Uno sguardo alle strutture dei monti
ricerca di Claudio Mercatali
Le strutture dei monti nelle alte valli del Senio e del Lamone
Tutti i materiali sottoposti a uno sforzo prolungato cambiano: se l’azione non oltre passa il limite di elasticità quando cessa tornano alla forma iniziale, come se non fosse successo niente.
Ma se il limite è superato la deformazione è irreversibile, plastica, e rimane anche quando la forza è cessata. Infine se si va oltre il limite di rottura il materiale si spezza. In geologia le strutture che si generano dalla deformazione dei corpi rocciosi sottoposti a sforzo sono oggetto di studio della tettonica. Questa parola strana viene dal greco tectaino, che vuol dire costruisco. E’ la stessa radice di architetto e tetta e indica qualcosa che viene costruito o si forma. In tempi umanamente brevi le rocce che vediamo in superficie in genere si rompono senza piegarsi, però in profondità la situazione cambia perché la pressione e il calore favoriscono le deformazioni plastiche. Il tempo fa altrettanto, in ogni ambiente profondo o superficiale.
In conclusione, una roccia profonda si comporta in modo plastico ad alta temperatura, alta pressione e tempi lunghi. Altrimenti una forza intensa la spezza senza piegarla.
Detto questo cerchiamo di ricostruire la storia delle nostre montagne e dedichiamoci alla tettonica dell’ Appennino. Però prima vediamo di definire la situazione di partenza. In origine, cioè dieci o dodici milioni di anni orsono le odierne rocce erano degli strati di sabbia e fango stesi in un fondale marino profondo, molto distante dalla costa.
Si capisce perché dentro mancano i detriti più grossolani e le pietre tonde scaricate dai fiumi, cioè i materiali riversati in mare vicino alle coste. Ogni strato è formato da una parte di arenaria, che non è altro che sabbia cementata, sovrastata da un galestro (o marna) che era fango. Perciò la nostra formazione geologica si chiama Marnoso Arenacea. Poi, tre o quattro milioni di anni orsono, tutto il deposito fu sollevato con la deriva dei continenti e dalla disposizione piana e regolare iniziale si giunse alla odierna situazione, nella quale si vedono gli strati spezzati e piegati in ogni modo, ben lontani dal livello del mare, che è circa al livello di allora.
Le pieghe
La deformazione plastica più tipica di un corpo roccioso si chiama piega. E’ formata da una parte curva rivolta in basso (l’anticlinale) e da una concava verso l’alto (la sinclinale). Si forma quando due forze convergenti spingono su un corpo roccioso profondo e nel giro di un milione di anni o più lo sollevano fino a formare una catena montuosa.
Una azione così forte avviene in tanti modi ma è chiaro che la piega è simmetrica, diritta, se le forze laterali avevano la stessa intensità, mentre è asimmetrica se una forza è stata molto maggiore dell’ altra. Così avremo le pieghe inclinate, coricate e ultracoricate.
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Le faglie Se lo sforzo tettonico di sollevamento passa oltre il limite di rottura il corpo roccioso si spezza e se le due parti si spostano, come in una frattura scomposta, si forma una faglia. Dunque questa parola indica uno schiantamento con movimento delle parti rotte, verso l’alto, verso il basso o in rotazione. Si tratta di movimenti non catastrofici, lenti, nell’ordine delle centinaia di migliaia di anni e quindi deformativi ma non devastanti per le rocce e costruttivi per le montagne che li subiscono.
Nelle faglie dirette i campi di forza erano divergenti, in trazione, e i due lembi della faglia sono come si vede qui accanto. Nelle faglie inverse le forze agirono in compressione e le due porzioni sono disposte in altro modo. Nel nostro appennino ci sono centinaia di faglie, che spesso hanno uno spostamento ingente delle due parti, tanto che si perde la continuità degli strati. A volte, come in questo caso i due blocchi si sono spostati poco e si nota l’entità della frattura.
Infine nelle faglie rotazionali la compressione fu così forte che in una parte della montagna c’è un pacco di strati in verticale, ruotati di 90° rispetto alla originaria disposizione orizzontale.
La faglia rotazionale è una struttura enorme, che si estende in profondità per qualche chilometro e chi la osserva senza sapere le cose dette fin qui in genere non riesce a capire la sua genesi. Si è formata per effetto di una forza immensa, che ha tagliato un intero gruppo di monti e ne ha messo una parte in verticale, lentamente, in centinaia di migliaia di anni, senza devastarli più di tanto.
Le monoclinali
Spesso le forze della deriva continentale agirono per semplice sollevamento, senza piegare o schiantare i corpi rocciosi. Se la disposizione degli strati è ancora orizzontale come in origine si dice che è piano parallela ma se è inclinata si parla di monoclinale.
Campigno, la Riva bianca (reggipoggio)
Il versante di una montagna è monoclino quando i suoi strati pendono tutti per lo stesso verso, a reggipoggio se sono rivolti verso l’interno del monte o a franapoggio se formano un piano inclinato.
Campigno, Prato cavallo (franapoggio)
Con una pendenza uguale o inferiore e quella del pendìo c’è una situazione di instabilità ma se la pendenza è maggiore il versante è stabile. Il versante sinistro della valle di Campigno (quello della Riva bianca) è a reggipoggio, a rupe, e questa disposizione degli strati è molto solida. Invece il versante destro, di fronte, è a franapoggio a alla sommità di Prato cavallo ha la morfologia che si vede qui sopra.Ecco, queste sono le figure tettoniche principali dei nostri monti, che però non sono le uniche. In diversi milioni di anni di deriva continentale e di sollevamento gli eventi capitati nei nostri monti furono tanti e ognuno agì deformando la struttura precedente.
Così ci sono le pieghe faglia, che si formano se la rottura taglia una serie di pieghe precedenti, gli embrici tettonici, quando le pieghe sono compresse e sovrapposte come i coppi in un tetto e i sistemi di faglia, quando una rottura spezza e taglia un corpo roccioso che era già rotto prima. Però noi ora ci fermiamo qui e lasciamo tutto questo ai geologi.