martedì 28 febbraio 2023

Dalla Bastìa a San Martino

Un crinale 
con due castelli
ricerca di Claudio Mercatali


Sant'Adriano


Questo è' un tipico trekking invernale, panoramico perché le piante non hanno la foglia, tutto a solame, senza fango. Si parte dal casello ferroviario di San Martino e si imbocca il sottopasso della ferrovia. 


All'inizio la strada è asfaltata, ripida e arriva fino alla casa di Bastìa. Il sito è citato nelle carte antiche come fortilizio, con il nome di Castro Pellegrino ma oggi è una casa di campagna ben ristrutturata che non ha più niente di medioevale. 



Prima del cancello di casa conviene risalire il campo fino al crinale, dove c'è un sentiero segnalato in giallo che seguiremo sempre. La nostra mèta ora è il castello di San Martino in Gattara a un chilometro verso nord est.





Non si sa di preciso che scopo avesse il castellare della Bastìa, altrimenti detto Castro Pellegrino, forse era un annesso del castello di San Martino. Alla fine del Duecento venne preso dal solito Maghinardo Pagani, che lo demolì e non fu più ricostruito. Lo storico Antonio Metelli dice che nel quattrocento fu per un certo tempo un edificio pubblico, dove un giudice del Comune di Faenza amministrava la giustizia per piccoli reati e liti di vario genere, come è scritto qui sopra. Esaurita questa funzione cessò del tutto e divenne una semplice villa di Campagna con il nome significativo del suo passato.




Sant'Adriano


Il tracciato offre diversi scorci panoramici, verso Valnera e Monte Romano e verso S.Adriano – Popolano. Per questo nel medioevo il sito era fortificato e nel 1428 fu oggetto di contesa fra Firenze e Faenza, al tempo della conquista di Marradi. Alla fine si raggiunse un accordo e qui prevalsero le ragioni dei Manfredi di Faenza, mentre il castello di Gamberaldi passò ai Fiorentini. Non c'è un confine naturale a fare da traccia e diversi poderi rimasero in posizione incerta fra lo Stato Pontificio e il Granducato, provocando ogni tanto qualche disputa fra la Comunità di Marradi e Brisighella. 



Popolano


Questa per noi ora è una fortuna, perché per venire a capo delle periodiche e fastidiose liti i due stati stilarono le mappe che si vedono nelle ricerche indicate nella bibliografia qui sotto, conservate all'Archivio di Stato di Firenze e all'Archivio Nazionale di Roma.



Canovina


Il sentiero è agevole, pianeggiante, sempre sul crinale. Quasi senza fatica si arriva al rudere del podere Canovina che è un reperto interessante. Il grado di consunzione delle pietre alla base è simile a quello dei muri del castello di San Martino e quindi di certo la casa risale al Medioevo. L'edificio fu costruito in due tempi e la parte più vecchia ha le dimensioni e l'alzata di una torre. Dunque è del tutto probabile che qui ci fosse una torre di vedetta per uno o più dei tre castelli vicini: Benclaro, di fronte, la Bastìa, San Martino.





Al castello di San Martino ci sono dei resti importanti: la volta della cisterna dell'acqua, l'imposta della torre principale, il tracciato delle mura. C'è tanto da vedere e da curiosare e passando di qui una sosta si impone.



Poi non rimane che scendere, lungo il solito sentiero segnato di giallo che serpeggiando ci porta in paese, proprio nel viale della stazione, al passaggio a livello.





Per approfondire sul blog

ottobre 2021  Il castello di San Martino
Nel Tematico alla voce: I castelli della valle.


venerdì 24 febbraio 2023

Il castello di Cepparano

Una rocchetta di confine
fra Faenza e Modigliana
ricerca di Claudio Mercatali


Una lapide incisa trovata nel castello:
simboleggia il potere dei Manfredi di Faenza

A dieci chilometri da Faenza, verso Modigliana c'è il rudere della Torre di Cepparano. Lo storico Fantuzzi (libro II, pag.366) ci dice che in quel poggio nel 970 c'era già la chiesa di Santa Maria in Castro Cepariano e dunque lì accanto c'era un castrum, un castello, edificato dai conti Guidi di Modigliana per marcare il confine delle loro terre verso Faenza.
Forse ci fu un compromesso fra i due comuni, visto che il sito è esattamente a metà strada da ognuno, ma nel Medioevo i compromessi duravano poco: lo storico Agostino Tolosano racconta che nel 1167, i Faentini assalirono Cepparano e demolirono tutto. Però lo storico antico Mittarelli dice (coll. 320 - 321) che concessero di ricostruire la chiesa in un luogo non fortificato. 





