Lanfranco Raparo, Marradi
sabato 30 ottobre 2021
1920 Il disastro ferroviario di Ronta
domenica 24 ottobre 2021
Il Castellone di Marradi
La storia del castello di Marradi, il Castellone, è stata scritta e riscritta e ora basterà un breve riassunto. Il fortilizio venne edificato nei secoli bui prima dell’anno Mille e non si sa da chi. Forse fu opera di qualche clan di Longobardi, per difendersi dai Bizantini della bassa valle, o forse fu edificato da qualche signorotto locale, per difendersi dai suoi pari o dai suoi contadini, tartassati come d’uso allora e quindi pronti a vendicarsi alla prima occasione.
Nel Quattrocento la Signoria estese il suo dominio in tutta la Romagna Toscana, e prese possesso di quattordici comuni, dalla nostra zona fino a San Piero in Bagno, vicino alla provincia di Arezzo. Il Castellone divenne un fortilizio di frontiera, a protezione del Mugello, ma perse di importanza finché nel Cinquecento venne demolito.
La storia di questo castello è ricca di vicende, di assedi, di pretese e di avventure. Questo qui accanto è uno studio del 1883 dello storico Achille Lega, che divaga un po’ nel suo racconto ma è piacevole da leggere.
lunedì 18 ottobre 2021
Una lezione di poesia da Dino Campana
Federico Ravagli (Bagnacavallo, 1889 – Bologna, 1968) è stato un importante studioso di Dino Campana. Lo conobbe personalmente ai tempi dell'Università a Bologna (1912) gli fu sincero amico e ne apprezzò con altrettanta sincerità la poetica. Non è poco, perché Campana ebbe estimatori ed amici soprattutto dopo la morte. In più Ravagli parla schietto e chiaramente, da buon romagnolo ed è piacevole da leggere. La cugina del poeta, Maria Soldaini Campana e il fratello Manlio gli consegnarono a più riprese degli inediti campaniani, che studiò con cura e furono pubblicati postumi dalla figlia nel 1972 nel cosiddetto Fascicolo Marradese inedito, della editrice Giunti Marzocco di Firenze.
Dalle ultime pagine del "Fascicolo marradese" di Ravagli
Dalle parti in alto (1 e 2) si ricava questo:
Il cuore stasera mi disse: non sai?Lei fresca come rosa che sapeva
Che vagava col sogno e il suo profumo
E il sogno al tremolare delle stelle
Quando amavi guardar dentro i cancelli le stelle pallide notturne
Certo è morta: non sai?
Era la notte di fiera. Babele
Di fumi prodigiosi in fasci in un cielo di fiamma
mostruoso tessuto di fiamma nel soffio dei mantici
La rosabruna incantevoleDorata da una chioma bionda
Colei che la grazia imperiale
Incantava con rosea freschezza
nei mattini e tu seguivi
nell'aria la fresca incarnazione
di un mattutino sogno
(e ti passava avanti silenziosa
e bianca come un volo di colomba)
La parte centrale (3) dice:
stellato dell'umile pianto delle lampade
E per i portici bui vaneggiavo
Solo dietro le voci limpide degli angioli
Inteso alle morenti melodie
Sepolti sotto gli archi delle strade
Ombra peccaminosa vago errante
A un paradiso turbinosi allori
Cercante
Il cuore stasera mi disse non sai?
La rosabruna incantevole
Dorata da una chioma bionda
Colei che con grazia imperiale
Incantava la rosea freschezza dei mattini:
E tu seguivi nell'aria
La fresca incarnazione di un mattutino sogno
E che pure vagavi quando il sogno e il profumo
Velavano le stelle
(Quando amavi guardar dietro i cancelli
Le stelle pallide notturne)
Che soleva passare silenziosa
E bianca come un volo di colomba
Certo è morta non sai?
E soleva vagare come in sognoE il profumo velavano le stelle
(E tu amavi guardar dietro i cancelli
le stelle le pallide notturne)
Che soleva passare
silenziosa e bianca
come un volo di colombe
Certo è morta non sai?
