nella valle del Lamone
in epoca storica.
Ricerca di Claudio
Mercatali
La media valle del Lamone ha una fragilità geologica
dovuta ai forti spessori di terra che coprono lo zoccolo roccioso del versante
destro. Per questo nel corso dei secoli nella zona di S.Cassiano ci sono
state due frane di milioni di metri cubi di terra e pietrame ogni volta. Una
avvenne nel 1939, fra S.Cassiano e S.Eufemia e l’altra nel 1690, a Boesimo, con
effetti fino al comune di Marradi, a Marignano.
“… Stava per finire l’ inverno del 1690 orrido per la
copia delle acque cadute dal cielo e per le nevi, che al sopraggiunger de’
nuovi tepori di primavera si liquefacevano. Per questo la superficie del suolo
divenne fradicia, e i più reconditi seni della terra immollati ne furono. Alla
destra del Lamone si stende il monte Budrialto. Aspro e biforcuto su un fianco
forma una pendice detta di monte Caruso e volge le sue acque al Lamone mediante
il torrente Boesimo, che vi mette foce a dieci miglia da Brisighella e sei da
Marradi.
Correvano i primi giorni di aprile, e coloro che su quei gioghi e su
quella pendice abitavano, attendevano alle campestri faccende, quando si udì
d’un tratto muggire Budrialto e con così alto fragore che gli animi ne rimasero
incerti e attòniti. Allo strano e inopinato caso fu da ognuno creduto che di
nuovo la terra tremasse (= che fosse un terremoto) ma avendo taluno
veduti scorrere i dossi del monte e viste larghe e profonde fessure nel
terreno, di ciò che era prestamente si accorse, talché molti ripararono in
fretta nei luoghi vicini con gli armenti e le cose loro.
Budrialto appariva
avvolto da una rada nebbia e c’era chi affermava di avervi visto notte tempo dei
fuochi. Gli occulti fremiti e i cupi fragori non erano ancora cessati e anzi
dopo otto giorni essi erano venuti crescendo, finché all’alba dell’ undicesimo
giorno, non reggendosi più il Caruso, diveltosi da Budrialto con orrendo
fracasso si scoscese e si rovesciò nel torrente Boesimo e corso oltre il fiume
Amone e trovato a riscontro il monte delle Volpare (= in fondo al versante
di Monte Romano) la terra ammonticchiatasi e ripegatasi sopra se stessa si
arrestò.
All’enorme peso tremò la valle e fu udito il rimbombo fino a Faenza.
Poi venuto il giorno grande stupore mostrò la gente. Il letto del Boesimo e del
torrentello della Pliserìa era chiuso, ed era chiuso anche il Lamone e qua e là
si vedevano sparse grandi querce che poco prima erano in cima al monte. Di là
avallando lo sguardo si vedeva l’immensa ruina, di macigni orrida e mista,
cenerognola di colore e putendo di zolfo giaceva secondo la forma che il caso o
il proprio peso le aveva dato.
Di quattro case travolte e sprofondate non
rimase traccia e in una di questa, chiamata Torricella morirono dieci persone e
altri sei poderi rimasero sconquassati e sconvolti. Il fianco del Budrialto,
dal quale si era staccato il Caruso appariva nudo e deforme per uno spazio di
due miglia. Grosso era allora l’Amone per le nevi, e anche il Boesimo, sicché
vennero a formarsi due grandi laghi e quello dell’Amone si distese per due
miglia e mezzo di modo che le acque cresciute in altezza per quattro cubiti
sommersero altri quattro poderi. Il letto del Boesimo si alzò fino a lambire la
chiesa.
A Ravenna s’ebbe avviso di questa catastrofe perché le
acque del Lamone sparirono con grande sorpresa di tutti e lasciarono l’alveo
asciutto mettendo sospetto che fosse successo qualcosa di grave sugli
appennini. Per la qual cosa il Legato Pontifico mandò a Brisighella un
incaricato, che si mise d’accordo con un ingegnere mandato dal Granduca di
Toscana, visto che quei luoghi erano di confine, e deliberò di aprire un
sollecito varco all’Amone. Però i laghi vi durarono lungamente e poi, colmatisi
e rosi di nuovo dalle acque, il fiume venne a ripristinarsi.
Le robuste braccia degli agricoltori, quell’
inselvatichito suolo dissodando lo vennero addomesticando di modo che sorsero
prati pingui e colti là dove c’era una squallida e deserta ruina”.
Sempre molto interessante. Grazie!
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