Dallo storico Muratori apprendiamo che Guido Guerra V, conte di Modigliana, nel 1258 provò a riprendersi la collina ma non ebbe successo. Nel 1313 Cepparano passò ai Manfredi, signori di Faenza, ma nel 1356 il cardinale Albornoz impegnato nella riconquista della Romagna per conto del papa conquistò Faenza e fece distruggere Cepparano. Astorgio I Manfredi riprese Faenza nel 1376, e ricostruì il fortino, lasciando a memoria due lastre di pietra incise, che ora sono nella Pinacoteca faentina. Nel 1503 arrivarono i Veneziani, ma nel 1509 il papa Giulio II li sloggiò e riconquistò la Romagna, fondando il nuovo Stato Pontificio. Il confine con Modigliana fu garantito da un accordo con i Medici, che avevano preso Modigliana, Tredozio e Marradi e nel 1577 l'ormai inutile castello fu demolito perché spesso era rifugio di malviventi.


Questa in sintesi è la complicata storia di Cepparano, passato di mano diverse volte come spesso accadde ai fortilizi posti su un confine conteso. Ora lasciamo gli storici ai loro studi e leggiamo una piacevole descrizione del sito fatta nel 1929 da don Claudio Bulgarelli parroco di Tossino, che ai primi del Novecento fu parroco a Lutirano, dove fondò la Cassa Rurale, una banchina di parrocchia (!) rimasta attiva una trentina di anni.




Clicca sulle immagini
se le vuoi 
ingrandire













Come si arriva a Cepparano? Un po' a monte di Marzeno c'è una stradina, sulla sinistra per chi viene da Faenza, che si chiama appunto Via Cepparano, ben indicata da un cartello.

La via attraversa il torrente Marzeno, sale un paio di chilometri fino alla chiesa di San Giorgio, dove finisce l'asfalto. Bisogna proseguire per circa 1km su una strada a ghiaia, ben messa, finché si giunge alla sommità della collina, dove si vede questo bel panorama. Ai conti Guidi la visuale interessava soprattutto perché mostra Faenza, comune spesso ostile.


Quando la strada comincia a scendere bisogna fermarsi e proseguire a piedi, con una passeggiata di circa un quarto d'ora, fino a giungere alle rovine della torre, che sono queste qui accanto.




lunedì 20 febbraio 2023

Tre pianeti nel cielo di febbraio


La levata acronica 
e la loro scomparsa sotto l’orizzonte

Resoconto di Claudio Mercatali




Quest’anno nel cielo di febbraio si vedono tre pianeti subito dopo il tramonto o nelle prime ore della notte. Si tratta di Venere, Giove e Marte, che sorgono a est e tramontano a ovest in questo ordine. Il loro sorgere dall’orizzonte non si vede, perché avviene quando è ancora giorno ma si puo vedere la loro levata acronica, che è la prima comparsa di sera nel punto del cielo dove si trovano quando il Sole tramonta. L'esempio più noto è Venere, "la prima stella della sera" che in realtà è il classico "pianeta vespertino".



Queste qui accanto sono le levate acroniche di Venere (il pianeta in basso) e Giove, nel giorno 13 febbraio alle 18.30 nel cielo sopra al Passo del Beccugiano, a Marradi.



Venere è uno dei quattro pianeti detti "terrestri" perché è roccioso ma la somiglianza con la Terra finisce qui. L'atmosfera venusiana è una densa cappa di anidride carbonica che al suolo dà una pressione di quasi 90 atmosfere. L'effetto serra è impressionante e rende il pianeta più caldo di Mercurio. Le sue nubi sono fatte soprattutto di acido solforico. Insomma Venere per noi sarebbe un inferno. In compenso le sue nebbie riflettono la luce solare e il pianeta è luminoso, ma non lascia vedere nessun dettaglio della superficie nemmeno con dei telescopi potenti.




