Giurista e Generale
dei frati di Vallombrosa
ricerca di Claudio Mercatali
La Badia di S.Bartolomeo a
Ripoli,
dov’ è sepolto Ascanio
Tamburini
Ascanio Tamburini nacque a Marradi nel 1580 e morì nella
Badia di S. Bartolomeo a Ripoli nel 1666. Com’è noto qui in paese gli abbiamo
intitolato la strada che va dal Teatro degli Animosi a palazzo Torriani. Era un
frate coltissimo, teologo e giurista eletto per due volte Generale dell’ Ordine
Vallombrosano, carica massima per quei religiosi. Scrisse il De jure et
privilegis Abbatum Prelatorum, che significa “Riguardo al diritto e alle
prerogative degli abati e dei prelati”, una raccolta di leggi ad uso dei frati.
Scriveva
in latino e non si rivolgeva al pubblico ma ai confratelli e voleva che i suoi libri
fossero conservati nelle biblioteche dei conventi e le leggi prescritte
rispettate. Insomma era uno che dettava la Regola e gli si doveva obbedienza.
Com’è
fatto il De jure abbatum?
L’edizione tedesca del 1698 che useremo ora è un
elegante volume a stampa, di 584 pagine, pieno zeppo di leggi, disposizioni,
ordinanze, bolle papali, circolari, prescrizioni e raccomandazioni. Un vero e
proprio Codice Civile e Penale dei frati. Già allora era difficile da leggere e
quindi Ascanio, per essere più chiaro, inserì tanti esempi di processi e
condanne, di modo che i vari abati sapessero come comportarsi se fosse capitato
qualcosa di simile nel loro monastero.
Qui
di seguito ci sono tre verbali abbastanza piacevoli da leggere. Gli
interrogatori sono un po’ surreali, perché il giudice, dotto e autorevole,
rivolge la domanda in latino e il povero frate imputato risponde in italiano,
cioè in lingua volgare, come allora si diceva:
De iure et privilegis Abbatum
Tip. Joannis Philippi Andrea 1698
Formula (= processo) LXI (n° 61) pg 466
Le percosse al buio
Mentre Don Maledìci va a letto viene aggredito e duramente
bastonato da qualcuno nel corridoio del convento e denuncia il fatto all’abate:
Quomodo
ira vulneratus reperiatur? (Con quale atto violento è stato prodotto il
ferimento?)
Don Maledici prout
tacto pectore iuravit et respondit (Don
Maledici toccato il petto giurò e rispose):
“Mentre
tornavo alla mia camera quella notte sono stato ferito nell’entrata della porta
del dormitorio, dove sta la mia camera, in questo modo che vostra signoria
vede”.
Interrogatus
quis eum ita vulneravit et admonitus ut dicat, respondit (Interrogato su chi lo ferì così, e ammonito perché lo dica, risponde):
“Non lo so, perché ero senza lume e colui che mi ferì mi diede standomi di
dietro e subito fuggì via di maniera che io non lo potei vedere, essendosi anche
smorzata la lampada”.
Interrogatus
quem credit fuisse, respondit (Interrogato
su chi crede che fosse, risponde):
“Credo
che sia stato don Vindice degli Inflessibili, perché ieri avessimo parole
insieme, ed egli si partì minacciandomi. Erano presenti don Venanzio e don
Feliciano. L’ho nominato perché credo che così sia la verità”.
La
sentenza L’abate
dichiara il “non luogo a procedere per insufficienza di prove” e:…
Ad patienter
ferendum et ad veniam percussori tribuendam Pater Abbas illum dimisit (Il Padre
Abate lo congedò invitandolo a portare pazienza e perdono per il suo feritore).
Il ritratto di Ascanio,
lo stemma di famiglia
e una breve storia del casato.
Clicca sulle immagini
per avere una comoda lettura
Formula LXVIII (N° 68) pg 468
Il frate che bestemmia
Turpilio
è un frate che quando si arrabbia bestemmia. Un suo superiore, don Inquieto, lo
sente e lo denuncia all’Abate. Un frate presente al fatto fa la sua
testimonianza:
Domanda: An cognoscerat Turpilius de Improbis de
tali Civitate (se conosca Turpilio degli
Improbi, di tale convento).
Risposta: Io lo conosco benissimo e hora sta qui
in questa stanza.
Dom: Cuius famae sit don Turpilius apud aliis
(Che reputazione ha Turpilio presso gli
altri?)
Risposta:
Io non so in che conto
lo tengano gli altri, perché bado a casi miei.
Dom: Cuius opinionis sit apud illum? (Che opinione ha di lui?)
Risposta:
Io per me lo tengo per
buon compagno, è vero che qualche volta va in collera e si lascia uscire di
bocca qualche bestemmia.
Dom: Quo loco at tempore illum blasphemia
proferentem audierit? (Dove e quando
l’avrebbe sentito bestemmiare?)
Risposta: In molti luoghi e tempi l’ho udito e in
diverse occasioni.
Dom: An unquam illum in Claustrum et in
refectorium blasphemiantem audierit, et quo tempore (se mai l’avesse sentito bestemmiare nel convento o in refettorio e quando)
Risposta: Padre, io mi ricordo particolarmente che
il giorno di S.Lorenzo nel Claustro bestemmiò assai il nome di Dio.
Dom: Quas blasphemias dixerit? (Che bestemmie avrebbe detto?)
