venerdì 27 marzo 2020

Dante Alighieri in esilio gira la Romagna

I Romagnoli nella Divina Commedia
Ricerca di Claudio Mercatali




Nel 1301 il conte Carlo di Valois arrivò a Firenze con la promessa (falsa) di mettere pace fra i Guelfi Bianchi e Neri che si contendevano la città. In realtà il francese era d’accordo con il papa Bonifacio VIII per favorire i Neri, che infatti prevalsero. Dante Alighieri che era un esponente dei Guelfi Bianchi fu esiliato e non tornò più in città. Dove andò? Le tappe dell’esilio non sono tutte note ma si sa che soggiornò almeno due volte a Verona, dagli Scaligeri e per il resto in Romagna, ospite di vari Signori, soprattutto i Da Polenta di Ravenna, presso i quali morì nel 1321, a 56 anni. Dunque Dante conosceva bene la Romagna, perché l’aveva girata tutta e la maggior parte della Divina Commedia fu scritta durante il suo peregrinare in queste terre. Lo dice lui stesso nel Canto XVII del Paradiso con un doppio senso, parlando del pane, che come si sa in Romagna è molto più salato di quello fiorentino:



 


Tu proverai sì come sa di sale 
lo pane altrui, e come è duro calle 
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.

Per questo non deve meravigliare se nella Divina Commedia ci sono tanti paesi e personaggi romagnoli, qualcuno all’ Inferno, qualcun altro nel Purgatorio e nessuno nel Paradiso. Facciamo una rassegna, curando di più quelli delle nostre zone:

Bagnacavallo e Castrocaro
Si parla di questi due paesi nel Purgatorio, Canto XIV, 114 – 117. Bagnacavallo era dominata dai Malvicini che non ebbero eredi. Invece i signori di Bertinoro e i conti di Cunio ebbero una folta discendenza. Secondo Dante sarebbe un bene per questi paesi mal governati se le famiglie dei loro Signori si estinguessero. Cunio era un sito vicino a Barbiano, raso al suolo dai Faentini capeggiati da Maghinardo Pagani da Susinana nel 1296. Non fu ricostruito e oggi non se ne trova traccia, nonostante le ricerche degli archeologi dell’Università di Bologna. Maghinardo era tremendo nelle sue vendette.


Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
che di figliar tai conti più s’impiglia


Bertinoro
Nel Purgatorio al Canto XIV si parla di Arrigo Mainardi, signore di Bertinoro nella miglior epoca del paese, cacciato con la famiglia dopo una sconfitta subita a Ravenna. Dante ne parla benissimo e dà biasimo a chi lo cacciò:

Le donne e’ cavalier, li affanni e li agi
che ne ‘nvogliava amore e cortesia
là dove i cuor son fatti sì malvagi
o Bretinoro, ché non fuggi via,
poi che gita se n’è la tua famiglia
e molta gente per non esser ria?





Faenza
Bernardino di Fosco era un gentiluomo di umile origine, esempio dei tempi andati, come il bolognese Fabbro dei Lambertazzi. Il poeta si chiede: quando rinasceranno due così? 
Siamo al Canto XIV, 99 - 102

Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
Quando in Faenza un Bernardin di Fosco
Verga gentil di piccola gramigna?






Fra' Alberigo de' Manfredi (1240 – 1307 circa), è nel canto XXXIII dell'Inferno, nella terza zona del nono cerchio, la Tolomea, dove sono puniti i traditori degli ospiti. Il 2 maggio 1285 invitò a pranzo a Castellina di Pieve Cesato, vicino a Faenza, due parenti con i quali era in lite (Manfredo e Alberghetto dei Manfredi), e li fece uccidere a un segnale convenuto, che era quello di servire "la frutta".

«Rispose adunque: "Io son frate Alberigo, io son quel dalle frutta del mal orto, che qui riprendo dattero per figo".» (Inferno, canto XXXIII, vv. 118-120)

Frate Alberigo era coetaneo di Dante ma il Poeta inventò che nella Tolomea del nono cerchio c'erano già i peccatori anche se il loro corpo era ancora in vita posseduto da un diavolo. Qui i dannati erano intrappolati nel ghiaccio del fiume Cocito e fra' Alberigo chiede a Dante di togliergli il ghiaccio che ha sugli occhi perché gli impedisce di piangere e Dante promette di farlo, allora Alberico gli racconta di sé e dei suoi vicini di pena: "Ma distendi oggimai in qua la mano; aprimi li occhi". E io non gliel' apersi. (Inf. XXXIII, vv. 148-149)  



Forlì
Nella Divina Commedia si  parla 
di questa città molte volte:

1  Dante fu segretario di Scarpetta degli Ordelaffi, che organizzò un tentativo di rientro a Firenze ma fu duramente sconfitto a Pulicciano, vicino a Ronta nel 1303. Una lapide alla chiesa in cima al colle che si vede dalla strada Faentina ricorda il fatto.




2   Il 1° maggio 1282 a Forlì ci fu una violenta battaglia fra le milizie del papa comandate dal mercenario francese Jean Dieppe e Guido da Montefeltro, che fu spietato vincitore, al servizio degli Ordelaffi, signori della città. Nell'Inferno al Canto XXVII si legge:

La terra che fè già la lunga prova
e di Franceschi il sanguinoso mucchio,
sotto le branche verdi si ritrova

Le branche verdi sono gli artigli del leone degli Ordelaffi che afferrano le truppe guelfe del papa Martino IV. I Franceschi sono i mercenari francesi di Jean Dieppe, che pagarono il prezzo più alto.

