Quando il colera fece strage
della popolazione
ricerca di Claudio Mercatali
A fianco:
il vibrione del colera al microscopio
In Europa il colera si diffuse per la prima volta nel 1835 e fece strage. Ci furono altre epidemie nel 1855 e nel 1866 con decine di migliaia di morti. Questa malattia batterica oggi si potrebbe contrastare con gli antibiotici, ma allora questi farmaci non erano noti. In più non se ne conosceva la causa, anche se si intuiva che il contagio avveniva soprattutto con l’acqua e gli alimenti infetti.
Il "volantino a spinta" per il trasporto
dei malati (Misericordia
di Borgo San Lorenzo)
Il colera è un’infezione intestinale, con diarrea e vomito, causata dal batterio Vibrio cholerae studiato nel 1866 dal medico Robert Koch. Si può perdere un litro di feci in un' ora con conseguente disidratazione. Il malato ha sete, debolezza, ottundimento dello stato sensorio, ipotensione e tachipnea. La pelle e le mucose sono asciutte. La perdita di potassio può provocare crampi muscolari. La perdita dei liquidi porta ad uno stato di raggrinzimento della pelle, con sonnolenza fino al coma.
Il colera ebbe un impatto senza precedenti nell’ immaginario collettivo della popolazione e la gente si abbandonò a reazioni esasperate, come quelle dei secoli precedenti innanzi alla peste. La società era materialmente e psicologicamente indifesa contro questa malattia. A leggere le descrizioni del colera fatte all’epoca si coglie il panico più che l’informazione.
“… E le cose che di lui (il colera del 1855) si raccontavano erano veramente tali da mettere orrore in chi le udiva, imperocché narravano che al primo esserne preso incominciava una furiosa soccorenza di feccie biancastre con un crescere così impetuoso che rompeva i fianchi, fiaccava i corpi, irrigidiva le membra … dopo il qual tempo per granchi dolorosissimi si annodavano tutti i muscoli si raggranchiavano le articolazioni con tanto stringimento di fauci e spasimo di tutta la persona che il volto perdeva le usate sembianze e diventava livido e scuro come il piombo… poi subito dopo al freddo succedevano inusitati calori che facevano ardere miseramente i corpi senza alcun refrigerio, finché poi in breve languendo mandavano fuori il travagliato spirito …”
Anche Marradi subì l’epidemia del 1855. Il Vicario (cioè il funzionario granducale per la giustizia e l’ordine pubblico) ai primi di giugno manifestò le prime preoccupazioni:
Da una relazione della Misericordia del 15/01/1922 apprendiamo che:
“Il colera fu importato nel Comune di Marradi dalla Maremma. Il primo caso fu a Ravale, Parrocchia di Campigno. Il colpito morì il 22 giugno 1855. Il giorno 11 luglio 1855 morì un individuo della stessa famiglia. Nei giorni 20 e 21 luglio morivano nella stessa famiglia altri due individui. La guardiana che dimorava a Ravale, essendo morti i padroni, ritornò presso la propria famiglia a Monte Colombo. Il 23 e 24 luglio morivano in quest’ultimo podere (Monte Colombo) quattro individui. Il giorno 25 luglio morì nel paese il primo individuo”.
Il 26 luglio il colera scoppiò a Biforco. L’Ospedale S.Francesco, fu usato come lazzaretto, dal 24 luglio al 1 Ottobre 1855. I resoconti dell’epoca dicono che:
“… entrarono nel Lazzaretto 135 individui, dei quali 79 morirono e 56 uscirono guariti. Un certo Antonio Mengolini, dopo essere uscito guarito dal Lazzaretto fu nuovamente attaccato dal colera e morì”.
Il fatto che il contagio provenisse dalla Maremma è possibile. In maggio e giugno tornavano a Campigno i pastori transumanti che avevano portato là le loro greggi a svernare. Però i pastori di Campigno transumavano anche verso Borgo Montone, a Ravenna. In realtà in epidemie come questa non si poteva stabilire facilmente la direzione del contagio. Le autorità dello Stato Pontificio pensavano che il colera venisse dalla Toscana e le autorità Granducali viceversa.
