Claudio Mercatali
Nell’inverno del 1913 Dino Campana andò a Firenze a cercare un
editore per il manoscritto dei suoi componimenti. Il quadernino si chiamava Il
più lungo giorno ed era quanto di più caro aveva. Lui stesso scrisse:
"…
venuto l'inverno andavo a Firenze al Lacerba
a trovare Papini che conoscevo di nome. Lui si fece dare il mio manoscritto
(non avevo che quello) e me lo restituì il giorno dopo e in un caffè mi disse
che non era tutto quello che si aspettava ma che era 'molto molto' bene e mi
invitò alle Giubbe rosse per la sera... per tre o quattro giorni andò avanti
poi Papini mi disse che gli rendessi il manoscritto ed altre cose che avevo,
che l'avrebbe stampato. Ma non lo stampò. Io partii non avendo più soldi
(dormivo all'asilo notturno ed era il giorno che facevano le puttane sul
palcoscenico alla serata futurista incassando cinque o seimila lire) e poi
seppi che il manoscritto era passato in mano di Soffici. Scrissi 5 o 6 volte
inutilmente per averlo e mi decisi di riscriverlo a memoria...".
Il seguito della storia è ben noto: dopo un duro lavoro di
riscrittura fatta soprattutto a memoria e durato sei o sette mesi, il libro fu
pubblicato nell’ estate del 1914 dalla tipografia Ravagli di Marradi con il
titolo Canti Orfici. Il quaderno originario fu ritrovato solo nel 1971
in casa di Ardengo Soffici e pubblicato da Vallecchi nel 1973.
Che cosa intendeva il poeta con il titolo Il più lungo giorno?
Non lo sappiamo perché Campana non ce lo dice e nei suoi
appunti non c’è nessuna traccia che possa servire per una ipotesi.
Chi era Orfeo?
Secondo il mito greco Orfeo era così bravo con la
lira che al suono del suo strumento e alla sua voce si ammansivano anche
le belve. Era innamorato della ninfa Euridice, che un giorno fu morsa da
un serpente e morì. Orfeo disperato scese agli Inferi e con la dolcezza della
sua musica, convinse Plutone e Proserpina a
restituirgli l’amata. Però gli Dei posero una condizione: non doveva voltarsi a
guardarla finché non avesse raggiunto il Regno dei vivi. Ma proprio
sulla porta dell’Ade si voltò e la perse per sempre.
Antonio Canova, Orfeo ed Euridice
Perché il poeta cambiò il primo titolo con Canti Orfici
nei sette mesi di lavoro infernale di riscrittura?
Non sappiamo nemmeno questo ma qualche traccia c’è, perché
Campana parte spesso da un fatto reale che poi trasfigura fino a renderlo
difficilmente riconoscibile.
Dunque forse Dino Campana si riconobbe in Orfeo: Euridice per lui era la sua arte poetica, persa per colpa di un serpente (Ardengo Soffici o
Giovanni Papini), e patì le pene dell’inferno per riscrivere tutto.
Che
cosa fece il mitico Orfeo dopo la perdita definitiva di Euridice?
Secondo
il poeta Virgilio pianse per sette mesi (per il poeta Ovidio, sette giorni). Non
riusciva più a pensare ad altro e rifiutava tutto e tutti. Nella versione
virgiliana le donne dei Ciconi (gli abitanti
della Tracia) in preda all'ira lo fecero a pezzi e ne sparsero i resti per la
campagna. Questo finale del mito sembra confermare l’ipotesi: nei
mesi passati nella soffitta di casa e nel podere Orticaia, a Marradi, a
riscrivere le poesie divenne insensibile ad ogni altra cosa, si isolò e fu rifiutato
da tutti più di quanto era stato fino ad allora. Non dimentichiamo che nell’ ultima
pagina del libro c’è un verso di Walt Whitman tratto da
Song of Myself:
They were all torn
and cover'd with
the boy's blood
(L'originale
di Whitman è: "The three were all torn and cover'd with the boy's blood"
ossia "I
tre uomini erano tutti laceri e ricoperti dal sangue del ragazzo"). Questa frase per Campana era
importante, e nel marzo 1916 scrisse a Emilio Cecchi:
"Se vivo o morto lei si
occuperà ancora di me la prego di non dimenticare le ultime parole che
sono le uniche importanti del libro. La citazione è di Walt Whitman che adoro
nel Song of myself quando parla della cattura del flour of the race of
rangers". Campana
quindi si identifica con un giovane della poesia di Whitman massacrato a
tradimento.
Il
poeta mentre riscriveva i Canti Orfici probabilmente si rese anche conto che la
sua mente peggiorava in modo inesorabile. Rivolto indietro per riscrivere le sue amate poesie forse sentì che la sua arte poetica stava per
svanire così come svanì Euridice quando Orfeo si voltò a guardarla. Infatti dopo il
1914 prese il sopravvento la malattia. I suoi pochi scritti successivi sono
frammenti con qualche sprazzo di genio ma per lui la stagione alta della poesia
era passata. Ecco
quindi quale potrebbero essere le ragioni del titolo: la fatica infernale della
riscrittura, il rifiuto di tutto e di tutti, proprio come Orfeo, la convinzione di aver scritto un capolavoro e la
sensazione che il progredire del suo male stava facendo svanire il suo estro.
Per
altre ipotesi:
Stefano Drei,
Orfeo, Ofelia e una piazza (su
Internet) e su La piè anno LXXXII n°1 2013 (Drei espose la sua ipotesi
anche alla Corte delle Domenicane, a Marradi, al centenario dei Canti Orfici).
Neuro Bonifazi: Dino
Campana, la storia segreta e la tragica poesia. Longo Editore Ravenna, 2007 (Il libro fu presentato anche a
Marradi alla Corte delle Domenicane, in occasione del genetliaco di Dino
Campana con introduzione del Dr. Andrea Gialloreto dell’Univ. di Chieti).Federico Ravagli: Dino Campana e i goliardi del suo tempo. Editrice Marzocco, Firenze, pg 127
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