sabato 1 luglio 2017

La terribile estate del 1855 a Marradi

Quando il colera fece strage
della popolazione
ricerca di Claudio Mercatali



A fianco
il vibrione del colera al microscopio




In Europa il colera si diffuse per la prima volta nel 1835 e fece strage. Ci furono altre epidemie nel 1855 e nel 1866 con decine di migliaia di morti. Questa malattia batterica oggi si potrebbe contrastare con gli antibiotici, ma allora questi farmaci non erano noti. In più non se ne conosceva la causa, anche se si intuiva che il contagio avveniva soprattutto con l’acqua e gli alimenti infetti.



Il "volantino a spinta" per il trasporto
dei malati (Misericordia 

di Borgo San Lorenzo)





Il colera è un’infezione intestinale, con diarrea e vomito, causata dal batterio Vibrio cholerae studiato nel 1866 dal medico Robert Koch. Si può perdere un litro di feci in un' ora con conseguente disidratazione. Il malato ha sete, debolezza, ottundimento dello stato sensorio, ipotensione e tachipnea. La pelle e le mucose sono asciutte. La perdita di potassio può provocare crampi muscolari. La perdita dei liquidi porta ad uno stato di raggrinzimento della pelle, con sonnolenza fino al coma.
Il colera ebbe un impatto senza precedenti nell’ immaginario collettivo della popolazione e la gente si abbandonò a reazioni esasperate, come quelle dei secoli precedenti innanzi alla peste. La società era materialmente e psi­cologicamente indifesa contro questa malattia. A leggere le descrizioni del colera fatte all’epoca si coglie il panico più che l’informazione.

Lo storico Metelli nella sua Istoria di Brisighella e della Val d’Amone, dice:

“… E le cose che di lui (il colera del 1855) si raccontavano erano veramente tali da mettere orrore in chi le udiva, imperocché narravano che al primo esserne preso incominciava una furiosa soccorenza di feccie biancastre con un crescere così impetuoso che rompeva i fianchi, fiaccava i corpi, irrigidiva le membra … dopo il qual tempo per granchi dolorosissimi si annodavano tutti i muscoli si raggranchiavano le articolazioni con tanto stringimento di fauci e spasimo di tutta la persona che il volto perdeva le usate sembianze e diventava livido e scuro come il piombo… poi subito dopo al freddo succedevano inusitati calori che facevano ardere miseramente i corpi senza alcun refrigerio, finché poi in breve languendo mandavano fuori il travagliato spirito …”

Anche Marradi subì l’epidemia del 1855. Il Vicario (cioè il funzionario granducale per la giustizia e l’ordine pubblico) ai primi di giugno manifestò le prime preoccupazioni:

“ … 6 giugno: la tranquillità e la salute pubblica continuano a mostrarsi in questo circondario soddi­sfacenti. Alcune voci però intorno a casi di colera, che si dicono avvenuti non lungi da questi luo­ghi, hanno svegliato qualche apprensione soprattutto nella popolazione di Marradi, e sarebbe desi­derio che il Municipio prendesse provvedimenti circa la nettezza del paese, che ne avrebbe, a vero dire, non poco bisogno …”

Da una relazione della Misericordia del 15/01/1922 apprendiamo che:

“Il colera fu importato nel Comune di Marradi dalla Maremma. Il primo caso fu a Ravale, Parroc­chia di Campigno. Il colpito morì il 22 giugno 1855. Il giorno 11 luglio 1855 morì un individuo della stessa famiglia. Nei giorni 20 e 21 luglio morivano nella stessa famiglia altri due individui. La guardiana che dimorava a Ravale, essendo morti i padroni, ritornò presso la propria famiglia a Monte Colombo. Il 23 e 24 luglio morivano in quest’ultimo podere (Monte Colombo) quattro indi­vidui. Il giorno 25 luglio morì nel paese il primo individuo”.

Il 26 luglio il colera scoppiò a Biforco. L’Ospedale S.Francesco, fu usato come lazzaretto, dal 24 luglio al 1 Ottobre 1855. I resoconti dell’epoca dicono che: 

“… entrarono nel Lazzaretto 135 individui, dei quali 79 morirono e 56 uscirono guariti. Un certo Antonio Mengolini, dopo es­sere uscito guarito dal Lazzaretto fu nuovamente attaccato dal colera e morì”.

Il fatto che il contagio provenisse dalla Maremma è possibile. In maggio e giugno tornavano a Campigno i pastori transumanti che avevano portato là le loro greggi a svernare. Però i pastori di Campigno transumavano anche verso Borgo Montone, a Ravenna. In realtà in epidemie come questa non si poteva stabilire facilmente la direzione del contagio. Le autorità dello Stato Pontificio pensavano che il colera venisse dalla Toscana e le autorità Granducali viceversa.

Secondo lo studioso Pietro Betti (1858):

“… A Marradi la malattia si dichiarò il 19 luglio, risul­tando molti casi nelle famiglie e fra quegli estranei che prestarono assistenza ai colerosi, e aiutarono a seppellire i cadaveri (giacché ne rimase affetto lo stesso becchino). E’ risultato del pari che si fecero colerosi in Marradi di­versi individui che o ebbero interessenza nello Stato Pontificio o da esso vi pervennero. Il colera cominciò a Campigno, e sembra per trasmissione dalla parte della vi­cina Faenza, ove già infieriva”.

