giovedì 30 maggio 2024

Cinque castellari rasi al suolo

La memoria emerge
dalle nebbie 
del Medioevo
ricerca di Claudio Mercatali





Il nostro territorio nei remoti secoli dell' Evo di Mezzo era costellato di case a torre, bastìe, castellari e fortilizi. Tutte costruzioni piccole, adatte all' arrocco, dove dimoravano i signorotti dei vari luoghi, spesso in lite. Essi dovevano anche controllare da vicino i servi della gleba e difendersi da loro, che ogni tanto si ribellavono alle angherìe. In più c'era da avvistare i forestieri ostili e riscuotere oboli e balzelli nei passaggi obbligati, dove una rocchetta era quello che ci voleva per fermare i viandanti finché non avevano pagato. Altri mondi.

Questo finì con il Medioevo, soprattutto dopo l'arrivo dei Fiorentini, che governavano dal Palazzo Pretorio e non dalle rocchette in cima ai cocuzzoli. La maggior parte dei fortilizi furono rasi al suolo da loro, per significare che il vecchio potere era esaurito e ormai qui governava la Città. Queste demolizioni erano atti definitivi che non lasciavano rovine, perché non erano d'impeto ma rispondevano a una volontà precisa e premeditata. Questa che segue è la storia sfumata di cinque di questi edifici dei quali si trovano notizie nei documenti medioevali. Però dai sopralluoghi fatti là dove sorgevano risultano solo mucchi di sassi sparsi in un vago perimetro, unica testimonianza del fatto che esistevano davvero.



Il Castellare 
del Violino

Il Violino è una casa poderale di Lutirano appena sopra il paese dalla parte di Badia della Valle. Chi suonava qui? Nessuno, il nome è la traduzione errata del romagnolo viotlěn (viottolino) che calza a pennello perché si arriva a casa salendo una stradina ripida. C'è anche il borgo di Violȃn, Violàno, a Modigliana all' inizio del Passo del Trebbio, dove c'era la dogana granducale, alla quale si arrivava con qualche affano da una stradina oggi pedonale. Tutto questo è nel Catasto Leopoldino del 1822 e non deve meravigliare perché i cartografi del Granduca non conoscevano il dialetto romagnolo e trascrivevano i nomi così come li avevano capiti.


Proprio dal Catasto del 1822 vediamo che la casa del Violino aveva una planimetria diversa dalla attuale ed era dove ora ci sono dei ripostigli dismessi e degli stalletti, sul ciglio di balza che guarda verso Lutirano. Il posto era ottimo per sorvegliare la vecchia via per Badia della Valle, che passava lungo il fiume e fra le case di Lutirano di Sopra. Ci sono pochi dubbi su questo perché gli edifici qui hanno la facciata rivolta verso il torrente Acereta, al contrario rispetto alla via attuale, progettata dall'ing. Lorenzo Fabbri a fine Ottocento (che costruì anche la centrale elettrica di Marradi).



Nel 1970 Gianfranco Fontana, storico appassionato e fotografo, individuò i resti del castellare e assieme ad altri ne ricostruì la storia.




I ruderi nel 2022 sono come si vede qui accanto. Pierluigi Palli, di Lutirano, in una poesia immaginò che l'antico Signore del sito mettesse i ferri del cavallo a rovescio per arrivare qui inaspettato.





Il Castello 
di Benclaro

Di questo fortilizio sopra S.Adriano oggi rimangono solo pietre mosse e rimosse dagli appassionati di cose medioevali che hanno scavato nei tempi andati cercando qualche oggetto e anche il modo di passare qualche ora piacevole. Il vescovo del Cinquecento Giovanni Andrea Caligari nella sua descrizione della valle del Lamone lo dà ... scomparso senza lasciare vestigia alcuna ... e ora ci fideremo di lui. In qualche secolo remoto le pietre migliori furono usate per costruire la casa poderale di Montebello, distante 200m. Dalle cronache del tardo Duecento sappiamo che Benclaro e Casa Cappello furono dimore apprezzate da Maghinardo Pagani, il temibile signore delle valli del Lamone e del Senio, che morì a Casa Cappello nel 1302.


Questi beni passarono in eredità alla figlia Francesca, con l'obbligo di pagare una tassa al monastero faentino di Santa Maria fuori porta e altri balzelli. Però lei e il marito si indebitarono, cessarono i pagamenti e i loro creditori spazientiti assalirono Benclaro, Castelvecchio di Boesimo, Monte Romano e in parte Popolano, li disfecero e sequestrarono i beni e i poderi. 