I puntini bianchi qui accanto sono Venere e Giove che stanno tramontando dietro al Castellaccio di Biforco, a Marradi. Sono le 20.30 del 19 febbraio 2023.





Giove ha una massa doppia di quella di tutti gli altri pianeti messi insieme. E' una enorme sfera di idrogeno e elio con un nucleo liquido e forse solido. La sua atmosfera gassosa riflette bene la luce, spesso compare subito dopo il tramonto e viene scambiato con Venere. Galileo Galilei nel 1610 scoprì che ha quattro lune: Io, Europa, Ganimede e Callisto e anche per questo fu condannato dal Tribunale del Sant' Uffizio: ... che cosa dice Galilei? Vede le lune e le macchie nel Sole? E' un eretico!




Marte ha sollecitato tanto la fantasia degli uomini, per l'aspetto rossiccio, e la superficie rigata da misteriose strutture che sembrano dei canali. Ecco un articolo del 1920 comparso nel periodico faentino l'Idea Popolare (che è un altro nome dell' odierno settimanale Il Piccolo) a firma di Raffaele Bendandi, astronomo, meteorologo, geologo autodidatta, un personaggio di cui avremo modo di riparlare.






Ecco Marte visto dalla stessa posizione, a mezzanotte del 19 febbraio.



La stessa scena si ripeterà ogni notte fino ai primi di marzo, poi ognuno dei pianeti si allontanerà dagli altri perché le velocità orbitali sono molto diverse.








Ecco la situazione al 5 marzo: Giove ha raggiunto Venere. Si dice che i due pianeti sono in congiunzione. Secondo Omero Giove era il padre di Venere e Marte fu per tanto tempo amante di lei.


sabato 18 febbraio 2023

Le cartoline di Enrico Vanni

Una serie di immagini
di Marradi
del primo Novecento




Enrico Vanni era un rappresentante di commercio, domiciliato a Marradi in piazza Scalelle ma spesso assente per motivi di lavoro. Nei primi anni del secolo fu anche consigliere comunale. Era figlio di Giuseppe, un capo mastro muratore di Firenze che si trasferì a Marradi nel 1897 perché aveva sposato Giuseppa Rontini. Abitava in via Fabbrini 9. Enrico, ottimo fotografo, fece stampare una serie di cartoline per motivi di commercio.

Sono sue alcune delle cartoline più belle del paese nel primo Novecento, come questa.







A quanto pare gradiva i soggetti "animati", cioè le immagini con azioni in corso o persone.







Questa cartolina è di fine '800, perché a fianco del Municipio c'è ancora la Tabaccheria Matteucci, che a fine secolo si trasferì in via Talenti.






Due immagini animate delle vie principali: via Fabroni e via Talenti.





Clicca sulle immagini
per vederle 
a schermo intero.







Marradi visto dalle falde di Monte Colombo, un classico.








Se la dicitura Ed. E.Vanni manca la cartolina si può riconoscere come sua dai caratteri a stampa del titolo, che sono in un corsivo particolare, con la "d" della parola Marradi fatta quasi come un delta "δ". Però bisogna che l'immagine sia dei primi anni del Novecento perché in seguito questi caratteri furono usati anche da Odoardo Bandini.


Queste sono le Scuole Elementari dette "Umbertine" appena ultimate (ci sono ancora i cumuli dei materiali da smaltire). Siamo nel 1901 - 1902.

L'immagine non ha la solita dizione Ediz. E.Vanni, Marradi ma ci sono pochi dubbi sulla paternità dell'immagine, perché ci sono i caratteri a stampa di cui si è detto prima e un logo con una "V" nell'angolo a destra.








L'immagine di Biforco qui accanto è firmata e permette di attribuire a Vanni anche la cartolina di S.Adriano sottostante, che ha gli stessi caratteri tipografici nel titolo.



Qui si vede S. Adriano nei primi anni del Novecento. La chiesa non è ancora stata allungata e il campanile è più basso e con le finestre diverse.






