con le persiane aperte ad angolo, però la casa natale era poco prima di questa e non esiste più.
Giovanna Diletti Campana detta Gina (1875-1967) era la moglie di Torquato Campana (fratello di Giovanni Campana, padre del poeta). Era originaria di Brisighella, dove i suoi parenti avevano una fabbrica di inchiostro di china. Quando scrisse i ricordi che sono qui di seguito era già molto anziana e lo fece per lasciare a suo figlio Lello un ricordo del poeta. Leggiamo che cosa ci dice:
Dopo qualche anno nacque Manlio (1888), Io conobbi Dino durante il mio viaggio di nozze, era allora nel collegio dei Salesiani a Faenza, avrà avuto 11 o 12 anni. Andammo a trovarlo mio marito ed io, era a ricreazione e venne da noi in parlatorio, tutto sudato, teneva in mano il frustino e la trottola.
Il collegio dei Salesiani di Faenza nel 1897
Anche i maestri dei Salesiani lo
giudicavano di grande ingegno, ma era uno scarabocchione disordinato. Dopo la
nascita di Manlio (Ninni), il cocco Dino passò in seconda, o per meglio dire in
terza linea.
Ninni sempre Ninni e solo Ninni. Marianna ancor più che Barberina si era affezionata a Dino. Quando veniva in casa per la questua della Chiesa mi chiedeva: "Come vanno su?" e si sfogava con me. Si ha da vedere un povero figliolo che quando escono per il passeggio la mamma gli dice: "Tu Dino vai sulla strada di Palazzuolo, noi si va per altra via. Quel noi era Fanny e Manlio. E gli abiti? Colla cosa che era disordinato egli aveva sempre i più brutti, o gli scarti del babbo e quando era lusso erano quelli provenienti da B. Cominciò a viaggiare e molte tappe le faceva a piedi, non aveva mai posto fermo, pareva un'anima in pena. Un giorno all'estero, non ricordo dove, passavano due signori, marito e moglie, pezzi grossi. Lui Dino corse ad abbracciare l'avvenente signora. Successe un putiferio, e stette in prigione diversi giorni e fu liberato grazie all'intervento di Cecchino (Francesco Campana zio di Dino) allora Procuratore del Re (a Pisa e a Firenze). Un'altra volta a La Verna portò via la borsetta a una signora.
Orticaia, podere della parrocchia di Gamberaldi
Egli stava molto a Orticaria, noi avevamo allora una modesta villetta in campagna al Corno, e per andare a Orticaria egli passava davanti alla nostra. Una volta si fermò e stette a desinare da noi. Fu tanto allegro e di buon umore che se ne andò via di mala voglia. Lo vidi allontanarsi mesto e zoppicante era in quel periodo che ebbe male a una gamba (novembre 1915).
... Lo vidi allontanarsi mesto e zoppicante ...
Quando decise di andare in America il padre non si fidò a dargli i denari del viaggio e pregò lo zio Torquato di andare con Dino ad accompagnarlo fino a Genova. Lo zio accettò e quando furono a Genova Dino disse di andare in un posto e si assentò. Combinarono di trovarsi al porto.
Il Porto di Buenos Aires nei primi anni del '900
Ma le ore passavano e Dino non si vedeva, si può immaginare l'ansia e la pena del povero Torquato perché il bastimento stava per partire. Finalmente arrivò Dino proprio in tempo per salire. In America fece un po' tutti i mestieri da mozzo a tanti altri. Quando ritornò dall'America marinaro, aveva una larga fascia colore azzurro legata alla vita era bello e molto allegro.
Le liti con la mamma erano assai frequenti, forse era incomprensione dall'una parte e dall'altra. Dino era geloso e questo è indubbio, certo è che egli cercava invano nella mamma l'affetto del nome di mamma! Intelligente come era ben si avvedeva delle differenze che la mamma faceva fra lui e il fratello. Le moine tributate a quest'ultimo e gli improperi a lui diretti.
Sembrava rustico ma spesso fermava Mimma (Maria Soldaini Campana cugina di Dino) e per fare una carezza la prendeva per il collo e la sollevava di peso. Una volta intervenni e gli dissi: Dino non fare così può essere nocivo. Dimenticavo scrivere che finché vissero le due vecchiette non passava giorno senza che non andasse a trovarle. In seguito la famiglia di Dino si trasferì nella casa di via Pescetti, nella casa del nonno dove visse finché ammalò di mente. Il babbo (Giovanni Campana 1854 - 1926) che io ricordo non andò mai a trovarlo a Castel Pulci, non gli reggeva il cuore ma la mamma si andava.
E quando accusava qualche male Dino diceva che l'avrebbe guarita lui per mezzo dell' elettricità, aveva lui diceva il modo e il mezzo per guarire l'intera umanità. Questo negli ultimi tempi. Era questa la sua idea fissa, e dava spiegazioni da incantare. Nel sanatorio non mangiava con gli altri ammalati, ma bensì con i dottori e superiori che se lo contendevano perché sapeva di tutto, conosceva tutto e la sua conversazione era ambita.
Fonte: Souvenir d’un
pendu, Carteggio 1910 – 1931 a cura di Gabriel Cacho Millet Edizioni
Scientifiche, Napoli.
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