giovedì 26 novembre 2015

Dino Campana ricorda la sua prima gioventù

Olimpia, "la figlia del droghiere svizzero
che stava a Marradi"
ricerca di Claudio Mercatali
e Mario Catani



Dino Campana dopo i Canti Orfici (settembre 1914) non pubblicò più quasi niente.
Ormai la stagione della poesia alta per lui era passata e rapidamente la malattia stava prendendo  il sopravvento. 
Ci sono giunti frammenti, appunti e abbozzi del 1915 e 1916 in cui si nota chiaramente il suo degrado. Però da questi a volte emerge ancora qualche lampo di genio. E' il caso di Arabesco Olimpia, una prosa pubblicata nel 1915 dal periodico La Tempra e nel 1916 dalla rivista La Riviera Ligure, un foglio letterario voluto da Mario Novaro, l'industriale dell' Olio Sasso, estimatore di Dino Campana. Lo psichiatra Carlo Pariani riferisce di aver sentito dire al poeta:

“Cercavo di armonizzare dei colori, delle forme. Nel paesaggio italiano collocavo dei ricordi. E’ una delle mie più belle. Mi ricordo la mandai alla Riviera Ligure e mi mandarono 25 lire. Ma a me costava molto di più. Ci avevo messo un mese a farla.”


 




Arabesco Olimpia
da: La Riviera Ligure 1916

Oro, farfalla dorata polverosa perché sono spuntati i fiori del cardo? In un tramonto di torricelle rosse perché pensavo ad Olimpia che aveva i denti di perla la prima volta che la vidi nella prima gioventù? Dei fiori bianchi e rossi sul muro sono fioriti. Perché si rivela un viso, c’è come un peso sconosciuto sull’acqua corrente la cicala che canta.
Se esiste la capanna di Cèzanne pensai quando sui prati verdi tra i tronchi d’alberi una baccante rossa mi chiese un fiore quando a Berna guerriera munita di statue di legno sul ponte che passa l’Aar una signora si innamorò dei miei occhi di fauno e a Berna colando l’acqua, lucente come un secondo cadavere, il bello straniero non poté più a lungo sostare? Fanfara inclinata, rabesco allo spazio dei prati, Berna.
Come la quercia all’ombra i suoi ciuffi per conche verdi l’acqua colando dei fiori bianchi e rossi sul muro sono spuntati come tra i fiori del cardo i vostri occhi blu fiordaliso in un tramonto di torricelle rosse perché io pensavo ad Olimpia che aveva i denti di perla la prima volta che la vidi nella prima gioventù.

  
Chi era Olimpia?
E' un ricordo che riemerge, di quando il poeta era ragazzino. Al manicomio di Castelpulci disse al dr. Carlo Pariani che Olimpia "era una ragazza di dodici o tredici anni. Un ricordo d'infanzia, la figlia di un droghiere svizzero che stava a Marradi". Un droghiere "svizzero" a Marradi sembrava facile da trovare, ma non è stato così perché non c'è nessun droghiere marradese che avesse una figlia di nome Olimpia o avesse qualche nesso con la Svizzera.

Però la traccia si è trovata considerando che "stava" (stéva a Maré) significa che abitava a Marradi ma non è detto che fosse di qui, altrimenti l'influsso dialettale sarebbe stato l'ìra ed Maré.

Salvatore Matteuzzi, nativo di Pontassieve, venne a Marradi nel 1889 dopo aver sposato la marradese Angela Nati. 
Era droghiere e negoziante di coloniali, vini e liquori. Per alcuni anni ebbe anche l'appalto dei tabacchi della rivendita dei Monopoli di piazza Scalelle n°3, che non c'è più.

Aveva tre figlie: Edna, Maria e Olimpia, che era del 1885, come Dino Campana, il che è importante perché il ricordo del poeta ragazzino si riferisce per forza a una coetanea, e a Marradi non ce n'è un' altra che si chiami così. La famiglia si trasferì a Firenze nel 1899.




Perché Dino Campana chiama "svizzero" il droghiere?

Salvatore era analfabeta, firmava con una croce, da convalidare: "Il segno ... X ... è di .. ". Ecco qui accanto due quietanze di pagamento sue.