E' finita la messa nella chiesa arcipretale, una elegante signora in bianco scende dagli scalini nel sagrato.












Un visuale classica del paese con gli edifici e il ponte che poi furono distrutti dai bombardamenti del 1944.










domenica 12 febbraio 2023

1943 – 1944 Una Odissea lungo gli Appennini

L'incredibile fuga 
di tre militari Alleati

Racconto e ricerca di Rosemary Clarke

Nel corso della guerra in Libia (1941 – 1942) furono catturati circa 80.000 soldati Alleati, trasferiti in più riprese in Italia in diversi campi di concentramento.



Il Campo PG 49 venne attivato a Fontanellato nella primavera del 1943, a pochi chilometri dalla via Emilia, tra Parma e Fidenza. 








All'inizio di settembre 1943 il campo ospitava 700 militari, in prevalenza ufficiali, soprattutto inglesi, ma anche americani, australiani, neozelandesi e sudafricani. All' armistizio dell'8 settembre '43 i prigionieri furono liberati su ordine del comandante prima dell' arrivo dei Tedeschi e soccorsi dalla gente, ed evitarono l'immediata deportazione in Germania. Tre di loro cominciarono un lunghissimo viaggio a piedi attraverso l'appennino fino all' Abruzzo, con l'idea di andare incontro alle truppe alleate che combattevano là. Due erano stati catturati in Cirenaica, nel corso delle varie avanzate dell' Africa Korps, il terzo era un marinaio imbarcato su un sottomarino affondato dagli italiani nell'agosto 1940. Ecco come racconta i fatti Rosemary Clarke, figlia di uno di loro:

... In qualche modo è probabile che abbiano combattuto anche contro gli Italiani, sebbene Jack fosse un ingegnere sottotenente nel Corpo Reale di Telecomunicazione (Royal Corps of Signals) prima, trasferito poi nel Corpo Reale di Supporto all’Artiglieria (Royal Army Ordnance Corps); Andrew McIlquham McLean era un marinaio assegnato al campo come inserviente; Marcus addirittura era dentista, ed è quindi possibile che abbia curato, fra gli altri, dei prigionieri italiani.

... Percorsero tutta la cresta degli Appennini, passando per Costamezzana, Pellegrino, Metti, Morfasso, Bellagamba, Pessola, Scanza, Segnatico (Signatico, ndr), Scurano, Sole, Maro, Gazzano, Ca’ Piccirella, Doccia, Ospedale (Ospitale, ndr), Gaggio Montano, Guzzano, San Giacomo, Castro San Martino, Moscheta, Marradi, Castel dell’Alpe, San Paolo in Alpe, Rio Salso (tre notti), Montecoronaro, Viamaggio, Bocca Trabaria, Fraccano, Pietralunga, Branca, Nocera Umbra, Annifo, Femadre, Fiano di Abeto, Teracina (Terracino, ndr), Poggio Cancelli, Pizzoli, Casamaina, Terranera, Pagliare del Tione, Secinaro (cinque notti), Carrito, Santa Maria (Villa Santa Maria, ndr), e infine Frattura, da dove partirono il 18 novembre per arrivare alla linea Gustav fra i Tedeschi e gli Alleati, sul fiume Sangro.

© 2009 Rosemary Clarke, Malvern (GB) - traduzione Bruno Cattivelli, Roma

La loro avventura finì così? No, perché furono catturati dai Tedeschi, e caricati su un treno diretto in Germania. Però fuggirono di nuovo in diverso modo e dopo una incredibile serie di peripezie impossibile da descrivere qui, 
Jack Clarke arrivò in Svizzera.


