Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

mercoledì 27 gennaio 2021

Le cartoline dei librai di Borgo San Lorenzo

Una serie di vecchie immagini delle cartolibrerie Maestrini 
e Mascherini
ricerca di Claudio Mercatali



Queste due librerie sono state attive a Borgo San Lorenzo fin dall' Ottocento. Nell' Annuario del Regno 1899 che è qui accanto sono già elencate assieme agli altri commercianti del paese.



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LE CARTOLINE DELLA LIBRERIA MAESTRINI






Una foto del Passo della Colla del 1933 scattata dalla pendice soprastante all'albergo, del quale si vede il tetto.













Saluti dalla Colla e dalla capanna Marcone












Madonna dei Tre Fiumi all'incirca negli anni Trenta.












La cascata di Valbura




Alla stazione di Crespino



  


Crespino del Lamone. Il ponte di ferro della ferrovia che è in paese fu minato dai Tedeschi nel 1944 e oggi è di cemento armato. La stessa sorte toccò al ponte di Valbura, poco oltre l'abitato.





Casaglia alla fine degli anni Quaranta.























LE CARTOLINE 
DELLA LIBRERIA MASCHERINI



L'inizio di via Talenti negli anni Trenta. Il palazzo del Credito Romagnolo venne costruito nel 1925 - 1928 al posto di un edificio precedente, demolito perché troppo vecchio.





Viale Baccarini alla fine degli anni Trenta. La foto si può datare in base all'aspetto degli edifici sullo sfondo, a sinistra, che furono rasi al suolo da un bombardamento del 1944. Il campanile ha il terrazzino (1930 - 31) e c'è il villino Pratesi, a destra.



Biforco, anni Trenta


Lutirano anni Trenta. La chiesa ha la cella campanaria "a vela". Il campanile attuale è degli anni Settanta.


La cascata di Valbura. Il ponte di ferro oggi è di cemento armato (1956).

Il villino Parpagnoli, a Ronta, con il ponte di ferro, che oggi è di cemento.



Il Lamone e Cardeto prima della costruzione della diga dell'Annunziata.

La classica veduta di Marradi dalle pendici di Monte Colombo.













Il palazzo comunale nei primi anni Trenta. Da pochi anni sono stati aggiunti i due archi a destra e si vede che la muratura è più recente dell'altra.






1920 -1930 Questi sono gli anni d'oro dell'Hotel Gran Fonte dell'Alpe, che aveva un risedio all'esterno, che si vede anche oggi, in rovina.









Per ampliare
Nel tematico del blog, alla voce ci sono altre raccolte di foto d'epoca. 






La statua di bronzo del monumento ai caduti, eretta nel 1926, venne fusa nel 1942 per "donare il bronzo alla patria".












































giovedì 21 gennaio 2021

1781 Il terremoto

Una serie di scosse devasta
l’appennino romagnolo
ricerca di Claudio Mercatali


Gli epicentri dei terremoti in Romagna negli ultimi secoli. Quello di cui si parla ora fu a Quartolo, vicino a Errano.

Nell’aprile e nel luglio 1781 la valle del Lamone fu scossa dal terremoto. Un sisma violento devastò Brisighella, Modigliana e anche Marradi.

Leggiamo dallo storico Antonio Metelli come andarono le cose a Brisighella:


“… Il quattro di Aprile, sull’ora terza della notte (= fra le 10 e le 11 di sera), mentre tutti erano immersi nel sonno, si udì un rombo e, a detta di alcuni, una funesta luce. Avvenne un orribile sommovimento di suolo, con tanto scroscio di muri, con tanto rovinio di travi e di sassi, che ad ognuno parve che l’ultima ora ne soprastasse. Spaventate e mezzo ignude sbalzarono precipitosamente le genti sulle vie con urli e miserabili lamenti. In men che non si dica tutti si trovarono sulla piazza (di Brisighella) davanti alla chiesa a gridare pietà e misericordia e i preti credendo che a quelle sacrate mura per supplicare la Madonna accorressero, con improvvido consiglio dischiusero le porte del tempio. Molti vi trassero, ma viste le mura screpolate e la chiesa sparsa di rottami non ardirono entrarvi e passati alla chiesa dell’Osservanza vi furono dai Padri con la sacra pìsside benedetti…”.

 
La Chiesa dell'Osservanza

Questo è anche oggi un classico dei terremoti. La gente nel panico corre verso un edificio pubblico che spesso è più a rischio della propria casa, e in genere è una Chiesa, o il Comune o la sede della Misericordia.