Vengono dall' Archivio storico dell' Ospedale S.Francesco di Marradi, di cui il droghiere era fornitore.
Si noterà che un testimone è Sebastiano Arquint, di una nota famiglia di droghieri svizzeri originari del cantone dei Grigioni, immigrati a Borgo S.Lorenzo nell' Ottocento. Tenevano bottega in centro e avevano fondato una società commerciale in nome collettivo, per la vendita al dettaglio e all'ingrosso. Dall'anagrafe di Borgo S.L. risulta che prima di venire a Marradi Salvatore faceva il bottegaio in quel paese.
Evidentemente rimase loro cliente anche dopo essersi trasferito qui da noi. Gli Arquint non avevano figlie di nome Olimpia perché all' anagrafe di Borgo S.L. non risulta nessuna Olimpia Arquint.


Dino Campana parte quasi sempre dalle cose o dalle persone, poi magari "prende il volo" ma in origine c'è un fatto.

Scheda anagrafica
di Olimpia Matteuzzi
(Comune di Marradi)

Olimpia tredicenne non sapeva di essere stata osservata e apprezzata dal poeta suo coetaneo e forse non lo seppe mai. Nel 1899 seguì il padre, ma tornò a Marradi con il marito ferroviere e dal 1924 al 1929 abitò alla Dogana di Popolano, poi partì per Borgo S.Lorenzo (... si trasferì a Casaglia, il paese natale, perché si separò dal marito).


Ritornò ancora dal 1953 al 1956, vedova, al podere Val dei Castellani, un chilometro o due oltre Biforco, nella valle di Campigno, dove abitava sua figlia Anna Maria. Poi assieme a lei si trasferì a Dicomano e nel 1959 a Borgo S.Lorenzo. Seguendo questi movimenti è stato possibile rintracciare le nipoti e avere due fotografie di lei, gentilmente concesse da Marcella Tronconi e dalle sue sorelle.

... dunque questa era Olimpia, figlia del droghiere Matteuzzi ... nata a Casaglia nel 1885, postina di quel paesino per tanti anni. La sua casa natale era al n° 48, proprio di fianco alla vecchia chiesa (che non è quella di ora).
Però c'è un dubbio, perché dal ricordo delle nipoti e dalla carta di identità risulta che Olimpia Matteuzzi aveva gli occhi castano chiari e non blu fiordaliso ...
  
Olimpia a 30 anni circa

Dino trentenne non ricorda certi dettagli dei suoi primi amori?
Se avete più di trent'anni forse nemmeno voi ricordate il colore degli occhi delle ragazzine/i che vi piacevano ai vostri tempi. Però di certo questo aggiunge un po' di incertezza.

Agatha Christie diceva: “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”.
Che a Marradi ci fosse la bottega del droghiere Matteuzzi, che aveva una figlia di nome Olimpia, coetanea del poeta sono tre indizi, e un quarto, un po' lungo da spiegare adesso, lo vedremo la prossima volta.

 




Olimpia a 65 anni


Ma è importante sapere chi fosse l'Olimpia della poesia?
Perché ci dobbiamo interessare di lei? Anche questo lo vedremo prossimamente.



Fonti: Archivio storico del Comune e dell'Ospedale S.Francesco di Marradi. Uffici anagrafe dei Comuni di Marradi, Dicomano e Borgo S.Lorenzo. Schede della Camera di Commercio di Firenze. Ricordi e documenti della famiglia Tronconi. Immagini e informazioni di don Bruno, parroco di Crespino e Casaglia.





sabato 21 novembre 2015

L'Auriga

Una costellazione
allo zenit in novembre
ricerca di Claudio Mercatali


L'Auriga secondo
Johannes Hevelius (1690)



Il nostro obiettivo questa notte è la costellazione dell'Auriga. Alla metà di novembre, verso le 10 di sera  è veramente facile trovarla perché è allo zenit, cioè sulla verticale sopra di noi. Puntate l'indice a braccio teso sopra la vostra testa e guardate: quasi certamente avete centrato Capella, la stella principale di questa costellazione. Secondo la mitologia l'auriga sarebbe Erittonio, l'inventore della quadriga, ma le stelle formano un semplice quadrilatero e non disegnano nessuna figura.
  
Capella è una stella gialla di prima grandezza, che a voler essere precisi in realtà è una binaria, cioè è formata da due stelle vicine che alla vista sembrano una sola.
Per scrutare in questa costellazione l'occhio nudo non basta e serve un binocolo.
Accanto a Capella c'è un piccolo triangolo di stelle noto come i Capretti, contrassegnate con lettere dell'alfabeto greco. Il motivo di questo nome non si sa, però è antico e nelle vecchie stampe come quella qui sopra l'Auriga è spesso rappresentato con un capretto in spalla.