Dal diario di  Jack Clarke risulta che la notte del 19 ottobre 1943 passarono da Marradi. Un gruppetto di marradesi, fra i quali Adelmo Mercatali, erano nascosti a Trebbo di Val della Meta e in quei giorni videro arrivare tre militari Alleati. Erano loro? Non ci sono abbastanza elementi per rispondere. Uno aveva un paio di occhiali con una lente rotta, un altro puntò il dito e disse: "Voi Badoglio? ..." e con questo voleva sapere se erano soldati italiani arresi dopo l'8 settembre. La famiglia Rossi che abitava in quel podere li alloggiò in un fienile, per poter dire di non sapere niente se fosse arrivata di notte una pattuglia di Tedeschi. La mattina seguente i contadini fecero un rapido sopralluogo per vedere se la via era libera. In precedenza si erano messi d'accordo con gli abitanti di Albero, un paesino che si vede nel fodovalle: se c'era qualche pericolo le donne di laggiù stendevano la biancheria accanto a casa come se si dovesse asciugare. Però era tutto tranquillo e i fuggiaschi ripartirono e non si videro più.





Rosemary, figlia di Jack Clarke, nel 2008 venne in Italia, per ripercorrere le tappe del lungo viaggio di suo padre e prese alloggio a Popolano al Bed and Breakfast di Annamaria Scheda, che scrisse questo articolo per il periodico Il Piccolo:





lunedì 6 febbraio 2023

Castel Pagano e Castel Leone di Bibbiana

Le fortune e il declino 
dei signori del Senio

ricerca di Claudio Mercatali


Baccio del Bianco (1640)
Palazzuolo di Romagna


Le cronache del Duecento dicono che i Pagani, originari di Castel Pagano al confine di Palazzuolo con Casola, divennero ricchi con i commerci del sale, della legna e soprattutto del grano, dalla Romagna alla Toscana. Il primo esponente di spicco fu Pietro Pagano, padre del famoso Maghinardo, citato da Dante nella Divina commedia. Ai suoi tempi la famiglia prese dimora alla Badia di Susinana e il castellare avìto di Pagano diventò meno importante.

Com'è noto Maghinardo non aveva figli maschi e nel suo testamento spartì i suoi beni fra i servi più fidati e soprattutto fra le figlie Francesca, Andrea e la nipote Albiera. A Francesca toccarono i beni nella valle del Lamone, ma dopo un dissesto finanziario furono pignorati dai creditori e spartiti fra chi ne doveva avere. Invece Andrea (questo nome a quei tempi era dato anche alle donne) sposò Giovanni di Tano degli Ubaldini di Monte Accianico (nel Mugello) che noi qui in zona conosciamo come Vanni da Susinana, e nacquero sei figli fra i quali Cia, moglie di Francesco II Ordelaffi signore di Forlì.





Nel 1359 Cia si difese a oltranza a Cesena contro il cardinale Egidio Albornoz ma fu catturata e confinata ad Ancona per due anni. Si ritiene che sia la donna che compare fra i merli del castello nello stemma di Palazzuolo sul Senio. Suo zio Gaspare da Susinana aveva una piccola compagnia di ventura e un certo numero di castellari nella valle del Senio. Maghinardo Pagani aveva anche una nipote di nome Albiera, figlia di suo fratello, che sposò Giovanni da Senni degli Ubaldini ed ebbero Maghinardo Novello, padre di Giovacchino e Ottaviano.

Basta così, perché per i nostri scopi di oggi ne sappiamo abbastanza e cioè: il cognome Pagani si perse perché per l'ingiusta regola già allora in vigore si eredita sempre il cognome paterno che in questo caso è Ubaldini, che si parli dei discendenti di Andrea o di Albiera.

CASTEL PAGANO

Da questo fortilizio viene il cognome Pagani. Il sito oggi è al limite fra Palazzuolo e Casola e i riferimenti cartografici della Regione Toscana arrivano fino a Misileo. Infatti al confine c'è la chiesa di Sant' Apollinare in Castel Pagano e il molino di Castel Pagano, ambedue tutelati dalla Sovrintendenza artistica dell'Emilia Romagna. Nel Duecento i Pagani costruirono la loro fortuna in queste terre e alla fine del secolo erano già padroni di Susinana, Gamberaldi e anche del Castellone di Marradi. 
Come detto all'inizio, nel Trecento i beni furono spartiti fra le eredi di Maghinardo Pagani e passarono nel patrimonio dei loro mariti, che erano degli Ubaldini. In particolare Castel Pagano toccò agli Ubaldini di Senni (nel Mugello) e alla metà del Trecento era dei due fratelli Giovacchino e Ottaviano. Il nome è un po' ingannevole, perché in realtà si trattava di un castellare o di una casa a torre importante come sito originario della famiglia e punto di riferimento per tutta la consorteria.