3   L’astrologo di Forlì Guido Bonatti è all’Inferno al Canto XX, 117 - 120, al cerchio 8, bolgia 4, quella degli Indovini perché interrogò le stelle per dire a Guido da Montefeltro il momento giusto per la battaglia del 1282. Secondo la credenza medioevale era peccato grave interrogare le stelle per sapere il proprio destino.



Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente
ch’avere inteso al cuoio e allo spago
ora vorrebbe, ma tardi si pente

Asdente, è mastro Benvenuto da Parma, calzolaio (inteso al cuoio e allo spago), profeta e indovino anche lui.

4   Palazzo Calboli, a Forlì, era la casa di questa importante famiglia, rivale degli Ordelaffi. Nel Purgatorio al Canto XIV si parla di Ranieri da Calboli, generale, che secondo Dante fu l’unico membro a distinguersi per valore. Dante, Guelfo Bianco,  era fazioso e nello stesso canto tratta malissimo Fulcieri da Calboli, podestà di Firenze, Guelfo Nero, che sconfisse Scarpetta degli Ordelaffi a Ronta, come è descritto prima.


Questi è Rinieri; questi è il pregio e l’onore
della casa da Calboli, ove nullo
fatto s’è reda poi del suo valore


Modigliana
Nell’ Inferno al Canto XVI, 37 – 40 si parla di Guido Guerra V conte di Modigliana, protagonista alla battaglia di Benevento, vinta dai guelfi nel 1266. Dante lo pone nel girone dei sodomiti.

Nepote fu della buona Gualdrada
Guidoguerra ebbe nome ad in sua vita
Fece col senno assai e con la spada




Palazzuolo sul Senio
Nel Canto XIV, 118 – 120 
si parla di Maghinardo Pagani da Susinana:

Ben faranno i Pagani, che da ‘l demonio
lor sen girà; ma non però che puro
già mai rimanga d’essi testimonio

Il demonio è Maghinardo del quale Dante spera che non rimanga nemmeno il ricordo. In realtà il Pagani era un sostenitore del papa Bonifacio VIII che aiutò il condottiero francese Carlo di Valois a conquistare Firenze ai danni dei Guelfi Bianchi amici di Dante. Si parla di Maghinardo anche nell’ Inferno, al Canto XXVII, ghibellino o guelfo a seconda della sua convenienza (muta parte …).

Le città di Lamone e di Santerno
conduce il lioncel dal nido bianco
che muta parte da la state al verno

Portico di Romagna
Molti studiosi identificano la Beatrice amata da Dante con Bice di Folco Portinari, nato a Portico e trasferito a Firenze, dove divenne un ricco banchiere. Anche Giovanni Boccaccio era di questa idea. L’unico documento certo sulla vita di Bice è il testamento di Folco Portinari, del 1287. Vi si legge: ...item d. Bici filie sue et uxoris d. Simonis del Bardis reliquite [...], lib.50 ad floren, cioè si parla di un lascito in denaro alla figlia sposa di Simone de' Bardi, il banchiere fiorentino marito della Beatrice dantesca.

Ravenna
Nell’ Inferno Canto V si parla di Francesca da Polenta uccisa dal marito Gianciotto Malatesta perché aveva una relazione con il cognato Paolo.

Siede la terra dove nata fui
Sulla marina dove ‘l Po discende
Per aver pace co’ seguaci sui

Ossia nacqui sul mare dove sbocca il Po. A quel tempo il Po di Primaro, un ramo deltizio di questo fiume, sfociava vicino a Ravenna, così come i seguaci sui, il Reno, il Lamone e il Savio, che qui si vedono in una cartina del 1729.

San Benedetto in Alpe
Nell’Inferno al Canto XVI 94 – 102 si parla della cascata dell’Acquacheta, in una dettagliata e discussa descrizione nella quale sembra che il posto dovesse essere un punto di ritrovo per mille fuoriusciti da Firenze decisi a riconquistare la città:

«Come quel fiume c' ha proprio cammino
prima dal Monte Viso 'nver' levante,
da la sinistra costa d'Apennino,
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
de l'Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;
così, giù d'una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell'acqua tinta,
sì che 'n poc'ora avria l'orecchia offesa.»






San Cassiano di Brisighella
Il paese non è citato ma si parla dei signori del suo castello: Ugolino de’ Fantolini e Alessandro da Romena marito di sua figlia Francesca. Costui entrò in lite per questo castello con Maghinardo Pagani e naturalmente ebbe la peggio. Per vendetta il vincitore demolì il castello e fece rotolare le pietre dei muri giù dal monte.



E noi? Il Divino poeta non parla di Marradi però secondo una fantasia popolare un giorno, mentre era di passaggio qualcuno gli rubò l’ombrello e lui disse: “Marradi, gentiluomini si, ma - radi” dando così il nome al paese (in realtà la marra è un tipo di zappa e l’ombrello come parapioggia ai tempi di Dante non esisteva). Invece secondo altri avrebbe esclamato: “Marradi, piantan fagioli e nascon ladri”. Scegliete lo sfottò che più vi piace, tanto nessuno dei due è vero.



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