Quanti danni ci furono a Brisighella?
“ … Stettero tutta la notte aspettando il giorno e all’ alba videro la facciata della chiesa Collegiata quasi in rovina, la chiesa del Rosario per metà eguagliata al suolo, e il centro di Brisighella ridotto a un mucchio di ruine. Sebbene di morti non s’avesse a dolere molti furono coloro che uscirono pesti di sotto le ruine e fra i quali mosse a pietà il caso di una monaca alla quale cadde addosso la volta della cella, e fu liberata dal peso dei rottami e portata in salvo su un materasso…”.

E nelle campagne? I danni furono notevoli, soprattutto verso Faenza, perché il terremoto aveva l’epicentro nella collina romagnola. A modo suo anche lo storico Metelli coglie questo fatto e non essendo un esperto lo descrive così:
“… Non uniformemente aveva spaziato il flagello o fosse che la vena del gesso (= la roccia sotto Brisighella) temprasse il movimento o avesse la sua sede più lontano, accadde che l’occulta forza con maggior forza percosse a S.Rufillo e a Quartolo…”.


La chiesa di San Rufillo è vicina 
all'ultimo passaggio a livello 
prima di Faenza


Allora, come nei terremoti odierni, ci fu chi scampò per miracolo:
“… Narrano che a Montecchio un monte si spaccò e i muri delle case si aprirono fino a vedere le stelle e poi si rinserrarono. Domenico Bandini di S.Rufillo ebbe la casa distrutta. Restati illesi lui e la moglie corsero dove i bambini dormivano e videro il luogo in ruina. Disperate grida gettarono, ma dall’aia venne risposta, perché il lettuccio ivi era sbalzato e sani e salvi li trovarono. La famigliola di Antonio Dardi rimase sepolta nelle macerie e fu liberata tranne una bambina che trovare non si potè. Dopo alcune ore di scavo si giunse al punto in cui il tenero corpicello giaceva, e la rinvenirono sotto un travicello che dolcemente se ne dormiva. Giuseppe Giacometti di Pideura uscito dalle ruine andò in cerca della figlia che aveva messo a dormire in una cesta. Ma il luogo era crollato ed egli la credette morta. Solo al mattino, convinto di scoprire il cadavere, rimosse gli ammontati sassi, girò la cesta che si era rovesciata e la bambina sotto gli sorrise. Don Stefano Collina, parroco di S.Giorgio a Vezzano rimase per tutta la notte sepolto sotto le macerie, protetto da una tenda che gli parò la grandine dei cadenti sassi…”.

Non andò così bene a tutti, perché le cronache ci dicono che i morti nel contado furono venti. Nei giorni seguenti si svolse un triduo di suppliche e preghiere:
“…I Governatori stabilirono che per tre giorni la Vergine si supplicasse e il Pontefice si pregasse affinché con l’erario venisse a sussidio del danno. I moti però continuarono e i Governatori chiamarono l’abate Anquissola, che per tre dì orasse e i nostri a penitenza chiamasse e finalmente per qualche tempo il tremito della terra cessò. Però il diciassette luglio la terra con tanto impeto trabalzò che parve dissolvere si volesse. Così vissesi ancora per molti mesi e poi venutisi assicurandosi gli animi e cominciati i freddi a mordere a poco a poco tutti tornarono alle usate abitazioni…”.

Come andarono le cose a Marradi? La Gazzetta Toscana descrisse il sisma così:
“Mercoledì sera, 4 aprile 1781, alle ore 10 e 20 minuti circa, s’intese una scossa di terremoto alquanto sensibile con qualche sorta di romba, proveniente da Settentrione. Nella notte replicò un’altra scossa alle ore 4 circa, e durò non meno di due minuti. Si sente (dire) che abbia recati non pochi danni verso Brisighella e Faenza, nella Romagna Papale”.
Gazzetta Toscana n° 14 del 7 aprile 1781

La scossa provocò diversi danni:
“A Modigliana durò non meno di due minuti e fu si forte che rovinarono la metà dei camini, alcuni pavimenti e si fecero fessure in quasi tutte le case. Vengono appresso dappoco gli stessi tristissimi dettagli anche dagli altri paesi. Verso Rocca S.Cassiano si è spaccato un monte in due parti con grande spavento dei popoli circonvicini”.
Gazzetta Toscana n° 15 del 14 aprile 1781

Sempre nella Gazzetta Toscana, nell’agosto 1781 si legge che:

