Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

mercoledì 29 agosto 2012

Il "Muro" tra noi

 
di Luisa Calderoni
Foto di Sandro Mercatali, " Bucci"


Il Convento delle Domenicane
al di là del muro


C’è sempre un muro tra noi e gli altri, il muro dell’incomprensione, il muro della calunnia, dell’indifferenza, delle differenze di colore, razza, confessione religiosa, il muro della difesa o dell’offesa di un territorio.
Poi c’è il muro che ripara e accoglie…
A Marradi il “Muro” del Convento delle Domenicane separa il mondo dei laici dal mondo religioso, sotto lo sguardo severo del campanile, quasi un dito ammonitore che divide il cielo,  anch’esso, come quello di manzoniana memoria, veramente bello quando è bello.
Di là dal muro pie vergini votate alla preghiera del loro Dio e ad innocenti lavori muliebri. Delle murate vive che nell’isolamento cercano l’ascesi spirituale.
Di qua il mondo dei vivi, siano essi religiosi, atei, agnostici, rossi, bianchi o neri ma comunque votati ad altro: l’esternazione del sé.




Su questo muro scrostato, rugoso, segnato dall’inclemenza del tempo, in questi ultimi tre anni, si è espresso tutto un piccolo popolo che ha voluto mettere in mostra il sé, attraverso la più sofisticata opera d’arte ma anche con il più semplice lavoretto di cucito: dall’intreccio di un filo che si fa altro, dall’ago che guidando un filo disegna la tela e si fa pennello, dal pennello che intride e nasconde e trasforma la tela, anch’essa di semplice filo … e così il cerchio si chiude.


... l'inteccio di un filo che si fa altro ...

Dicevo, su questo muro che simbolicamente potrebbe segnare il confine tra il mondo degli esclusi e quello degli inclusi, a seconda da quale parte del muro si stia o si desidererebbe stare, ha trovato il suo spazio anche Dino Campana, forse il più “escluso” tra i nostri concittadini. Quel Dino che più di molti altri anelava ad esternare il suo mondo interiore per relazionarsi con un mondo esteriore che non era pronto ad accoglierlo, vuoi perché in tutt’altre faccende affaccendato, vuoi perché semplicemente non ne aveva voglia.
Quel Dino che nel 1914 pubblica i “ Canti Orfici”, per la sua gioia e per quella dei suoi amici che si frugarono nelle tasche, ma nell’indifferenza di molti, specie di chi non sapeva come mettere insieme il pranzo con la cena.
Poi la scoperta, l’esaltazione, la celebrazione del poeta de “I Canti Orfici” e, dulcis in fundo, anche un giretto sul “Muro” del convento.

 Nella calda serata di giovedì 9 agosto, il " Muro" è apparso vestito a festa!
Gli studenti di Stefano Scheda, docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna, sul vecchio muro hanno esposto i propri lavori ispirati al tema “La Campana di Dino” , dove il cognome del poeta gioca con la campana della chiesa delle Domenicane che chiama alla prima messa e scandisce la giornata delle suore di clausura.




Stefano Scheda, docente all'Accademia 
di Belle Arti di Bologna
   
A prima vista quante stranezze!!! Uno sventolio allegro di carte sparse, colorate ed eterogenee, come quelle che dovevano tracimare dalle tasche del giaccone di Dino, ha accolto il visitatore, perplesso alla lettura di versi del poeta trascritti da mani sconosciute, incerte, curiose, stupefatte!
Poi l’ombrello che  aprendosi ripara le cose e i luoghi di Dino e protegge una cascata di foto e di altri versi, di altre parole, che danno altre emozioni…

E dietro una porta chiusa fa l’occhiolino Campana, in un ritratto violaceo dagli inquietanti occhi di specchio in cui guardarlo e in cui cercarlo…




















 
Dal poeta alla sua opera:
 il libro che si fa altro, il " Contenitore-oggetto" che trasuda le parole trasfigurandole nella sinfonia di un ricamo d’uncinetto.
Poi ancora la testa del bel Narciso, che ci guarda da un’ umile bacinella in cui l’acqua, strumento di riflesso dell’immagine e sigillo di morte, ci riporta al mito e al canto  di Orfeo da cui forse tutto deriva.





