusse; e dalla distruzione di questo crebbe poi Brassichella, che avanti era piccola contrada, e non haveva né torre, né rocca, come hoggi; perché Maghinardo edificò la torre vecchia".


I discendenti di Maghinardo subirono la stessa sorte nel 1378 quando i Fiorentini rasero al suolo il castello di famiglia alla Badia di Susinana, assieme ad altri tredici sparsi nel comune di Palazzuolo. Come erano i "castelli" dei Signori medioevali sgominati dalle milizie della Città? Il nome può ingannare noi moderni, se immaginiamo il castello come un maniero con merli, ponte levatoio, cinta e quant' altro. Abbandoniamo questa immagine perché i castellari delle alte valli del Lamone e del Senio erano in realtà solo delle torri di difesa, efficaci contro i rivali, i banditi e i servi della gleba in rivolta ma insufficienti per resistere alle milizie mercenarie di Firenze. Dai documenti degli storici antichi e dai pochissimi resti che a volte spuntano dal suolo sembra di capire che nel complesso la loro struttura rispettava una tipologia ripetuta in modo simile in vari posti:



L'unica torre misurava in media 8 x 7m alla base, con un muro di 80 - 120cm di spessore e quindi poteva essere alta una quindicina di metri (tre piani più un seminterrato di imposta). Era su un cocuzzolo con almeno due balze a strapiombo ai lati e una salita ripidissima, senza mulattiera d'accesso né sorgenti per ampio tratto. 
La mancanza d'acqua metteva in difficoltà l'assediante più dell' assediato, che fino ad un certo punto provvedeva raccogliendo l'acqua piovana dal tetto. Nella pendice sottostante alla rocchetta c'era spesso una casa poderale per il consueto domicilio, meno difendibile ma più comoda. Questa organizzazione si coglie bene a Sant' Adriano dove Casa Cappello era abbinata alla rocchetta di Benclaro e anche alla Rocca di San Michele a Palazzuolo, abbinata al podere Caramelli o Calamelli. Sembra così anche ai castellari: 1) del Frassino più la rocchetta sopra Santa Lucia, 2) di Lozzole più Casté, 3) di Gamberaldi più il castello delle Lastre e così via.

In questa ricerca il nostro scopo è individuare il sito preciso dove sorgevano i castellari rasi al suolo senza la speranza di trovare i loro resti, ormai persi per sempre. Ci serve qualche buona fonte antica scritta che li citi e un paziente sopralluogo. Nemmeno il Catasto Leopoldino del 1822 è di grande aiuto, perché i più non sono cartografati o lo sono con un semplice quadrettino, come se si volesse farli passare inosservati.

Il castello 
sul Monte del Tesoro

Il Monte del Tesoro è un cocuzzolo a punta di fronte a Badia della Valle. Siamo nella valle Acerreta, nell' estremo lembo del Comune di Marradi verso Tredozio in un sito nel territorio dei Conti Guidi di Modigliana. Che cosa c'era di prezioso qui? Non si sa, il nome del monte non ha spiegazione. In cima le tracce di un piano indicano la presenza di una torretta, forse ultimo rifugio di un signorotto locale che di regola abitava in qualche podere del fondovalle. 
Se le cose stavano così questo è l'ennesimo esempio della tipologia "residenza guarnita più rocca soprastante", di cui abbiamo detto all'inizio. Se saliamo da Lutirano lungo il crinale iniziamo un krekking di crinale bello e duro, lungo il sentiero CAI 587. Si parte dal ponte per Tredozio fino al podere Il Violino, che come è stato detto in un'altra ricerca era sede di un castellare oggi raso al suolo. 
La nostra prima tappa è il crinale soprastante raggiungibile dall'orlo dei campi del podere Coltriciano imboccando un sentiero che sale ripido. Comincia qui la prima delle tante sudatine che si fanno in questo aspro percorso. La visuale dal crinale ripaga la fatica: Pruneta, Badia della valle, Bovignana, Vossemole, Rio Faggeto, scorrono nel fondovalle e infine si giunge alla quota 703m che è la sommità del Monte del Tesoro. In cima la mano dell' Uomo ha lavorato diverse volte: quattro piccole buche ricordano una postazione della Linea Gotica e il piano sembra ricavato in qualche secolo antico.