“La clemenzia Regnante essendo informata dei danni cagionati dai recenti terremoti nelle comunità di Rocca S.Cassiano, Marradi, Tredozio, Portico, Premilcore, Sorbano e Badia Tedalda e volendo oltre agli altrj provvedimenti già presi per riparare alle urgenze degli abitanti dei Luoghi che in dette località sono stati più danneggiati sollevare generalmente nelle attuali circostanze tutte le Comunità predette e i loro Comunisti e Individui con estendere ancora in favore delle medesime le esenzioni ultimamente accordate ad altre Comunità state similmente danneggiate dai terremoti, comanda che le predominate Comunità restino assolte da un’intera annata della Tassa di Redenzione. La S.A.R. (Sua Altezza Reale) inoltre assolve e libera dalla Tassa del Macinato per il tempo sopradescritto tutte le bocche di dette Comunità.                Dato in Firenze il 31 luglio 1781


La Tassa di Redenzione era una specie di IRPEF 
dell’epoca. I piccoli proprietari la pagavano in misura fissa, i più ricchi in percentuale variabile.
La Tassa sul macinato si pagava al molino, un tanto per ogni chilo di farina. Era la tassa più odiata.

Anche a Marradi ci furono delle funzioni religiose benaugurati, per il Granduca, che aveva sospeso il pagamento delle tasse:
 “Essendosi degnato Sua Altezza Reale (= il Granduca di Toscana), nostro clementissimo sovrano, di esentare questo pubblico dall’annuale pagamento della Tassa di Redenzione e del Macinato, per i danni sofferti dal violento terremoto del 4 aprile e 17 luglio dell’anno corrente, fu deliberato di farsi un devoto triduo, per impetrare all’Altissimo ogni bene e prosperità ai nostri Reali Sovrani, che fu eseguito nei giorni 12,13,14 agosto nella Chiesa delle Monache, apparata e illuminata con copiose quantità di cere e torce e con invito generale di sacerdoti tanto focolari che regolari”.
Gazzetta Toscana del 17 agosto 1781

Le funzioni religiose non si svolsero nella chiesa arcipretale perché era in costruzione e non aveva ancora il tetto. Non fu danneggiata e il Comune non perse i 3500 scudi che stava spendendo per costruirla (era molto).



Bibliografia Antonio Metelli Storia di Brisighella e della Val di Lamone, La Gazzetta Toscana. Altre notizie si trovano in Matulli La via del grano e del sale.

venerdì 15 gennaio 2021

Bianca Fabbroni Minucci

La pittrice innamorata 
di Gamberaldi
Ricerca di Claudio Mercatali

 Autoritratto

Bianca Fabbroni coniugata Minucci nacque a Gamberaldi nel 1878 nella villa di famiglia, sito amatissimo soggetto di tanti quadri, dove è sepolta nel cimitero accanto alla chiesa. Nell’ottobre 1900 sposò Giovan Battista Minucci, di Livorno, e da allora la sua vita fu un alternarsi di soggiorni nella nostra montagna e alla villa marina di Arzignano.



Nel 1916 ad Arzignano arrivò Dino Campana, che rimase in casa sua qualche tempo e le donò la poesia All’Italia, che disse di aver composto per lei e la sua amica Bianca Lusèna. Non era vero, la poesia era stata pubblicata qualche tempo prima con il titolo Domodossola nella rivista La Riviera Ligure.



Bianca Lusèna


Gabriel Cacho Millet riferisce nel suo libro Le mie lettere sono fatte per essere bruciate che Bianca Lusèna descrisse così Dino Campana: “scontroso, silenzioso, pensoso e triste. Tutto il suo bagaglio era una valigia di vimini ovale, che sembrava più una cesta che una valigia. In essa teneva qualche vestito, libri, in particolare parecchie copie dei Canti Orfici … e una sciarpa nera, anche se era estate …”.
I quadri di Bianca nel primo Novecento piacquero abbastanza e il periodico romagnolo La Piè nel 1922 le dedicò un ampio editoriale che mise a fuoco la sua arte più di quanto si possa fare ora continuando questi discorsi. Guardiamoli:
  



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A sinistra: Venezia

A destra: Bianca a Gamberaldi


I soggetti dei quadri di Bianca sono tanti, quelli che seguono sono tutti della nostra zona o della sua famiglia.



L'asilo di Marradi, anni Trenta


Il giardino della villa di Antignano (Livorno) dove passò qualche giorno Dino Campana.


La filanda di Giuseppe Guadagni, a Marradi.


La filatura, villa di Gamberaldi. Il podere sullo sfondo è Pianello.