Risposta:
Egli disse al corpo, al
sangue e altre simili, essendo saltato in collera per non so che.
Dom: An alii essent praesentes quando talis blasphemias
protulit (Se altri fossero presenti
quando proferì tali bestemmie).
Risposta: Vi erano don Inquieto de Malitioso e
D.G.
La
sentenza: … ut recto
itinere iret ad propriam cellam, necinde descenderet, neque con aliquo
loquerentur sub pena carceris ad arbitrium dd.PP. visit illumque dimisit. (
… che andasse diritto alla propria cella, e
non uscisse, né parlasse con un altro, sotto pena del carcere, per suo volere
l’Abate lo giudicò e congedò).
Formula LXXVI (N° 76)
pg 470 Una dura condanna
Ascanio
Tamburini non scherzava quando si trasgrediva la Regola:
“Nos,
Spiritus Sancti nomine implorato, in causa contra P.N. Procuratorem huius
Monasterii, pronunciamus sententia grave peccato contra votu paupertatis tam in
convivis pro monachis quam in aliis donationibus, nempe trium anulorum aureorum
donatorum uni consaguineae … Preacipimus in carcere per tres annos includendum
ibi jejunius pani et acqua in poena tantis sceleris …
(Noi, implorato il nome dello Spirito Santo
nella causa contro P.N. amministratore del suo monastero, pronunciamo la
sentenza per un grave peccato contro il voto di povertà tanto nei convivi in
favore dei monaci quanto per altre donazioni, appunto tre anelli d’oro regalati
a una parente … Prescriviamo il carcere per tre anni includendovi il digiuno a
pane e acqua in pena per tante scellerataggini …).
Ascanio
scrisse anche il De jure Abatissarum et Monialium (Riguardo al diritto delle
Abbadesse e delle Monache) che era un codice simile a questo. Nel Seicento,
come dice anche il Manzoni nei Promessi Sposi, le ragazze delle famiglie ricche
spesso venivano messe in convento per non dividere il patrimonio. Qualcuna
aveva o maturava una vocazione ma altre no e si comportavano come se il
convento fosse una specie di collegio femminile dal quale uscire, almeno
qualche volta.
Da
quanto stiamo per leggere si capisce che non era semplice mantenere la
disciplina. Data la fama di Ascanio da molti monasteri si chiedeva un suo
parere sui vari casi che capitavano e lui rispondeva pazientemente anche alle
richieste più strane. Leggiamo:
De casibus, in quibus dubitari potest, Moniales egressu clausuram violare (Dei casi nei quali si può dubitare che l’uscita delle Monache violi la clausura)
pg 123 Disputatio XIX (n° 19)
Caso 1
Infrange la clausura la monaca che con ambedue i piedi (ambobus pedibus) oltrepassa la porta del convento? Risposta:
non è una trasgressione, se è avvenuta per pochi palmi e poco tempo.
Caso 2
La monaca che per giusta causa è uscita dal Monastero, senza il permesso della
Superiora, è soggetta a punizione? Risposta: no, se finita la giusta
causa è rientrata.
Caso 3
La monaca che entra in case contigue al monastero ha trasgredito? Risposta:
Alle monache è vietato l’accesso ai luoghi dove possono entrare dei laici.
Caso 4
La monaca che sale sul tetto (super
tegulas tecti) è uscita dalla clausura? Risposta: no, perché il
tetto è una pertinenza del monastero.
Caso 5
Se una monaca entra nella ruota e la fa girare ha oltrepassato il limite del
convento?
Risposta: Se gira la ruota verso gli estranei e non esce non
c’è violazione, ma l’atto è disdicevole.
Caso 6 Le monache autorizzate a stare in case
vicine al convento per raccogliere le elemosine se escono da quelle per altri
motivi violano la clausura? Risposta: no, perché queste case non fanno
parte della clausura.
Caso 7 La monaca che, come un maschio, siede a
cavallo (quasi equitans) del muro del
monastero infrange la clausura? Risposta: se sta seduta sul muro che
chiude l’orto non infrange la clausura.
Caso 8 La monaca che ha subito delle gravi molestie
infrange la clausura se esce per andarle a denunciare a un Superiore? Risposta:
Poterit exire si evidens periculum vitae fuisset.
Caso 9 Quando una monaca autorizzata esce dal
monastero e si trattiene in altre case, rompe la clausura se esce da quelle?
Risposta: no, perché sono tutte case esterne al
monastero.
Caso 10 Una monaca che sta sulla porta aperta (in ostio aperto) del Monastero,
infrange la clausura se per gioco rivolge la parola a compagni esterni (socis extra illud)?
Risposta:
Non infrange la clausura se non esce.
Caso 11 Una monaca impazzita
(phraenetica) se esce dal monastero è
soggetta a sanzione?
Risposta: La pazza che esce dal monastero non è
punibile.
Caso 12
Una monaca che assiste un parto, se esce per portar fuori il neonato è punibile?
Risposta: no, se è per evitare un pericolo alla vita (lex umana non tollit jus naturale servandae
vitae).
Cioè
“la legge umana non prende il posto del
diritto naturale di conservare la vita”.
E con questa bellissima
motivazione lasciamo Ascanio alle sue questioni di diritto, perché a volerle
leggere tutte si andrebbe avanti per diverse centinaia di pagine.
NOTA: Non so se interessa a qualcuno ma delle tante questa è la ricerca
che mi ha dato più soddisfazione.