Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

martedì 12 novembre 2024

Gli scritti di Campana del 1915 - 16

 Le poesie dopo i Canti Orfici

Ricerca di Claudio Mercatali



Dino Campana dopo aver pubblicato i Canti Orfici (1914) scrisse poco o niente. La malattia che progrediva rapidamente, la delusione per l’accoglienza scarsa che aveva avuto il suo libricino, l’incomprensione e la sua solitudine avevano inciso profondamente il suo animo e inaridito la vena poetica.
Sono pochissimi gli scritti campaniani del 1915 e 1916, per lo più incompleti o frammentari, ad eccezione di due poesie: Domodossola e Arabesco Olimpia. Dalla metà del 1916 in poi, fino al ricovero, gli scritti si riducono ancora: c'è la poesia Le Rose e per il resto semplici frasi, abbozzi e frammenti annotati su fogliettini, a volte senza senso compiuto.




Domodossola è una poesia di vena patriottica del 1915 – 1916 che ha almeno tre stesure simili: una del maggio 1915 inviata per lettera ad Ardengo Soffici, una del maggio 1916 inviata a Mario Novaro editore del periodico La Riviera ligure, con il titolo Canto proletario italo francese, e una terza che lui disse di aver scritto apposta (era una bugia) nel 1916 per Bianca Lusèna, una crocerossina che abitava a Livorno in casa di Bianca Fabbroni Minucci, pittrice di Marradi, dove il Poeta era stato ospite per qualche tempo.


Questa qui accanto è la versione data ad Ardengo Soffici. Leggiamo:







Però la versione effettivamente pubblicata fu quella comparsa sulla rivista La Riviera ligure nel marzo 1916. Era un periodico di Oneglia, l'attuale Imperia, molto attiva nel primo ventennio del Novecento. Aveva una veste tipografica elegante, perché il direttore e scrittore Mario Novaro era l'industriale dell'Olio Sasso e la finanziava con generosità. In più era un estimatore del nostro poeta. Dino Campana pubblicò poesie in tre numeri della Riviera Ligure:

nel Novembre 1915 (n°47)  
A Bino Binazzi: Toscanità.
nel Marzo 1916 (n°51)  
Arabesco Olimpia e Vecchi Versi.
nel Maggio 1916 (n°53) 
A M. N. Domodossola 1915. 
In questo numero c'è anche Ritorna lontano. La tua giornata d'amore, una bella poesia di Luisa Giaconi, che a Campana piacque molto e l'editore Diego Novaro la pubblicò pensando che fosse di Campana.

Sono qui di seguito, tratte dagli originali della rivista.

Mario Novaro aveva la buona abitudine di corrispondere un compenso agli scrittori, che però spesso era meno di quanto gli autori ritenevano di dover avere, e questo era fonte di lamentele e seccature. Allora la Redazione inventò la figura di Anselmo Geribò, personaggio di fantasia, inflessibile responsabile editoriale e ragioniere, al quale attribuire ogni colpa. Anche Dino Campana ci credette e quando ricevette solo 10 lire per il manoscritto di Toscanità, scrisse così:

"Eccellente Signor Giurabò, Osteria della Mussa.

Rilevo dalla sua lettera assai gradita che lei mi ha pagato 10 lire per Toscanità. Con mio grande dispiacere non me ne sono accorto ancora e suppongo che la raccomandata sia giunta in altre mani. A fine di indagine la pregherei di confrontare la scrittura della lettera che Lei ricevé in ringraziamento, con questa. Le sarò veramente obbligato se poi potrà comunicarmi il risultato.(Io non ricevo mai direttamente le lettere essendo regolarmente assente, inoltre sono strettissimamente sorvegliato e quindi alla mercé di qualsiasi lazzarone). Speriamo dunque di poter lasciare al più presto questa santa e benedetta Italia. Intanto crepavo a Firenze per un principio di paralisi vasodilatatoria al lato destro e quei fiorentini mi hanno sempre rifiutato l'entrata in un ospedale. Ora mi rimetto da me. Allo sgelo sarò in grado di scavalcare le Alpi svizzere se sarà necessario. Sappia intanto che ero in cura per nefrite avendo avuto la congestione cerebrale durante un mese nell'ospedale locale. Ora finalmente dopo due mesi ho dovuto attaccarmi le sanguisughe da me, ultimo avanzo dei barbari in Italia. Sono assai dispiacente che lei mi misuri con il metro. No signor Girabò, io sono un uomo e se Lei paga 25 lire le ultime propaggini filosofiche del mal de Naples, ... dico se lei paga 25 lire al pezzo le infami propaggini (vociane) della putrefazione progressiva di una buona metà d'Italia, perché perdio dà solo dieci lire a me? Sappia caro signore che in questo momento una sola parola onesta ha un immenso valore storico e se Lei vivrà se ne accorgerà domani. La prego di comunicare possibilmente ai miei cari e stimatissimi amici Boine e Novaro che il mio indirizzo è e resterà Dino Campana, Marradi".