“… A Marradi la malattia si dichiarò il 19 luglio, risultando molti casi nelle famiglie e fra quegli estranei che prestarono assistenza ai colerosi, e aiutarono a seppellire i cadaveri (giacché ne rimase affetto lo stesso becchino). E’ risultato del pari che si fecero colerosi in Marradi diversi individui che o ebbero interessenza nello Stato Pontificio o da esso vi pervennero. Il colera cominciò a Campigno, e sembra per trasmissione dalla parte della vicina Faenza, ove già infieriva”.
“…. Il Vicelegato di Ravenna scrisse subitamente al magistrato di Brisighella siccome era quello che si trovava in maggior pericolo d’appicco per la sua vicinanza alla Toscana, affinché chiamasse a consulta coloro ch’erano eletti a vigilare alla pubblica salute perché pigliassero quelle provvisioni che stimavano opportune alla conservazione della medesima…”
Fra le altre misure, per far fronte al “maggior pericolo
d’appicco” le autorità pontificie mandarono nella zona di
S.Martino in Gattara una sessantina di guardie papaline per
sorvegliare meglio il confine con il Granducato e prevenire il
contagio. Ci voleva ben altro.
Che cosa si fece a Marradi per gli ammalati? I colerosi furono ricoverati nell’Ospedale S.Francesco. Una vera e propria cura non esisteva e quindi furono assistiti e affidati alla buona sorte. Le strutture dell’ospedale entrarono in crisi ben presto.
“… nella mia visita fatta allo spedale, ove ora sono i colerosi affidati all’assistenza del dr. Tommaso Rossi, mi sono compiaciuto nel trovare uno stabilimento ampio, luminoso, isolato e ben disposto, ma sono rimasto afflitto e sorpreso, di vedere pochi letti in una sala ampia, con due malati per letto, e nel tempo stesso promiscuati gli uomini con le donne nella medesima infermeria. Questo disordine, questa irregolarità è contro tutte le regole della buona assistenza ai malati, nel tempo che offre uno spettacolo indecente, dannoso e ributtante al massimo grado …”
Infatti dall’Ispettore sanitario apprendiamo che:
“ … a Marradi fassi colerosi alcuni individui che si giacquero incautamente nei letti dove era decesso un qualche coleroso e che, dopo l’asportazione del cadavere, non era stata adibita la regolare disinfestazione…”
Quanti furono i morti? Le stime del Vicario e dello
studioso Pietro Betti divergono parecchio, per il motivo
spiegato qui accanto. Secondo il prospetto mensile dei morti del
1855 (vedi la tabella qui sotto) il picco di mortalità fu in luglio
e agosto. Dunque i morti di colera sono quasi tutti quelli
conteggiati in questi mesi, cioè circa 600 persone. Considerato che
nel 1855 il Comune contava circa 7830 abitanti il colera uccise
quasi l’ 8% dei marradesi nel corso di quella terribile estate.
Le spese per il lazzaretto ammontarono a 14.192 lire. Non è il
caso di fare un raffronto con gli euro, ma per avere un’idea si può
considerare che il dr. Conti, un medico di Faenza chiamato per questa
emergenza, ricevette una paga di 40 lire al giorno. Per eventuali
nuove epidemie, subito dopo la fine del colera furono fondate, nel
Granducato e dunque anche a Marradi e a Modigliana, le Confraternite
di Misericordia. La parola è la sintesi di “miseris cor dare”
com’è scritto nello stemma della Confraternita di Borgo S.Lorenzo.
Da un documento del 15.01.1922 della Misericordia,
si sa che:
Pietro Betti, Considerazioni sul colera asiatico, App.2, parte II vol V. Firenze 1858. Giuseppe Matulli, La via del grano e del sale, Biblioteca di Marradi. Antonio Metelli, Storia di Brisighella e della Valle di Amone. Giuseppe Tarabusi, Marradi com’era, Biblioteca di Marradi. Archivio storico del Comune di Marradi, anno 1855
Il colera è un’infezione intestinale, con diarrea e vomito, causata dal batterio Vibrio cholerae studiato nel 1866 dal medico Robert Koch. Si può perdere un litro di feci in un' ora con conseguente disidratazione. Il malato ha sete, debolezza, ottundimento dello stato sensorio, ipotensione e tachipnea. La pelle e le mucose sono asciutte. La perdita di potassio può provocare crampi muscolari. La perdita dei liquidi porta ad uno stato di raggrinzimento della pelle, con sonnolenza fino al coma.
