mercoledì 31 ottobre 2012

Il manicomio di Castelpulci


Una visita all'ultima dimora
di Dino Campana
di Claudio Mercatali




La villa di Castelpulci è antica. Nel Cinquecento era di proprietà della famiglia Soderini, accanitamente antimedicea, che fu espropriata di ogni avere dal granduca Cosimo I. Alla fine del secolo la villa passò ai Riccardi, ferventi sostenitori dei Medici, che la ingrandirono fino alle dimensioni attuali. Ne furono proprietari per quasi due secoli e poi,  a causa dell' elevatissimo tenore di vita, si riempirono di debiti e persero tutto. L'edificio, dopo varie vicissitudini, passò al demanio granducale e a metà Ottocento qui fu aperto un manicomio,  che cessò nel 1973. Da allora fino ad oggi il palazzo è rimasto vuoto e quasi in abbandono. Ora la Provincia di Firenze, proprietaria, ha finito il restauro per destinarlo a sede della Scuola Superiore di Magistratura.
Per festeggiare l'evento il complesso edilizio è stato aperto al pubblico due giorni, a metà settembre, con tanto di visita guidata. Questa è stata una ghiotta occasione, non tanto per la storia dell'arte, ma perché a Castelpulci fu internato definitivamente Dino Campana, che vi rimase quattordici anni, fino alla morte.

Ecco com'è andata. La gente è tanta e c'è un servizio navetta fino in cima al colle. Percorriamo lo scenografico viale d'accesso, detto "Il Viottolone" e una vecchina racconta che da piccola vedeva spesso passare un traino con due cavalli, con i finestrini sbarrati, e sua mamma le diceva che era "la carrozza dei matti" che portava i pazzi al manicomio.
Forse anche Dino Campana arrivò così, perché nel 1918 i veicoli a motore erano pochi e soprattutto per i signori. La navetta ci lascia proprio sul piazzale e la villa si rivela ancora più imponente di quanto pareva vista da lontano.



Il Viottolone oggi e nel Seicento.




Dentro è pieno di gente e c'è da aspettare, ma qui non ci si annoia di certo, perché dal terrazzo sul giardino si vede un panorama esagerato, su tutta la piana di Firenze, fino a Prato.


La visuale spazia verso ovest e verso est senza nessun ostacolo e il risultato è quello che si vede nelle foto qui accanto. Le terre ai piedi del colle erano quasi tutte di proprietà della famiglia Riccardi, che dunque in questo modo dava dimostrazione agli ospiti della sua ricchezza.



Adesso tocca al mio gruppo ed entriamo nell' atrio, dove passavano i dottori e anche i ricoverati al ritorno dai lavori nei campi. Alla fine del lungo ed elegante corridoio, chiamato "Il Recetto" c'è una porta con una scritta molto chiara "Sezione degli uomini" e da qui entriamo nell' ex ospedale psichiatrico.

Dino Campana varcò questa soglia il 28 gennaio 1918, proveniente dal manicomio di S.Salvi, dove era stato internato in osservazione per quindici giorni.

 A sinistra: Il corridoio del Recetto.

Sotto: L'ingresso della Sezione degli uomini.

 

 











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Dal Recetto si arriva al chiostro interno, che era il cuore della struttura.

Com'era fatto l'ospedale? Non c'erano celle, le camere erano quasi tutte multiple, molto luminose ma senza servizi, come d'uso all' epoca. Poco mobilio, in ferro, una ciotola e un bicchiere di latta.


 









 
L'ex Refettorio è ora ristrutturato completamente e sarà la sala da pranzo per la nuova Scuola di Magistratura.
Come passava le sue giornate Dino? Negli anni Cinquanta il giornalista Sergio Zavoli venne qui per raccogliere informazioni e ne trovò tante, perché c'erano ancora dei ricoverati che avevano conosciuto il poeta. Le testimonianze furono pubblicate e sono un documento importante per chi studia questa fase della vita del poeta.
La guida ci dice che Campana disse di chiamarsi Dino Edison e questo episodio è riportato in tante pubblicazioni a dimostrazione che ormai aveva perso la coscienza di sé.