Castro Pellegrino

Ora siamo in un sito più agevole, nella valle del Lamone di fronte a Sant' Adriano, a metà strada fra San Martino in Gattara e Popolano. Il podere che ci interessa si chiama Bastìa e il nome è già un primo indizio. La casa è abitata anche oggi ma non ha più niente di medioevale. Una torretta per l'estrema resistenza forse si può individuare nella casa del podere Canovina, in cima al monte. La sua difesa nulla potè contro il solito Maghinardo Pagani, che nel 1291 conquistò Bastìa, la Canovina e quant'altro e poi demolì tutto. Non sappiamo i motivi di questa decisione drastica anche perché Maghinardo non dava molte spiegazioni, però forse semplicemente queste costruzioni non gli servivano e le spianò perché non fossero utile per gente ostile. Per arrivare qui conviene salire dal casello ferroviario di San Martino, poi si può percorrere il crinale fino al Castello di San Martino e scendere in paese.

Castelvecchio o Montevecchio?

Ecco due siti quasi dimenticati. Castel vecchio è circa 1 km oltre la chiesa di Boesimo, in un cocuzzolo con una certa visuale. 









Forse è il posto citato in un documento del Duecento conservato all'Archivio di Stato di Firenze, copia notarile di un originale del 28 settembre 1164, che elenca i beni concessi da Federico Barbarossa al conte Guido Guerra III di Modigliana detto Guidone, alleato fidato e ghibellino di provata fede.





Però c'è un dubbio perché il nome nella pergamena è Monteveclu, (Montevetus) che somiglia di più a Montevecchio, una casa torre alla Croce Daniele di Monte Romano. La sorte di Castelvecchio (o Montevecchio) è legata a quella di Benclaro di S.Adriano, perché tutti e tre i siti toccarono in eredità a Francesca, figlia di Maghinardo Pagani, che ad un certo punto si indebitò e perse tutto quello che il suo potente padre le aveva lasciato.

Il Castello 
di Cierigiuolo

Ora siamo a Palazzuolo sul Senio, a Piedimonte, un sito bello e remoto nella valletta dell' Aghezzola affluente del Senio. Il castellotto era uno dei quattordici presi nel 1373 dai Fiorentini impegnati nella conquista di Palazzuolo contro gli Ubaldini ormai in decadenza. Nello scritto di un anomimo dell'epoca, La Cronichetta d'Incerto, si dice che ... ebbe un castello chiamato Cierigiuolo ... dove ebbe si riferisce al capitano di ventura Obizo da Monte Carulli che sgombera una famiglia di Ubaldini arroccata lì. La parola Cierigiuolo viene dal romagnolo zrìsa, ciliegia, o da Aceragiuolum, acerello, come a Coriano (Rimini), dove c'è un sito antico con lo stesso nome. I Fiorentini rasero al suolo Ciliegino (o Acerello), perché fosse chiaro che il loro potere si sostituiva per sempre a quello dei feudatari. Lavorarono bene, tanto che le rovine del castellotto si trovano a fatica però è giunto a noi solo il ricordo chiaro e documentato della sua esistenza.


Era uno dei siti di Gaspare Ubaldini, capitano di una piccola compagnia di ventura, iniziatore della rivolta del 1373. Costui aveva già avuto uno scontro con Obizzo in occasione di una guerra a Fano (Pesaro). Forse proprio per questo i Fiorentini mandarono Obizzo a Palazzuolo e forse per questo lui cominciò la conquista dalle proprietà di Gaspare. La rocchetta fu spianata e la famiglia rimase a Cigliegiolo come proprietaria del sito ma senza alcuna signoria sul luogo. Almeno così era la Regola dei Fiorentini, che venivano per governare e avevano il senso dello Stato e della misura.





Ci sono diversi modi per arrivare qui ma per fare un trekking ad anello conviene partire dalla chiesa di Piedimonte, salire al podere Vignola e passare oltre, fino al crinale. Poi c'è un sentiero di crinale dove si vede la valletta dell'Aghezzola e la valletta di Campanara.


Dopo un paio di chilometri lungo il crinale, lungo un sentiero ben segnato dal CAI si vede un cocuzzolo rotondo con la casa di Cigliegiolo proprio sotto. E' il sito che cerchiamo.
Proprio in cima ci sono pochi resti ma significativi: si vedono diverse bozze di pietre squadrate sparse in un pianetto sul quale ci sono i resti della cisterna del castelletto.



Il castello 
di Fontana Moneta


Forse il nome viene dal romagnolo munìda, munita, difesa, perché pare che qui non si potesse attingere senza pagare una tassa ai signorotti del castellare soprastante, oppure significa tappata, otturata. Una Bolla del 1143 di papa Celestino II cita una cappella di S.Andrea apostolo in Fontana Moneta e nel 1291 la Ratio Decimarum la registra come chiesa. Nel poggio Castello, vicino al podere Torre c'era un fortilizio che nel Duecento fu acquistato dai Pagani di Susinana e nel 1302 Maghinardo Pagani lo lasciò in eredità al nipote Bandino, priore di Popolano. Alla sua morte i beni tornarono alla diocesi di Faenza che nel 1339 li concesse in enfiteusi a Riccardo Manfredi.