Nel libro di Carlo Pariani, il dottore che ebbe diversi colloqui con Campana a Castelpulci, si legge a proposito di Arabesco Olimpia:
Olimpia di Manet


... Ricordi dal vero spuntano qua e là, assunti nella trama sentimentale e fantastica; trasfigurati. Le torricelle rosse le suggerisce il borgo natìo: "sono torri di Marradi". Di Olimpia, apparsa nel tramonto, dice: "Una Olimpia qualunque; può essere quella di Manet. L'ho vista l'Olimpia di Manet è al Louvre di Parigi. E' un nudo di bambina. Manet è un pittore impressionista, con effetti di luce più che altro, con la tecnica speciale di un impressionista. E' uno dei suoi più bei quadri". 
L'Olimpia dipinta ne richiama una di carne: "Era una ragazza di dodici o tredici anni. Un ricordo d'infanzia figlia di un droghiere svizzero che stava a Marradi".


A proposito di Domodossola 1915 Dino Campana scrive, a Novaro:

" ... A lei che è stato per me così cordiale vorrei dedicare una poesia patriottica che scrissi ancora nel luglio scorso: però passata la prima fiammata la abbandonai ed è rimasta incompleta. La potrei rivivere e terminare nel senso di un "addio all' Italia", solamente. (Ma questo addio, anche praticamente, è terribilmente difficile poterlo dare.). (Inoltre sono gravemente ammalato ancora). In qualunque confine avrò memoria di affetto per lei. Pieno di dolci e funesti presagi partirò forse ugualmente cercando un paese dove vi sono dei giudici, come diceva il mugnaio. In ogni caso né da vivo né tanto meno da morto si avrà ragione di me. E tutto sia perduto fuorché l'onore! Ed anche questo in tempi così critici avra? non avrà? il suo valore".

Che cosa significa "cercando un paese dove vi sono dei giudici, come diceva il mugnaio"?
Secondo un aneddoto forse un po' inventato, l'imperatore Federico II di Prussia voleva espropriare un mulino e abbatterlo perché a suo dire imbruttiva la vista dal suo nuovo castello di Sans Souci. Pur di averla vinta corrompeva i giudici a cui il mugnaio si rivolgeva. Con tenacia il mugnaio riuscì a trovare un giudice onesto che lo aiutò a vincere la causa. Ecco il significato di questa espressione, per dire che alla fine la giustizia trionfa.

Tutto è perduto, fuorché l’onore (tout est perdu fors l’honneur) viene da quanto scrisse il re Francesco I di Francia alla madre Luisa di Savoia dopo la disfatta di Pavia (1525).


Fonti
Fondazione Mario Novaro, Genova
Carlo Pariani, vita non romanzata di Dino Campana
Enrico Falqui, Campana, opere e contributi.


domenica 3 novembre 2024

I Marradesi nella Grande Guerra

La strage dei giovani
mandati a morire

Ricerca di Claudio Mercatali

Bacheca nell'atrio 
del Municipio di Marradi


Quella di oggi è una ricerca triste perché tratta dei costi umani della Prima Guerra Mondiale a Marradi. Il bilancio dei caduti è noto: 296 giovani, con il nome scolpito nel Monumento di via Dino Campana. Sessanta di loro, quelli della parrocchia di San Lorenzo sono anche nel Campanone, scolpiti nel bronzo di un cannone austriaco usato per fondere la campana che batte il mezzogiorno qui in paese.


Un’altra trentina morirono nei mesi seguenti la fine della guerra per le ferite riportate, e per questo il numero dei caduti è di circa 324 ma non è definitivo, perché è difficile (e anche inutile) stabilire esattamente le cause delle morti.





Nomi scolpiti nella roccia, impressi nel bronzo, di persone celebrate come veri patrioti, ma in realtà morti massacrati in una guerra senza senso. Negli anni seguenti questa carneficina venne idealizzata soprattutto per giustificarla e piano piano questa strategia ebbe successo.


Adunata in via Umberto I (oggi via Castelnaudary) di fronte alle scuole elementari.



Molte delle 324 famiglie che avevano avuto il lutto in casa ed erano rimaste segnate da questa tragedia se ne fecero una ragione e furono orgogliose dei loro cari. Oggi la storia ha rimesso le cose a posto: la Prima Guerra Mondiale non risolse nessuno dei problemi per i quali era stata combattuta e anzi ne generò degli altri che portarono al secondo conflitto mondiale, che fu peggio ancora.

Ma furono “solo” 324 le famiglie marradesi rovinate dalla guerra? Ai nostri tempi le persone vittime dei conflitti si contano diversamente:


Schieramento di fianco all' ex Ospedale San Francesco, nel Foro Boario (oggi qui ci sono i Giardini del Monumento).


Le statistiche hanno dimostrato che in tutte le guerre ad un certo numero di caduti corrisponde un numero doppio di invalidi, mutilati o inabili per postumi perenni di ferite e dunque qui in paese ci furono almeno 600 giovani che portarono nel corpo le conseguenze di quello che avevano vissuto.






In ogni guerra molti reduci sono fisicamente integri ma segnati dal punto di vista neurologico per quello che hanno subìto. All’ epoca queste patologie non vennero rilevate ma oggi sappiamo che marcano in modo indelebile le persone. Ce ne siamo accorti dopo la guerra del Vietnam perché tanti reduci sono rimasti segnati da quella esperienza.




Dunque i marradesi che pagarono un prezzo altissimo sulla loro pelle furono circa un migliaio, ai quali si devono aggiungere i morti. Siccome il paese nel 1920 contava circa 10.000 abitanti, questo significa che su tremila arruolati quasi la metà morì o ebbe conseguenze gravi sulla salute.