 
Sopra: Il Refettorio
A fianco: Alcuni dei ricoverati che conobbero
Campana intervistati da Zavoli

Però non è vero, in realtà Campana alternava momenti di lucidità a stati di confusione.
Il dottore che seguì Campana con maggior attenzione si chiamava Carlo Pariani. Non era il suo medico curante ma ebbe diversi colloqui con il poeta perché pensava che ci fosse un legame stretto fra la genialità e la follia e cercava dati per dimostrare questo suo teorema. Scrisse il libro "Vite non romanzate di Dino Campana scrittore e di Evaristo Boncinelli scultore", che è un'altra fonte documentaria importante.

Dal libro si ricava che il poeta aveva una malattia neuro psichiatrica grave, a fasi alterne, ma ebbe sempre la percezione dello spazio, del luogo in cui si trovava e riconosceva le persone. Il dottore lo fece parlare molto e riuscì a fargli dire diverse cose sulla sua attività poetica. Una volta, nel 1928, gli mostrò una copia della nuova edizione dei Canti Orfici stampata da Vallecchi di Firenze e Campana si lamentò per le inesattezze. Gli studi di Pariani sono stati per tanto tempo oggetto di discussione e di critica. Qui di seguito c'è un articolo de La Stampa che parla di questo.

 




Carlo Pariani, il suo libro, l'edizione dei Canti Orfici del 1928 (copertina gialla) e l'edizione originale del 1914 (in piccolo).


Campana morì il 1 marzo 1932 di "setticemia primaria acutissima" cioè per una febbre molto alta che gli veniva dall'infezione di una ferita che probabilmente si era procurato cercando di scavalcare un filo spinato.


  

A fianco: 2 marzo 1932 La Direzione del Manicomio comunica al podestà di Marradi che Campana è morto il giorno precedente.


 






 
Fu sepolto poco distante, nel cimitero di S.Colombano, e poi nel 1942, per interessamento di Piero Bargellini, la salma venne traslata a Badia a Settimo, lì accanto, nella cappella sotto al campanile della chiesa di S.Salvatore. Alla cerimonia erano presenti le autorità e il gerarca Bottai. Però nell' agosto 1944 i Tedeschi in ritirata minarono il campanile, che crollò sulla cappella e la distrusse. 

Nel 1946 le ossa del poeta, con una cerimonia alla quale partecipano molti intellettuali, tra i quali Eugenio Montale, Alfonso Gatto, Carlo Bo, Ottone Rosai, Vasco Pratolini e altri, vennero collocate dentro la chiesa ricostruita, dove tutt'ora si trovano.



  
Sopra: la chiesa della Badia a Settimo 
prima del 1944 e oggi,  con il campanile 
ricostruito in un'altra posizione.

A fianco: la tomba di Dino Campana, lungo 
la navata sinistra della chiesa di S.Salvatore

  



Quotidiano La Stampa
1 febbraio 1995
articolo di Mario Baudino 



Di recente il professor Stefano Drei, 
di Faenza, ha scoperto che la persona 
ritratta in questa foto non è Dino Campana

martedì 23 ottobre 2012

I lavori di Bernardo Buontalenti


architetto del Principe 
Cosimo I de’ Medici,
al castello di Marradi
di Marco Cappelli




12 settembre 1543 – (da un rapporto sulle fortezze al Duca di Firenze) “La rocca di Marradi illustrissima Signoria va a male per male custodia perché li si trova tre villani e mal pagati e non ve sopra alcuno e se non si provvede a far rasettar il tetto il quale è tutto in puntelli e facendolo rassestar di presente si farà con manco di scudi 50 se indugiamo non si farà poi con le centinaia.” (A.S.F., C.d.P., Filza 625, c.47).
Il castello di Marradi (Castiglionchio) alla metà del XVI secolo è una struttura militare che va in  malora; sono bastati meno di cento anni per trasformare un caposaldo inespugnabile in una obsoleta macchina da guerra che, se ancora viene tenuta in vita, lo si fa soprattutto per le potenziali capacità di adattarsi a ricovero e magazzino.
Ma di li a poco, per una serie di eventi di carattere internazionale: la minaccia di guerra tra l’Imperatore (alleato del Duca di Toscana) e il Papa (alleato del Re di Francia), Castiglionchio assume, per un breve periodo, un ruolo di primaria importanza nella difesa dei confini del Ducato.

