Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

lunedì 28 novembre 2022

Il Vero Sesto Cajo Baccelli

Almanacco e lunario 
per gli agricoltori




Sesto Cajo Baccelli, conosciuto anche come "lo Strolago di Brozzi" fu un astrologo e cabalista vissuto circa nel Seicento. Sappiamo poco di lui, che nacque e visse nel sobborgo fiorentino di Brozzi, e che si dice nipote di Rutilio Benincasa celebre astrologo, vissuto dal 1555 al 1626.

La sua fama è legata al detto fiorentino "Essere come lo strolago di Brozzi, che riconosceva la cacca dal puzzo e il rovo al tatto" per dire che le sue effettive capacità sensitive e divinatorie non erano molto alte. Non sappiamo se fu l'ideatore del popolarissimo almanacco – lunario annuale per agricoltori (Il vero Sesto Cajo Baccelli - Guida dell' agricoltore) o se il libricino era a lui dedicato. Non si conosce nemmeno l'anno della prima edizione, ma viene pubblicato ogni anno dalla Casa Editrice Giunti nel mese di novembre e si trova nelle liberie e nelle edicole di Firenze e del Mugello.




E' una piacevole rassegna di modi di dire, proverbi, consigli, oroscopi, fantasie varie, motti, lazzi, frizzi, sfottò, ma anche articoli di buona cultura e informazioni utili sulle fiere, sulle sagre e sui mercati di mezza Toscana, compresi quelli di Marradi, secondo le date che molti comuni hanno cura di fornire all' Editrice.

















... e non si può profittare oltre della gentilezza dell' Editore. Chi vuole leggere le altre 85 pg di questo libricino bisogna che lo compri. Costa 2 euro.




giovedì 24 novembre 2022

E Lunêri di Smémbar

Il calendario della Romagna



E Lunêri di Smémbar (il lunario dei poveri diavoli) si pubblica a Faenza dal 1845 quando un gruppo di amici faentini lo creò durante una cena. Fra questi c’era anche Romolo Liverani, il noto pittore di tanti scorci di Faenza e della valle del Lamone. 
È un foglio da appendere di 70 x 50cm cm. La prima parte è una zirudèla (una filastrocca in dialetto) sull’anno passato, illustrata da vignette. La seconda parte è il calendario e lunario vero e proprio: feste religiose, santi, orari dell' alba e del tramonto. Di solito esce l’11 novembre, San Martino. Nacque dalla credenza secondo cui le fasi lunari influenzano le attività agricole, la semina e la vendemmia.


Come gli almanacchi e i calendari era per ricordare le cose da fare e si vendeva in dicembre, nelle edicole e per strada, come spiega l'articolo qui accanto. 





E' in edicola anche quest'anno.
Per ampliare sul blog
Per altri articoli su questo tema digita "Il dialetto" nell'Archivio tematico.

venerdì 18 novembre 2022

Ugo Savorana

Un bravo scultore e pittore
Ricerca di Claudio Mercatali


Ugo Savorana,
autoritratto

Sul retro di un altare di Badia della valle c’è scritto “fecit Ugo Savorana”. Chi era? A questa domanda anche molti esperti d’arte locale stentano a rispondere. Nacque a Modigliana nel 1890 e fu pittore ma soprattutto scultore di buona abilità, come si può notare da alcune opere. 





Una sua biografia con una conclusione non molto lusinghiera è qui accanto spiega che il suo lunghissimo percorso artistico cominciò nel primo Novecento e negli anni Sessanta pian piano finì nel dimenticatoio, però di recente è stato giustamente rivalutato.

