di fra' Silvano Razzi
ricerca di Claudio Mercatali
Silvano Razzi era un frate camaldolese, di Marradi,
che da giovane scrisse alcune frizzanti commedie piacevoli da leggere. Suo
fratello Serafino era un frate predicatore di cui abbiamo detto diverse volte
qui nel blog e di cui avremo modo di ridire, ma non ora. Una delle commedie di
Silvano ha titolo La Cecca ed è firmata Girolamo Razzi, che era il nome del
Nostro prima di prendere i voti.
Andiamo subito a leggerla, senza divagare in notizie
biografiche già note o che si possono leggere anche su internet.
Girolamo qui scrive con un buon spirito laico, ben
lontano dal linguaggio monastico e religioso dei suoi scritti successivi. La
vicenda è ambientata a Pisa, in un anno imprecisato della metà del Cinquecento e tratta degli intrighi e delle avventure di Hippolito
e Lattanzio, due studenti universitari.
I principali personaggi si muovono
spinti dal sesso e dai soldi, e solo in secondo luogo dal sentimento.
Hippolito
si è invaghito di Lucrezia, la moglie del dottor Ricciardo, e cerca in ogni
modo di infilarsi in casa sua profittando di qualche assenza del geloso marito,
che non la lascia mai uscire. Lucrezia è al corrente di questi tentativi e
sarebbe disposta a imbastire un relazione con Hippolito perché è insoddisfatta
della sua condizione di moglie.
Lattanzio
invece è innamorato di Emilia, figlia del ricco Bonifazio, e soprattutto sa che
lei ha una dote di 1000 ducati (una somma notevole). Suo padre l’ha data in
sposa a un giovane pisano che però è scomparso in mare, su una nave assalita dai pirati mentre
tornava da Palermo. Anche per lui il problema è infilarsi in casa della ragazza
di nascosto e per questo si accorda con la Cecca, la serva di casa.
Le
vicende di Hippolito e Lattanzio si intrecciano variamente nel corso della
commedia e alla fine ognuno dei due ottiene il suo scopo:
Hippolito
riesce a intromettersi in casa di Lucrezia, che però si mette a urlare
spaventata. Poi si calma e fa sesso con lui.
Le grida mettono in allarme il vicinato, il marito torna prima del
previsto e Hippolito si butta addosso un mantello e fugge fingendosi un ladro.
Lucrezia urla un’altra volta, il marito la trova spettinata e mezza nuda e non
le crede, ma accetta il fatto compiuto per non perdere la faccia.
Per
Lattanzio le cose sono più complicate e cerca di introdursi in casa di Emilia
da una porticina laterale aperta dalla Cecca, la donna di servizio vera
protagonista della commedia.
La Cecca
è la serva di Bonifazio e Lisabetta, i genitori di Emilia. E’ una povera
contadina, in apparenza sprovveduta “vestita
di romagnuolo come si usa ai paesi suoi” e forse il marradese Razzi quando tracciò il personaggio aveva in
mente la tipica campagnola dei nostri monti serva in città. I suoi padroni la
trattano male, le dicono “ … o merda, che ti sia in gola …” (pg
23).
Ma
come dice l’autore “ … ogni serpe ha il
suo veleno” e la Cecca favorisce in ogni modo Lattanzio dietro la promessa
di avere un posto di serva in casa sua quando lui sposerà la ricca Emilia. E ci
riesce …
Anche qui c’è la scena madre:
Bonifazio trova la figlia mezza nuda e scapigliata e la costringe a dire dove
si è nascosto Lattanzio: si è infilato in un forziere e Bonifazio lo serra
dentro con l’intenzione di buttarlo nell’ Arno …
Poi
torna il sereno. Lattanzio viene accettato in casa e così anche gli interessi
della rozza ma intraprendente Cecca vanno a buon fine. Girolamo Razzi sembra
quasi parteggiare per lei, e la loda nell’ultima pagina della commedia come se
egli fosse uno spettatore e non l’autore. Infatti fa dire alla Cecca:
“Ho questa fede, o spettatori e mi
pare di sentirvi bisbigliando dire, che la Cecca è più valente che Orlando e
più d’assai ch’el Secento, poi ch’ella ha saputo fare questo mercato e
guadagnarsi un padrone, el pan per sempre, e se voi gentildonne perdete i
vostri begl’anni, ve ne pentirete, quando non troverete più cane che v’abbai
..”.
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