Il castagneto


A destra: Il pozzo della villa di Gamberaldi.
C'è ancora è davanti alla casa.
Sotto: Lina Fabbroni


 


















Casa Bandini, a Lutirano











Il mercato di Marradi, anni Trenta







La filatura della seta a Marradi


Per ampliare

Marilena Pasquali, Di pittura e di altre bellezze, serie "I quaderni del Centro Culturale Dino Campana”.





sabato 9 gennaio 2021

Le antiche unità del Granducato




Le misure prima del Sistema Metrico Decimale



Il Sistema metrico decimale venne introdotto al primi dell’ Ottocento nel periodo napoleonico. Fu una rivoluzione che fece tabula rasa di tutte le unità antiche. Però anche nei decenni precedenti si era sentita la necessità di unificare le regole, perché ogni mercato aveva le sue unità di misura e c’era una gran confusione. Per questo il granduca Leopoldo I nel 1782 mantenne le vecchie unità ma prese a riferimento le misure della città di Firenze e fece pubblicare delle Tavole di Ragguaglio per confrontare con queste le unità di tutti i comuni del Granducato, compreso Marradi. Si tratta di Tabelle con equivalenze un po’ strane per noi e serve un ripassino di aritmetica di base per capire quello che leggeremo fra un po’. Com’è fatto un numero? Che cosa indica? Vediamo:

Il nostro sistema numerico è decimale e posizionale, ossia il valore di ogni cifra dipende dalla sua posizione. Per esempio la scrittura 123 significa: “3 unità, 2 decine, 1 centinaio” invece il numero inverso 321 significa “1 unità, 2 decine, 3 centinaia”.

Lo zero si può trovare all’interno del numero (zero mediale), alla fine o all’inizio (zeri operatori). Lo zero mediale dice che la quantità in quella posizione è nulla: per esempio la scrittura 102 significa “2 unità, nessuna decina, 1 centinaio” invece lo zero operatore finale moltiplica per dieci il valore del numero. Per esempio 200 è dieci volte più di 20, ma se sta davanti lo divide per dieci. Per esempio 0,2 è dieci volte meno di 2.

Questi concetti ci furono insegnati alle Elementari e sono così radicati in noi che ormai sono istintivi, come la lettura di queste righe. Invece per un analfabeta alfanumerico (uno che non sa leggere né far di conto) lo “zero” significa solo “mancanza, assenza” e non è un numero. Non conosce la virgola e non sa usare i multipli di dieci. E allora?

 Nel Settecento la stragrande maggioranza delle persone era analfabeta, proviamo a esserlo anche noi per vedere come possiamo misurare le cose. Immaginiamo di essere di fronte a una torta rotonda, con il coltello in mano: possiamo dividerla facilmente a metà e poi trovare i quarti facendo la metà della metà. Possiamo anche dividerla in tre parti per simmetria e poi in sei parti uguali.

Dunque i numeri utili per noi non sono i divisori o i multipli del dieci ma i numeri 2, 3, 4, 6 e il multiplo minimo è 12. Quindi un sistema dozzinale è più facile di un sistema decimale, però è più rozzo. Per questo il 12 nelle Tavole qui di seguito compare più spesso del 10 o del 100. Nei nostri dialetti c’è anche il ricordo antico di questo: a Marradi e mèz de mèz è un filoncino di pane da 250 grammi e nel Mugello una sèrqua è una dozzina di uova. Questa antica parola deriva dal latino sìliqua, che è la fila dei semi dentro un baccello e qui da noi non c’è. Per noi l’unità è la càpa d‘όva cioè un cappello pieno di uova (24) e mèza càpa è la dozzina. Vi siete mai chiesti perché al supermercato i contenitori delle uova molto spesso ne contengono sei o dodici?

 

Anche il 20 è un numero”facile” per un analfabeta, perché ha tanti divisori: 2,4,5,10. In questo caso la memoria antica riaffiora nel francese: quatre vingt (quattro volte venti) significa 80, quatre vingt dix è 90 e così via fino al 99.

 




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Queste sono nove Tavole di conversione per le misure in uso nei mercati di Marradi e di Palazzuolo.





Perché fosse chiaro a tutti, nelle colonne del Municipio di Marradi erano state affisse le misure ufficiali già nei secoli precedenti. Il mercato settimanale del lunedì fu concesso nel 1428 quando i Fiorentini conquistarono il paese.





Le misure variabili di paese in paese hanno dato origine anche a qualche episodio gustoso. Per esempio le tessitrici di Palazzuolo usavano di solito il braccio di panno bolognese (64 cm) al posto del braccio di panno fiorentino (58 cm) usato a Marradi. Da qui forse viene il detto marradese “A Palazò ya el braza lǒnghi” usato come sfottò per dire che uno prende un po’ troppo per sé.