La figlia Bianca Maria fornisce altri particolari della sua vita e così si sa che nel 1911 fu spedito in Libia per la guerra di conquista e poi tornò ma nel 1915 cominciò la Prima Guerra Mondiale. Dunque gli altari di Badia della Valle sono del 1912 – 1914 perché il parroco in una lapide dà per conclusi i lavori nel 1914. La graniglia è materiale scultoreo un po’ insolito e Savorana la usò nel 1908 nella sua prima esperienza di lavoro a Forlì: 

“ … finalmente una buon’anima pensò per me. Il dottor Enrico Magagni, di Bologna, mi trovò un lavoro presso un suo zio che aveva un’impresa edile e un cantierino dove si lavorava il marmo, gli stucchi, si facevano modelli e stampi per getti in cemento. Il 15 agosto mi accompagnò assieme a mio padre da questo zio e così si aprì la via all’ arte”.




LE SCULTURE
DI MODIGLIANA


Il paese natale fu il centro della sua attività e a Modigliana ci sono diverse cose di Savorana: i fregi della facciata della Cassa di Risparmio di Forlì, le decorazioni del Bar del Corso e anche l’insegna della ex macelleria di via Saffi 13.



Le decorazioni del Bar del Corso sono particolarmente eleganti.








L'insegna dell'ex macelleria di via Saffi è ben nota e anche un po' inquietante.


Clicca sulle immagini
se le vuoi ingrandire




L'insegna dell'ex Caffé Assirelli ha una storia particolare.





LE SCULTURE

DI BADIA DELLA VALLE


La chiesa di Badia della Valle ha una storia millenaria. Faceva parte del cenobio fondato da San Pier Damiani, abbinato all’eremo di Gamogna.

I due siti formavano un unico complesso monastico, perché la Regola del fondatore prevedeva periodi di vita cenobitica, alternati a tempi di ascesi ed eremitaggio duro. Il monastero fu chiuso il 14 novembre 1532 per carenza di vocazioni, con la Breve del papa Clemente VII che soppresse anche Gamogna. 
I tempi erano cambiati, il Medioevo era finito e la dura Regola di San Pier Damiani aveva fatto il suo tempo. I beni del monastero passarono al Capitolo della chiesa di San Lorenzo in Firenze al quale nei secoli successivi spettò la nomina dei due parroci, di Badia e di Gamogna. Nel 1851 la valle Acerreta entrò nella nuova Diocesi di Modigliana e dal 1866 i parroci furono nominati dal vescovo.

La chiesa di Badia della Valle nel corso dei secoli fu modificata più volte. Quella attuale ha ancora la cripta originaria ma l’edificio è in sostanza quello ottenuto con gli sventramenti del Seicento. Anche negli interni si sono stratificati rifacimenti di varia entità e tipo. Tutto normale: le chiese non sono monumenti immutabili fatti per piacere ai posteri, ma per esercitare il culto e la liturgia secondo le necessità e gli usi mutevoli nei secoli.



L’altare principale è di graniglia, dello stesso tipo di quella dell’ altare laterale sinistro e del battistero. La graniglia con polvere di marmo cementato, è un materiale scultoreo povero, ma nel 1914 il parroco don Giovanni Piani non poteva permettersi di più. Chi era? Fu parroco dal 1910 al 1942, socio fondatore della Cassa Rurale di Lutirano (1911!) e committente dei nuovi altari e del fonte battesimale. Una lapide al muro spiega il tutto e fuga il dubbio. Quindi il bravo don Giovanni ristrutturò la chiesa chiamando un ragazzo di Modigliana poco più che ventenne, fresco di studi ma già promettente nell’arte.


Sopra il fonte battesimale c'è un pezzo della frase "Sicut cervus desiderat ad fontem acquarum ita anima mea ad te Deus" (Come un cervo desidera l'acqua di fonte così l'anima mia anela a te, Dio) tratta da un canto Gregoriano. Per questo il tema del dipinto è l'abbeverata di due cervi.


Non c'è dubbio che Savorana sia l'autore degli altari e del fonte battesimale perché nell'altare principale è scolpita la sua firma e gli altri due arredi sono di graniglia identica. Invece per le decorazioni delle cappelle laterali bisogna fare una ipotesi. Intanto bisogna escludere che l'autore sia stato Tito Chini perché questo ottimo pittore nacque nel 1898 e nel 1912 – 14 era ancora un ragazzino. 




