mercoledì 22 aprile 2020

Il Duecento qui da noi

La storia del nostro territorio 
in un tempo lontano
Ricerca di Claudio Mercatali



Nel Duecento cominciò finalmente l'uscita dal buio dell’Alto Medioevo. Questa epoca infinitamente lunga durò ancora due secoli, però in Italia le novità furono tante: è il secolo di Dante, della nascita della nostra lingua, delle lotte fra Guelfi e Ghibellini e anche dell’ imperatore Federico II di Svevia, che ora ci interessa perché la nostra storia fino al 1250 fu condizionata dalle sue mosse.

Federico Ruggero di Hohenstaufen (Jesi, 1194 - Fiorentino di Puglia, 1250), fu re di Sicilia dal 1198 al 1250 e Imperatore del Sacro Romano Impero, incoronato ad Acquisgrana nel 1215 e a Roma nel 1220. Discendeva per parte di madre dai Normanni di Altavilla, fondatori del Regno di Sicilia e aveva una personalità affascinante, tanto che era noto anche con l’appellativo di Stupor mundi (meraviglia del mondo). Non accettava il potere temporale dei papi e fu sempre in contrasto con la Chiesa tanto da ricevere due scomuniche dal papa Gregorio IX, che vedeva in lui l'anticristo. Fu protettore di artisti e studiosi e scrittore lui stesso: la sua corte fu luogo di incontro fra la cultura greca, latina, germanica, araba ed ebraica. Sotto di lui il Regno di Sicilia divenne uno stato moderno ed efficiente. Parlava sei lingue: latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo. La sua biografia si si può trovare facilmente su Internet e quindi andiamo avanti.

 



Dal punto di vista politico la sua idea era chiara: voleva il controllo pieno dell’Italia, senza l’impiccio dei Liberi Comuni o della Chiesa e per ottenere questo non usava mezze misure. Non per niente era il nipote di Federico Barbarossa. Dunque nella prima metà del secolo ci fu una lunga serie di guerre e di contese. I Liberi Comuni ricostituirono la Lega Lombarda ma furono duramente sconfitti nel 1237 a Cortenuova (Bergamo) e la Lega si sfasciò. Eccoci al punto che ci interessa: l’imperatore scese lentamente verso la Romagna riconquistando uno ad uno i Comuni che non si volevano sottomettere e quelli governati dai Guelfi fedeli al papa.




Erano gli anni ruggenti dei Ghibellini, che presero il potere dappertutto profittando di questa situazione. I conti Guidi, signori della collina romagnola e del Casentino, ghibellini per tradizione di famiglia, ottennero terre e favori e i quattro figli di Guido Guerra V in questi anni suddivisero il loro patrimonio dando origine ai quattro rami della dinastia. 



Modigliana e l’alta valle del Lamone toccarono a Guido Guerra VI e al suo fratello minore Simone da Battifolle toccò il Casentino e il Mugello, da Vicchio fino alla Colla di Casaglia. Costoro esercitarono qui da noi una signoria dura e rapace, come si potrà leggere fra un po’. 







Nel 1240 l’imperatore arrivò in Romagna, con l’intenzione di sottomettere la guelfissima Bologna e il 26 agosto pose l’assedio a Faenza. Era podestà il veneziano Michele Morosini che contava su mille fanti bolognesi e veneziani, e sulle milizie del conte Guido Guerra di Modigliana, che pur essendo ghibellino era preoccupato della eccessiva forza dell’ imperatore. Faenza era una piccola cittadina ma l'assedio si rivelò complesso e i costi dell' operazione lievitarono. Federico, dopo aver impegnato tutti gli oggetti di valore, impostò una operazione finanziaria di disperata inventiva: ordinò di coniare delle monete di cuoio il cui valore fu fissato in un augustale d'oro. 





Questa specie di prestito forzoso fu onorato dall' imperatore dopo la conquista della città, quando a chiunque presentasse le monete di cuoio fu restituito l'equivalente in oro. Il 14 aprile 1241 la città concordò la resa. Però frà  Salimbene de Adam, francescano di Parma,dice che Federico II non rispettò i patti: "ingressus, non servavit eis pactum" e gli Imperiali commisero delle crudeltà. Federico II rimase in città ancora per sei settimane per eliminare i suoi avversari e imporre i podestà imperiali.


C’è anche un episodio che anticipa il Patto Confederale Elvetico di neutralità del 1291, firmato dai cantoni di Uri, Svitto e Untervaldo: nell’esercito di Federico II c’erano molti mercenari svizzeri, che ad un certo punto si lamentarono per non aver riscosso la paga. L’imperatore seguiva l’assedio da una antica casa padronale in una collina sopra Faenza, chiamata “Germana” per l’appunto. Qui (secondo la leggenda) ricevette una ambasceria dei mercenari, che gli chiesero e ottennero anche l’affrancamento dalla servitù dei conti d’Asburgo. Il documento è noto come “Lettera di Faenza”. Gli Asburgo naturalmente reagirono ma dopo circa 50 anni di guerriglie cedettero e si arrivò a Patto confederale fra i tre Cantoni, ai quali si aggiunsero Lucerna, Zurigo, Friburgo e Basilea.