INQUADRAMENTO STORICO ANNO 1555
Carlo V d’Asburgo è re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero Germanico. Enrico II è re di Francia. Il vecchio cardinale Giovanni Pietro CARAFFA , capo dell’inquisizione, viene fatto Papa con il nome di Paolo IV. Cosimo I de’ Medici è Duca di Firenze.
 
Il nuovo Pontefice è nemico dichiarato degli Spagnoli e di Carlo V che domina gran parte dell’Italia. Inoltre il Papa è dell’avviso che alla S. Sede sia necessario, a tutti i costi, impedire nella penisola la formazione di un grande e potente stato.


Carta politica dell'Europa 
a metà del Cinquecento



Il 15 dicembre del 1555 si formalizza la lega tra il Papa e il Re di Francia contro Carlo V che è alleato del Duca di Firenze. Subito vengono fatti, in tutto lo Stato della Chiesa, i preparativi per la guerra.
Siamo nel gennaio del 1556 Marradi, paese di frontiera del Ducato Toscano, comincia a funzionare come centro di spionaggio verso lo Stato Pontificio che sta assoldando truppe nelle terre di Faenza Imola, Forlì, Cesena e Rimini.
Primo rapporto di allarme del Capitano di Marradi Bartolomeo Tedaldi al duca Cosimo I°.12gennnaio 1556 “ Ateso che qui si dicie darsi per tutte le terre della chiesa denari, non ho volsuto mancare di diligentia per intendere per chi et come et dove et ho mandato aposta uno di qui, persona pratica e sufiziente et da guistargli fede…  et è tornato stasera et dicie essere stato a Faenza et Forlì et ne riferisce che il signore duca di Ferrara ha spedito lo capitani che ora danno denari in Faenza, Imola, Forlì, Cesena et Rimini et danno 4 o 5 scudi per omo, et non li lasciano levare dalle loro case per potersene servire a ogni lor beneplacido et voluntà ….”(A.S.F., Mediceo, F. 457,c. 132).


La guerra è nell’aria: 26 gennaio 1556 ...”et qui ad vicino a uno miglio 1/2 a uno luogo che si domanda Santo Martino giorno et notte, vi è stato 25 soldati alla guardia che da sei giorni in qua sempre vi sono stati et di continuo vi stanno, causatone una vocie che dicievano essere arivato qui il Signore Chiappino (Vitelli- famoso condottiero) con 200 cavalli…” (A.S.F.,Med. F.457, c. 412).
La gente di Marradi ha paura e chiede al Capitano di essere protetta: 30 gennaio 1557 …”Questi omini sono venuti a me, più et più volte diciendomi dormire sotto e mia occhi et che io dovrei fare fare  qualche guardia in su questi confini come già altre volte al tempo di sospetto si è fatto il che non ho mancato di rincorarli et dettoli non dubitino ma vegho che questo non basta…” (A.S.F., Med., F.457, c. 507).
Si teme un assalto a Firenze da parte dell’armata della lega attraverso i passi di Marradi e la paura aumenta anche per le informazioni che forniscono le spie inviate nello stato nemico:
19 febbraio 1556 …”Dissimi ancora che un certo Giovanni Gualberto di Pierantonio da Biforcho di questo capitaniato quale più tempo è stato tamburino del re, et oggi, è tamburino di Antonio Caraffa (nipote del Papa) ci ha detto che più giorni sono che il detto signore Antonio una sera li domandò alla tavola in Imola che strada et passi erano quelli di Maradi e Crespino et che esso tamburino li disse che erano passi cattivi et magri et che non intrò in altro…”(A.S.F.,Med., F. 458, c. 624).
La via di Marradi può costituire per le truppe nemiche un facile ingresso alla Toscana soprattutto perché risulta quasi del tutto sguarnita dal punto di vista militare. Castiglionchio, posto su una rupe che spazia su tutta la vallata ha una posizione strategica che può ancora funzionare, ma si deve, in brevissimo tempo, adattarlo per quanto possibile, a resistere e a rispondere al fuoco delle moderne artiglierie.