Siccome Savorana era anche un discreto pittore, come si vede in questi quadri della chiesa di Cardeto (Marradi, anni Trenta) e di San Martino in Gattara (1943) con il campanile a vela cadente che poi fu demolito, è logico pensare che il parroco lo abbia incaricato di pitturare i muri delle cappelle laterali. Anche i pavimenti sono di graniglia, del tipo in uso nel primo Novecento e forse vengono dallo stesso cantiere che lavorava la marmetta degli altari.



LE SCULTURE A LUTIRANO 
E A MARRADI

A Lutirano, nella casa di famiglia del generale Domenico Bandini, vicino al ponte per Tredozio, c'è un camino in cemento bianco decorato, scolpito e firmato.


A Popolano nella Cappellina della Dogana c'è un monumento a ricordo dei caduti della Prima Guerra Mondiale. Questa chiesina è antica e ha una storia particolare: in origine era rivolta al contrario, si entrava dal retro attuale, perché la vecchia strada Faentina passava di là. 

Nel primo Novecento la porta fu murata e venne aperta quella odierna, cosicché il retro divenne la facciata ed è probabile che il suo disegno sia opera dello stesso Savorana.



Per approfondire:

Ugo Savorana scultore, Ardebat ut facula, Filograf, Forlì 2010
Giuliano Bettoli e altri, Gamogna, Tip. faentina, 1995 (Biblioteca Comunale di Marradi).
Blog 12 luglio 2015 Con l’ultimo quarto di luna a Badia della Valle
Blog 26 marzo 2016 Il Comune costruisce una strada moderna nella Valle Acerreta.



sabato 12 novembre 2022

A Piancastello e alla Rocca di San Michele

Due trekking all'estremo 
limite del Granducato
resoconto di Claudio Mercatali


Negli ultimi decenni del Trecento e nel primo Quattrocento passarono sotto la sovranità di Firenze i valichi Futa, Giogo, Colla e Muraglione, tutti a circa 900m di quota, cioè bassi e con accesso al Mugello. 





Il loro controllo consentiva di prevenire gli attacchi dei Visconti di Milano, che in quei tempi avevano sconfinato nel Mugello un paio di volte ed erano stati respinti con difficoltà. C'era anche bisogno di stendere una cintura sanitaria attorno alla Città, perché la peste nera del 1348 - 49 aveva ucciso metà dei Fiorentini e si voleva limitare il transito dei pellegrini diretti a Roma, che portavano denari ma anche batteri.

LA CONQUISTA


Per conquistare l'appennino i Fiorentini dovettero smantellare il secolare sistema feudale dei Conti Guidi di Modigliana e degli Ubaldini di Senni e Monte Accianico, il che avvenne dopo una guerriglia durata quasi un secolo. Queste erano famiglie comitali con un intreccio di interessi e parentele vasto, su ambedue i versanti dell' Appennino. Gli Ubaldini diedero tanto filo da torcere nel Podere degli Ubaldini (oggi Palazzuolo) dove il loro radicamento era forte. 
In pratica essi stessi e i loro consorti costituivano una buona parte della popolazione e non potevano essere semplicemente sconfitti e cacciati. I Fiorentini perciò misero in atto una serie di strategie, fatte di favori, privilegi, acquisti, deleghe, accomandigie, contratti a livello e quant' altro era in uso nel diritto medioevale. Quando nessuna di queste cose era praticabile si arrivava all'atto di forza e la mano dei nuovi signori si faceva pesante. 
I castellari conquistati venivano rasi al suolo perché non tornassero ai vecchi proprietari. Ai protagonisti dell'ultima grande rivolta del 1387 venne dato bando e vietata la dimora per sempre, con tanto di taglia come se fossero dei delinquenti (leggi qui sopra).