 
E ancora le inquietanti siringhe attraverso le quali non il veleno di una orrida chemio, bensì le parole di Dino, possono entrare in noi come un magico elisir.

... le inquietanti siringhe ...


Non mancano neanche le foto degli ultimi tra gli ultimi, degli esclusi per eccellenza, i barboni, i reietti, i dimenticati da Dio e dagli uomini, trascinanti le loro misere carcasse in pertugi putridi e remoti. Ma sono appoggiate in terra queste immagini come se questi esclusi non fossero degni nemmeno di un chiodo che per un momento innalzasse le loro miserie all’altezza degli occhi dei più fortunati, degli inclusi.



 



Al di là del muro l’opulenza della Chiesa, al di qua del muro, sotto il muro, i miseri che forse saranno i “primi” in un ipotetico cielo, ma che sicuramente ora sono gli ultimi nella loro certa vita terrena.

A suggello di tanta creatività, le foto divertenti e spiazzanti di Stefano Scheda, la “mente” che ha guidato la mano di tanti studenti, il tutto avvolto nel bagno di luce violetta degli strani occhialini Wertmulleriani che ogni visitatore ha indossato almeno per un momento, almeno per curiosità…  .


                                           







Altre foto realizzate da Sandro Mercatali detto " Bucci" nella serata del 9 agosto 2012























 











 










 








Questa serie di fotografie ha colpito molti visitatori.
Una donna sta immobile, coperta da tre sottili veli colorati di sfoglia,  che lentamente si stracciano fino a lasciarla nuda.
Secondo alcuni il significato si coglie confrontando la prima foto, elegante, con l'ultima, nella quale si vede la donna con il volto coperto dai capelli spettinati e senza alcuna posa.


La realtà di una persona è molto diversa dal suo atteggiamento esteriore...


Secondo altri la serie di foto rappresenta l'Italia che progressivamente viene spogliata fino a rimanere completamente nuda ...
Anche questa interpretazione non è male. Magari è meno artistica, però è molto attuale ...


Secondo Scheda la serie di foto è una rappresentazione del male delle donne moderne, l'anoressia, per cui il corpo, inizialmente vestito di ciò di cui si nutre,  e che al contempo vuol negare, progressivamente si libera del cibo mostrandosi indifeso nella sua nudità fisice morale...











































Il tempo è volato, qui alla mostra, proprio come le fotografie e le immagini che la signorina espone appese al suo ombrello








sabato 25 agosto 2012

Alla ricerca di Dino

La corrispondenza 
di Federico Ravagli e Manlio Campana
 con il segretario comunale Buccivini
di Luisa Calderoni



Il poeta da vecchio
.

Questo articolo è il seguito di " E un giorno arrivò Dino..." in archivio su questo blog al giorno 4 luglio 2012.

Federico Ravagli continuò a cercare notizie su Dino Campana mantenendo i contatti epistolari con Giovanni Buccivini Capecchi, al tempo Segretario Comunale di Marradi, come risulta in questa lettera, del 10 novembre 1949:

 



Clicca sulle immagine per ingrandirle 
fino ad avere una comoda lettura


Anche successivamente Ravagli tornò a chiedere con insistenza notizie dei luoghi in cui visse Dino Campana e dal poeta descritti nei Canti Orfici, come si legge nella lettera qui sotto:





  



Corrispondenza Ravagli - Buccivini
Bologna 20 gennaio ‘50


Pre.mo Signor Buccivini Capecchi,

voglia scusarmi se, per un complesso di circostanze, non mi è stato possibile rispondere prima d’ora alla sua ultima lettera, per ringraziarla delle informazioni fornitemi, relative alla vita di Dino Campana a Marradi.
Altre notizie mi sarebbero necessarie per la elaborazione del volume al quale attendo. Dopo le distruzioni di guerra, permangono tuttora illese, cose costruzioni località di cui il poeta ha scritto nei “Canti Orfici”?
C’è ancora la “Madonnina del Ponte”, che ispirò il poeta ne “L’invetriata”? E il palazzo del Comune dalla “Cupola rossa che ride lontana con il suo leone”? E la filanda, con la sua successione di archi?
Ma io troppo ho abusato della Sua cortesia e non voglio disturbarla oltre. Mi riprometto di fare, tra breve, un sopraluogo: e così avrò anche il piacere di conoscerla di persona.