Epsilon (ɛ) ogni 27 anni cala di luminosità perché un corpo in orbita attorno a lei, forse una nebulosa, le passa davanti e in parte la oscura. L'ultima volta è successo nel 2011.


L'aspetto complessivo della costellazione
dell'Auriga è questo.














L'Auriga è una costellazione ricca di Oggetti non stellari. Con un buon binocolo e un po' di pazienza si possono trovare gli ammassi M36, M37 e M38.
Gli ammassi sono degli enormi raggruppamenti di stelle lontanissime e sono sempre poco evidenti. L'astronomo siciliano Giovanni Battista Hodierna alla metà del Seicento fu veramente bravo a vederli con un telescopio rudimentale. Poi nel Settecento l'astronomo Messier li inserì nel suo Catalogo e per questo il numero è preceduto dalla lettera "M".

L'Auriga si vede bene nel cielo terso di Marradi, specialmente se la luna non è piena, come alla metà di novembre 2015.

Però è un'osservazione di livello 2, cioè adatta a persone non del tutto sprovviste di nozioni di astronomia visuale. Non siete fra questi? 
Qualcosa si può fare ugualmente: tirate fuori di nuovo la sedia a sdraio che avete adoperato questa estate, vestitevi per bene e puntate un binocolo qualsiasi verso l'alto, tenendolo appoggiato sulla fronte.
Se trovate Capella e le stelle del Capretto avete raggiunto lo scopo e ricavato un minimo di soddisfazione.

Non c'è fretta e se il cielo è nuvoloso potete provare in una delle sere successive. L'Auriga rimane allo zenit per circa un mese.


  

lunedì 16 novembre 2015

Francesco Pagliazzi


Il sindaco pittore
ricerca di Claudio Mercatali




Pagliazzi, autoritratto




Francesco Pagliazzi nacque a Reggello nel 1910. Studiò all’ Istituto d’Arte di Firenze e nei primi anni Trenta, giovanissimo, partecipò alla Seconda Quadriennale Romana e alla XX Biennale di Venezia del 1936.
Durante la seconda guerra mondiale si ritirò a Palazzuolo sul Senio, dove si sposò e dove nacquero i suoi due figli. Pagliazzi fu anche sindaco, nel dopoguerra (1948). 

Negli anni Cinquanta visse a lungo a Parigi e le sue vedute della città assieme a quelle di Venezia, Milano, Viareggio sono fra le sue opere più note.



Dipinse molte volte soprattutto la sua amata Palazzuolo, e anche Marradi. Morì nel 1990.
I marradesi lo vedevano talvolta nel greto del Lamone a pitturare o al mercato con il suo cavalletto, e le prime volte, siccome lo conoscevano come sindaco di Palazzuolo ma non come pittore, si chiedevano un po' perplessi:

"... sa fàl e sindic ed Palazò? ..."

poi lo apprezzarono e da un suo quadro, con il titolo "Il mercato del lunedì", venne ricavata questa cartolina ricordo che è diventata una delle più tipiche immagini di Marradi anni '50.









E' sua anche la veduta del Castellone sullo sfondo del quartiere degli Archiroli e quella di Cardeto dal fiume, prima che fosse costruita la diga dell'Annunziata.


Clicca sulle immagini 
se le vuoi ingrandire








Non c'è dubbio che i suoi paesaggi preferiti fossero quelli della valle del Senio e di Palazzuolo, il paese tanto amato. Come si vede confrontando i quadri di Pagliazzi con le fotografie di oggi i posti non sono cambiati tanto da allora, e questo è un buon segno ...







Mantigno è un piccolo gruppo di case che si raggiunge percorrendo una strada laterale molto stretta, a partire da Quadalto.











Quadalto è una frazione di Palazzuolo sul Senio, un chilometro
a monte del capoluogo, lungo la strada che porta al Passo della Sambuca.














Il molino di Cecchetto
è un edificio sul fiume Senio,
di poco a monte del paese, 
che si raggiunge con un
ponte di legno.

























mercoledì 11 novembre 2015

Giuseppe Meucci racconta....





VITALIANO, IL POZZO E LA PISTOLA....

"Me lo ricordo ancora bene quel casotto quasi in cima alla pineta dei Cancelli. Sembrava una minuscola casa, una casa di nani isolata in mezzo ai pini, di pietra,  con il tetto di marsigliesi rossi, la porta di legno verde e senza finestre. Ci montavo la guardia con il mitra di plastica, cinturone ed elmetto prestato dai cugini, durante i nostri giochi di soldati e guerre: ho ancora delle foto in bianco e nero scattate dal babbo, di me bambino in pose marziali davanti a quella costruzione misteriosa, come a dire: “Di qui non si passa”. 

