lunedì 6 luglio 2020

Il sentiero di Garibaldi Prima parte

Da Popolano a Gamberaldi
lungo il sentiero
di Garibaldi in fuga
resoconto di Claudio Mercatali


Don Giovanni Verità 
porta Garibaldi a spalla


La Repubblica Romana del 1849 fu uno Stato sorto a seguito di una rivolta popolare che provocò la fuga del papa Pio IX a Gaeta il 24 novembre 1848. L’atto costitutivo del nuovo stato all’Articolo 1 recitava: “Il Papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Romano”.




Però il papa reagì da Gaeta con la scomunica dei nuovi governanti Armellini, Mazzini e Saffi e dei patrioti come Goffredo Mameli e Giuseppe Garibaldi che erano accorsi a difesa. Ma soprattutto il papa chiamò i Francesi che intervennero con un corpo di spedizione e assediarono Roma. Il confronto fu impari e nonostante l’accanita resistenza la Repubblica cadde il 4 luglio 1849. Giuseppe Garibaldi fuggì e di nascosto con pochi dei suoi si diresse in Romagna, con l’intenzione di andare in soccorso di Venezia, che si era ribellata agli Austriaci. Però a Ravenna i Garibaldini furono intercettati e dispersi. Sono le giornate tristi della Pineta di Ravenna, dove muore Anita e dove comincia l’ennesima fuga, questa volta verso il Granducato di Toscana, che era più tollerante nei confronti dei patrioti.


Ecco, questo è il contesto storico minimo per capire il percorso che faremo attraverso i nostri monti. Garibaldi entrò nel Granducato dal Passo del Trebbio, sopra a Modigliana, dove lo aspettava don Giovanni Verità, prete patriota, scomunicato, personaggio popolarissimo e fuori da tutte le misure, considerato quello che in teoria avrebbe dovuto essere tenuto conto del suo abito. Con la guida di don Verità iniziò un cammino attraverso i nostri monti, che aveva per meta la costa del Tirreno, dove una nave avrebbe atteso l’eroe per portarlo in salvo in Piemonte.

Don Giovanni Verità ritratto da Silvestro Lega.


La gendarmeria del Granduca Leopoldo II aveva ordine di chiudere un occhio e di lasciar passare il gruppetto dei transfughi, che percorreva i monti mantenendosi sempre sul confine con la Romagna, senza oltrepassarlo mai per non cadere nelle mani della Gendarmeria Pontificia e degli Austriaci.


Non si sa di preciso se nell’estate del 1849 Garibaldi, il fido capitano Leggero e don Giovanni siano giunti a Popolano scendendo da Galliana o dal Passo della Cavallara e comunque ora il nostro trekking parte di qui, dietro la Dogana, dove passava la strada Faentina antica. I tre imboccarono la via verso Valnera, sotto lo sguardo apparentemente distratto dei doganieri granducali e sparirono alla vista prima possibile.







All'inizio la vecchia Faentina è un singolare percorso solo pedonale pieno zeppo di tabernacoli ed ex voto..













Per salire nella mulattiera di Valnera bisogna attraversare il ponte di Buscone, chiuso al transito veicolare perché pericolante.









La mulattiera sale in costa sopra le ferrovia. Il paesaggio è incantevole.










La valle del Lamone verso Galliana. E' possibile che Garibaldi sia arrivato da Modigliana passando di là.






Ca d'Go' è una casa poderale proprio al confine con la Romagna. Ormai siamo al crinale e fra poco comincerà la discesa verso la chiesa di Valnera.










La mulattiera che stiamo percorrendo è una via antica, che compare nel Catasto Leopoldino del 1822.

Valnera è una chiesina in fondo al Rio di Campodosio, sempre al limite con la Romagna.



Ricomincia la salita verso Gamberaldi, lungo la valletta di Cà d'band (Casa del bando, del divieto).
Dopo un po' la visuale si apre verso Monte Romano.




... E infine si giunge a Spianamonte, un podere che non a caso si chiama così. L' accanto tre cocuzzoli danno un aspetto caratteristico al sito e si chiamano I tre monti.






Ed eccoci a Gamberaldi, località apparentemente remota ma in realtà crocevia della viabilità medioevale e di quasi tutti i trekking in questi luoghi.



Garibaldi e i suoi due amici andavano di fretta e tirarono diritto ma noi oggi faremo tappa qua, visto che non siamo inseguiti dalla Gendarmeria Pontificia.  Un'altra volta riprenderemo il racconto.




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