Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

mercoledì 30 maggio 2018

1312 Il Giuramento

Il Comune di Faenza impone
l'obbligo di fedeltà agli  abitanti
della Val Lamone
ricerca di Claudio Mercatali

Stemma di Faenza
 
Nel 1302 morì Maghinardo Pagani da Susinana, potente signore delle valli del Lamone e del Senio, e tutto l’assetto politico cambiò. I Conti Guidi di Modigliana, che erano stati sconfitti da Maghinardo,  si fecero avanti per riprendere il controllo sulle loro terre. Però il Comune di Faenza cominciò una politica di espansione e contese ai conti Guidi il dominio delle valli. Nacque un contenzioso  e le milizie faentine cavalcarono fino a Marradi e chiesero agli abitanti un giuramento di fedeltà al loro comune. Ecco come lo storico Bernardino Azzurrini (1540 – 1620)  raccontò il fatto nel suo Chronicon:

 

La reazione dei Conti Guidi e degli altri signori che vantavano diritti sulle terre della Val Lamone non si fece attendere. Essi, assieme a Roberto re di Napoli esposero querela al Giudice Generale di Romagna, che diede loro ragione e dichiarò nullo il giuramento di fedeltà perché ottenuto con la forza.
 
Così ci dice Giovanni Mini di Castrocaro, uno storico dell’ Ottocento molto preciso, che soggiornava spesso alla chiesa di Valnera e quindi conosceva bene la nostra zona e la sua storia.

 





 Cosa diceva il giuramento che i marradesi dovettero pronunciare senza entusiasmo?
Gian Marcello Valgimigli, che nell'Ottocento per 29 anni fu Direttore della Biblioteca di Faenza, nelle sue Memorie Storiche lo riporta per intero. Ecco il testo:
 
 
 
Dunque li 22 ottobre 1312 le suddette Terre, e luoghi giurarono fedeltà e obbedienza al Comune di Faenza ...
 
 
... ipsum Commune Faventia totis suis viribus, defendere, manutenere, augere in ipsorum jurisdictione, libertate, honore ...

... lo stesso Comune di Faenza con tutti i suoi uomini (si impegna) a difendere, mantenere, accrescere nella giurisdizione degli stessi, la libertà, l'onore ...




 
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mercoledì 23 maggio 2018

Il capitano Carlo Fabbroni

Un carabiniere contro la camorra
ricerca di Claudio Mercatali
 

 Il capitano all'epoca dei fatti

Carlo Fabbroni, figlio di marradesi, capitano dei Carabinieri, fu un valoroso ufficiale che si distinse nella lotta contro la camorra, agli inizi del Novecento. Fino ad allora nessuno aveva osato indagare e far processare dei camorristi importanti e Carlo Fabbroni divenne famoso nelle cronache dell' epoca per essere riuscito a tanto.

l fatti

La sera del 5 giugno 1906, in un appartamento di via Nardonese 96, a Napoli, viene uccisa con undici coltellate Maria Cutinelli, ex prostituta. La Polizia sospetta del marito Gennaro Cuocolo, camorrista, ma all' alba del 6 giugno 1906 a Torre del Greco egli viene trovato morto, massacrato a coltellate. Comincia così uno dei casi giudiziari più intricati dell' Ottocento.
Cuocolo aveva pranzato lì vicino con Enrico Alfano, detto Erricone, "capintesta" della camorra, suo fratello Ciro, Giovanni Rapi, maestro elementare e usuraio, e con Gennaro Ibello e Gennaro Jacovitti, manovali della camorra. Tutti costoro vengono arrestati, ma dopo un mese e mezzo le indagini sono a un punto morto.
L'inchiesta è affidata al capitano Carlo Fabbroni che in carcere trova il giovane camorrista Gennaro Abbatemaggio il quale, con promessa di scarcerazione, si "pente" e svela tutto quello che sa sulla camorra. Secondo Abbatemaggio la morte di Cuocolo era stata decisa da Enrico Alfano, perché accusato di essere una spia delle forze dell' ordine. L'ufficiale dei Carabinieri trova dei testimoni e rivela sui giornali il marcio che c'è nella politica e nell' amministrazione napoletana. Arrivano nuovi arresti e il rinvio a giudizio di 47 persone.