LA RICERCA

La ricerca di oggi riguarda due castellari conquistati nel 1373 e demoliti nel 1387 dal capitano fiorentino Domenico di Guido del Pecora impegnato a sedare una rivolta alla Badia di Susinana. Come detto più volte nelle ricerche citate in bibliografia la demolizione completa era anche un atto simbolico, perché fosse chiaro a tutti che il vecchio potere non esisteva più. I Fiorentini non sparsero il sale sulle mura, come i Romani a Cartagine dopo la Terza Guerra Punica, ma il significato era lo stesso. Dunque nei siti dei trekking di cui state per leggere non ci sono resti di castelli ma rovine di case poderali antiche o cumuli di sassi rinfusi, individuabili solo con la cartografia antica e i resoconti medioevali. 
Questo basta per stuzzicare la curiosità di studiosi, archeologi dilettanti e appassionati di ricerche con il metal detector. Gli altri sappiano che questi siti si raggiungono a piedi dopo aver sudato abbastanza, però hanno una grande visuale perché i castellari di Palazzuolo erano collegati a vista e comunicavano con i segnali di fumo.

I CASTELLARI

I castellari di Palazzuolo e Marradi erano quasi sempre composti da due edifici distanti fino a un chilometro: il primo aveva una funzione soprattutto residenziale, e una famiglia di Ubaldini o di loro consorti vi risiedeva coltivando il podere circostante. Il secondo era una torretta alta una quindicina di metri in cima a un cocuzzolo dove il signorotto si rifugiava con la famiglia e i seguaci quando i segnali di fumo comunicavano una minaccia. 
La rocchetta era su una pendice scoscesa al massimo, senza sorgente né strada così gli assedianti non potevano accamparsi o avvicinarsi con qualche macchina d'assedio. Chi si arroccava disponeva delle risorse che si era portato dietro e beveva dalla cisterna l'acqua raccolta dal tetto.

E' ovvio che una sistemazione del genere era efficace contro un signorotto della stessa taglia o per resistere alle rivolte dei servi della gleba vessati troppo, ma non poteva bastare per scampare all' assedio di una compagnia di armigeri di Firenze e infatti questi castellari non resistevano più di due o tre settimane quando venivano pressati dalle milizie della Città.
Però la loro conquista spesso non era definitiva perché dopo qualche anno gli Ubaldini in qualche modo rimediavano i danni e tornavano ad abitare il sito. Così si tornava daccapo e serviva un altro costoso assedio.

Le milizie andavano pagate, i luoghi erano disagevoli, e così spesso la vicenda si concludeva con una trattativa e anche una offerta in fiorini in cambio della resa, fatta dal capitano fiorentino per limitare i costi dell'assedio. Gli assediati ne valutavano la convenienza sapendo che comunque alla fine avrebbero dovuto cedere. C'è tutta una storiografia che parla di questi patteggiamenti e anche dei ricatti degli assedianti, che tagliavano le viti e i castagni nei poderi dei servi degli Ubaldini arroccati nella torre per indurli alla resa o predavano le loro case. Ecco, questo è il quadro della situazione: così erano i tempi e le circostanze.



Piancastello

Questo fortilizio è uno dei meno noti fra i quattordici che Gioacchino degli Ubaldini lasciò in eredità al Comune di Firenze suscitando le ire dei suoi parenti. Oggi è nel comune di Casola, così come Castel Pagano, perché i Fiorentini li diedero in signoria al Conte Sandro de' Cattani di Campalmonte d'Imola per sé e i suoi discendenti.


E' un sito particolare, sul crinale fra Senio e Sintria, a 700m slm e si raggiunge meglio da quest' ultima valle, con un trekking corto ma tosto, dal fondovalle poco dopo la località Molino Boldrino. Il nome del posto viene dalla morfologia un po' insolita per un fortilizio.


Oggi Piancastello è un rudere in mezzo a una pineta piantata negli anni Cinquanta per rimboschire ma prima era abitato. Vicino c'è Monte Cece che nel 1944 fu sede di un comando inglese perché la zona era sulla Linea Gotica.




