I Romagnoli nella Divina Commedia
Ricerca di Claudio Mercatali
Nel 1301 il conte Carlo di Valois
arrivò a Firenze con la promessa (falsa) di mettere pace fra i Guelfi Bianchi e
Neri che si contendevano la città. In realtà il francese era d’accordo con il
papa Bonifacio VIII per favorire i Neri, che infatti prevalsero. Dante
Alighieri che era un esponente dei Guelfi Bianchi fu esiliato e non tornò più
in città. Dove andò? Le tappe dell’esilio non sono tutte note ma si sa che
soggiornò almeno due volte a Verona, dagli Scaligeri e per il resto in Romagna,
ospite di vari Signori, soprattutto i Da Polenta di Ravenna, presso i quali
morì nel 1321, a 56 anni. Dunque Dante conosceva bene la
Romagna, perché l’aveva girata tutta e la maggior parte della Divina Commedia
fu scritta durante il suo peregrinare in queste terre. Lo dice lui stesso nel
Canto XVII del Paradiso con un doppio senso, parlando del pane, che come si sa in
Romagna è molto più salato di quello fiorentino:
Tu proverai sì come sa di sale
lo
pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.
Per questo non deve meravigliare se
nella Divina Commedia ci sono tanti paesi e personaggi romagnoli, qualcuno all’
Inferno, qualcun altro nel Purgatorio e nessuno nel Paradiso. Facciamo una
rassegna, curando di più quelli delle nostre zone:
Bagnacavallo e Castrocaro
Si parla di questi due paesi nel
Purgatorio, Canto XIV, 114 – 117. Bagnacavallo era dominata dai Malvicini che
non ebbero eredi. Invece i signori di Bertinoro e i conti di Cunio ebbero una
folta discendenza. Secondo Dante sarebbe un bene per questi paesi mal governati
se le famiglie dei loro Signori si estinguessero. Cunio era un sito vicino a
Barbiano, raso al suolo dai Faentini capeggiati da Maghinardo Pagani da
Susinana nel 1296. Non fu ricostruito e oggi non se ne trova traccia,
nonostante le ricerche degli archeologi dell’Università di Bologna. Maghinardo
era tremendo nelle sue vendette.
Ben fa Bagnacaval, che non
rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio
Conio,
che di figliar tai conti più
s’impiglia
Bertinoro
Nel Purgatorio al Canto XIV si
parla di Arrigo Mainardi, signore di Bertinoro nella miglior epoca del paese,
cacciato con la famiglia dopo una sconfitta subita a Ravenna. Dante ne parla
benissimo e dà biasimo a chi lo cacciò:
Le donne e’ cavalier, li affanni e
li agi
che ne ‘nvogliava amore e cortesia
là dove i cuor son fatti sì
malvagi
o Bretinoro, ché non fuggi via,
poi che gita se n’è la tua
famiglia
e molta gente per non esser ria?
Faenza
Bernardino di Fosco era un
gentiluomo di umile origine, esempio dei tempi andati, come il bolognese Fabbro
dei Lambertazzi. Il poeta si chiede: quando rinasceranno due così?
Siamo al
Canto XIV, 99 - 102
Quando in Bologna un Fabbro si
ralligna?
Quando in Faenza un Bernardin di
Fosco
Verga gentil di piccola gramigna?
Fra' Alberigo de' Manfredi (1240 –
1307 circa), è nel canto XXXIII dell'Inferno, nella terza zona del
nono cerchio, la Tolomea, dove sono puniti i traditori degli
ospiti. Il 2 maggio 1285 invitò a pranzo a Castellina di Pieve
Cesato, vicino a Faenza, due parenti con i quali era in lite
(Manfredo e Alberghetto dei Manfredi), e li fece uccidere a un
segnale convenuto, che era quello di servire "la frutta".
«Rispose adunque: "Io son frate
Alberigo, io son quel dalle frutta del mal orto, che qui riprendo
dattero per figo".» (Inferno, canto XXXIII, vv. 118-120)
Frate Alberigo era coetaneo di Dante
ma il Poeta inventò che nella Tolomea del nono cerchio c'erano già
i peccatori anche se il loro corpo era ancora in vita posseduto da un
diavolo. Qui i dannati erano intrappolati nel ghiaccio del fiume
Cocito e fra' Alberigo chiede a Dante di togliergli il ghiaccio che
ha sugli occhi perché gli impedisce di piangere e Dante promette di farlo,
allora Alberico gli racconta di sé e dei suoi vicini di pena: "Ma distendi oggimai in qua la
mano; aprimi li occhi". E io non
gliel' apersi. (Inf. XXXIII, vv. 148-149)
Forlì
Nella Divina Commedia si parla
di questa città molte volte:
1 Dante fu segretario di
Scarpetta degli Ordelaffi, che organizzò un tentativo di rientro a Firenze ma
fu duramente sconfitto a Pulicciano, vicino a Ronta nel 1303. Una lapide alla
chiesa in cima al colle che si vede dalla strada Faentina ricorda il fatto.
2 Il 1° maggio 1282 a Forlì ci fu
una violenta battaglia fra le milizie del papa comandate dal mercenario
francese Jean Dieppe e Guido da Montefeltro, che fu spietato vincitore, al servizio degli
Ordelaffi, signori della città. Nell'Inferno al Canto XXVII si legge:
La terra che fè già la lunga prova
e di Franceschi il sanguinoso mucchio,
sotto le branche verdi si ritrova
Le branche verdi sono gli artigli
del leone degli Ordelaffi che afferrano le truppe guelfe del papa Martino IV. I
Franceschi sono i mercenari francesi di Jean Dieppe, che pagarono il prezzo più
alto.