 
I camorristi arrestati
al processo di Viterbo.
Il primo a destra è
Enrico Alfano, Erricone".
 
Il processo non si celebrò a Napoli, per i troppi ostacoli e tentativi di corruzione, ma alla Corte d'Assise di Viterbo. Si aprì nella primavera del 1911 e durò 12 mesi.

 
 
Per garantire l'ordine pubblico fu trasferito a Viterbo addirittura un reggimento di fanteria. L'8 luglio 1912 il processo, seguito con grande attenzione dai giornali e dall' opinione pubblica, si concluse con la condanna a 354 anni di reclusione complessivi.
Enrico Alfano, Giovanni Rapi e altri sei imputati vennero condannati a trent' anni, Abbatemaggio a cinque; altri 47 a pene minori per associazione a delinquere, in quanto affiliati della Bella Società Riformata, cioè della Camorra.


  

 
Il processo Cuocolo

  

Nella memoria collettiva dei marradesi il nome Carlo Fabbroni non suscita nessun ricordo. Fu così anche ai tempi del processo Cuocolo, quando il capitano era sulle pagine di tutti i giornali.
Qui accanto c'è un articolo comparso nel Messaggero del Mugello del 20 agosto 1911 il cui il giornalista parla di una fase del processo in cui il capitano pareva perdente (... morto per sempre ...) e rinfaccia a noi marradesi che ... leggiamo ...

  

Però alla fine il capitano vinse, fu promosso e trasferito ad Ancona. La camorra non riuscì mai a vendicarsi di lui, pur avendo provato. L'Archivio storico dell' Arma dei Carabinieri, rispondendo cortesemente alla richiesta di informazioni, ci fa sapere che morì a Brescia il 27 ottobre 1918 con il grado di tenente colonnello, a 51 anni.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

Fonti
Mater Camorra, di Compagnone.
Potere camorrista: quattro secoli di malanapoli di Di Gigi Di Fiore
Archivio storico dell'Arma dei Carabinieri

Bibliografia web
sito Carabinieri / cronache del passato
sito Santamargherita.splinder.com/processo Cuocolo
sito Lastoriadinapoli.it
sito simmenapulepaisa.com
viterboincartolina. processo cuocolo.it


 
 

 

mercoledì 16 maggio 2018

Le cellule staminali


Una nuova risorsa
per la medicina del futuro
Daniele Bani, Ordinario di Istologia
ed Embriologia al Dipartimento di medicina
sperimentale e clinica dell' Università di Firenze.
Lezione all’auditorium
del Liceo Giotto Ulivi tenuta il 20.02.2017
 
Ernst Haeckel

Ernst Haeckel (1834- 1919) coniò il termine “staminali”, Stammzelle, derivandolo dalla parola stame (è il filo dell’ordìto) unita alla parola cellula, ossia piccola cella. Infatti aveva ipotizzato che tutte le cellule specializzate presenti nei vari tessuti dovevano avere un precursore comune, così come da uno stesso filo si possono fare diversi tessuti. Aveva anche affermato che la prima cellula che si forma dopo la fecondazione, lo zigote, è la matrice di tutte le cellule del corpo umano. Tutto questo poi si è rivelato vero.
 
Lo zigote è instabile e subito dopo la fecondazione che lo ha originato, si divide e si ridivide a metà. Si formano due blastomeri, poi quattro, otto, sedici nel giro di tre giorni circa. La cellula iniziale era indifferenziata e i blastomeri anche. Perciò si chiamano cellule totipotenti (= possono fare tutto).
 

Però al quinto giorno avviene
una spartizione:

L’azione di una speciale proteina provoca una modifica nella cellula totipotente, che diventa un trofoblasto, cioè una cellula in grado di formare l’organo di collegamento del feto con la madre (la placenta) e non altro. Nello stesso tempo un’altra proteina forma un embrioblasto, cioè una cellula che dà origine gli organi interni del feto, ossia il sistema gastro enterico.
 