Gradisca intanto i miei saluti cordiali e devoti.      
Suo     Federico Ravagli

 
Corrispondenza Ravagli - Buccivini
da Marradi, 2 marzo 1950


Il segretaro Buccivini rispose al Ravagli mettendolo al corrente delle cose che non esistevano più e di ciò  che si era  salvato dalle distruzioni della guerra.



Preg.mo Sig. Prof. Ravagli

Mi perdoni il ritardo.
Per le altre notizie che Ella mi chiede a completamento del suo lavoro sul poeta Campana, le riferisco che:
In seguito alle azioni belliche “La Madonnina del Ponte” è scomparsa con la distruzione del ponte stesso. La cupola della torre dell’orologio del Palazzo Comunale è rimasta illesa con il suo leone rampante in lamiera. Un tempo la cupola stessa appariva di colore rosso in quanto i mattoni (materiale cotto) coi quali fu costruita erano scoperti e cioè senza intonaco e poi, in seguito a restauri, fu intonacata a cemento.
Esiste tutt’ora la “successione di archi” dell’ex filanda (inattiva da circa quarant’anni) visibile da una strada secondaria di questo centro. Non abbia alcun riguardo a scrivermi, poiché sarò sempre lieto di esserle, pur modestamente, utile a qualche cosa.



 Ndr: In questa lettera il Buccivini fa riferimento ad un edificio caratterizzato da una sequenza di 10 archi a tutto sesto, sovrastanti portoni e finestroni, incorniciati da elementi in laterizio e pietra serena, che si trova in Via Razzi ed era sede della Filanda di Enzo Bandini. Queste le parole di Dino Campana:

Marradi (antica volta. Specchio velato)
( …)  e i campanili si affollano e nel nereggiare inquieto dei tetti al sole
una lunga veranda che ha messo un commento variopinto di archi!



Documento n.1
Scritto su un foglietto comunemente  usato negli anni ‘60 dai commercianti di generi alimentari per fare “il conto” ai clienti, questo documento ci racconta brevemente la storia della “Madonnina del Ponte”…


" La Madonnina del Ponte" da l' " Invetriata" di Campana:
Si tratta di una Madonna di Luca della Robbia posta nell’antico ponte di Marradi al centro di una celletta. Quando il ponte fu tolto per essere sostituto con quello più moderno, la Madonna fu murata in un terrazzo della casa di proprietà Benini Angelo sul terrazzo che guardava il Lamone e visibilissima dal ponte.


La casa che portava sul comignolo una croce di ferro era un antico convento? Certo era stata costruita nel 1200 come testimoniava una lapide posta all’interno della casa nelle stanze superiori alle quali si accedeva per un’antica scala strettissima. La Madonna fu valutata da stimatori fiorentini accompagnati dal Podestà Federico Consolini £ 28.000.
Un’altra Madonna del Della Robbia fu venduta a Marradi per £ 21.000 da Camillo Fabroni.


Corrispondenza Manlio Campana, fratello di Dino
e il Segretario Buccivini.  Bibbiena,14 novembre 1952

La lettera che porta la firma  di Manlio, è scritta a macchina, tranne un P.S finale scritto a mano dallo stesso Manlio.

Caro Cav. Buccivini,

oggi in plico raccomandato, Le ho inviato : a) una copia, quasi nuova , dei “Canti  Orfici” edizione Ravagli  1914; b) una copia intonsa e involta in cellofan della recente IV edizione del Vallecchi; c) un libricino raro (fortunatamente, perché contiene un cumulo d’inesattezze) ma pur interessante perché contiene alcune riproduzioni fotografiche di qualche interesse . Se lo riterrà opportuno (come mi parrebbe) potrà collocarlo in vetrina, sopra i due volumi chiusi, al centro, aperto com’è coi ritratti del Babbo e del Figliuolo in bella (e spero) gradita evidenza.