Da un documento che è qui accanto sappiamo che il quel periodo vennero rafforzate le mura e i due fratelli si spartirono le spese di comune accordo. Però la concordia fra loro venne meno per qualche motivo che non conosciamo e nacque un rancore profondo che portò alla tragedia e alla fine del castello. Sentiamo come racconta i fatti lo storico dell' Ottocento Emanuele Repetti:

PAGANO (CASTEL) Valle del Senio in Romagna. Uno dei castelli forti che possedevano gli Ubaldini nel contado e Giurisdizione d' Imola, il cui distretto era conosciuto sotto nome di Podere degli Ubaldini, o de'Pagani, il quale estendevasi anche al di là del territorio attuale del Granducato e della Comunità di Palazzuolo. Nel 1362 era signor del Castel Pagano Giovacchino degli Ubaldini figlio di Maghinardo Novello da Susinana.
In qual modo poi Castel Pagano con altre 12 ville di quel Podere pervenisse nel dominio assoluto della Repubblica Fiorentina, ci raccontano gl' istorici; come essendo stato riferito a Giovacchino degli Ubaldini che il fratello Ottaviano teneva trattato di torgli per sorpresa Castel Pagano, Giovacchino, che lo abitava, senza far cenno di saper cosa alcuna, lasciò entrare le genti del fratello, le quali tosto che ebbe dentro le mura tutte pose a fil di spada. Allora uno di loro veggendo di non poter campare: "dunque morremo noi, disse, senza vendicarci di questo carnefice, che come bestie rinchiuse ci scanna per mandarne al macello"


E ciò detto, a guisa di fiera arrabbiata se gli avventò addosso, e tirandogli un gran fendente nella gamba, il mise a terra. Della qual ferita Giovacchino, fra non molti dì, veggendosi venir meno, nel giorno 6 di agosto 1362 fece testamento, e per non lasciar goder al fratello Ottaviano l'eredità con tanto sangue imbrattata, instituì suo erede il Comune di Firenze, il quale, appena fu morto Giovacchino, mandò un commissario con gente d'arme a prender la tenuta degli Ubaldini sparsa al di là dell' Appennino e specialmente i castelli del Podere, che d'allora in poi chiamossi Podere Fiorentino. Quindi cotesto Castel Pagano sotto dì 13 dicembre 1367 dalla Repubblica Fiorentina fu dato in feudo o piuttosto in accomandigia al Conte Sandro de' Cattani di Campalmonte d'Imola per sé, suoi figli e discendenti maschi, finché gli stessi dinasti posero il Castel Pagano sotto la tutela della città d'Imola loro patria, dentro il cui territorio esso trovasi situato.






Così dice lo storico Emanuele Repetti ma la Città, anche se non ebbe nessuna parte in questa storia di cappa e spada, fu coinvolta tante volte nelle vicende di questa famiglia. Infatti da altre fonti si sa che gli Ubaldini ormai in crisi avevano debiti con banche fiorentine, garantiti con i loro castellari, e di certo furono oberati da questi, dall'espandersi del Comune di Firenze, dai tempi ormai cambiati e poi anche dalle loro liti interne. L'Enciclopedia Treccani interpreta meglio i fatti:


Dopo la metà del Trecento le liti tra alcuni rami degli Ubaldini permisero a Firenze di prevalere. Infatti durante lo scontro che dal 1360 oppose i figli di Maghinardo Novello da una parte e Vanni da Susinana e i figli di Cia, suoi nipoti dall’altra, i primi cedettero fra il 1360 il 1371 ai Fiorentini tutti i loro domini, consentendo così al Comune cittadino di inserirsi nella lotta interna e di acquisire a pezzi e bocconi altri presidi signorili. Si arrivò infine, tra 1372 e 1373, a una guerra vera e propria, e il Comune conquistò gli ultimi (non pochi) castelli dei discendenti di Vanni e di suo fratello Gaspare, svincolando le comunità dalla soggezione e ponendo fine al dominio nell’Appennino tosco romagnolo.