Non si passava, no: la porta era sempre chiusa a chiave e io non ci sono mai potuto entrare per vedere come era dentro. Era un pozzo che,  negli anni intorno alla guerra, ,aveva dato molto da fare ai nonni, che ci dovettero spendere tanti soldi. Io non lo avevo mai visto in funzione perché alla fine degli anni ’50, quando arrivai, in casa c’era già l’acqua corrente che il nonno Bepo´ era riuscito a fare arrivare da una sorgente lontana, duecento metri più in basso della casa, con un gran lavoro e grosse spese.




Giuseppe Meucci, di "guardia" al casotto del pozzo che si trovava sul poggio sopra la casa padronale




Allora, io quel pozzo non lo avevo mai visto in funzione, ma mi avevano spiegato che anni prima, quando la mia mamma era giovane, andavano lì ad attingere l’acqua da bere con le mezzine di rame. Le mezzine andavano calate con una fune per una profondità di molti metri, poi si tiravano su piene d’acqua fredda anche d’estate: un’acqua che circolava nella falda, in un dedalo misterioso di fessure nascoste fra le rocce, che andavano a finire chissà dove. Però con il passare degli anni la falda aveva cominciato a esaurirsi durante l’estate, proprio quando ce n’era più bisogno; così in un primo tempo cercarono di approfondire il pozzo scavando nella roccia per altri metri, poi alla fine lo dovettero abbandonare per cercare altre sorgenti.

Mi ci ha fatto pensare l’altro giorno l’amico Vitaliano di Marradi, quando mi ha raccontato che da ragazzo, nel dopoguerra, lui lavorò in quel pozzo con "Pistola", il muratore. Mi spiegava che il mio nonno si era rivolto al muratore perché c’era bisogno di pulire il pozzo dai detriti e poi, siccome per anni lo avevano adoperato per conservare al fresco la carne, andavano tolti anche i residui caduti in fondo per accidente.

 Vitaliano, allora ragazzo agile e molto magro, venne calato in fondo al pozzo a 16 o 18 metri con una fune legata di traverso sotto le ascelle. Il pozzo era così stretto da permettergli appena di allungare un braccio a raccogliere i detriti ai suoi piedi e poi metterli in una caldarella, che era appesa a un’altra fune sopra di lui. Quando la caldarella era piena e veniva tirata su, Vitaliano si copriva il capo con il ferro del badile senza manico, per ripararsi da tutto quello che poteva cadere: anche le gocce d’acqua facevano male, da quell’altezza. Portava con sé una candela accesa, così quando dall’alto la vedevano spengere lo tiravano su, perché voleva dire che l’ossigeno era finito e lui rischiava di morire soffocato. Arrivava su tremando per il freddo che c’era in fondo al pozzo e allora il mio nonno gli dava del vino rosso “Bi’ so, bi’ so!” (bevi su): si prese una ciucca che non ha mai dimenticato.

Bepo´, il tuo nonno, era benvoluto e stimato per la sua onestà e per l’esperienza che aveva di tanti aspetti del mondo rurale: molti, quando dovevano fare un affare importante, si rivolgevano a lui per un parere saggio e disinteressato. Gli ho sempre voluto bene” continuava Vitaliano ripescando fra i ricordi “E poi, anni prima, durante il passaggio del fronte, avevo anche avuto una pistola che era stata sua…”
E mi raccontava
 che i tedeschi, quando occupavano Marradi, avevano emesso un bando che ordinava a tutti i civili possessori di armi di consegnarle entro il tal giorno presso la caserma dei carabinieri. Allora tutti quelli che avevano un’arma regolarmente denunciata si videro costretti a consegnarla, a scanso di guai molto seri: alla fine le armi raccolte vennero caricate su un barroccio che le portò dalla caserma dei carabinieri, che era lungo la via per Palazzuolo, fino alla Casa del Fascio che stava nell’attuale via Dino Campana. C’erano molti fucili da caccia, ma anche molte pistole possedute soprattutto dai proprietari di poderi, per difesa. Arrivate alla Casa del Fascio, tutte le armi furono accatastate in una stanza a piano terra, con la finestra protetta da un’inferriata, sotto gli occhi pieni di desiderio di bambini e ragazzi, incantati da tutte quelle armi. Fra loro c’era anche Vitaliano, naturalmente; e poi c’era Valter, un bambino così piccolo e secco che passava fra le sbarre dell’inferriata. Una volta entrato, Valter riuscì a porgere agli amici un bel po’ di quelle pistole. Solo quelle a tamburo, perché le automatiche erano state chiuse dentro un armadio; comunque ne toccò una per ciascuno, ognuna con il cartellino attaccato con nome e cognome del proprietario. A Vitaliano, appunto, era toccata quella di Bepo´: era una bella rivoltella, brunita, non tanto grande, che stava ben nascosta anche addosso a un bambino. Lui per un po’ di tempo la portò sempre con sé; di notte la teneva sotto il guanciale, felice di quella compagna e completamente ignaro dei rischi che correva, finché un giorno suo padre la scoprì e gliela sequestrò. Invano tentò di conoscere dove il padre l’avesse nascosta: insistendo con la mamma, riuscì solo a sapere che il babbo doveva essere stato in soffitta, perché lei lo aveva visto tornare con dei resti di ragnatela fra i capelli. Vitaliano si arrampicò in soffitta, ma neppure la più accurata delle perquisizioni diede l’esito sperato. Da allora di quella pistola non seppe più nulla.