Come detto prima di solito i castellari degli Ubaldini si componevano di due edifici, uno per la residenza usuale e un altro per il rifugio in caso di assedio, che in pratica era una torretta nel cocuzzolo più impervio del circondario. Di questo rimangono le tracce scarse e dubbie in un poggiolo a poca distanza dalla casa, dove si gode un bel panorama verso il Senio e il torrente Sintria all' altezza di Croce Daniele. Forse la principale funzione del fortilizio era proprio quella di fornire una visuale ampia al castello di Fornazzano, che è qui di fronte sull' altro versante della valle.




La Rocca di San Michele

San Michele è il nome di una chiesina alla sommità del monte che si vede dalla Badia di Susinana. Nel 1833 era una parrocchia con 145 fedeli ma oggi il sito è disabitato. 


E' quasi certo che la chiesa fu costruita a ridosso di una rocchetta degli Ubaldini, usando una parte delle pietre di quella quando i Fiorentini la demolirono nel 1387. 



La vista da Susinana è un po' ingannevole perché il sito sembra un nido d'aquila ma in realtà salendo dal retro lungo la strada che porta al podere Il Salto si arriva in cima in modo agevole.




Clicca sulle immagini
se le vuoi ingrandire








E' possibile che il castellare avesse un secondo livello di sicurezza, più in alto, nel podere Val di Vinco, che ha le caratteristiche di una antica casa fortificata. Il crinale è panoramico, dalla parte di Palazzuolo e verso Casola.



Per approfondire sul blog


Archivio tematico "I castelli della valle"
03.10.2011 Lozzole antica rocca
20.04.2019 La conquista di Palazzuolo


Bibliografia

Rocche e castelli di Romagna vol.1 Bologna 1970 Nuova alfa, Biblioteca@comune.modigliana.fc.it con prenotazione dalla gentile bibliotecaria Erika Nannini.


domenica 6 novembre 2022

Il castello di Mantigno

Un trekking 
in Val dell'Agnello
a Palazzuolo sul Senio
relazione di Claudio Mercatali






Mantigno è nella valletta del torrente Ortali, abitata fin dai tempi antichi. I toponimi danno una indicazione chiara di questo: Budrio è una parola celtica che indica una confluenza di fossi, Sala è un noto toponimo longobardo per i luoghi dove si ammassavano i raccolti da spartire. Si ha notizia di una chiesa precedente alla attuale (del 1386) nel sito detto Chiesa vecchia.




Nel Medioevo Mantigno fu un Castrum, ossia un luogo fortificato, parte del sistema difensivo degli Ubaldini fino al 1362 – 1372 quando venne preso dai Fiorentini, durante la complicata guerra di conquista di Palazzuolo. Essi assediarono i siti fortificati del Comune e poi li rasero al suolo, per impedire che i tenaci Ubaldini li riprendessero, come avevano fatto altre volte. L'azione del radere al suolo non avveniva nella furia della battaglia ma con una operazione successiva, pianificata e affidata a imprese di demolizione pagate apposta. Per questo i resti del castellare di Mantigno non sono più evidenti e si trovano solo poche tracce.


Prima di questa soluzione definitiva il Comune di Firenze per anni aveva nominato un castellano obbligato a risiedere sul posto con un manipolo di armigeri. Costui firmava un vero e proprio contratto di lavoro, rogato da un notaio proprio nel castello, per avere la certezza che avesse visionato il sito e la presa di possesso fosse effettivamente avvenuta. Queste precauzioni erano necessarie perché il posto era pericoloso, minacciato dagli Ubaldini sempre pronti a riprendersi quello che il Comune di Firenze aveva tolto loro. La stessa procedura c'era per tutti gli altri quindici o venti castellari di Palazzuolo e all'Archivio di Stato di Firenze ci sono le pergamente con i contratti, come questa qui sopra.