Il colera ebbe un impatto senza precedenti nell’ immaginario collettivo della popolazione e la gente si abbandonò a reazioni esasperate, come quelle dei secoli precedenti innanzi alla peste. La società era materialmente e psicologicamente indifesa contro questa malattia. A leggere le descrizioni del colera fatte all’epoca si coglie il panico più che l’informazione.
Lo storico Metelli nella sua Istoria di
Brisighella e della Val d’Amone, dice:
“… E le cose che di lui (il colera del 1855) si raccontavano erano veramente tali da mettere orrore in chi le udiva, imperocché narravano che al primo esserne preso incominciava una furiosa soccorenza di feccie biancastre con un crescere così impetuoso che rompeva i fianchi, fiaccava i corpi, irrigidiva le membra … dopo il qual tempo per granchi dolorosissimi si annodavano tutti i muscoli si raggranchiavano le articolazioni con tanto stringimento di fauci e spasimo di tutta la persona che il volto perdeva le usate sembianze e diventava livido e scuro come il piombo… poi subito dopo al freddo succedevano inusitati calori che facevano ardere miseramente i corpi senza alcun refrigerio, finché poi in breve languendo mandavano fuori il travagliato spirito …”
Anche Marradi subì l’epidemia del 1855. Il Vicario (cioè il funzionario granducale per la giustizia e l’ordine pubblico) ai primi di giugno manifestò le prime preoccupazioni:
“ … 6 giugno: la tranquillità e la salute
pubblica continuano a mostrarsi in questo circondario soddisfacenti.
Alcune voci però intorno a casi di colera, che si dicono avvenuti
non lungi da questi luoghi, hanno svegliato qualche apprensione
soprattutto nella popolazione di Marradi, e sarebbe desiderio
che il Municipio prendesse provvedimenti circa la nettezza del paese,
che ne avrebbe, a vero dire, non poco bisogno …”
Da una relazione della Misericordia del 15/01/1922 apprendiamo che:
“Il colera fu importato nel Comune di Marradi dalla Maremma. Il primo caso fu a Ravale, Parrocchia di Campigno. Il colpito morì il 22 giugno 1855. Il giorno 11 luglio 1855 morì un individuo della stessa famiglia. Nei giorni 20 e 21 luglio morivano nella stessa famiglia altri due individui. La guardiana che dimorava a Ravale, essendo morti i padroni, ritornò presso la propria famiglia a Monte Colombo. Il 23 e 24 luglio morivano in quest’ultimo podere (Monte Colombo) quattro individui. Il giorno 25 luglio morì nel paese il primo individuo”.
Il 26 luglio il colera scoppiò a Biforco. L’Ospedale S.Francesco, fu usato come lazzaretto, dal 24 luglio al 1 Ottobre 1855. I resoconti dell’epoca dicono che:
“… entrarono nel Lazzaretto 135 individui, dei quali 79 morirono e 56 uscirono guariti. Un certo Antonio Mengolini, dopo essere uscito guarito dal Lazzaretto fu nuovamente attaccato dal colera e morì”.
Il fatto che il contagio provenisse dalla Maremma è possibile. In maggio e giugno tornavano a Campigno i pastori transumanti che avevano portato là le loro greggi a svernare. Però i pastori di Campigno transumavano anche verso Borgo Montone, a Ravenna. In realtà in epidemie come questa non si poteva stabilire facilmente la direzione del contagio. Le autorità dello Stato Pontificio pensavano che il colera venisse dalla Toscana e le autorità Granducali viceversa.