Scusi la scrittura, e accolga i saluti
e i ringraziamenti cordiali del Suo Aff.mo   M. Campana


P.S. La prego di conservare Lei i volumi in modo che non vadano smarriti. M.C

Corrispondenza Ravagli - Buccivini
Bologna, 19 Settembre 1954

Preg.mo Signor Cavaliere,

Ho ricevuto l’invito a presenziare alla commemorazione di Dino Campana. Poiché difficilmente mi sarà possibile venire a Marradi la mattina del 26 corrente, verrò certamente ad ascoltare la commemorazione che sarà fatta alle ore 15 e ripartirò col treno delle 18,30. Mi propongo di scriver qualcosa sull’argomento: e pertanto la pregherei di farmi sapere con cortese sollecitudine il nome dell’oratore designato a parlare nel “ Teatro Animosi” (“Animosi o degli Animosi”? Si tratta di un cognome o di un aggettivo?)




Nell’attesa Le invio, coi ringraziamenti, i miei distinti saluti.
Federico Ravagli                 Via Amendola,3-Bologna


Documento n° 2
Trascrizione di una testimonianza, senza indicazioni di nomi, ma che si riferisce alla nota abitudine di Campana di recarsi in Comune per farsi battere a macchina pagine dei “Canti Orfici” in previsione della loro stampa.

Alla R.A.I     7 gennaio 1955

Sono pensionato, dopo oltre 50 anni di servizio presso l’Amministrazione Comunale di Marradi, quale capo ufficio di Stato Civile ed anagrafe. E’ quindi naturale che io abbia conosciuto bene Dino Campana anche perché coetaneo di lui: io del 1888 ed egli del 1885.
Non ho molto frequentato il Campana ma posso narrare di lui un fatto particolare relativo all’epoca (1914) in cui egli stava preparando i “Canti Orfici” per la stampa che affidò all’allora locale tipografia- assai modesta- di certo Bruno Ravagli.
Dino veniva in quel tempo nel mio ufficio e, senza se le esigenze del servizio lo permettevano, ordinava a un dattilografo di battergli a macchina i suoi versi che egli dettava da degli appunti presi su pezzetti di carta straccia e che tirava fuori dalle varie tasche del suo vestito.
Accadeva spesso che il dattilografo commetteva degli errori nella scrittura e quindi il Campana, dopo un secco rimprovero, non esitava a strappargli il foglio e a fargli ripetere la battuta.
Questo si verificava per vari giorni a fila e, ciononostante io e il dattilografo lo sopportavamo pazientemente. Dopo tutto Dino aveva un animo buono, al termine di ogni battuta non ci lasciava mai senza un grazie sommesso accompagnato dall’atteggiamento della bocca sorridente.

Nota: Secondo Francesco Cappelli il dattilografo era tal Mughini, nonno del giornalista Gianfranco Mughini


Agli inizi degli anni ‘50 l’Amministrazione Comunale di Marradi si adopera per commemorare Dino Campana. Tra gli invitati alla cerimonia c’è anche Federico Ravagli, come documentato dalle due  lettera seguenti inviate dal Buccivini, Segretario Comunale di Marradi, a Manlio Campana, fratello di Dino.
Corrispondenza Manlio Campana - Buccivini.
Marradi,15 febbraio 1957

Egregio Commendatore,
è giustissimo quanto Ella esprime in merito al ricordo che dovrebbesi avere del nostro carissimo Dino. Appena ricevuta la Sua lettera mi sono subito recato in Comune ed ho parlato della cosa ai nuovi Amministratori. Questi si sono dimostrati premurosi perché la ricorrenza del 25° anniversario della morte dell’insigne poeta nostro concittadino non passi inosservata; mi è stato assicurato che prima di domenica prossima (probabilmente stasera) delibereranno sul da farsi, in adunanza di Giunta. Sarà mia cura d’informarla su quanto verrà deciso.
Con particolari ossequi            Dev.mo   Buccivini Capecchi


Corrispondenza Manlio Campana -Buccivini.
Marradi, 21 febbraio 1957

Comm. Manlio Campana
Via Gerla 24   Palermo

Egregio Commendatore, faccio seguito alla mia lettera del 15 corrente per informarla che, secondo quanto mi ha riferito verbalmente il facente funzione di Sindaco, l’Amministrazione Comunale ha deciso, per la ricorrenza del 25° anniversario della morte del nostro poeta Dino, di pubblicare un apposito manifesto. L’Amministrazione stessa si riserva poi di studiare nuovamente la possibilità di traslare la salma del Poeta a Marradi. Vorrebbe Ella mettersi intanto in corrispondenza col nostro Sindaco Prof. Antonio Cassigoli?