Più che un assedio vero e proprio sembra uno sfratto forzato e un pignoramento  e forse anche una rivalsa per i torti che suo padre aveva fatto a loro. Così lei si ridusse a una vita umile con il poco che le era rimasto. La vicenda è descritta qui accanto da Antonio Metelli, uno storico di Brisighella dell' Ottocento. Ci sono anche memorie più antiche, come questa che segue, dello storico faentino Agostino Tolosano vissuto all'inizio del Duecento, che richiede qualche premessa per essere ben inquadrata:


Il 25 giugno 1183 Federico Barbarossa e la Lega Lombarda firmarono la Pace di Costanza, in Germania. L'imperatore sconfitto nella battaglia di Legnano riconobbe l'autonomia dei Comuni, fra i quali c'era anche Faenza in quanto alleata di Bologna. I Comuni avevano accettato di versargli un tributo annuo notevole. Faenza per pagare la sua quota aveva aumentato le tasse agli abitanti della valle ed era scoppiata una rivolta. Lasciamo dire al Tolosano come andarono le cose:


"Nell'anno della nascita di Gesù Cristo 1183 ristabilita la pace fra l'imperatore Federico e i Lombardi a Costanza, gli stessi Lombardi, i Bolognesi e i Faentini offrirono soldi in gran quantità al predetto padrone. Per questo i Faentini, volendo tassare i montanari, essi si intesero fra sé e proibirono di dar loro la colletta. Per questo i Faentini irati, armati aggredirono i castellari devastando le vigne e le foreste. Poi essendo giunti a Montebello, per una via assai aspra e in pendenza ... per lo svantaggio del sito furono aggrediti dai montanari e si diedero ad una fuga rovinosa. I Faentini nell'anno 1184 nominarono podestà Guglielmo Borro, cittadino milanese sapiente e discreto. Costui con tatto convinse i montanari a soddisfare i cittadini".




Il castello 
alla Badia 
di Susinana

Questo fortilizio è citato nelle Cronache fiorentine del Trecento come dimora preferita di Maghinardo Pagani quando si concedeva un periodo di riposo fra una impresa e l'altra. Nel 1373, circa settanta anni dopo la sua morte i Fiorentini lo conquistarono assieme a tutti gli altri della zona. Era un simbolo del potere degli Ubaldini nella valle del Senio e quindi nel 1378 fu raso al suolo con particolare cura. Quell'anno gli armigeri fiorentini repressero con durezza ogni resistenza e come preda di guerra portarono a Figline Valdarno la campana della Badia, che ora è nel museo civico. Le richieste di Palazzuolo per riaverla non hanno mai avuto esito.


Oggi del castello rimane un cumulo di macerie in cima a un poggetto sopra al podere Le Ari e un arco a ridosso di un dirupo. Non si conosce il suo perimetro esatto ma di certo non era una semplice torretta. L'origine è remota, risale a molto prima del Trecento, forse al tempo dei Longobardi come sembra di capire dal nome Le Ari: gli Ari cioè gli ariani erano proprio i Longobardi, convertiti al cristianesimo secondo la dottrina dell' eretico Ario. La necessità di un fortilizio qui per loro veniva dal fatto che a pochi chilometri cominciava l'Esarcato bizantino, circa a Misileo e alla chiesa di Santa Apollinare, oggi confine fra Palazzuolo e Casola Valsenio.

L'assedio del 1373 risultò complicato per i Fiorentini e il loro capitano Obizzo da Montecarulli risolse la questione corrompendo un servo di Giovanni d'Azzo degli Ubaldini, che si arrese con suo figlio dopo aver avuto assicurazione di aver salva la vita. Ecco come racconta il fatto Piero Buoninsegni uno storico fiorentino del Cinquecento:


... Giunto che fu Obizzo nel campo ... sanza perder tempo pose l'hoste al castello di Susinana, nel quale era Giovanni d'Azzo degli Ubaldini e il figliolo ... e uno di detto castello offerse di dargli il castello e domandò esserne premiato, fugli promesso fiorini mille e si trovò due fanti che presero cuore di andare con lui, a quali fu promesso fiorini cento per uno e rimase d'accordo che il campo si strignesse quando lui facesse fuoco sulla rocca ... e il detto fante con i detti due compagni fidandosi Giovanni di loro salirono in sulla rocca dicendo di voler fare fuoco per festa e cacciaronne chi v'era a guardia, serrarono la cateratta e cominciarono a gridare viva il comune di Firenze e cò sassi non lasciare accostare dentro persona alle mura e fecero cenno al campo che s'accostasse e i terrazzani vedendosi perduti mandarono a patteggiarsi con Obizzo e diedero il castello ... 



Il Castro Pecoriccio


Siamo a Campigno, oltre il casale di Magliabecco, nei pascoli alti sopra a Cavallo, a 900 metri di quota. Il sito preciso è quasi in cima al Monte Castellaccio, che è una indicazione chiara, però non si vede nessun resto. A che cosa serviva un castellare quassù?