Ecco dunque che siamo arrivati al primo bivio:
il trofoblasto e l’embrioblasto non sono più totipotenti, ma pluripotenti (=  fanno molte cose ma non tutte). La cosa va avanti e per successivi bivi le staminali diventano sempre meno generiche, fino ad arrivare alle unipotenti, come quelle della pelle, che possono generare solo le cellule dell’ epitelio.

Fermiamoci un attimo:

Le cellule totipotenti si differenziano e danno tutte le altre cellule ma da sole non possono dare un individuo nuovo. I biologi spiegano che per questo serve in aggiunta il citoplasma di una cellula uovo, che ha le proteine necessarie allo scopo. La cosa fu chiara quando si riuscì a clonare la mitica pecora Dolly:

1) Una cellula uovo prelevata da una pecora venne privata del nucleo.
2) In essa fu iniettato il nucleo di una cellula presa dalle tette di un’altra pecora.
3) Il tutto fu iniettato nell’utero di una terza pecora, che portò avanti la gravidanza.

Dunque la clonazione è efficace per generare delle cellule staminali ma inevitabilmente esse partono dallo stadio adulto,  perché derivano da un individuo che ha già vissuto una parte della sua vita. In altri termini, la pecora Dolly visse circa quanto sua madre, perché era stata generata dalle sue cellule già un po’ vecchie.
 
 
 
Come si riproduce una staminale?
Quando una cellula staminale si riproduce può generare due cellule anch’esse staminali o una staminale e una cellula differenziata, che va a formare i vari tessuti.
 
Da questo derivano delle conseguenze importanti:

1 Le staminali più “potenti”  derivano da embrioni nei primi tre mesi di vita.
2 Da embrioni di 3 – 6 mesi si ricavano le  fetali, soprattutto dal cordone ombelicale.
3 Dal sangue si ricavano le ematopoietiche, che spesso sono unipotenti.
 
Dunque le staminali sono più potenti e “utili” quanto più si va indietro e ci si avvicina allo zigote.
 
 
E allora che problema c’è? Prendiamole di li!

Ecco che sorge un problema etico, perché per molti non è accettabile che una morula che proviene da un aborto sia usata per questo scopo.
E allora cloniamo un individuo, così come abbiamo detto prima, e smantelliamo la sua morula. In questo modo uccideremo un embrione, ma ricaveremo delle cellule staminali utili per curare una persona, magari un suo familiare. Qui il problema etico può essere più accettabile, però rimane notevole.
Infine una donna potrebbe donare il suo cordone ombelicale dopo il parto, che all’ interno ha mezzo litro di sangue ricco di staminali. Questo si ritiene accettabile se c’è il suo consenso scritto, perché il cordone ombelicale, ormai inutile, sarebbe portato all’inceneritore dell’ospedale.

Che cosa si potrebbe curare con le staminali?
I progetti sono tanti e quelli più prossimi alla realizzazione sono: la cura dell’Alzheimer (la progressiva perdita delle facoltà mentali negli anziani) il Parkinson (la perdita di funzionalità dei movimenti, che all’inizio è comunemente nota come “palletico”) ma anche il diabete, la distrofia muscolare …
 
 

Che cosa si cura attualmente?
Non molto, soprattutto la leucemia e i tumori al sistema linfatico. Al momento possiamo fare diverse cosa dalle cellule ematopoietiche, che sulla superficie hanno la proteina CD34T che siamo in grado di riconoscere e isolare. Perciò le possiamo separare da tutte le altre e mettere a coltura “in vitro” cioè in provetta. Per questo è importante la donazione del midollo osseo, che appunto produce le ematopoietiche. Sono interessanti anche le multipotenti dei tessuti solidi (la cartilagine, l’osso, l’adipe e i muscoli) che contengono cellule staminali dette MSC (del mesenchima).