Fortezza di Castiglionchio 
anno 1980.
Le prime notizie del castello 
risalgono 
all’anno 759 d.c.


La questione per il Duca di Firenze Cosimo I è di vitale importanza e non può affidarla a persone qualsiasi: il 20 gennaio manda al castello di  Marradi il condottiero Chiappino Vitelli, il 24 un capomastro di eccezione David Fortini che è richiamato a Firenze il 28 dello stesso mese per essere sostituito con un architetto che si firma Bernardo Timante pittore, ma che è passato alla storia con il nome di Bernardo Buontalenti.
Lettera del Duca al Capitano di Marradi  25 gennaio 1556 … “ Carissimo, Bernardo Dipontore viene costà di nostra commissione per vedere e assettare quella fortezza nel modo da noi è stato ordinato… presto ne manderemo l’artiglieria che v’occorrerà per ben guardarla…”(A.C.M., F. 1379)
Da una lettera successiva ci si fa un’idea della consistenza operativa della fortezza di Castiglionchio 8 febbraio 1556 …”nella fortezza rimanga frumento e biade per l’uso di 200 compagni bisognando e per dui o tre mesi sollecitando di restaurare conforme all’ordine di Bernardo ingegneri”( A.C.M., F. 1379).


Al suo arrivo a Castiglionchio Davide Fortini trova una struttura in pessime condizioni …”tunta iscasinata e mal condota si la muraglia di fuora come l’abitazione di dentro…”il sito è ottimo …” teribilissimo e spaventoso…” a parte il lato che protegge l’arrivo da Firenze dove già Chiappino Vitelli si era pronunciato pochi giorni prima per potenziare con opere artificiali la mancanza di difese naturali.
Il primo intervento del Fortini riguarda l’adattamento dell’antica fortezza a fronteggiare il fuoco della moderna artiglieria. Sono lavori che comportano il riempimento con terra e fascine all’interno dell’ antico recinto dove ancora si trovano i resti del vecchio borgo medievale che viene demolito.
Siamo in un epoca nella quale il principio della difesa assorbente con l’uso di bassi terrapieni è da tempo acquisito e trova nel forte bastionato la corretta espressione geometrica.
A Castiglionchio si lavora seguendo questi principi anche se il terreno accidentato, l’esistenza di una struttura precedente, la mancanza di spazio e soprattutto di tempo non permettono il lusso di certe raffinatezze. Le vecchie mura ad esempio non vengono rinforzate per resistere alla spinta del terreno e negli anni non si sono conservate.


Nonostante ciò nel lato di ponente, verso la venuta da Firenze, sotto la direzione dell’architetto Bernardo Buontalenti viene costruito un “cavaliere” edificio tipico della cinta bastionata che normalmente viene introdotto negli angoli più esposti della fortificazione con il duplice scopo di irrobustire punti altrimenti deboli e attaccare il nemico dai fianchi. 
  

 Nel nostro caso il cavaliere ha pianta ad U con lati di 5,40 m, muri spessi 1,50 m e l’altezza delle pareti esterne di circa 10 m.
Cavaliere di Malacoda: sopra vista lato nord, sotto sezione e pianta. In questa zona del castello, ai tempi della  guerra del 1428 (conquista di Marradi da parte dei fiorentini),  c’era una torre posta a difesa del borgo medievale .
  
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Sotto: archibuso 
da posta  
 1500 – 1600


 






 Abbiamo rintracciato due rapporti di Bernardo Buontalenti sui lavori alla fortezza di Marradi, il primo è datato 29 gennaio 1556. 