Così mi sono ricordato di quello che mi aveva raccontato tante volte la mia mamma: un piccolo episodio che a me, bambino, aveva sempre fatto impressione. Parlava di lei, bambina, che curiosando per la casa aveva scorto sopra un armadio una scatola, che attraeva la sua attenzione. L’armadio era molto alto e i suoi non volevano che si arrampicasse; l’impresa non fu facile ma, dai, dai, alla fine riuscì a raggiungere la scatola e ad alzare il coperchio. Probabilmente non aveva un’idea tanto precisa di cosa fosse una pistola, ma quando se la trovò fra le manine, così pesante, fredda e levigata, ne ebbe paura: aveva disobbedito, aveva toccato una cosa proibita. Zitta zitta la rimise a posto e non disse niente a nessuno; e quando da adulta raccontava questa storia, aveva un’aria di mistero che ogni volta mi incantava. Mi colpiva anche l’idea che il nonno, che io conoscevo così pacifico, tenesse in casa una pistola. “Mi racconti di quando trovasti la pistola del nonno?” devo aver chiesto più di una volta, e così il brivido era servito. “E poi che fine fece?” “Gliela portarono via i tedeschi durante il passaggio del fronte” “E poi?” “E poi, non lo so”. Ora, dopo tanti anni, so che la storia ebbe un seguito e, francamente, non me lo sarei aspettato."

Settembre 2011
Giuseppe Meucci



























sabato 7 novembre 2015

1608 La principessa e il Granduca

Arriva dalla Romagna 
la principessa Maria Maddalena, 
promessa sposa
di Cosimo II de’ Medici
ricerca di Claudio Mercatali





Maria Maddalena d’Austria

Nel 1608 il Granduca di Toscana, Cosimo II de’ Medici, per ragioni politiche sposò la principessa austriaca Maria Maddalena d’ Austria. 
I due praticamente non si conoscevano, ma questo era nor­male in questo tipo di matrimoni. La principessa nell’ ottobre 1608 si mise in viaggio verso Firenze, e decise di passare dal Passo della Colla. Il passaggio della corte non venne comunicato al monsignor Annibale Grizi, Gover­natore di Brisighella, che però se ne accorse perché da certi movimenti capì che stava per succede qualcosa di eccezionale.

Ecco come lo storico Antonio Metelli, vissuto nell’Ottocento, racconta questa vicenda:

“… Nel settembre 1608 il cardinale Bonifacio Gaetano passò da Marradi di ritorno da Firenze. Ignota a tutti era la cagione che aveva condotto a Firenze il cardinale, fuorché ad Annibale Grizi che, pigliata occasione da una certa quantità di pollame che poco addietro un certo Agostino Fa­broni di Marradi aveva comprato a Brisighella e sospettando che qualche arcana cosa sotto quel procaccio si nascondesse, tastò il polso al Fabroni e apprese del principesco matrimonio.
Il Cardinal Legato era andato a Firenze per rendersi disponibile ad ogni necessità, ma non essendosi ancora de­cisa la strada che la principessa avrebbe percorsa, la cosa era rimasta celata quasi a tutti…”.