La notte di fiera della perfida Babele
saliva in fasci verso un ciel di fiamma
La rosabruna incantevole
Dorata da una chioma bionda:
E dagli occhi lucenti e bruni colei che di grazia imperiale
Incantava la rosea
Freschezza dei mattini:
E tu seguivi nell’aria
La fresca incarnazione di un mattutino sogno:
E soleva vagare quando il sogno
E il profumo velavano le stelle
(Che tu amavi guardar dietro i cancelli
Le stelle le pallide notturne):
Che soleva passare silenziosa
E bianca come un volo di colombe
Certo è morta: non sai?
Era la notte
Di fiera della perfida Babele
Salente in fasci verso un cielo affastellato un paradiso di fiamma
In lubrici fischi grotteschi
E tintinnare d’angeliche campanelle
E gridi e voci di prostitute
E pantomime d’Ofelia
Stillate dall’umile pianto delle lampade elettriche
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Una canzonetta volgaruccia era morta
E mi aveva lasciato il cuore nel dolore
E me ne andavo errando senz’amore
Lasciando il cuore mio di porta in porta:
Con Lei che non è nata eppure è morta
E mi ha lasciato il cuore senz’amore:
Eppure il cuore porta nel dolore:
Lasciando il cuore mio di porta in porta.
martedì 12 ottobre 2021
Cinque castellari nella valle del Lamone
Ricerca di Claudio Mercatali
Nell'appennino romagnolo il Medioevo ha lasciato molte tracce. Nella valle del Lamone c'è un certo numero di castelli: a Brisighella, a San Cassiano, a San Martino, a Marradi e le valli vicine non sono da meno. Però l'urbanistica medioevale è varia e oltre ai castelli propriamente detti, con la cinta muraria merlata, c'è l'ampia varietà di fortilizi, castellari, castellotti e case a torre. Questi edifici sono quasi sempre su poggi o sui crinali dove si gode un'ottima visuale, perché i signorotti locali che li abitavano volevano vedere bene che cosa facevano i loro sottoposti, intenti al lavoro nelle campagne.
La ricerca delle case torri e dei castellari è un ottimo esercizio di storia antica e anche di ginnastica, perché spesso bisogna salire sui cocuzzoli sudando un po'. Dunque la ricerca di oggi ha lo scopo di individuare i resti di alcuni di questi insediamenti e soprattutto le notizie documentabili su chi li abitò.
In questa terzina dal significato un po' oscuro il Sommo Poeta lo descrive saggio e prudente, sicuro di lasciare ai posteri un buon ricordo, perché i suoi due figli maschi erano morti prima di lui e non ne potevano guastare il nome. Una ben magra soddisfazione e comunque aveva anche due figlie.
Caterina, una figlia di Ugolino, sposò Alessandro Guidi di Romena, che assieme ai suoi fratelli Aghinolfo e Ildebrandino contrastava Maghinardo Pagani nel controllo della collina faentina. Anche questi personaggi sono citati nella Divina Commedia. Il terribile Maghinardo distrusse il castello di San Cassiano, che era di Caterina Fantolini e poi d'impeto arrivò a Calamello e impose la resa. Gli interessava il conte Aghinolfo Guidi, che era imprigionato lì, per mandarlo come ambasciatore da Ildebrandino a dirimere una controversia. Non era un atto del tutto pacifico, come ci dice lo storico Tonduzzi nella memoria qui accanto.
Anche il mons. Giovanni Andrea Calegari di Brisighella cita questo episodio in una sua cronaca del Cinquecento e lascia intendere che dopo cominciò il declino. Aggiunge che ai suoi tempi il castellare di Calamello aveva ancora una bella stalla e una grande cisterna d'acqua.
Però la famiglia Fantolini non era più proprietaria e il sito era dei Manfredi di Faenza, che si limitavano a nominare un castellano.
Poi pian piano su questo luogo scese l'oblio e cominciò la rovina. A metà dell'Ottocento il pittore Romolo Liverani salì lassù, rimase sorpreso e disegnò i ruderi. E oggi?
La chiesa di Popolano ha una storia particolare: venne
costruita sulle rovine di un castellare medioevale dotato di torre. Ce lo dice
anche lo storico Emanuele Repetti nel suo Dizionario del 1830. Gli esperti
della Conferenza Episcopale che hanno censito tutti i beni della Diocesi
confermano il fatto con la precisazione che il castellare propriamente detto
era più in alto, vicino al podere omonimo e qui c'era un edificio accessorio.
