lunedì 11 settembre 2017

11 settembre 1917 Dino Campana nel carcere di Novara

 L'ultimo incontro con Sibilla
ricerca di Claudio Mercatali

Il Passaggio,
romanzo di Sibilla Aleramo

Nel settembre 1917 Dino Campana era un'anima in pena, in piena crisi perché la malattia nervosa di cui soffriva stava prendendo rapidamente il sopravvento. A Novara fu arrestato, vagabondo e privo di documenti. Disperato scrisse a Sibilla questo telegramma.

Anche oggi è l'11 settembre e sono passati 
cento anni esatti da allora:

 

11 settembre 1917
A Sibilla Aleramo, Hotel Manin, Milano

Arrestato a Novara vieni a vedermi.
Campana

Sibilla, che ormai l'aveva lasciato, colse il grido disperato e si rivolse all'avvocato Enrico Gonzales, un noto professionista che poi nel 1946 sarà anche eletto deputato nel Partito Socialdemocratico. Costui scrisse una lettera per il Procuratore del Re di Novara, in cui dava assicurazioni su Campana e chiedeva il suo rilascio. La Aleramo con questa ottenne un colloquio con Dino in carcere.


Lei stessa ci racconta come andò in un capitolo del libro Il Passaggio, pubblicato nel 1919 quando i ricordi erano ancora vivi:


... Uscii un giorno da un carcere, dove tra le sbarre un viso sciagurato m'invocava, sovrano viso che mi chiedeva perdono, caro ahi caro viso ritrovato e per sempre riperduto.

Il carcere di Novara

Più tremenda la mia solitudine mi parve di quella stessa prigione dove si gemeva e dove almeno qualche carceriere assisteva. L'aria lucida, il bel settembre, la gloria candida d'una montagna all'orizzonte, ed io sullo spiazzo, tra il frusciare dei platani, al limitare della cittaduzza ignota, io con nessuno, libera di morire, libera di vivere, nel vento, il vento buono su le ciglia ancora umide.



Novara
... la gloria candida
di una montagna all'orizzonte ...

Era l'acquisto di tutta la mia esistenza o il sigillo improvviso?
 Non in mio potere il rifiutarlo.

Dall'invisibile, in un tempo remoto, m'aveva ben detto una voce: «Ricordati d'aver ascoltato la tua legge». Sì. Tremenda intorno al capo la vastità ariosa popolata di parole ch'io sola sento.
Pure, così sbalzata fuori d'ogni strada dopo tanta strada percorsa, sbalzata dall'umanità se umanità è legame e soccorso tangibile, il mio sconfinamento ebbe lo sfolgorante aspetto della pace.

Ho visto una sola volta, nella piega profonda attorno alla bocca d'una grande morta, qualcosa d'altrettanto ricco e strano. La montagna all' orizzonte fu inondata di rosa, poi ch'era il tramonto; sospeso il vento, il giorno senza avvenire oscillò, solo, per non so quale lunga ora ancora. Alle mie spalle stava la mole della fortezza, il segno di quanto si tenta quaggiù in malvagità e mai realmente si compie.

... alle mie spalle stava la mole della fortezza ...
  
Il fratello condannato si raccoglieva certo in un'irreale soavità, come ancora baciandomi le mani traverso le sbarre. La notte sarebbe scesa su lui racconsolato, s'anche fosse l'ultima della sua espiazione. Ed io seppi quel che non sa il suicida. Il queto annegare delle stelle nelle notti estive può solo darne imagine. Rigano il firmamento, s'avventa dalla terra sulla loro molle scìa il desiderio d'infinite costellazioni di occhi il desiderio, il voto... Nulla di più vivente.




Dopo qualche giorno Dino Campana venne rilasciato e rispedito a Marradi con un foglio di via. La sua deriva era ormai inarrestabile e nel gennaio 1918 fu ricoverato nel manicomio di S.Salvi. Da qui scrisse ancora a Sibilla questo messaggio:

S.A. Istituto francese, via Manin 2, Firenze

 Cara
Se credi che abbia sofferto abbastanza, sono pronto a darti quel che resta della mia vita.
Vieni a vedermi, ti prego tuo     Dino


La poetessa non poteva fare niente per lui e non rispose. Dopo pochi giorni si aprirono per Dino le porte del manicomio di Castelpulci, dal quale non uscì più. Aveva 32 anni.


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