Arrivò la conferma dalle autorità dello Stato Pontificio:

 
“… Finalmente decisasi la passata per la valle d’Amone sopraggiunsero al Grizi le lettere del Cardinal Legato che gli ordinavano di far restaurare la via di maniera che due cocchi potessero speditamente procedervi in coppia, perché la princi­pessa era già in viaggio. Il Grizi, a tutt’ uomo affaccendandosi, scrisse a Marradi perché i provveditori Toscani si trovassero ai confini per abboccarsi con lui.
Poi informò il cardinal Gaetano che la strada per­metteva il transito di un sol cocchio alla volta. E’ difficile, scrivevagli, il varco sotto le Pendici ( = da S.Eufemia a S.Cassiano), mancando di sponde al­cuni ponti, ma con dei picconieri e qualche opera di mastri si poteva rendere agevole con la spesa di centosessanta scudi. Però per maggiore sicurtà era il caso di scrivere a Firenze affinché lettighe e portantine ai cocchi si sostituissero oltre Marradi”.




Carrozza e portantina 
erano mezzi di trasporto 
per nobili di rango





Il Municipio di Brisighella 
non aveva una gran voglia 
di spendere e:

“ … Quando a Brisighella si seppe che i lavori sull’Appennino non davano comodità di transito ai cocchi, parve ai Governanti una spesa inutile e dissero al Grizi di usare le lettighe anche lungo la valle, perché essendo ormai autunno, le piogge non erano lontane e la via sarebbe impedita dalle frane. Però il Grizi decise per i lavori e mentre questi volgevano al sospirato termine, per gravi e disoneste piogge scassinatisi alcuni enormi macigni dalle scheggiose Pendici qua e là vi ingombrarono la via, facendo pieni i presagi dei Governatori. Per porre rimedio e allontanare ogni futuro danno si allocarono in detto luogo genti che giornalmente purgavano la via e quando l’opera fu compita si fè tirare da quattro cavalli un cocchio fino a Marradi, ove giunse felicemente in mezzo ai festeggiamenti del popolo e de’ Toscani provveditori”.


La chiesa dell’Osservanza
 a Brisighella


Cominciarono i preparativi 
per l’accoglienza:

“… venne dato ordine ai condottieri delle milizie paesane di adunare la cavalleria armata di archi­bugi a Brisighella e la fanteria lungo la valle per farle da accompagnamento. 
Il Cardinale Legato di­spose che si preparassero dei carri per trasportare le robe dell’illustre sposa e si curasse che la Rocca e la Torre facessero strepito con le artiglierie all’ arrivo. Si dispose pure che la stazione pel pranzo fosse a Brisighella e non a Faenza, per la qual cosa si scelse il Palagio dello Spada e le logge del vicino Convento dell’Osservanza, e messe le tavole apparecchiate con ricchi abbigliamenti, a gran furia ci si studiava di non rimanere inferiori al bisogno”.

Ci fu ancora un contrattempo:

“…mentre per cotal modo tutti si affaticavano, giunse incerta novella, che levatosi nel dì addietro il mare in fierissima tempesta, avesse in Istria sbalzata la principessa, e si verificasse un ritardo nell’ arrivo”.

E allora la cavalleria “armata di archibugi” tornò indietro e:

“ … battendo da Marradi a Brisighella, dugento tra cavalli e muli, avuto il migliore alloggiamento che per l’ora tarda potè lor darsi, venuta la dimane s’inviarono verso Ravenna …”.

… e che la Rocca e la Torre 
facessero strepito
con le artiglierie all’arrivo …


Alla fine le navi 
arrivarono a Ravenna:

 “ .. e la Veneziana squadra di quattro galee arrivò a Ravenna e dalla nave capitana scese Maria Maddalena arciduchessa d’Austria, che poi si mosse verso Faenza. Era il 14 ottobre quando la splendida comitiva entrava nella valle D’Amone. Giunta la notizia a Brisighella accorrevano ad affilarsi i fanti, i deputati della Comunità si mettevano in ordine. Tuoni di spingarde e strepiti di moschettoni rimbombarono nella valle, assieme alle campane delle chiese e alle festanti grida del popolo. Piena era la corte di apprestate mense, piene le logge e le stanze. Finché poi, levate le mense e distribuito ai poveri molto denaro, la principessa, anziché adagiarsi nella superba lettiga, tutta d’oro e incastonata di perle e gemme, salì sopra a una non meno nobile chinea, affermando piacerle di godere della vista di si amena valle.
A briglia sciolta partirono i corrieri a render sgombra la via e a recar novella. Mentre costoro vo­lando precedevano, la cavalleria e la fanteria seguivano la coda del principesco corteo e, giunti al confine, entrava in loro vece una compagnia di lance delle guardie del Granduca. Quattromila fanti accompagnarono il corteo a Marradi, e ivi la principessa passò la notte, poi alla dimane valicato l’Appennino scese in Mugello".