 
Come si porta avanti una ricerca medica sugli effetti delle staminali?
In campo medico, per accordo  internazionale ormai accettato dai più, si usa la tecnica “del doppio cieco” ossia si cura un certo numero di pazienti somministrando alla metà di loro la terapia e all’ altra meta un placebo, cioè una soluzione inefficace che non cura niente. Dopo un certo tempo un’ altra equipe di medici, che non sa chi ha ricevuto la terapia e chi il placebo valuta gli effetti, senza essere condizionata né dalla indicazioni dei colleghi che l’hanno somministrata né dalle impressioni dei pazienti.

Al momento il progetto più importanti sono questi:

 1)      Holocolor = per le ustioni della cornea
2)      Strimvelis = cellule staminali vettori
3)      Scots = degenerazione del nervo ottico

Il ricercatore giapponese Shinya Yamanaka ha ricevuto alcuni anni orsono il Nobel per una procedura inversa di quella  descritta fin qui, che consiste nel far retrocedere una cellula specializzata fino alla staminale che l’ha generata, con l’azione di proteine dette OC4, SOX2, NANOG, LIN28. Però qui siamo ancora nel campo della ricerca pura perché questo scienziato ha lavorato solo su cavie (topi).
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Un po’ di te   (Un futuro per tanti)
Incontro del 24.02.2017 Auditorium Liceo Giotto Ulivi
Pietro Frittitta Reparto di Oncoematologia del Policlinico Careggi
Dr.ssa Myriam Mie, Progetto Donazione sangue cordonale  Osp. Di Borgo San Lorenzo
 
 
Sintesi della relazione di Pietro Frittitta
 
Oggi è possibile la cura della leucemia e del linfoma per mezzo del trapianto di midollo, che si può ricavare in diversi modi. Che possibilità ci sono?  
 
1)      L’allotrapianto (da un donatore)
Il donatore potrebbe essere un famigliare di stretta parentela, uno dei genitori, un fratello o una sorella. In questi casi ci può essere una buona compatibilità, comunque da verificare con dei test preventivi. Il donatore potrebbe essere uno sconosciuto, che ha accettato di donare il suo midollo, oppure una donna che ha donato il sangue del cordone ombelicale.

2)      L’autotrapianto
Il midollo viene dallo stesso paziente, in un periodo di remissione della malattia, o in momento di arresto dovuto alla chemioterapia. Cioè si sfrutta una temporanea e provvisoria stasi del male che permetta il proliferare di cellule sane nel midollo.

 
 
Come si dona il midollo?

Si manifesta da propria volontà in un ospedale qualificato, dal 18imo al 35imo anno di età. Si può donare fino a 55 anni. La prima caratterizzazione del midollo si esegue con un prelievo di sangue. Si dona una sola volta (si può ripetere solo per mancato attecchimento nel paziente ricevente). Si può essere chiamati anche dopo 20 anni.

Da dove si prende il midollo?

1)      dalle creste iliache (dalle ossa del bacino) si può ricavare molto midollo. In questo caso occorre una autodonazione preventiva, con sangue messo da parte in precedenza, per ripristinare subito dopo le cellule del sangue del donatore, finché non si riforma il suo midollo. E’ una operazione in anestesia spinale, con un ricovero di circa due giorni.


2)      Dalla circolazione periferica. Qui la procedura prevede una sollecitazione a produrre delle cellule sanguigne mediante farmaci, da somministrare nei giorni precedenti la donazione. Succede che l’eccesso di cellule sanguigne prodotte viene scaricato nel sangue e così si possono prendere con un prelievo da un braccio del donatore. Il sangue prelevato viene opportunamente filtrato in modo da trattenere le staminali emopoietiche e il resto viene reiniettato nell’altro braccio del donatore. Il tutto dura circa 4 ore.
 
3)      Dalla “donazione del cordone ombelicale”, come spiegato dalla dr.ssa Myriam Lie.
 