Gradisca ancora cordiali saluti       Dev.mo    Buccivini Capecchi





A destra: Un momento della commemorazione alla casa del poeta. Allora non c'era il traffico di oggi e si poteva occupare la sede della strada statale così. 






sabato 18 agosto 2012

La scoperta della necropoli dei Galli


Gli scavi di S.Martino in Gattara
condotti dalla dr.ssa Giovanna Montanari Bermond



Negli anni Sessanta la scoperta di una necropoli molto antica a S.Martino in Gattara fece notizia in tutta la vallata. Nei campi dietro l'attuale cimitero furono eseguite due campagne di scavo che diedero un buon esito. Questa che segue è la descrizione delle scoperte del 1963, tratta dal testo in bibliografia. Si parla di "necropoli gallica" perché questa è la prima interpretazione che si diede ai reperti, ma secondo gli scavi successivi (1968, 1969, 1972 1978) le tombe potrebbero essere di popolazioni umbre o addirittura etrusche.

  •  Gli scavi del 1963 e del 1968
Da qualche decennio  gli abitanti di S.Martino in Gattara erano a conoscenza dell'esistenza di reperti archeologici nei dintorni. Nel 1951 le autorità competenti procedettero anche ad alcuni sequestri di materiale, che fu consegnato alla Sovrintendenza alle Antichità di Bologna. La prima esplorazione sistematica fu effettuata nell'estate  del 1963 dalla dr.ssa Bermond. Si scavò nel podere Ospedale, a poche centinaia di metri dal centro abitato. Dallo stesso podere proveniva il materiale sequestrato nel 1951 e classificato dalla Sovrintendenza come appartenente ad una necropoli gallica. Lo scavo del 1963 mise in luce due muri costruiti con ciottoli di fiume, senza alcun legante, disposti abbastanza irregolarmente. I muri formavano un angolo acuto con due lati rispettivamente verso ovest e nord ovest per 40m e per32,5m (vedi qui accanto).
A circa 11m in direzione est apparve un recinto circolare, delimitato da lastre d'arenaria alte 60 - 80cm e larghe 30 - 36cm, disposte in coltello, con un diametro di 35m.
All'interno di questo recinto il terreno era leggermente sopraelevato al centro, tanto da suggerire l'idea di un tumulo, però al centro non c'era nessuna sepoltura, e le tombe erano disposte lungo la circonferenza.
Nel 1963 furono scavate 14 tombe e altre 10 vennero alla luce durante gli scavi del 1968. Sono state anche trovate le fondazioni di due edifici rettangolari, fatti di ciottoli di fiume, sicuramente costruiti per scopi funerari che non ci sono noti.

  • La necropoli
 Gli scavi hanno messo in luce che gran parte delle tombe erano già state saccheggiate in tempi antichi e che le sepolture coprirono un lasso di tempo di circa un secolo. In una tomba venuta alla luce nel 1969 è stata trovata una Kylix attica (un calice di ceramica) a figure nere, manifattura tipica degli ultimi decenni del secolo Sesto avanti Cristo. Nelle tombe n° 10 e 12 è stata trovata della ceramica attica a figure rosse databile al 440 - 420 a.C. 


 

A destra: la kylix a figure nere,
usata per la datazione delle tombe

A sinistra: il vaso di ceramica a figure rosse (440 - 420 a.C.)



I resti scheletrici erano tutti mal ridotti, dato il gran tempo trascorso dalla sepoltura e il metodo usato.  Il morto era disteso supino, coperto con lastre d'arenaria, orientato da ovest a est, con il corredo funerario ai lati della testa. Le armi erano poste sopra le spalle, così come d'uso al di là delle Alpi. Questi dettagli fanno supporre che queste popolazioni non fossero autoctone, ma discese in Italia dalla Gallia. A partire dalla fine del Quinto secolo pare che le sepolture cessino, come se la popolazione si fosse trasferita.