 “Arrivando alla rocha di Maradi a ventotto di genaio vi trovai il capitano e mastro Davite che aveva in opera cinquanta guastatori che faceva rovinare tre case le quali erano apreso a la muraglia e le dete case erano vote infino ai fondamenti delle mura della rocha  e da quello ilato poteva essere ofesa e così s’attende a riempire di tera e fascine infino a il pari delle mura ma non abbiamo corbeli per portare tera. .. “(A.S.F. , Med., F.457, c. 491).
Nel seguito della lettera Bernardo Buontalenti chiede tra le altre cose che venga inviato un castellano e che si faccia guardia alla rocca perché il confine è a due miglia e ci sono i soldati del Papa. Dice anche che il Fortini vorrebbe  rifare i solai e sistemare le stanze ma per il momento secondo il Buontalenti ci sono da fare cose più urgenti.  
 Di seguito riporto la trascrizione del secondo rapporto  e qui accanto c'è la copia del manoscritto.
7 febbraio 1556  “ Avendo ricevuto una lettera di primo di febbraio de la Eccellenzia vostra la quale meistata data questo di 7 di febbraio la fortificazione in fra 8 giorni sara fornita e così è fornito di incassare 10 archibusi e sono tutti provatti e infra 4 giorni saranno forniti tuti la portta è fornitta a fato e non o fato murare l’altra arispeto ala condotta do porttare tera drento la quale tera comandai che ognuno portassi biconcuoli e panieri e ceste infina sachi tanto che ho finito afato quale punta in su quelo masso come apare nel disegno la quale è di tanta importanza quanto sia posibile e se fato una entrata cpertta che va nela punta e non manca altro che murare la porta e alzare il cavaliere di Malacoda se i corbeli vengono tanto si finirà  più presto e de finitto di dirupare atorno ala rocha e non si può immaginare la cosa inespugnabile che la torna. …” (A.S.F., Med., F.458; c.233).

Bernardo Buontalenti 
1531-1608


Nell’ultima parte del rapporto, Bernardo Buontalenti, scrive che il giorno dopo sarà a Castrocaro perché c’è bisogno di lui per costruire l’entrata della fortezza. Ritornato a Marradi riparte per Firenze il 16 di febbraio con la promessa di ritornare il 21 dello stesso mese.  Ma il 25 di febbraio il capitano di Marradi scrive al Duca dicendo che ha 100 uomini al lavoro nel castello più quattro muratori e il suo architetto non è ancora tornato. Anche nel mese successivo il capitano continua a scrivere che Bernardo Buontalenti non è ancora comparso a Marradi.
Questo disinteresse è dovuto al dissolversi delle ragioni che all’inizio del 1556 avevano portato la fortezza di Castiglionchio all’attenzione del Duca di Firenze. Il 26 di febbraio infatti si arriva a conoscere, con una certa precisione, il futuro sviluppo delle operazioni.


26 febbraio 1556 …” La fanteria si parti ieri di quel di Imola et questa sera si trova in quel di Faenza et domani a sera si dicie serà a Forlì  … Il resto della cavalleria è ita per alla volta di Ravenna sempre fuora di strada et si dicie si troveranno con la fanteria a Rimini per andare in verso l’Abruzzi per alla volta del regno di Napoli” (A.S.F., Med., F.458, C.763).
La paura della guerra si allontana, ai confini la tensione diminuisce, e sparisce l’interesse del Duca per la fortezza di Marradi. Dopo poco più di trenta anni (1590) una mappa del castello riporta la scritta “Castello di marradi disabitato” ( vedi sotto).
Ruderi del cavaliere di Malacoda (2011) opera di Bernardo Buontalenti (1556). A sinistra vista del cavaliere dall’interno del  castello, a destra vista dall’esterno. Ancora visibili, in una parete, i resti dell’incastro con le altre mura del recinto.


 Mappa di Castiglionchio  anno 1590
 nota ”Castello di Marradi disabitato”
 A.S.F.  Cap. di Parte, Filza 760





Fonti La ricostruzione assonometrica del castello è stata eseguita sulla base dei seguenti documenti: mappa del 1590 (A.S.F., C.P. F. 760), rilievo delle permanenze architettoniche del 1980, disegni del Liverani del 1846, descrizione dei lavori del gennaio e febbraio 1556 trovata nei carteggi dell’Archivio di Stato di Firenze e dell’Archivio Comunale di Marradi. I rilievi del 1980 sono tratti dalla tesi di laurea in architettura di Nannini Enea e Marco Cappelli.


mercoledì 17 ottobre 2012

Falqui cerca Dino


Alla ricerca di Dino-3
di Luisa Calderoni


Enrico Falqui 
visto da Giorgio De Chirico


Quando ancora era ignorato dai suoi concittadini o ricordato come “e matt” cioè il matto del paese, l'opera e  la tormentata e  breve esistenza di Dino Campana destarono interesse tra gli studiosi italiani, come attestano le seguenti lettere dello scrittore e critico letterario Enrico Falqui al Podestà di Marradi.