 Sintesi della relazione della dr.ssa Myriam Lie
 
Per cominciare è bene chiarire che non si dona l’intero cordone ombelicale ma il sangue contenuto nel suo interno al momento del parto e quindi sarebbe meglio dire “donazione del sangue cordonale”. Il cordone ombelicale stabilisce un collegamento con la madre, in modo che il feto riceve il sangue materno e scarica nella madre il sangue da depurare, che contiene molte cellule staminali.
Infatti il feto, non essendo ancora un organismo ben differenziato, contiene un gran numero di cellule indifferenziate. Dunque interessa particolarmente il sangue in uscita, quello che passa per la vena ombelicale, che è sangue del nascituro e non della madre.
Che cosa deve fare la madre per donare?
Deve dare il consenso, che viene scritto nel libretto in cui si scrivono i controlli, le visite e le cure che essa ha durante i nove mesi. Pochi giorni prima del travaglio deve accettare un controllo per la verifica finale della sua idoneità.
Fino a qualche anno fa la madre accettava che un ago per i prelievi togliesse il sangue dal cordone durante il parto, quando era in posizione di parto. Però oggi questa procedura non viene più seguita, perché creava apprensioni ed era inutile.

 Dove si conservano le staminali?
Dal sangue cordonale si ottengono molte staminali, che si possono conservare nelle cosiddette Banche del sangue, che sono presso i maggiori ospedali. In Italia non è ammessa la conservazione presso cliniche private. Qui da noi non è permessa la donazione autologa, cioè il prelievo di sangue cordonale da mettere in conservazione per un eventuale uso in favore del  nascituro, nel caso che ne avesse bisogno da ragazzo o anche da adulto.


 
Fonte: Progetto Cellule staminali, del Liceo Scientifico Giotto Ulivi di Borgo san Lorenzo. Ideato dalla prof. Sabina Mazzoldi, curato dalla prof. Cristina Carlà Campa. Le illustrazioni e il testo di questo post sono del prof. Claudio Mercatali.

 

mercoledì 9 maggio 2018

La Cassa Cattolica di Palazzuolo di Romagna

La banca cooperativa
più vecchia della Toscana
Ricerca di Claudio Mercatali

 
L'Enciclica Rerum Novarum
diede il via alla costituzione
delle Casse Rurali
 
Chi era “Fides”? Lo pseudonimo nasconde uno sconosciuto corrispondente del periodico Il  Vero Operaio, che scrisse gli articoli che stiamo per leggere. Dai suoi ragionamenti si capisce che era un cattolico fervente, di ottima cultura, molto informato su questioni finanziarie e di cooperazione. Siccome parlando di Palazzuolo ci dice che “da Mugellano puro sangue sarò sempre in prima fila per ogni nobile e santa iniziativa a beneficio della vera civiltà della mia vallata” possiamo presumere che sia don Cavallari, che nel 1895  fu fra i fondatori della Cassa Rurale di Palazzuolo e poi presidente per molti anni.
 

 

 Ma perché lui e altri preti all’inizio del Novecento sentirono il bisogno di fondare delle banche cooperative cattoliche? Leggiamo qui accanto il suo ragionamento:
 

“Il cupo mormorio diffuso nella compagine sociale è un sintomo di una vera malattia dell’ organismo; è l’espressione di un malessere reale, diffuso, diuturno, che ha la radice profonda in cumuli di dolori e di vergogne sociali, di calpestio dell’ideale della giustizia. Quindi in successivi articoli senza avere la pretesa di farla da maestro ad alcuno esporremo: a) Che cos’è una Cassa Rurale b) Scopi delle Casse Rurali C) Pregi e difetti da correggersi D) Vantaggi delle Casse Rurali E) Difficoltà per l’impianto F) Norme di contabilità”.

 
 
Natura e scopo
delle Casse Rurali

Fides è molto chiaro nei suoi intenti e anche ben preparato sui difficili temi del diritto societario:



La “Cassa Rurale è un piccolo istituto di credito fondato su due principi essenziali: della solidarietà e responsabilità illimitata b) dello spirito e della pratica cattolicità dei Soci. A questi principi fondamentali vanno intimamente collegati quest’altri secondari: 1) Circoscrizione locale 2) Esclusione di ogni capitale azionario 3) Indivisibilità degli utili e del fondo sociale; la gratuità degli uffici salvo una retribuzione proporzionata a quell’impiegato cui sia affidato il lavoro materiale dell’amministrazione”.
 