3 L’astrologo di Forlì Guido
Bonatti è all’Inferno al Canto XX, 117 - 120, al cerchio 8, bolgia 4, quella
degli Indovini perché interrogò le stelle per dire a Guido da Montefeltro il
momento giusto per la battaglia del 1282. Secondo la credenza medioevale era
peccato grave interrogare le stelle per sapere il proprio destino.
Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente
ch’avere inteso al cuoio e allo
spago
ora vorrebbe, ma tardi si pente
Asdente, è mastro Benvenuto da
Parma, calzolaio (inteso al cuoio e allo spago), profeta e indovino anche lui.
4 Palazzo Calboli, a Forlì, era
la casa di questa importante famiglia, rivale degli Ordelaffi. Nel Purgatorio al
Canto XIV si parla di Ranieri da Calboli, generale, che secondo Dante fu
l’unico membro a distinguersi per valore. Dante, Guelfo Bianco, era fazioso e nello stesso canto tratta
malissimo Fulcieri da Calboli, podestà di Firenze, Guelfo Nero, che sconfisse
Scarpetta degli Ordelaffi a Ronta, come è descritto prima.
Questi è Rinieri; questi è il
pregio e l’onore
della casa da Calboli, ove nullo
fatto s’è reda poi del suo valore
Modigliana
Nell’ Inferno al Canto XVI, 37 –
40 si parla di Guido Guerra V conte di Modigliana, protagonista alla battaglia
di Benevento, vinta dai guelfi nel 1266. Dante lo pone nel girone dei sodomiti.
Nepote fu della buona Gualdrada
Guidoguerra ebbe nome ad in sua
vita
Fece col senno assai e con la
spada
Nel Canto XIV, 118 – 120
si parla
di Maghinardo Pagani da Susinana:
Ben faranno i Pagani, che da ‘l
demonio
lor sen girà; ma non però che puro
già mai rimanga d’essi testimonio
Il demonio è Maghinardo del quale
Dante spera che non rimanga nemmeno il ricordo. In realtà il Pagani era un
sostenitore del papa Bonifacio VIII che aiutò il condottiero francese Carlo di
Valois a conquistare Firenze ai danni dei Guelfi Bianchi amici di Dante. Si
parla di Maghinardo anche nell’ Inferno, al Canto XXVII, ghibellino o guelfo a
seconda della sua convenienza (muta parte …).
Le città di Lamone e di Santerno
conduce il lioncel dal nido bianco
che muta parte da la state al
verno
Molti
studiosi identificano la Beatrice amata da Dante con Bice di Folco Portinari,
nato a Portico e trasferito a Firenze, dove divenne un ricco banchiere. Anche Giovanni Boccaccio era di questa idea. L’unico
documento certo sulla vita di Bice è il testamento di Folco Portinari,
del 1287.
Vi si legge: ...item d. Bici filie sue et uxoris d. Simonis del Bardis
reliquite [...], lib.50 ad floren, cioè si parla di un lascito in denaro
alla figlia sposa di Simone de' Bardi, il banchiere fiorentino marito della Beatrice dantesca.
Ravenna
Nell’ Inferno Canto V si parla di
Francesca da Polenta uccisa dal marito Gianciotto Malatesta perché aveva una
relazione con il cognato Paolo.
Siede la terra dove nata fui
Sulla marina dove ‘l Po discende
Per aver pace co’ seguaci sui
Ossia nacqui sul mare dove sbocca
il Po. A quel tempo il Po di Primaro, un ramo deltizio di questo fiume,
sfociava vicino a Ravenna, così come i seguaci sui, il Reno, il Lamone e
il Savio, che qui si vedono in una cartina del 1729.
San Benedetto in Alpe
Nell’Inferno al Canto XVI 94 – 102
si parla della cascata dell’Acquacheta, in una dettagliata e discussa descrizione
nella quale sembra che il posto dovesse essere un punto di ritrovo per mille
fuoriusciti da Firenze decisi a riconquistare la città:
«Come quel fiume c' ha proprio
cammino
prima dal Monte Viso 'nver'
levante,
da la sinistra costa d'Apennino,
che si chiama Acquacheta suso,
avante
che si divalli giù nel basso
letto,
e a Forlì di quel nome è
vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
de l'Alpe per cadere ad una
scesa
ove dovea per mille esser
recetto;
così, giù d'una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell'acqua
tinta,
sì che 'n poc'ora avria l'orecchia
offesa.»
San Cassiano di Brisighella
Il paese non è citato ma si parla dei
signori del suo castello: Ugolino de’ Fantolini e Alessandro da Romena
marito di sua figlia Francesca. Costui entrò in lite per questo castello con
Maghinardo Pagani e naturalmente ebbe la peggio. Per vendetta il vincitore
demolì il castello e fece rotolare le pietre dei muri giù dal monte.
E noi? Il Divino poeta non parla
di Marradi però secondo una fantasia popolare un giorno, mentre era di
passaggio qualcuno gli rubò l’ombrello e lui disse: “Marradi, gentiluomini
si, ma - radi” dando così il nome al paese (in realtà la marra è un tipo di
zappa e l’ombrello come parapioggia ai tempi di Dante non esisteva). Invece
secondo altri avrebbe esclamato: “Marradi, piantan fagioli e nascon ladri”. Scegliete lo sfottò che più vi piace, tanto nessuno dei due è vero.