Roma, 25 aprile ’38 - XVI
Viale Giulio Cesare,31

Gentile signor Podestà,
Le sarò molto obbligato se vorrà, a giro di posta, favorirmi una qualche illustrazione riguardante Dino Campana, per la seconda puntata d’un mio scritto appunto intorno al poeta in corso di pubblicazione sul settimanale romano “ Quadrivio”.
Magari una fotografia della casa, che so; una veduta stessa di Marradi.
Mi usi tanta cortesia. Questo po’ di materiale mi occorrerebbe per non più tardi di giovedì mattina.
Sia comunque cortese di avvertirmi e mi sappia

Suo dev.mo       Falqui

Naturalmente, occorrendo, provvederei a restituire immediatamente ogni cosa.





"Quadrivio" è la rivista letteraria 
nella quale Falqui voleva mettere 
(o mise) gli articoli di cui parla 
nella sua lettera n°1



Roma 30 aprile ’38 – XVI

Gentilissimo Signor Podestà,
Tante grazie per l’aiuto prestatomi: Ho già scritto al fratello di Dino Campana. Ma poiché certamente si addiverrà a un’altra pubblicazione, quella dell’epistolario, può Ella ancora aiutarmi?
Procurandomi qualche illustrazione supplementare; quella della casa nativa, ad esempio; e insieme indicandomi l’indirizzo di altre persone eventualmente in possesso di lettere del Campana?
Ella si renderà così benemerito della causa della buona poesia.
Mi creda, con riconoscenza,
il Suo    Falqui



Il Prefetto di Marradi aiutò volentieri il Falqui nella sua ricerca, come risulta dalla minuta di una sua lettera di risposta


Marradi MINUTA
“ GIU.1938-Anno XVI

Egregio Sig. Falqui
Ho fatto fare una fotografia della casa natia di Dino Campana e gliela mando unita alla presente.
Non ho, né ho trovato, lettere del Campana il quale a nessuno qui scriveva quando era assente da Marradi.
Se qualche cosa vi può essere di scritto alla famiglia può sentire il fratello del quale le mando l’indirizzo.

Provi a scrivere a questo marradese (non saprei indicarle altre persone): Prof. Luigi Bandini Viale Manzoni 37 ROMA
       
La saluto            Il Podestà



Negli anni seguenti Enrico Falqui curò una importante riedizione dei Canti Orfici e un libretto di Inediti






Falqui ritratto
 da Leonetta Cecchi Pieraccini, 1936







Aspettando la sagra



Un trekking in ottobre
attorno a Marradi



A Marradi la Sagra delle Castagne è un evento che mette in moto il paese già nei giorni precedenti. Un buon numero di persone arriva nel fine settimana, quando ancora non c'è ressa e con calma passa un paio di giorni qui da noi.
Che cosa si può fare a Marradi il giorno prima della sagra? Ottobre è un mese ottimo per girare nei boschi e naturalmente nei castagneti. Questa che segue è la descrizione di un anello di trekking verso il monte delle Scarabattole, lungo un crinale fra la valle della Badia del Borgo e quella di Campigno. E' un percorso interessante, duro all'inizio e poi più agevole, lungo dieci chilometri e con un dislivello di 500m. 


Il sentiero è vecchio, molto noto, e sale diritto dal paese, senza complimenti, a partire da una lunga scala, che si vede in questa fotografia. E' chiaro che c'è da patire e infatti i due amici qui accanto guardano la stretta via un po' perplessi.