Tutto questo fa proprio al caso nostro perché ci permette di osservare le vestigia della costruzione antica senza dover andare in cima al solito cocuzzolo. L'interno della chiesa mostra chiaramente l'origine, perché nella parete destra ci sono due finestre murate, con i conci d'arenaria sagomati come usava tanti secoli orsono.
Tutto questo non deve meravigliare: qui i terreni sono fertili e in piano e il paese è all'inizio della strada antica che porta al Passo della Cavallara, accesso alla Valle Acerreta e via comoda per Modigliana, sede del feudo dei Conti Guidi.
A quanto risale tutto questo? Nel Codice di Lottieri della Tosa, vescovo di Faenza alla fine del Duecento, la chiesa era già una priorìa e si era già sovrapposta al castellare. Quindi bisogna andare indietro nel tempo ancora molto. Il Codice è una raccolta di atti notarili che riguardano vari preti della Diocesi, che si rivolgevano al vescovo per i motivi più vari. Questa che segue è una lettera di Pietro Saraceno vescovo e legato pontificio in Romagna, che scrive a Lottieri e lo autorizza a sciogliere l’interdetto ai danni di Ubaldino, priore di Popolano, che non aveva inviato l’elenco dei fumantes (i contribuenti) nei termini prescritti. Pietro Saraceno precisa che la concessione è per fare un piacere al vescovo Lottieri e soprattutto a Maghinardo Pagani, zio di Ubaldino.
Nel nome di Dio,
amen.
Redatto sulle
gradinate del vescovado di Faenza, alla presenza del chierico Pasquino, di
Lotario Benincasa e Cenni di Bartolo, con i sottoscritti famigliari del
venerabile padre (il vescovo) il notaio Mastonese e altri sottoscriventi.
Tutti gli ispettori elencati in questa pagina prendono atto che davanti a me, Giovanni Manetti notaio, con i testimoni sopradetti e il venerabile Lottieri vescovo di Faenza è stata recapitata la lettera qui di seguito scritta:
“Venerabile in
Cristo, padre e amico carissimo Lotterio, per grazia di Dio vescovo di Faenza,
Pietro per permesso divino vescovo di Vicenza, vicario pontificio nella
Provincia di Romagna, vi auguro la salute e la sincera carità di Dio; abbiamo
ricevuto le lettere che ci hai mandato, e volendo per richiesta vostra annuire
e compiacere il nobile uomo Maghinardo di Susinana in queste, consegnamo la
presente alla vostra autorità, poiché il priore canonico di Popolano sia
assolto dalla sentenza alla quale era incorso perché non presentò a noi nel
termine stabilito i fumantes della sua Priorìa … Dato a Rimini, il giorno
XXIIII giugno”.
Per l’autorità che gli è stata conferita dal predetto Pietro vescovo di Vicenza, don Ubaldino priore canonico sopra detto è assolto dalla predetta sentenza, imponendogli una penitenza salutare.
La priorìa era ambita perché aveva delle rendite cospicue e diverse case. Qui di seguito don Alberico, Priore e Canonico, ne chiede una al vescovo per suo fratello, per l'affitto di ... ... leggi l'atto 38.
Atto 38
26 marzo 1289 Canonica di Popolano, fatto e consegnato
Redatto sopra
l’aula del vescovado faentino alla presenza degli anziani Monaldo e Guidone di
Luestano ed altri.
Don Alberico, priore e canonico di Popolano della diocesi di Faenza, di fronte al venerabile padre don Lottieri, per grazia di Dio vescovo di Faenza, chiese di persona umilmente e in maniera devota il rinnovo per 28 anni di una licenza di affitto del fratello Aspectato di Popolano per il figlio Farolfino, per un casamento di detta canonica, posto vicino a detta canonica il quale confina con : II la via, III la fontana, IIII la parte riservata di questa canonica, dietro la promessa di dare ogni anno allo stesso priore e canonico un paio di capponi (unius paris caponis) per Natale. Udita questa richiesta, vista e letta, il venerabile padre predetto concesse la licenza secondo la forma della domanda predetta.