Alla fine dell’assedio anche Guido Guerra di Modigliana fece atto di sottomissione e l’imperatore lo perdonò, dopo avergli comminato una multa salata per l’aiuto dato ai Faentini. 

I balzelli per i Modiglianesi e i Marradesi aumentarono, tanto che l’abate della Badia del Borgo, stanco di essere tartassato dai Conti Guidi si sottomise alla guelfa Firenze per essere protetto. Così nel 1258 il Comune di Firenze fece la prima comparsa nella valle del Lamone. Fu un sollevo di breve durata, perché nel 1260 i guelfi fiorentini furono sconfitti dai ghibellini senesi fedeli all’imperatore e i Conti Guidi di Modigliana tornarono, rapaci come prima. Il Comune di Firenze rinunciò alla accomandigia, (= al diritto di sottomissione della Badia) e tornò nella Valle del Lamone solo dopo cento anni.



L’imperatore morì nel 1250 e le fortune dei ghibellini subirono un rapido declino. Nel 1258 Faenza fu assediata di nuovo, questa volta dal cardinale Ottaviano degli Ubaldini, impegnato nella riconquista di tutte le città romagnole fedeli all’imperatore. Chi era costui? 

Originario di Monte Accianico, castello vicino a Scarperia, era un personaggio difficile da definire. Cardinale e quindi in teoria guelfo, in realtà era un Ubaldini, ossia un ghibellino. Gli viene attribuita la frase " si anima est, ego perdidi ipsam millies pro Gibellinis " (se esiste l’anima io l’ho persa militando per i Ghibellini) e le sue riconquiste giovarono alla sua famiglia più che al Papato. Infatti dopo qualche anno in Romagna ci fu una serie di rivolte, perché fu chiaro che le varie città erano passate da un dominio ghibellino ad un altro, il suo.




Nel 1279 l’alta valle del Lamone fu devastata da un terremoto, che fece crollare gran parte del Castellone e sotto le macerie morì Bambo Pagani da Susinana. Ecco che compare una nuova famiglia di Signori locali, che spartirono con i Conti Guidi il dominio del territorio di Marradi. 




Ai Conti rimase la valle Acerreta, Modigliana, il Mugello vicino a Vicchio e molto altro, compresa l’arroganza. Nel 1289 Simone Guidi da Battifolle impose una gabella a chi transitava per il Passo della Colla e fece cavare un occhio al castellano di Molezzano e Gattaia, che si era ribellato. 



Aveva passato il segno e Firenze comprò il territorio di Casaglia, fondò il paese, che perciò è una “terra nova” come Scarperia e Firenzuola e assegnò le terre a cinquanta famiglie fiorentine, con il compito di difendere i luoghi dalle masnade di Simone da Battifolle. Questa è la nobile origine di Casaglia.





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La fortuna dei Pagani toccò il massimo con Maghinardo, citato anche da Dante nella Divina Commedia, naturalmente all’ Inferno, come: Il lioncel dal nido bianco, che muta parte dalla state al verno per la disinvoltura sconcertante con la quale passava dai Guelfi ai Ghibellini a seconda del suo tornaconto. 


Costui dopo una delle sue tante conquiste, distrusse il castello di Baccagnano, che era vicino alle attuali Terme di Brisighella e per punizione costrinse gli abitanti ribelli a trasferirsi oltre il fiume, ai piedi delle colline della Vena del Gesso, nei calanchi, dove i terreni sono molto meno fertili. Con questo atto del 1291 nacque Brisighella e Maghinardo viene spesso citato come fondatore del paese. Giovanni Andrea Caligari, prelato di Brisighella e vescovo a Bertinoro nel Cinquecento, nelle sue Memorie ci dice che:

 



… Di Baccagnano non è restato altro che il nome a la villa dove era il Castello, et alcune vestigia di esso di pietre tagliate, di fossi e rottami non lungi dalla Chiesa Parrocchiale di quella villa. Et perché la torre di Brassichella era tutta di gesso e fondata sul gesso, et la Scuola (l’abitato) di Brassicella si chiamava Scuola del Gesso, nacque un proverbio fra paesani che interrogati come stanno e come va il negozio, sogliono rispondere “male al gesso et peggio a Baccagnano”.



E così con questo fatto, positivo soprattutto per i posteri, terminò qui da noi questo complicato secolo del Medioevo.




Per ampliare:

Per la Confederazione Elvetica:  Libero Quotidiano, 03 ottobre 2015
Alteo Dolcini (1923-1999) La Svizzera è nata in Romagna, Stefano Casanova Editore.
La Valle del Lamone descritta da Giovanni Andrea Caligari, Blog 14 aprile 2019
Assedio di Faenza: Salimbene de Adam 1905 – 1913 pg 384



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