Siamo in trentanove:
Baldassarri Alberto, Bastarelli Massimo, Biagini Rojangela, Bondi Maurizio, Burante Cristina, Calamini Pierluigi, Caldirola Maurizio, Camporesi Elmo, Cavina Pietro, Costicci Sandra, Dibiase Sante, D'Ugo Andrea, Fabbri Carla, Fabbrini Elisabetta, Fiorentino Alessia, Fregnani Aldo, Furini Franca, Galliano Sofia, Gentilini Tommaso, Iskra Jasarspahic, La Porta Maria Grazia, Lo Cascio Riccardo, Marchitelli Cristiana, Melandri Bruno, Mercatali Alessandro, Mercatali Claudio, Naldoni Giuseppe, Parodi Gianluca, Pifferi Patrizia, Pino Sara, Randi Gian Maria, Romagnoli Patrizia, Salomone Selene, Scalini Donatella, Sirri Maurizio, Stancapiano Renato, Terreni Luca, Tondini Flavia, Visani Marco.

Dopo aver sudato un po' si arriva a Villa Grilli. Da questo posto col nome gentile si vede un bel panorama del paese, in ogni direzione.

 
A sinistra: Marradi, visuale verso nord
Sotto: visuale verso sud

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A fianco: visuale verso ovest. 
Il viadotto è il ponte ferroviario di Villanceta.



  
Il sentiero continua a salire e si arriva al podere Le Piane, dal nome ingannevole, perché qui in piano c'è poco o niente. Incontriamo un primo castagneto, bello, curato, con gli alberi secolari piantati in fila, e poi arriviamo ai prati dell'Antenna.

 
 

La giornata è umida, il cielo tipicamente autunnale. Nei giorni precedenti è piovuto e sono nati funghi di tanti tipi.
Ora il peggio è passato e percorriamo un lungo crinale verso la vetta del monte Scarabattole. Il vocabolario dice che le scarabattole sono le cose rinfuse, però a Marradi non c'è nessun ricordo che giustifichi questo nome e quindi non si sa perché questo monte si chiama così.




La casa del podere Monterotondo
  



Dopo un'ora lasciamo il crinale e cominciamo a scendere, per un sentiero serpeggiante che attraversa i pascoli di Monterotondo. Siamo entrati nelle terre dell'antica Badia del Borgo, che è nel fondovalle, dove siamo diretti.

La zona di Monterotondo è citata nei Regesti di cronaca medioevale dell'Archivio delle Riformagioni di Firenze, perché i monaci della Badia, che a quel tempo erano i veri padroni di Marradi, curavano molto gli affari spirituali ma anche quelli terreni e mettevano per iscritto le compravendite, i patti e le liti.

Sappiamo così che Guido del fu Zucco, un contadino che aveva avuto da dire con loro, il 13 febbraio 1157 fu convocato nel chiostro del monastero e l'abate Giovanni gli fece firmare un foglio dove si diceva che ...



Il castagneto di Monte Rotondo, e anche il successivo di Pian della Quercia, che si incontra a scendere, sono due classici di questa zona. Fanno parte dell'Azienda agricola della famiglia Billi, che li coltiva da generazioni. Le piante sono secolari, monumentali, il sottobosco è tenuto come un giardino.

 Siamo di nuovo in vista di Marradi, che si vede a tre chilometri verso sud ovest. La strada campestre scende piacevolmente e rinfranca. Ci viene incontro con il quad Flavio Billi,  l'assessore del comune, che organizza queste sortite, e ci dice che il chiostro della Badia è aperto e si può visitare. Così il gruppo si divide perché una parte scende al convento.

 Sotto: Marradi da Monterotondo
 
 
 
















I frati non ci sono più da secoli e il monastero è stato ristrutturato e suddiviso in 36 appartamenti, usati come seconde case. La chiesa ha un campanile romanico antichissimo, che è uno dei simboli dell'alta valle del Lamone. Il tutto è abbastanza raffinato, come si può vedere dalle fotografie qui accanto.

  

Proseguiamo per ricongiungerci con gli altri che hanno imboccato un sentiero più alto e alle porte del paese siamo di nuovo tutti assieme.
Scendiamo a Marradi dalla stradina della Presìa, che ci porta proprio nel centro storico. Siamo partiti alle 14.30 e ora sono le 18,15, dunque siamo in perfetto orario. In orario? Eh si, perché alle 19.00 è prevista una tavolata con polenta e ragù e c'è giusto il tempo per fare una doccia.
  


 
Sopra:
Il centro di Marradi 
visto da Casa della Volpe, 
lungo la strada che viene dalla Presìa.



A sinistra: Il percorso 
del trekking (in rosso)