Con il passare del tempo il caseggiato si ampliò e cambiò spesso di destinazione: c'è un sotterraneo ad arco di pietra, al quale si accede attraverso un portone con gli stipiti e l'architrave di arenaria, forse ricavato dai magazzini del vecchio castellare e una canonica enorme che a seconda dei secoli fu convento e residenza signorile e oggi è una casa della Comunità di Sasso, che si occupa del recupero delle persone a disagio.
Castelnuovo è un podere sul crinale di fronte alla Badia del Borgo, e si raggiunge percorrendo la mulattiera che sale dal podere Val Bigoncio verso Gamogna. E' uno dei poderetti un po' brulli che sono su questo crinale ma i resti della casa rivelano che non nacque per scopi agricoli, perché la planimetria dell'edificio non è quella solita delle case poderali o padronali antiche.
Anche il nome dà un indizio
e lascia intendere che fu costruito ex novo in un secolo imprecisato ma
lontano, e compare come Castro Novo in un contratto di affitto del 1299, fatto
dai monaci della Badia del Borgo, proprietari di tutta la zona. Chi costruì
aveva molti soldi e usò bozze squadrate negli angoli, mattoni ben cotti per
l'arco della porta e pietre ben disposte nei muri. Perché? Da Castelnuovo da
una parte si vede bene il Castellone di Marradi e dall'altra la valletta che da
Popolano sale al Passo della Cavallara, che invece dal castello di Marradi non
si vede. Dunque questa potrebbe essere stata la funzione dell' edificio: un
punto di osservazione verso una valletta laterale poco visibile ma di una certa
importanza, percorsa da una antica strada comoda per passare, anche a cavallo,
nella Valle Acerreta e a Modigliana. Il resto è
avvolto nella nebbia impenetrabile del Medioevo.
Dal regesto del contratto di affitto del 1299 si ricava qualche altra notizia sulle persone che vivevano qui: Salimbene del fu Bencivenni rinnovò l'enfiteusi di una terra vignata posta fra Castelnuovo e Dogara per 29 anni e quindi prima di lui suo padre coltivava questo sito già alla metà del Duecento. Per contratto alla festa di Santa Maria degli angeli, il 2 agosto, doveva pagare ai monaci sei staia di grano (poco più di un quintale) e quindi lo possiamo immaginare alla guida del barroccio, giù per la carrareccia di Gamogna, con le donne di casa, Druda, Benedetta e Gualdrada, diretti al monastero, dove andavano i molti marradesi che avevano dei contratti simili, perché da altre scritture notarili sappiamo che questo alla Badia era il giorno dei saldi.
Nel 2015 una coppia di ragazzi avevano deciso di recuperare tutto il complesso e avevano liberato le rovine dalla vegetazione che le aveva coperte. L'aspetto di allora è questo, notevole, come si può vedere. Era un'impresa improba, costosissima, che non ebbe seguito.
Il sito si presta per i trekking estivi e invernali, anche con le ciaspole, lungo la dura mulattiera per Gamogna.
Il Castellaccio
Biforco è una frazione di Marradi che appunto sta alla biforcazione della valle e al bivio di due strade antiche. Qui sorge il Castellaccio, oggi casa privata ma un tempo castellare dotato di torre. Questa origine è nella memoria collettiva dei marradesi, che l'hanno sempre data per scontata. Gli ultimi dubbi sono stati fugati durante i recenti lavori di rifacimento esterno e interno dell’ immmobile. Vediamo:
Il barbacane sul lato est del Castellaccio, messo di nuovo in luce, ha uno spessore murario di oltre 2 metri, visibile e misurabile dalle due ex feritoie.
In
un edificio annesso ci sono dei graffiti scolpiti con forza nella pietra di una
feritoia, difficili da capire. Secondo una interpretazione, che non è l'unica,
sarebbero una simbologia del potere della chiesa e del feudatario e
rappresenterebbero quello che si vede dalle finestre dell'edificio. Sono qui
accanto: ingrandite la figura a tutto schermo e interpretateli anche voi.
Per ampliare sul blog
25.06.2020 Il Codice di Lottieri della Tosa (è una raccolta di contratti del Duecento)
mercoledì 6 ottobre 2021
Il castello di San Martino in Gattara
Così il castellare passò allo Stato Pontificio ma decadde perché il confine con il neonato Granducato di Toscana era stato stabilito con un solido patto politico e non c’era bisogno di difenderlo con le armi.