  • La descrizione delle tombe scoperte nel 1963
 Tomba 1 Vi era sepolto un uomo. Si trovarono delle punte di lancia e un coltello posto all'altezza della spalla destra, oltre a otto vasi di terracotta di forma varia.

Tombe 2, 3, 4  Sono tombe  depredate. Sono emersi pochi resti scheletrici e cocci di ceramica.
Tomba 5 Era la sepoltura d una donna. La parte più pregevole del suo corredo funerario è una collana d'ambra formata da 40 elementi.
Tombe 6 e 7 Sono due sepolture maschili,  con coppe e fibule di bronzo.
Tombe 8 e 9 Nella n°8 era sepolto un ragazzo di 10 - 12 anni, nella n°9 un maschio adulto, con il solito corredo di coppe di ceramica e fibule di bronzo.
 

Tomba 10 C'è un ricco corredo funerario, con un elmo, ma anche oggetti che farebbero pensare a una donna. I resti ossei esili sembrano femminili ed è possibile che qui siano stati deposti due individui in tempi successivi.



 Clicca sulle immagini se le vuoi ingrandire

 
Accanto a sinistra: 
il calderone di lamina martellinata. 
Qui sotto a sinistra: un elmo,  

Accanto a destra: la kylix attica 
a vernica nera.  
Qui sotto a destra: un askos, 
forse un lume a olio.

 
La tomba 10 è la più ricca. C'è un grande calderone di lamina martellinata, formato da due calotte, un elmo, una brocca di terracotta di pregevole fattura e altro ancora.
Soprattutto è stata trovata la kylix attica a vernice nera che ha permesso di datare la necropoli, come abbiamo detto prima e un askos, forse una oliera o un lume a olio, con due civette.

  
Tombe 11, 12, 13 14 Sono sepolture già depredate, che però hanno fornito dei buoni reperti, come si vede qui accanto.




      

 Chi era l'archeologa 
che condusse gli scavi 
di S.Martino in Gattara?


Giovanna Montanari Bermond (Lugo 1924 - 2011) laureata in Lettere e diplomata alla Scuola Archeologica di Roma, per molti anni fu ispettore della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell' Emilia Romagna.
Specializzata in preistoria, condusse molti scavi: nella Grotta del Farneto, alla Fornace Cappuccini a Faenza, nell'area dell’età del bronzo di Valle Felici (RA), a S. Martino in Gattara, a Misano e a Riccione; diresse anche gli scavi della città romana di Mevaniola, a Galeata, della villa romana di Fiumana e di quella di Meldola. 


Fonte: Collana "Brisighella ieri e oggi" n°1, edito da So.Gra.Ro, 1970 per conto del Comune di Brisighella (Il libro è disponibile presso le Biblioteche comunali di Brisighella e di Marradi).


sabato 11 agosto 2012

Siamo andati a vedere la luna



Una notte all'osservatorio
di Monte Romano
di Claudio Mercatali



L'osservatorio il 28.07.2012



E' una bella serata questa del ventotto luglio. Il Sole è tramontato da poco e l' osservatorio che si staglia sull'orizzonte ovest fa un bell'effetto. Siamo qui in cento per vedere la Luna guidati da un astrofilo del gruppo Antares, che gestisce l'osservatorio.

Non c'è oggetto celeste che abbia fatto fantasticare tanto gli uomini come la Luna. Qfwfq, l'immaginario protagonista delle Novelle Cosmocomiche di Italo Calvino dice che una volta, nelle notti di plenilunio, la luna toccava quasi la Terra ed era possibile salirci sopra. Il punto in cui era più vicina erano gli Scogli di Zinco. Mettendo una scala Qfwfq, il capitano Vhd Vhd, sua moglie, il cugino sordo di Qfwfq e alle volte anche la piccola dodicenne Xlthlx andavano a raccogliere il cremoso latte lunare. La fantasia di Calvino non era tanto distante dalla realtà, perché i suoi racconti sono del 1963 e il 20 luglio 1969 gli uomini scesero davvero sul nostro satellite. Non erano Vhd Vhd, Qfwfq, e il suo nipote sordo, ma Amstrong, Collins a Aldrin, gli astronauti dell'Apollo 11. Atterrarono, o meglio allunarono, nel Mare della Tranquillità, alle 22.17 (ora italiana).