E' rimasto qualcosa di Castel Pagano? Andiamo all'inizio del Comune di Casola dove c'è questo sito e partiamo dalla chiesa di Santa Apollinare. Una strada campestre sale nella collina, passa accanto a una bella villa del Cinquecento e finisce a una casa poderale. I pochi resti della dimora dei Pagani sono qui e rimangono solo pochi avanzi delle fondamenta della torre, sui quali venne costruito un deposito di attrezzi agricoli. I sassi più belli forse furono usati per costruite la casa poderale accanto, che oggi è una normale casa colonica, o forse furono portati a valle e usati nella costruzione della villa del Cinquecento.


Nei poggi sovrastanti non ci sono resti medioevali, però si vede un bel panorama della valle del Senio fino a Casola. Dunque tutto sommato Castel Pagano è una delusione per chi cerca i resti dei castelli distrutti e non fu sede di vicende particolari della famiglia alla quale ha dato il nome.


CASTEL  LEONE  DI  BIBBIANA

La guerra del 1373 è già stata descritta il 20 aprile 2019 qui sul blog nell' articolo La conquista di Palazzuolo e non è il caso di ripeterla. Il conflitto scoppiò perché Gaspare Ubaldini da Susinana, forse salito di soppiatto da Sommorio fino alla vetta del Monte Faggiola con la sua compagnia di ventura con l'inganno aveva preso Castel Leone, un fortilizio dato in pegno alle banche fiorentine. 



Nelle pergamene dell' Archivio generale del fondo Diplomatico ci sono ancora gli atti di nomina dei castellani di Castiglione e di Mantigno nel 1371. Il fatto è importante perché dimostra che questi castellari esistevano davvero e i pochi resti che oggi si trovano nei siti sono quanto rimane. 




Fu un fatto violento, furono uccisi il castellano e una parte dei difensori e subito dopo si scatenò la rivolta in tutto il Comune di Palazzuolo. Uno dei motivi di tanto furore era stata l'acquisto dei beni di Ottaviano Ubaldini dal Comune di Firenze giudicato a strozzo dalla famiglia a danno di Jacopa, vedova di lui, e anche la cosiddetta "eredità di Giovacchino" fratello di Ottaviano, avvenuta una decina di anni prima in modo dubbio. Non ci sono documenti per dimostrare se avevano ragione gli Ubaldini o il Comune di Firenze e comunque la storia la scrivono i vincitori, cioè il questo caso la Città.




Però sappiamo che Gaspare Ubaldini si era premunito prima di sfidare il Comune di Firenze e assieme a suo fratello Vanni aveva ottenuto l'aiuto della Curia Pontificia che vedeva di mal occhio l'espandersi dei Fiorentini oltre l'appennino. Gli Ubaldini erano gente tosta, con cento agganci e pronti a tutto. Però il Comune di Firenze non fu da meno e assoldò il capitano di ventura Obizzo da Montecarulli, un tipo scaltro e con pochi scrupoli che oltretutto aveva avuto una contesa con Gaspare in occasione di una guerricciola a Fano, nella quale i due capitani si erano trovati da parti opposte.





In pochi mesi Obizzo conquistò o comprò tutti i castelli degli Ubaldini e li distrusse. Al ritorno a Firenze venne acclamato e premiato con molta generosità, come si può leggere qui sopra. Il resto lo fecero le milizie fiorentine negli anni seguenti e rasero al suolo tutto perché fosse chiaro che il potere degli Ubaldini era cessato. Questa fu la fine anche di Castel Leone. E' rimasto qualcosa? Partiamo dall' agriturismo della Cà Nova e saliamo a vedere.



In cima al poggio è rimasta la traccia delle fondazioni, che dalla parte ovest mostrano un perimetro esagonale. Il castellare sorgeva su una grande faglia, una struttura geologica fatta di strati d'arenaria verticali che su un lato formavano già per loro natura una muraglia. Il tutto è molto interessante.



Per approfondire sul blog
Cerca nell'Archivio tematico alla voci "Comune di Palazzuolo" e "Storio del Trecento".