in un tempo lontano
Ricerca di Claudio Mercatali
Nel Duecento cominciò finalmente l'uscita dal buio
dell’Alto Medioevo. Questa epoca infinitamente lunga durò ancora due secoli,
però in Italia le novità furono tante: è il secolo di Dante, della nascita
della nostra lingua, delle lotte fra Guelfi e Ghibellini e anche
dell’ imperatore Federico II di Svevia, che ora ci interessa perché la nostra
storia fino al 1250 fu condizionata dalle sue mosse.
Federico Ruggero di Hohenstaufen (Jesi, 1194 - Fiorentino di Puglia, 1250), fu re di Sicilia dal 1198 al 1250 e Imperatore del Sacro Romano Impero, incoronato ad Acquisgrana nel 1215 e a Roma nel 1220. Discendeva per parte di
madre dai Normanni di Altavilla, fondatori del Regno di Sicilia e aveva una personalità affascinante, tanto che era
noto anche con l’appellativo di Stupor mundi (meraviglia del mondo). Non
accettava il potere temporale dei papi e fu sempre in contrasto con la Chiesa tanto
da ricevere due scomuniche dal papa Gregorio IX, che vedeva in lui l'anticristo. Fu protettore di artisti e studiosi e scrittore lui
stesso: la sua corte fu luogo di incontro fra la cultura greca, latina,
germanica, araba ed ebraica. Sotto di lui il Regno di Sicilia divenne uno stato
moderno ed efficiente. Parlava sei lingue: latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo. La sua biografia si si può trovare facilmente su Internet e quindi
andiamo avanti.
Dal punto di vista politico la sua idea era chiara: voleva il controllo
pieno dell’Italia, senza l’impiccio dei Liberi Comuni o della Chiesa e per
ottenere questo non usava mezze misure. Non per niente era il nipote di
Federico Barbarossa. Dunque nella prima metà del secolo ci fu una lunga serie di guerre e di contese. I Liberi Comuni ricostituirono la Lega Lombarda
ma furono duramente sconfitti nel 1237 a Cortenuova (Bergamo) e la Lega si
sfasciò. Eccoci al punto che ci interessa: l’imperatore scese lentamente verso
la Romagna riconquistando uno ad uno i Comuni che non si volevano sottomettere
e quelli governati dai Guelfi fedeli al papa.
Erano gli anni ruggenti dei Ghibellini, che presero il potere dappertutto
profittando di questa situazione. I conti Guidi, signori della collina
romagnola e del Casentino, ghibellini per tradizione di famiglia, ottennero
terre e favori e i quattro figli di Guido Guerra V in questi anni suddivisero
il loro patrimonio dando origine ai quattro rami della dinastia.
Modigliana e
l’alta valle del Lamone toccarono a Guido Guerra VI e al suo fratello minore
Simone da Battifolle toccò il Casentino e il Mugello, da Vicchio fino alla
Colla di Casaglia. Costoro esercitarono qui da noi una signoria dura e rapace,
come si potrà leggere fra un po’.
Nel 1240 l’imperatore arrivò in Romagna, con
l’intenzione di sottomettere la guelfissima Bologna e il 26 agosto pose
l’assedio a Faenza. Era podestà il veneziano Michele Morosini che contava su
mille fanti bolognesi e veneziani, e sulle milizie del conte Guido Guerra
di Modigliana, che pur essendo ghibellino era preoccupato della eccessiva forza
dell’ imperatore. Faenza era una piccola cittadina ma l'assedio si rivelò
complesso e i costi dell' operazione lievitarono. Federico, dopo aver impegnato
tutti gli oggetti di valore, impostò una operazione finanziaria di disperata
inventiva: ordinò di coniare delle monete di cuoio il cui valore fu fissato in
un augustale d'oro.
Questa specie di prestito forzoso fu onorato dall' imperatore
dopo la conquista della città, quando a chiunque presentasse le monete di cuoio
fu restituito l'equivalente in oro. Il 14 aprile 1241 la città concordò la resa.
Però frà Salimbene de Adam, francescano
di Parma,dice che Federico II non rispettò i patti: "ingressus, non
servavit eis pactum" e gli Imperiali commisero delle crudeltà.
Federico II rimase in città ancora per sei settimane per eliminare i suoi
avversari e imporre i podestà imperiali.
C’è anche un episodio che anticipa il Patto Confederale Elvetico
di neutralità del 1291, firmato dai cantoni di Uri, Svitto e Untervaldo: nell’esercito di
Federico II c’erano molti mercenari svizzeri, che ad un certo punto si
lamentarono per non aver riscosso la paga. L’imperatore seguiva l’assedio da una
antica casa padronale in una collina sopra Faenza, chiamata “Germana” per
l’appunto. Qui (secondo la leggenda) ricevette una ambasceria dei mercenari,
che gli chiesero e ottennero anche l’affrancamento dalla servitù dei conti
d’Asburgo. Il documento è noto come “Lettera di Faenza”. Gli Asburgo
naturalmente reagirono ma dopo circa 50 anni di guerriglie cedettero e si
arrivò a Patto confederale fra i tre Cantoni, ai quali si aggiunsero Lucerna,
Zurigo, Friburgo e Basilea.