 
 
 
 
Scopi delle Casse Rurali

L’idea primigenia di fondare delle cooperative di credito fu di Federico Raiffeisen  che nel 1847 – 48 ad Eddesdorf, nella provincia Renana fondò la prima Cassa e la chiamò Istituto Cristiano Sociale. Il 20 giugno 1883 a Loreggia, provincia di Padova, fu aperta la prima Cassa Rurale italiana, per opera del dottore Leone Wollenborg. Era una Cassa prettamente laica, priva dello spirito cattolico animatore di Raiffeisen.
 
Pregi e difetti da correggersi
Secondo Fides le difficoltà incontrate da Leo Wollenborg nell’ impianto delle Casse Rurali stava nel fatto che i soci laici, anche se animati dalle migliori intenzioni, non avevano il necessario spirito di solidarietà e cooperazione, mancando i valori della carità cristiana.


Questa è una tesi ardita, che però ha un riscontro nei fatti, perché quasi tutte le Casse Rurali erano gestite nelle parrocchie, con molto altruismo. Secondo un’altra interpretazione le Casse Cattoliche ebbero successo anche perché erano sostenute dalla Chiesa, che aveva ed ha una potente struttura finanziaria. Non a caso nel 1896 il conte Giovanni Acquaderni, sollecitato dall’ arcivescovo di Bologna, fondò il Piccolo Credito Romagnolo, banca cooperativa fino al 1914 e poi società per azioni. Aveva come scopo anche quello di coordinare le Casse Rurali nella nostra zona e per questo più o meno bonariamente fu soprannominato “la banca di prit” (La Banca dei Preti).


Nel 1904 a Firenze fu fondato il Piccolo Credito Toscano, in origine banca cooperativa come il Credito Romagnolo, che poi divenne la Banca Toscana.
 
 
Vantaggi e difficoltà
per l’impianto
Abbiamo detto nei numeri passati che solo le Casse Rurali, non a base di laicità ma di spirito cattolico, di praticità cattolica dei soci hanno potuto attecchire e svilupparsi straordinariamente anche nella nostra Italia ... e la vitalità della costituenda o costituita Istituzione sarà proporzionata al coefficiente religioso e morale dei suoi componenti …






Data adunque la difficoltà di poter formare subito la Società di elementi veramente consci dello spirito animatore che deve informarla, i promotori e fondatori di una Cassa Rurale possono attenersi al concetto pratico di una certa larghezza nell’accettazioni dei postulanti a Socio ( purché l’insieme della vita del postulante sia informata a principi cristiani) si da dar tempo al Sodalizio di potersi con un lavoro silenzioso e modesto, sviluppare e assicurarsi la vita almeno finanziariamente.
 
 
Pochi ma buoni

Questo concetto fondamentale dei pochi ma buoni emana dalla grave responsabilità che pesa su tutti i Soci di una Cassa Rurale indistintamente per la responsabilità illimitata. E questa responsabilità illimitata richiede una fiducia reciproca illimitata fra i componenti il medesimo sodalizio la quale non può nascere che dalla comunanza di fede e di principi ben intesi e ben praticati. Allora si verificherà nel suo vero concetto il principio Tutti per uno e uno per tutti il quale non potrà avere la sua attuazione pratica se non fra individui animati veramente dal sentimento di vera carità cristiana.

 
 
 
 

Dalle Casse Rurali, in cento anni di trasformazioni e sviluppo, sono derivati più o meno indirettamente, quasi tutti gli Istituti delle Banche Popolari, del Credito Artigiano e molte Casse di Risparmio.
 
