lunedì 18 marzo 2024

Dino Campana a Castelpulci

Nel peggiore dei mondi possibili

di Lorenzo Bertolani, 
da www infinitetracce


La facciata di Castelpulci,
oggi scuola per Magistrati


Una particolare testimonianza da me raccolta alcuni anni fa a Scandicci, è quella della signora Alina Barbetti, figlia di Ettore Barbetti, infermiere a Castel Pulci sin dal 1910. 



Verso la fine degli anni Venti, il Barbetti, per motivi politici, venne abbassato di grado e preposto alla dispensa del sanatorio. Intorno al 1928 gli venne affiancato, come aiuto, Dino Campana. Ecco alcuni passaggi della vivida testimonianza di Alina:


Campana stette in dispensa col mio babbo dal ‘28 fino alla sua morte. Ricordo bene che Campana è venuto alcune volte a mangiare a casa mia accompagnato dal babbo. Io stavo a Rinaldi e davanti a casa mia di là dalla strada c’era un muricciolo dove si stava sempre a sedere. «Vieni, vieni» diceva il babbo a Campana «ci si siede qui, non si dà noia a nessuno, si aspetta che la massaia ci abbia fatto da mangiare». La massaia era la mia mamma. Allora io ho questo ricordo bello di Campana e del mio babbo che parlavano tranquilli sul muricciolo vicino al fiume, e parlavano tanto! Da Castel Pulci a casa mia ci venivano a piedi e poi, quando tornavano, risalivano per il bosco sul sentiero che portava al manicomio.

Devo dire che non l’ho mai sentito parlare di poesia. Campana aveva anche momenti cattivi ma erano più i momenti buoni che quelli cattivi. Questo anche perché era più guidato, forse perché si sapeva che era poeta, era più seguito anziché essere lasciato nelle camerate o negli stanzoni. In fondo io di Campana ho l’impressione di una persona normale, per come l’ho conosciuto io.





Di questa bella testimonianza, rimane alla mente l’immagine nostalgica del ritorno di Campana nel ricovero, sul sentiero attraverso il bosco, un percorso che il poeta avrà affrontato con passo agile e avvezzo, come quando camminava nelle foreste, sui monti «risentendo la prima ansia», verso La Verna, sulle tracce della “povertà ignuda” del «caro santo italiano» Francesco.



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