C'è un documento dell'abate Gian Benedetto Mittarelli, un frate del Settecento, che chiarisce il fatto. E' qui accanto: al Castro Pecoriccio, luogo munito e difendibile, si faceva la Calla ossia la conta delle pecore per pagare il pascolo. Il fortilizio forse serviva anche per difendere gli esattori, perché pretendere un balzello da chi ha poco o niente non era facile. La vita dura dei campignesi rendeva spesso gli animi esacerbati, come disse anche Dino Campana nei Canti Orfici:

Campigno: paese barbarico, fuggente, paese notturno, mistico incubo del caos. ... Il tuo abitante porge la notte dell’antico animale umano nei suoi gesti. Nelle tue mosse montagne l’elemento grottesco profila: un gaglioffo, una grossa puttana fuggono sotto le nubi in corsa. E le tue rive bianche come le nubi, triangolari, curve come gonfie vele: paese barbarico, fuggente, paese notturno, mistico incubo del Caos.

L'unico resto murario, indicato anche nel Catasto Leopoldino è nel pascolo sotto la vetta del Monte Castellaccio, ma non sembra il basamento di una rocchetta, perché è in pietre a secco, con muri troppo esili, su un perimetro ristretto. Il nome "castro" può fornire un indizio: un castro era un sito difendibile, abitabile con qualche agio, raggiungibile senza tante difficoltà e forse è adatto per il casale di Magliabecco, poco lontano da qui, uno dei tre che formano Campigno. Oppure il nome del podere Cavallo, che è lì vicino, potrebbe fornire una traccia se si  considera scritto disgiunto Cà Vallo ... chissà ...


Il Castello di Lozzole


L'Ozzole, com'è scritto nelle antiche carte, oggi è una chiesa su un crinale fra il Senio e il Lamone, mèta di tanti trekking. Qui c'era uno noto castello degli Ubaldini, conquistato e perso più volte dai Fiorentini alla metà del Trecento, come racconta nella sua Cronica Matteo Villani, che visse allora. Nella battaglia del 1352 parteciparono anche le donne degli Ubaldini, aggressive più dei loro mariti e Villani ci racconta che:



"… Certi villani del paese, pochi e male armati, con trenta femmine ch’aveano con loro salite, sopra Malacoda gridavano contro a’masnadieri che erano a quella guardia, e le femmine urlavano senza arresto; i codardi masnadieri chiesero soccorso a messer Giovanni degli Alberti, che mandò cinquanta cavalieri i quali si rimasono nella Piaggia. Il castello era fornito e l’animo della gente codarda era di tornare in Mugello. Quei di Malacoda, non vedendo venire soccorso, impauriti dalle grida delle femmine abbandonarono il poggio, fuggendo alla china. I fanti degli Ubaldini, che erano settanta per novero, li cominciarono a seguire e lasciarono i palvesi (= gli scudi) per essere più spediti e le trenta femmine seguitavano rinforzando le grida; allora tutta l’oste si mosse dirupandosi e voltolandosi per le ripe. Il Vicario fu il primo che portò la novella della rotta alla Scarperia. … rimasono prigioni centoventi cavalieri e più di trecento pedoni; morti n’ebbe pochi. Ha merito qui essere notata per esempio della mala condotta, che spesso i vinti fa vincitori e i vincitori vinti”.





Ma l'espansione di Firenze era inarrestabile e nel 1373 Lozzole cadde, come gli altri tredici castellotti di Palazzuolo. Dopo pochi anni il castello fu raso al suolo e non ne rimase traccia. Si ritiene che fosse oltre la chiesa, a salire verso il monte Carzolano, nel sito detto Le Balze di Casté (castello) dove un gruppo di cacciatori di Palazzuolo aveva attrezzato una baita di legno aperta a tutti. Era un piacevole rifugio, con il camino. Poi nel 2019 uno sventato se ne andò lasciando il fuoco acceso e ... Anche qui il Tempo ha permesso di conservare solo il ricordo delle cose.



Per approfondire sul blog

Archivio tematico alla voce "I castelli della valle"
03.10.2011 Lozzole antica rocca
20.04.2019 La conquista di Palazzuolo

Bibliografia

Rocche e castelli di Romagna vol.1 Bologna 1970 Nuova alfa, previa prenotazione dalla gentile bibliotecaria Erika Nannini, Biblioteca@comune.modigliana.fc.it

Agostino Tolosano (XII secolo) Chronicon faventinum
Matteo Villani (XIV secolo) Nuova Cronica
Scipione Ammirato (XVI secolo) Dell'istorie fiorentine, libro XIX, 144
Bernardino Azzurrini (XVI secolo) Ad Scriptores rerum Italicarum accessiones historiae Faventinae
Giulio Cesare Tonduzzi (XVII secolo) Historie di Faenza pg 385
Gian Benedetto Mittarelli (XVIII secolo) Annales Camaldulenses, anno 1297
Ludovico Antonio Muratori (XVIII secolo) in Scriptores rerum Italicarum, CI
Emanuele Repetti (XX secolo) Dizionario libro III, 89




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