L'enfiteusi era un affitto che di regola durava 29 anni e in questo caso non fu rinnovato perché la Diocesi preferì radere al suolo il castellare. Fu una distruzione completa, tanto che la Descriptio Romandiole del cardinale Anglic del 1371 non ne parla.


L'alta valle del Sintria è un Parco Regionale dell'Emilia Romagna e si presta bene ai trekking. Per compiere un tragitto ad anello si potrebbe partire da Gamberaldi, salire a Orticaia e scendere in fondo alla valletta del Sintria per poi risalire nel versante opposto e riscendere a Fontana Moneta. Da qui comincia un sentiero che sale a Val Cadinera e poi al Crinale delle Salde, dal quale si può tornare all'Orticaia con poca fatica.




Il Castello sorgeva in cima a un cocuzzolo che si incontra quando la strada forestale dal Monte Toncone comincia a scendere verso la chiesa. Si arriva in cima con poche battute ma non si trova niente. Una lapide dice che i resti sono attorno ma in realtà sono stati rimossi circa una ventina di anni orsono, forse per vendere le bozze d'arenaria squadrate. La lapide venne posta per ricordare il ritrovamento inaspettato di una croce, ma non c'è più nemmeno quella.   



Sotto al poggio del Castello, in corrispondenza della casa poderale La Torre ci sono i resti di quella che era la dimora fortificata abbinata al castello ma anche qui ci sono segni evidenti di demolizione con escavatore e il perimetro della costruzione è perso del tutto. Si vede solo nella cartografia.




Dopo queste brutte sorprese non rimane che scendere alla chiesa, dove una chiara indicazione mostra la via per arrivare alla fontana che dà il nome al sito.






Per ampliare sul blog
11.02 2022   Dal Viglio alla Collina
06.10.2021   Il castello di San Martino in Gattara
21.01.2020   Da Rugginara a Modigliana per una via antica
21.06.2016   Di notte a Fontana Moneta


Bibliografia
Rocche e castelli di Romagna vol.1 Bologna 1970 Nuova alfa, Biblioteca@comune.modigliana.fc.it con prenotazione dalla gentile bibliotecaria Erika Nannini.

Agostino Tolosano (XII sec.) Chronicon faventinum
Matteo Villani (XIV sec.) Nuova Cronica
Scipione Ammirato (XVI sec.) Dell'istorie fiorentine, libro XIX, 144
B. Azzurrini (XVI sec.) Ad Scriptores rerum Italicarum historiae Faventinae
Giulio Cesare Tonduzzi (XVII sec.) Historie di Faenza pg 385
Gian Benedetto Mittarelli (XVIII sec.) Annales Camaldulenses, anno 1297
Ludovico Antonio Muratori (XVIII sec.) in Scriptores rerum Italicarum, CI
Emanuele Repetti (XX sec.) Dizionario libro III, 89



4 commenti:

  1. Complimenti per questa articolata e interessantissima ricerca.
    Da abitante della valle Acerreta (la mia famiglia è giunta qui da Marradi circa a metà del 1800) posso dire che il monte del Tesoro viene così chiamato perché secondo una leggenda locale, spesso spiegata anche a scuola, sono lì sepolti i telai d'oro di una nobildonna che abitava nei paraggi e che fu costretta a fuggire per un attacco nemico al suo castello.
    Nella stessa valle, quasi di fronte al monte, più in basso, vi è una località chiamata Il Castellaccio (E' Castlaz) dove forse, si dice, abitava la nobildonna. Leggenda, ma come per tutte le leggende, con qualche fondo (ormai perso nel tempo) di verità?

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  2. Per prima cosa complimenti per questo articolo e per i tasselli che vengono aggiunti di volta in volta al mosaico della Storia di Marradi e dintorni. Sono veramente piacevoli da leggere e istruttivi.
    Leggendo del Monte del Tesoro, mi sono ricordata del monte che si vede dal Drudolo in loc. Poggiol di Termini, che da sempre mi hanno detto chiamarsi Monte dell'Oro. Qualcuno sa dirmi il perché di questo nome?

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  3. Complimenti per la ricerca di Claudio sempre molto accurata e interessante. Di piacevole lettura . Bravissimo.

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  4. Ottima ricerca come sempre molto interessante per conoscere una parte del passato dei nostri territori .In attesa delle prossime faccio i complimenti a Claudio sempre pronto e
    impegnato a farci scoprire nuove cose.

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