 
 
Insomma tante Banche vengono da queste esperienze di fine Ottocento. Forse sarebbe meglio dire “venivano” perché come sappiamo dalla cronaca recente, molte di queste  sono andate in fallimento o versano in grave difficoltà e di certo non perché non sono più al passo con i tempi o è cambiato il mondo …
 
 
 
 
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La Cassa Rurale di Palazzuolo era collegata alla SOMS, la Società operaia di Mutuo Soccorso, un'altra cooperativa impegnata nel sociale e nell'assistenza per gli infortuni sul lavoro degli operai. 
 
 
 
  

mercoledì 2 maggio 2018

La Cassa Rurale di Palazzuolo

Storia di una banca cooperativa
ricerca di Claudio Mercatali
 


Le Casse Rurali erano Cooperative di credito per i contadini. Si diffusero alla fine dell' Ottocento e in Italia la prima fu fondata dal liberale  Leo Wollenborg, di Padova. Nella nostra zona furono sostenute soprattutto dai parroci di campagna, per venire incontro alla popolazione rurale, molto povera.
Si basavano sulla cooperazione tra persone che altrimenti non avrebbero potuto accedere al credito bancario.
In Italia un animatore di queste iniziative fu don Luigi Cerutti. La regola fondamentale di queste Casse era la responsabilità solidale dei soci nei confronti dei terzi e concedevano prestiti a piccoli proprietari terrieri, operai agricoli e contadini.



La loro attività rimase per molti anni ridotta ma poi con lo stesso spirito si rivolsero anche agli artigiani e divennero Casse Rurali e Artigiane e poi Banche di Credito Cooperativo.

Nella nostra zona la Banca del Mugello (1994) ha una storia connessa a questi istituti d'origine cooperativa. Essa infatti nacque nel 1972 con il nome di Cassa Rurale ed Artigiana del Mugello, dalla fusione delle Casse Rurali di Luco di Mugello, di Piancaldoli e di Coniale fondate fra il 1910 ed il 1923.

 
 
Luglio 1895
Comincia l'avventura ...
 
 
 
Però la banca che ci interessa ora non è fra queste, pur essendo anch'essa una Cassa Rurale. La nostra storia comincia nel 1895 quando a Palazzuolo fu fondata una banca cooperativa, per iniziativa di sei preti di cui tre di Firenzuola, più tre cittadini palazzuolesi. Leggiamo qui accanto che cosa scrisse il corrispondente del Messaggero del Mugello, il 29 luglio 1895: " ... tre e tre sei e tre nove galantuomini che presto faranno vedere, specie per l'impulso dell' ottimo clero palazzuolese, che risorsa possa essere una Cassa Rurale cattolica ...".

 
 
La lettera anonima ...
 
 
Questa lode ai nove galantuomini che avevano avuto l'ardire di fondare una banca a Palazzuolo non piacque a tutti e il 15 ottobre 1895 un altro palazzuolese, anonimo, scrisse risentito a don Stefano Casini, pievano di Cornacchiaia, che era l' autore dell'articolo precedente e uno dei fondatori della Cassa, dicendo "... il Comune di Palazzuolo conta 4500 abitanti e dei galantuomini non ce ne sono che nove? E tutti gli altri sono fior di bricconi? ...". L'intento polemico è chiaro, come si può leggere qui accanto, perché il fatto che i preti si mettessero a fare i banchieri non piaceva a tutti.
La cosiddetta "finanza cattolica" non era ben vista dai Socialisti, convinti che i preti fossero già abbastanza potenti. Però all' epoca Palazzuolo era un paese profondamente cattolico e queste voci furono presto messe a tacere.  


 
 
 
L'avventura era cominciata e, dopo un avvio incerto nel 1896, la raccolta del denaro cominciò a dare i suoi frutti. Ogni anno, all'inizio della primavera, come da Statuto, c'era l'Assemblea generale dei soci, per la presentazione del bilancio consuntivo. Leggiamo qui accanto come andarono le cose nel 1897.