La chinea è un cavallo 
bianco o marrone.
La parola deriva dall' inglese 
hackney, che indica
una località ma anche un cavallo
dall'incedere
fluido e maestoso.


Lo storico Metelli muove 
anche qualche critica:

“… ma in Marradi non vi erano le cose procedute bene come a Brisighella. Imperocché piccola es­sendo quella Terra e fra asprissimi monti situata, in mezzo a tanto concorrimento di gente si trovò presto ridotta a difetto di viveri, per la qual cosa si dovette far procaccio a Brisighella di carni, pol­lame, uova e di frutta e il generale del Granduca Marchese Del Monte per ben due volte pregò il Grizi che di pane lo soccorresse. Il Grizi, con ingorda cortigianeria, inviò per dono due puledri al Granduca di Toscana, né noi gli daremo già lode di generosità, perché sappiamo che chi regala ai grandi non per altezza d’animo il fa ma per avara cupidigia”.


Dunque il Governatore di Brisighella cercò di ingraziarsi il Granduca, in previsione di qualcosa che poi aveva in animo chiedergli per sé. Il Metelli va giù duro, ma non si può dire che questa sia stata cupidigia. Anche Agostino Fabroni, che all’ inizio di questa storia abbiamo visto impegnato a far incetta di polli giù per la vallata aveva visto giusto, e probabilmente in quei giorni avrà fatto buoni affari. I Brisighellesi invece ci rimisero di tasca 1600 lire, il prezzo di un podere nel fondovalle, anche se poi il Cardinal Legato si fece carico di una parte della spesa.

Come andò questo matrimonio da favola? La storia ci dice che la Principessa e il Granduca Cosimo II vissero felici tutta la vita e fecero otto figli.


Il Granduca Cosimo II


Bibliografia   Antonio Metelli Istoria di Brisighella e della Val d’Amone


lunedì 2 novembre 2015

L'acquedotto di Sambruceto

L'impianto idrico 
più vecchio
del Comune di Marradi
ricerca di Vincenzo Benedetti


Sambruceto 
e la sua sorgente


Sambruceto è un podere lungo la strada per la Badia del Borgo, a 500m dal paese. L'acqua sgorga abbondante in mezzo a un campo e per secoli è stata la fonte primaria di approvvigionamento per il capoluogo. Secondo gli estimi fatti dallo studioso Carlo Mazzotti il podere era di proprietà del Convento delle Domenicane di Marradi già nel 1655.
Nel Settecento il Comune aveva già i diritti di emunzione da queste sorgenti e anche la servitù di dover fornire acqua gratis o quasi alle Suore del Convento della SS.Annunziata. La servitù è stata attiva fino a pochi anni fa, quando il Comune chiuse l'impianto perché non era più a norma.

Questo vincolo secolare dava luogo a qualche contenzioso, perché le suore ogni tanto avanzavano qualche richiesta o perché il Comune veniva meno agli obblighi. Successe così anche nel dicembre del 1735 e Giovan Michele Nuti, Cancelliere di Marradi, un po' preoccupato per la disputa che si era aperta, scrisse a Firenze per sapere come si doveva regolare. Il funzionario granducale gli rispose così:





Filza di lettere e negozi 
del cav. Giovan Michele Nuti 
(1735 Archivio del Comune 
di Marradi)


Circa il rifacimento della pila di codesta fonte per il mantenimento dell'acqua per servizio di codeste monache sopra di che ultimamente voi mi scriveste, ho presente che risposi che dette monache non voglino più l'acqua capta nei termini delle concessione fattali dal Pubblico ma d'alzare in modo la loro vasca, che non possa più alcuno aver l'uso dell'acqua, come dicono aver sempre avuto da tempo memorabile in qua, sopra di che non manchi di informarmi se si vadi a operando fuori del solito e in pregiudizio del Pubblico, nel qual caso farà anco sospendere quel lavoro, chi l'andasse facendo, e la saluto.

Firenze 13 dicembre 1735


Il contenzioso non era grave e si risolse per il meglio. Ora a noi interessa la frase: " ... aver l'uso dell'acqua, come dicono aver sempre avuto da tempo memorabile in qua ..." perché dimostra che l'uso di quest'acqua già allora era antico tanto da non ricordare quando fosse iniziato e le suore vantavano diritti altrettanti vecchi sulla medesima.