Eh si! perché sulla luna ci sono i mari e i monti. In realtà i cosiddetti mari sono delle polverose pianure con un sottosuolo di basalto, eruttato quando il nostro satellite si formò, qualche miliardo di anni fa. Poi ci sono i monti, che tutto sommato sono simili ai nostri. Gli astronomi dell'Ottocento curiosamente li battezzarono con gli stessi nomi di quelli terrestri e quindi ci sono gli Appennini lunari, le Alpi lunari e così via.
La superficie lunare è cosparsa di crateri da impatto, perché non c'è atmosfera e le meteore non si consumano per attrito ma arrivano direttamente al suolo. Invece le meteore dirette sulla Terra si incendiano formando le scie luminose che chiamiamo stelle cadenti. Ce ne sono molte questa sera, perché ci stiamo avvicinando al cosiddetto sciame delle Perseidi, che sarà raggiunto il 10 agosto nella notte di S.Lorenzo.
Il telescopio principale è già puntato e uno alla volta saliamo la scaletta per vedere. La Luna è di quarto o poco più e all' obiettivo abbaglia. L'astrofilo ci spiega tante cose e ci invita e proseguire l'osservazione all'esterno dove ci sono altre persone con binocoli e telescopi più piccoli che danno delle interessanti informazioni.

Il telescopio principale punta la luna.

Per osservare la luna non serve una grande attrezzatura e un normale binocolo è già uno strumento che consente di cogliere tanti dettagli.


Questo qui accanto è un binocolo su treppiede adatto allo scopo. Tutti chiedono: quanti ingrandimenti ha? La guida spiega che questa non è l'unica caratteristica utile per l' osservazione notturna, perché gli ingrandimenti servono poco se il binocolo non raccoglie abbastanza luce e dà un'immagine buia. Una regola semplice dice di leggere la scritta impressa su ogni strumento: 7x50 significa che lo strumento dà sette ingrandimenti con un obiettivo di 50mm di diametro.
Più è alto il rapporto tra diametro e l'ingrandimento e migliore è la resa di notte. Dunque se per esempio si usasse un binocolo 10x50 si avrebbero tre ingrandimenti in più ma una immagine più buia e quindi peggiore.

E ora andiamo, passiamo per i mari e i monti lunari. Si parte dal Mare Imbrium (mare delle piogge o delle ombre) a nord, e si scende. La mappa lunare qui sotto ci indica la via. Dopo aver valicato gli Appennini Lunari si entra nel Mare Serenitatis e poi nel Mare Tranquillitatis, dove sbarcarono gli astronauti dell'Apollo 11. Lì accanto, isolato, c'è il Mare Crisium (il mare delle crisi) però, più a sud, c'è anche il Mare Nectaris (il mare del nettare).

Clicca sulla mappa se la vuoi ingrandire


Questa sera si vede bene il cratere Copernico, alla fine degli Appennini lunari.
Se la luna fosse piena, vicino al polo sud lunare si vedrebbe il grande cratere di Ticho, che attorno ha le tracce del materiale proiettato quando avvenne l'impatto violento che lo generò.
Ticho Brahe era un astronomo del Cinquecento, che fu maestro di Keplero. Personaggio singolarissimo e smodato, si dice che sia morto perché gli scoppiò la vescica dopo un'enorme sbornia di birra. E' sepolto nella chiesa di Thin, a Praga, nella piazza dell'orologio.
Se non gli avesse lasciato i suoi quaderni, Keplero probabilmente non avrebbe formulato le sue famose leggi. Per questo si è guadagnato un posto nella storia dell'astronomia e gli è stato dedicato il maggiore cratere lunare.

Fra notizie e curiosità il tempo è volato e siamo alla mezzanotte. L'osservazione è finita e l'astrofilo ci invita e fare un salto nel seminterrato dell'osservatorio dove c'è una bella mostra di foto fatte qui.

Ci avviamo al parcheggio dopo aver dato un ultimo sguardo in alto perché passa un puntino bianco, cioè un satellite artificiale. Continua anche la pioggia delle stelle cadenti e non avrei detto che fossero così tante.