 
 
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Negli anni seguenti l'andamento fu alterno, perché gestire una Cassa Rurale in un paese povero non era per niente semplice. Ecco qui accanto la relazione di bilancio di don Francesco Cavallari, presidente della Cassa nel biennio 1900 - 1901. Ogni anno la banca pubblicava i bilanci, perché così imponeva la legge per le Casse cooperative. Apprendiamo così che l'anno 1900 si chiuse con un disavanzo di 274,50 lire, ma nel 1905 ci fu un utile di 343,61 lire.

 
 
La partecipazione alle assemblee era obbligatoria e gli assenti dovevano pagare una multa di 1 lira, come si legge qui sopra. Il 29 agosto del 1908 la Banca, festeggiò  il quattordicesimo anno di attività in modo particolarmente solenne. In questa circostanza ebbe luogo anche il Convegno interdiocesano delle Associazioni cattoliche e a Palazzuolo ci fu grande animazione. Naturalmente ci fu la processione e la banda suonò per le vie del paese. Il resto è descritto nell'articolo qui accanto.

 
La Cassa, oltre che gestire il credito, era promotrice e animatrice di tante iniziative di interesse sociale e della fondazione di altre cooperative. Ecco qui accanto l'ordine del giorno dell' Assemblea del 24 giugno 1909 nella quale i soci furono chiamati ad approvare lo statuto per la Società Edificatrice di Case Operaie.  


La gestione della Cassa era molto democratica: le cariche sociali erano elettive, l'Assemblea stabiliva il criterio di ripartizione degli utili, ed essendo l'Istituto di stampo cattolico ogni anno provvedeva all' acquisto della cera per le candele da usare nella Processione del Corpus Domini, la più importate a Palazzuolo.






Nel 1908 per festeggiare i quattordici anni di attività i festeggiamenti furono particolarmente solenni ...








Quell'anno a Palazzuolo si tenne anche il Convegno Inter diocesano delle Associazioni Cattoliche ...









... Con tanto di banchetto ... "70 coperti alla Locanda Baietto, 40 nella Canonica ..."









L'introito andò al "fondo vecchi" della locale SOMS (Società Operaia di Mutuo Soccorso) una interessante cooperativa di assistenza mutualistica.


Nella foto: la processione del Corpus Domini a Palazzuolo, nel primo Novecento











Come andò a finire questa banca? Non bene a dire il vero, perché fu una delle vittime della crisi del 1928 - 29. Chiuse e venne liquidata, come risulta dalle notizie dell'Archivio storico della Banca d'Italia, i cui funzionari, interpellati in proposito, sono stati molto precisi:

"Si comunica che dalle approfondite ricerche effettuate presso l’Archivio Storico della Banca d’Italia sono risultate le informazioni riepilogate di seguito:
Nell'Archivio non è stato reperito alcun documento riguardante la "Cassa Rurale Cattolica di Palazzuolo di Romagna" (al riguardo si fa presente che sino al 1926 la Banca d'Italia non ha svolto alcun compito istituzionale di supervisione e vigilanza sugli enti creditizi).
Per quanto riguarda invece la Cassa Rurale di Depositi e Prestiti di Palazzuolo di Romagna, che presumibilmente è la denominazione assunta dall' ente creditizio in discorso negli anni successivi alla sua fondazione, essa viene messa in liquidazione virtuale a seguito di una deliberazione dell' assemblea dei soci del 14 aprile 1928, per poi essere posta in liquidazione legale con altra deliberazione del 12 dicembre 1931 (come liquidatore viene nominato il dott. Pilade Ortolani); l'approvazione del bilancio finale della liquidazione viene infine approvato con deliberazione del 29 aprile 1934. Con lettera del 23 ottobre 1934 il Ministero delle Finanze comunica alla Banca d'Italia l'avvenuta cancellazione della Cassa Rurale di DD.PP. di Palazzolo di Romagna dall'Albo delle aziende di credito (vedi qui accanto).

10 ottobre 2011 dottor Giuseppe Luci e dott. Marco Melini
Banca d'Italia Servizio Studi di Struttura Economica e Finanziaria
via Nazionale, 191 (Villa Huffer) - Roma tel. 06.4792.2016