Le sorgenti di Sambruceto sono alimentate da acque che scorrono dentro la roccia, subito sottostante la poca terra di cui sono fatti i campi di quel podere.
La circolazione è veloce e per questo l'acqua arrivava in paese torbida dopo le prime piogge e scarseggiava in estate, visto che l'insieme delle fratture della roccia non si presta a filtrare o accumulare risorsa.
I due inconvenienti erano ben noti anche nei secoli scorsi e più volte si cercò un rimedio.

Ecco che cosa disse nel 1782 l'ingegnere Marco Moretti, fiorentino, rispondendo agli Amministratori del Comune che gli avevano chiesto un intervento:

Illustrissimi Signori Confaloniere
e Residenti nella Magistratura Comunitativa di Marradi

La fonte d'acqua viva che esiste sulla piazza della Terra di Marradi è senza dubbio uno dei maggiori comodi che risenta il pubblico di codesta Comunità per la scarsezza dei pozzi d'acqua buona che si ritrova nella Terra medesima: questa fonte peraltro oltre a rendersi quasi esausta nei tempi d'estate s'appare notabilmente torba dopo le pioggie, non già le più dirotte, ma anche mediocri. Venendo pertanto a mancare in ambedue dei mentovati casi il citato benefizio è ottimo il pensiero condotto sopra ai medesimi soggetti ...

Umilissimo e devotissimo ing. Marco Moretti                              31 dicembre 1782

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Non sembra che il Comune nel 1782 abbia posto rimedio a questi inconvenienti perché da altre carte risulta che l'intervento risolutivo fu fatto a metà dell'Ottocento.

Con il nuovo acquedotto ottocentesco vi furono dei miglioramenti ma l'inconveniente dell' acqua torbida un po' rimase, anche se fu costruita una vasca di decantazione sotterranea. L'attuale acquedotto, inattivo ma ancora sostanzialmente intatto, è di quest' epoca e fu costruito in una galleria praticabile che attraversa il parcheggio del Chiuso e palazzo Ceroni. Il punto di arrivo era alla fonte di  Piazza Guerrini. Ecco che cosa rimane oggi di questa mirabile opera ...



La vasca per chiarificare l'acqua è dentro questa porticina, lungo la strada di S.Benedetto, a poche centinaia di metri dall'inizio del paese.





E' una vasca circolare, fatta di tanti scomparti, nei quali l'acqua torbida in arrivo dalle sorgenti passava successivamente e rimaneva
 in deposito finché la finissima argilla 
che la intorbidava non si era depositata.

Poi le varie vasche venivano ripulite
 una alla volta.




Da una parte si vedono ancora
 le porte di entrata 
dell'acqua torbida, 
in arrivo 
come un ruscello dalle sorgenti 
di Sambruceto.

Clicca sulle immagini se
le vuoi ingrandire





I meccanismi per regolare
la portata, ci sono ancora,
ossidati e inceppati come
si vede qui ...









Dopo il deposito dell'argilla fine l'acqua 
chiara rimaneva un po' in un pozzo 
finché non cominciava 
il prelievo dalle fonti.



La torbidità è un grave inconveniente ma se non è eccessiva l'acqua è potabile lo stesso, perché l'argilla fine non è una sostanza inquinante.

Però questo provoca dei disturbi digestivi a molte persone e quindi la normativa attuale vieta l'uso di acque poco limpide per l'alimentazione umana. Questo è il motivo per cui l'acquedotto di Sambruceto è attualmente in disuso. E' stata valutata diverse volte l'ipotesi di ripristinarlo, perché oggi ci sarebbero i sistemi per risolvere l'inconveniente, però la Società HERA, che gestisce le nostre acque potabili, non ha ancora deciso se farlo o no.



Dopo la vasca una conduttura di tubi in cotto immanicati uno nell'altro portava l'acqua fino alla Fonte della Vasca, poi alla fonte di Piazza Guerrini e infine al confine del monastero delle Suore Domenicane.

La condotta correva in una galleria apposita, dove una persona poteva camminare quasi eretta.
C'è ancora, sotto il parcheggio detto Il Chiuso, nel centro di Marradi.


La condotta dell'antico acquedotto 
di Sambruceto sotto il parcheggio
 di Marradi.


Fonte: Documenti raccolti da Vincenzo Benedetti