Anche durante l’epidemia dell’agosto 1833 successe qualcosa di simile. Dallo storico Metelli sappiamo che quando in Romagna si diffuse la notizia che il colera proveniva dal porto di Li­vorno:

“…. Il Vicelegato di Ravenna scrisse subitamente al magistrato di Brisighella siccome era quello che si trovava in maggior pericolo d’appicco per la sua vicinanza alla Toscana, affinché chiamasse a consulta coloro ch’erano eletti a vigilare alla pubblica salute perché pigliassero quelle provvisioni che stimavano opportune alla conservazione della medesima…”
Fra le altre misure, per far fronte al “maggior pericolo d’appicco” le autorità pontificie mandarono nella zona di S.Martino in Gattara una sessantina di guardie papaline per sorvegliare meglio il con­fine con il Granducato e prevenire il contagio. Ci voleva ben altro.
Che cosa si fece a Marradi per gli ammalati? I colerosi furono ricoverati nell’Ospedale S.Francesco. Una vera e propria cura non esisteva e quindi furono assistiti e affidati alla buona sorte. Le strutture dell’ospedale entrarono in crisi ben presto.

L’ispettore sanitario Luigi Luciani il 10 ottobre 1855 fece questo rapporto:

“… nella mia visita fatta allo spedale, ove ora sono i colerosi affidati all’assistenza del dr. Tommaso Rossi, mi sono compiaciuto nel trovare uno stabilimento ampio, luminoso, isolato e ben disposto, ma sono rimasto afflitto e sorpreso, di vedere pochi letti in una sala ampia, con due malati per letto, e nel tempo stesso promiscuati gli uomini con le donne nella medesima infermeria. Questo disordine, questa irregolarità è contro tutte le regole della buona assistenza ai malati, nel tempo che offre uno spettacolo indecente, dannoso e ributtante al massimo grado …”

Le idee riguardo al contagio erano confuse e la popolazione non aveva avuto quella che noi oggi chiamiamo “informazione preventiva”. 

Infatti dall’Ispettore sanitario apprendiamo che:

“ … a Marradi fassi colerosi alcuni individui che si giacquero incautamente nei letti dove era de­cesso un qualche coleroso e che, dopo l’asportazione del cadavere, non era stata adibita la regolare disinfestazione…”



Quanti furono i morti? Le stime del Vicario e dello stu­dioso Pietro Betti divergono parecchio, per il motivo spie­gato qui accanto. Secondo il prospetto mensile dei morti del 1855 (vedi la tabella qui sotto) il picco di mortalità fu in luglio e agosto. Dunque i morti di colera sono quasi tutti quelli conteggiati in questi mesi, cioè circa 600 persone. Considerato che nel 1855 il Comune contava circa 7830 abi­tanti il colera uccise quasi l’ 8% dei marradesi nel corso di quella terribile estate.

Le spese per il lazzaretto ammontarono a 14.192 lire. Non è il caso di fare un raffronto con gli euro, ma per avere un’idea si può considerare che il dr. Conti, un medico di Faenza chiamato per questa emergenza, ricevette una paga di 40 lire al giorno. Per eventuali nuove epidemie, subito dopo la fine del colera furono fondate, nel Granducato e dunque anche a Marradi e a Modigliana, le Confraternite di Misericordia. La parola è la sintesi di “miseris cor dare” com’è scritto nello stemma della Confraternita di Borgo S.Lorenzo.



Da un documento del 15.01.1922 della Misericordia,  
si sa che:


“Nel 1855 quando il nostro paese fu colpito dalla luttuosa epidemia di colera, in quella triste circo­stanza 18 generosi concittadini di ogni condizione si unirono in pietosa associazione, sebbene senza statuto e senza regolamento. Si costituì legalmente, il 12.04.1856 con la denominazione di Confraternita di Misericordia. Ebbe sede in una stanza dell’Ospedale, ma nel 1876 acquistò una stanza dell’Oratorio del Suffragio, per lire toscane 400 …”.

LA LIRA TOSCANA
Una lira toscana del 1854 conteneva 3,90g d’argento fino e perciò le spese
furono equivalenti a 3,90g x 14192 = 55,4 Kg d’argento


Sempre da documenti della Misericordia sappiamo che:

“… 27 novembre 1855: onde ringraziare l’Altissimo per essere cessato in questa terra il colera asiatico, nel 24, 25, 26 stante fu in questa chiesa parrocchiale fatto un triduo in onore di Maria Santissima, esponendo alla pubblica venera­zione la Sacra Immagine sotto il titolo della Madonna del Popolo”.



Bibliografia

Pietro Betti, Considerazioni sul colera asiatico, App.2, parte II vol V. Firenze 1858. Giuseppe Matulli, La via del grano e del sale, Biblioteca di Marradi. Antonio Metelli, Storia di Brisighella e della Valle di Amone. Giuseppe Tarabusi, Marradi com’era, Biblioteca di Marradi. Archivio storico del Comune di Marradi, anno 1855



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