Secondo lo studioso Pietro Betti (1858):
“… A Marradi la malattia si dichiarò il 19 luglio, risultando molti casi nelle famiglie e fra quegli estranei che prestarono assistenza ai colerosi, e aiutarono a seppellire i cadaveri (giacché ne rimase affetto lo stesso becchino). E’ risultato del pari che si fecero colerosi in Marradi diversi individui che o ebbero interessenza nello Stato Pontificio o da esso vi pervennero. Il colera cominciò a Campigno, e sembra per trasmissione dalla parte della vicina Faenza, ove già infieriva”.
Anche durante l’epidemia dell’agosto 1833
successe qualcosa di simile. Dallo storico Metelli sappiamo che
quando in Romagna si diffuse la notizia che il colera proveniva dal
porto di Livorno:
“…. Il Vicelegato di Ravenna scrisse subitamente al magistrato di Brisighella siccome era quello che si trovava in maggior pericolo d’appicco per la sua vicinanza alla Toscana, affinché chiamasse a consulta coloro ch’erano eletti a vigilare alla pubblica salute perché pigliassero quelle provvisioni che stimavano opportune alla conservazione della medesima…”
Che cosa si fece a Marradi per gli ammalati? I colerosi furono ricoverati nell’Ospedale S.Francesco. Una vera e propria cura non esisteva e quindi furono assistiti e affidati alla buona sorte. Le strutture dell’ospedale entrarono in crisi ben presto.
L’ispettore sanitario Luigi Luciani il 10
ottobre 1855 fece questo rapporto:
“… nella mia visita fatta allo spedale, ove ora sono i colerosi affidati all’assistenza del dr. Tommaso Rossi, mi sono compiaciuto nel trovare uno stabilimento ampio, luminoso, isolato e ben disposto, ma sono rimasto afflitto e sorpreso, di vedere pochi letti in una sala ampia, con due malati per letto, e nel tempo stesso promiscuati gli uomini con le donne nella medesima infermeria. Questo disordine, questa irregolarità è contro tutte le regole della buona assistenza ai malati, nel tempo che offre uno spettacolo indecente, dannoso e ributtante al massimo grado …”
Le idee riguardo al contagio erano confuse e la
popolazione non aveva avuto quella che noi oggi chiamiamo
“informazione preventiva”.
Infatti dall’Ispettore sanitario apprendiamo che:
“ … a Marradi fassi colerosi alcuni individui che si giacquero incautamente nei letti dove era decesso un qualche coleroso e che, dopo l’asportazione del cadavere, non era stata adibita la regolare disinfestazione…”
Da un documento del 15.01.1922 della Misericordia,
si sa che:
“Nel 1855 quando il nostro paese fu colpito dalla
luttuosa epidemia di colera, in quella triste circostanza 18
generosi concittadini di ogni condizione si unirono in pietosa
associazione, sebbene senza statuto e senza regolamento. Si costituì
legalmente, il 12.04.1856 con la denominazione di Confraternita di
Misericordia. Ebbe sede in una stanza dell’Ospedale, ma nel 1876
acquistò una stanza dell’Oratorio del Suffragio, per lire toscane
400 …”.
LA LIRA TOSCANA
Una lira toscana del 1854 conteneva 3,90g
d’argento fino e perciò le spese
furono equivalenti a 3,90g x 14192 = 55,4 Kg
d’argento
Sempre da documenti della Misericordia sappiamo
che:
“… 27 novembre 1855: onde ringraziare l’Altissimo per
essere cessato in questa terra il colera asiatico, nel 24, 25, 26
stante fu in questa chiesa parrocchiale fatto un triduo in onore di
Maria Santissima, esponendo alla pubblica venerazione la Sacra
Immagine sotto il titolo della Madonna del Popolo”.
Bibliografia
Pietro Betti, Considerazioni sul colera asiatico, App.2, parte II vol V. Firenze 1858. Giuseppe Matulli, La via del grano e del sale, Biblioteca di Marradi. Antonio Metelli, Storia di Brisighella e della Valle di Amone. Giuseppe Tarabusi, Marradi com’era, Biblioteca di Marradi. Archivio storico del Comune di Marradi, anno 1855
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