Alla fine dell’assedio anche Guido Guerra di Modigliana
fece atto di sottomissione e l’imperatore lo perdonò, dopo avergli comminato
una multa salata per l’aiuto dato ai Faentini.
I balzelli per i Modiglianesi e
i Marradesi aumentarono, tanto che l’abate della Badia del Borgo, stanco di
essere tartassato dai Conti Guidi si sottomise alla guelfa Firenze per essere
protetto. Così nel 1258 il Comune di Firenze fece la prima comparsa nella valle
del Lamone. Fu un sollevo di breve durata, perché nel 1260 i guelfi fiorentini
furono sconfitti dai ghibellini senesi fedeli all’imperatore e i Conti Guidi di
Modigliana tornarono, rapaci come prima. Il Comune di Firenze rinunciò alla
accomandigia, (= al diritto di sottomissione della Badia) e tornò nella Valle
del Lamone solo dopo cento anni.
L’imperatore morì nel 1250 e le fortune dei ghibellini subirono
un rapido declino. Nel 1258 Faenza fu assediata di nuovo, questa volta dal
cardinale Ottaviano degli Ubaldini, impegnato nella riconquista di tutte le
città romagnole fedeli all’imperatore. Chi era costui?
Originario di Monte
Accianico, castello vicino a Scarperia, era un personaggio difficile da definire.
Cardinale e quindi in teoria guelfo, in realtà era un Ubaldini, ossia un
ghibellino. Gli viene attribuita la frase " si anima est, ego
perdidi ipsam millies pro Gibellinis " (se esiste l’anima io l’ho
persa militando per i Ghibellini) e le sue
riconquiste giovarono alla sua famiglia più che al Papato. Infatti dopo qualche
anno in Romagna ci fu una serie di rivolte, perché fu chiaro che le varie città
erano passate da un dominio ghibellino ad un altro, il suo.
Nel
1279 l’alta valle del Lamone fu devastata da un terremoto, che fece crollare
gran parte del Castellone e sotto le macerie morì Bambo Pagani da Susinana.
Ecco che compare una nuova famiglia di Signori locali, che spartirono con i
Conti Guidi il dominio del territorio di Marradi.
Ai Conti rimase la valle
Acerreta, Modigliana, il Mugello vicino a Vicchio e molto altro, compresa
l’arroganza. Nel 1289 Simone Guidi da Battifolle impose una gabella a chi
transitava per il Passo della Colla e fece cavare un occhio al castellano di
Molezzano e Gattaia, che si era ribellato.
Aveva passato il segno e Firenze
comprò il territorio di Casaglia, fondò il paese, che perciò è una “terra nova”
come Scarperia e Firenzuola e assegnò le terre a cinquanta famiglie fiorentine,
con il compito di difendere i luoghi dalle masnade di Simone da Battifolle.
Questa è la nobile origine di Casaglia.
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una comoda lettura
La fortuna dei Pagani toccò il massimo
con Maghinardo, citato anche da Dante nella Divina Commedia, naturalmente
all’ Inferno, come: Il lioncel dal nido bianco, che muta parte dalla state al
verno per la disinvoltura sconcertante con la quale passava dai Guelfi ai
Ghibellini a seconda del suo tornaconto.
Costui dopo una delle sue tante conquiste, distrusse il castello di Baccagnano, che era vicino alle attuali Terme di Brisighella e per punizione costrinse gli abitanti ribelli a trasferirsi oltre il fiume, ai piedi delle colline della Vena del Gesso, nei calanchi, dove i terreni sono molto meno fertili. Con questo atto del 1291 nacque Brisighella e Maghinardo viene spesso citato come fondatore del paese. Giovanni Andrea Caligari, prelato di Brisighella e vescovo a Bertinoro nel Cinquecento, nelle sue Memorie ci dice che:
… Di Baccagnano non è restato
altro che il nome a la villa dove era il Castello, et alcune vestigia di esso
di pietre tagliate, di fossi e rottami non lungi dalla Chiesa Parrocchiale di
quella villa. Et perché la torre di Brassichella era tutta di gesso e fondata
sul gesso, et la Scuola (l’abitato) di Brassicella si chiamava Scuola del
Gesso, nacque un proverbio fra paesani che interrogati come stanno e come va il negozio, sogliono rispondere “male al gesso et peggio a
Baccagnano”.
E
così con questo fatto, positivo soprattutto per i posteri, terminò qui da noi
questo complicato secolo del Medioevo.
Per
ampliare:
Per
la Confederazione Elvetica: Libero Quotidiano, 03 ottobre 2015
Alteo Dolcini (1923-1999) La Svizzera è nata in Romagna, Stefano Casanova
Editore.
La
Valle del Lamone descritta da Giovanni Andrea Caligari, Blog 14 aprile 2019
Assedio
di Faenza: Salimbene de Adam 1905 – 1913 pg 384
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