La rocchetta con il castellare non è nel borgo di Mantigno e per raggiungerla si deve fare un trekking, corto ma tosto. Bisogna salire fino all'attuale podere abbandonato di Val dell' Agnello dove ci sono i ruderi della casa fortificata sede del castellare. Infatti bisogna tener conto che la parola "castello" in questo territorio si riferisce a un insieme di edifici, fra i quali uno residenziale abitato dal castellano nei periodi di tranquillità (in questo caso il borghetto di Mantigno) e uno in quota, scomodo e poco accessibile ma più sicuro in caso di assalto.  

Attorno c'erano sette o otto poderi con case munìte quanto basta per resistere a qualche atto ostile. Insomma Mantigno nel Medioevo era una vera e propria Corte castellana con una sua economia e le sue regole. Il Comune di Firenze, che l'aveva conquistata e persa più volte aveva ben chiaro il fatto e nominava il castellano con un presidio per esercitare una funzione di governo. Non era la strategia giusta perché gli abitanti di questa frazione in qualche modo erano parenti o consorti o amici degli Ubaldini e sopportavano a stento un governatore nominato dalla Città che in sostanza era un estraneo e in certi casi non vedeva l'ora di andarsene a fine contratto, cioè dopo due o tre anni.

Per questo nel 1373 Firenze demolì tutti i castellari di Palazzuolo, che allora si chiamava Podere degli Ubaldini e perché il nuovo corso fosse chiaro a tutti cambiò anche il nome in Podere Fiorentino e nominò un Capitano unico per tutto il comune che risiedeva nel centro del capoluogo nel cosiddetto Palazzo dei Capitani.


Il tempo è si è fermato attorno a Mantigno e le testimonianze di tutto questo sono ancora evidenti.

Salendo dalla strada campestre che comincia qualche centinaio di metri prima di Mantigno si incontra la casa di L'Ocarello, toponimo errato che andrebbe scritto Lucarello, come nel Catasto Leopoldino del 1822. Lucus o locus significa posto, sito, e Lucarello è come dire Posticino. Questo complesso fu costruito in almeno tre tempi diversi: l'edificio a destra ha i marcapiani di mattoni murati e quindi è recente, la parte sinistra è del 1725 come si legge in una incisione sull' architrave di una finestra ma la parte centrale è più vecchia, con le pietre alla base consumate dall' umidità del terreno e  quindi impostata ai tempi degli Ubaldini o poco dopo. 





Se si prosegue per questa via dopo aver sudato un po' si arriva a Val dell'Agnello, una casa poderale in rovina che al suo tempo fu la sede più difendibile della corte castellana di Mantigno. E' possibile che alla sommità del monte di fronte ci fosse una rocchetta per una eventuale estrema difesa.


Oltre Val dell'Agnello il panorama si apre e si vede la valle di Bibbiana e il Passo della Faggiola, dove c'erano altri due castellotti degli Ubaldini. Volgendo lo sguardo dalla parte opposta la vista spazia fino al Passo della Sambuca e a Lozzole, sede di un altro importante fortilizio della Consorteria, che diede tanto filo da torcere ai Fiorentini. Dunque Val dell'Agnello era un sito collegato a vista con gli altri castellari, con i quali comunicava con segnali di fumo. Altri mondi.
Il posto invita a proseguire, perché percorrendo il crinale i panorami si susseguono. Ora siamo a 800m di quota, la salita è passata quasi tutta e la fatica è relativa. Raggiunta all' incirca la quota 900 si arriva a un capanno di caccia molto curato e si incontra una strada campestre praticabile con una jeep. Se si percorre verso destra si arriva al Passo della Faggiola dopo qualche chilometro, se si va a sinistra si scende di nuovo verso Mantigno dalla parte di Sala e Budrio, chiudendo l'anello del trekking con un percorso altrettanto lungo.



Per ampliare

Nel blog all'archivio tematico alla voce "I castelli della valle"
Rocche e Castelli di Romagna di AA.VV.-1970 libro n.1-pag. 242