Il passaggio per Marradi
e l’evacuazione
ricerca di Luisa
Calderoni
Marradi 1944
(foto R.Randi)
“Arrivammo a Marradi verso le 18
(dei primi di settembre 1944) Che squallore! Le case, quelle rimaste, con
gli usci sfondati e saccheggiate.
Passando davanti alla farmacia,
riconobbi gli sci che mi aveva regalato mio cugino, abbandonati sugli scalini
del negozio; la bottega del calzolaio Vigna era stata saccheggiata e le scarpe
da bambini erano sparse per la piazza . E poi, dopo il ponte, rovine e soldati
tedeschi dappertutto, armati fino ai denti e con certe facce stravolte da
metter paura, alcuni, sdraiati in terra sotto gli alberi della stazione,
dormivano
profondamente, altri riordinavano il bottino nei mezzi sistemati sul
ciglio della strada sapientemente mascherati. Passo passo, arrivammo al
camposanto e due soldati tedeschi ci indicarono la casa di Figacciolo dove ci
fecero comprendere avremmo dovuto trascorrere la notte prima di riprendere la
strada per Medicina. Mentre si discuteva di questo, si udirono dei colpi in
lontananza verso l’Appennino e dopo poco il sibilo di alcune granate che
esplosero nei campi sotto la strada.
Il fronte era arrivato e questo
era il primo saluto degli Inglesi.
I tedeschi fecero immediatamente
dietro-front e ci lasciarono soli sulla strada per Camosciano, noi proseguimmo
e arrivammo a Figacciolo.
La casa era deserta e ci
sistemammo alla meglio per passare la notte: io trovai un letto e, stanco morto
mi ci infilai, ma poco dopo dovetti scappare perché brulicava di insetti
immondi e a forza di cercare mi sistemai in una stanza piena di grano appena
battuto in mezzo al quale mi addormentai profondamente: Ma, dopo qualche ora di
sonno, mi destai terrorizzato dagli scoppi delle granate che gli inglesi
sparavano tutt’intorno.
Come Dio volle, arrivò il mattino
dei primi di settembre, terso e cupo in un silenzio irreale, (…) e riprendemmo
la marcia, la mia famiglia e i Ciottoli, mentre altri vollero sostare ancora.
Arrivati a Popolano volevamo
prendere la strada per Dogara e poi proseguire per Vonibbio e la valle Acerreta
ma un posto di blocco di soldati tedeschi ci voleva impedire l’accesso,
indicandoci di proseguire lungo la strada per Faenza.
Il Canovetto, a Vonibbio
La discussione che ne seguì si
protrasse per un po’ finché dalla casa uscì un ufficiale che parlava abbastanza
bene la nostra lingua, e sentite le nostre ragioni e visto lo stato in cui
eravamo, acconsentì a farci passare.
Come Dio volle arrivammo a
Vonibbio nel primo pomeriggio mentre la famiglia Ciottoli proseguì subito per
Rio Faggeto. Intanto il Fronte si stava avvicinando, a giudicare dai colpi e
dai boati che si percepivano in lontananza. (…)
Rio Faggeto
Passarono altri giorni e si
arrivò alla fine di settembre. Una mattina, scendendo dal piano di sopra
dove dormivo, trovai la casa piena di soldati tedeschi pesantemente
armati: il fronte era arrivato e questi soldati del Reggimento Granatieri della
305° divisione fanteria, si stavano schierando con le trincee sul crinale
di Poggio Grilleta e oltre, fino al Monte Cavallara e Monte di Grisigliano.
Dall’altra parte gli indiani
dell’8° divisione di fanteria Britannica, erano schierati alle case di Vonibbio
e di Dogara, e premevano per sfondare questo schieramento.
Il monumento ai soldati indiani
al cimitero di guerra di Forlì.
Il podere di Sermano
Sermano divenne sede del Comando
di Compagnia di uno di questi reparti: c’erano tre cucinieri, due porta feriti
comandati dal Caporale di sanità Bernard, un maresciallo furiere di nome, credo,
Gustav Drenseh, il capitano e altri soldati dei servizi.
Cominciarono di nuovo a cadere le
granate degli 88/27 inglesi. Noi civili ci eravamo rifugiati in cantina un lato
della quale era occupato dal posto telefonico di compagnia dei tedeschi (…) A
volte la sera si poteva salire in casa nei momenti di tregua, visto che gli
inglesi cannoneggiavano spesso anche la notte per impedire ai tedeschi di
spostarsi e trasportare rifornimenti alle linee, col favore delle tenebre.
In queste circostanze i soldati tedeschi
insegnarono a noi ragazzi ad aiutarli a ricaricare i nastri di mitragliatrice
che erano stati svuotati sparando dalle trincee durante il giorno. Per premio
ci regalavano una piccola confezione tonda della loro cioccolata che sembrava
fatta con le castagne, ma a noi andava bene lo stesso.
Forlì. Il cimitero di guerra
dei soldati indiani che combatterono
con gli Inglesi
Gli Indiani tentavano in mille
modi di sfondare le linee tedesche ma venivano respinti: la 305 Divisione
granatieri tedesca era formata in maggior parte da veterani provenienti dal
fronte russo e c’era veramente poco da fare contro quei soldati. Una mattina di
pioggia e nebbia, dopo una notte di scontri e sparatorie, vidi il caporale
Bernard e i due portaferiti con una barella scendere verso casa: il
graduato stava davanti sventolando una bandiera bianca con la croce rossa.
Arrivati nell’aia la deposero e io vidi il primo soldato alleato che mi
capitava di vedere: si trattava di un indiano in divisa kaki, piccolo di statura,
con baffetti neri, di color olivastro e purtroppo ormai morto, infatti la gamba
sinistra, interamente avvolta in fasce intrise di sangue, era mancante del
piede.
I tedeschi ordinarono al babbo di
seppellirlo cosa che fu fatta immediatamente.
Per quasi tutto ottobre, per noi
vita di cantina e per tedeschi e inglesi scontri cruenti, il tutto condito con
pioggia e nebbia, e quando non c’era questa, dai nebbiogeni artificiali che gli
inglesi seminavano con l’artiglieria nell’imminenza dei loro attacchi. Alle granate
sparate dagli inglesi, i tedeschi replicavano con delle batterie situate nella
vallata, una a Cignano ed un’altra vicino a Lutirano. Una di queste fu
individuata grazie al famoso “ Pippo”, il piccolo e lento apparecchio alleato
da ricognizione che volava quotidianamente, quando il tempo lo permetteva,
sulle nostre teste, temutissimo dai tedeschi che, al suo apparire, occultavano
tutto pena essere individuati e ricevere entro 5 minuti una scarica di
cannonate di una precisione millimetrica.
Un ricognitore inglese tipo "Pippo",
nomignolo dato dai marradesi, che lo vedevano girare attorno al paese,
apparentemente senza una meta precisa.
E venne il giorno del destino del
capitano metodico che alle 9 precise di ogni mattino partiva da Sermano per andare
a ispezionare la linea di combattimento. Una mattina il povero capitano fu
quasi centrato da una salva di granate di mortaio. Bernard scortò fino a casa
la barella con il solito bandierone agitato freneticamente e il ferito fu
scaricato nella capanna del fieno. Dopo una sommaria medicazione fu portato
alla Badia dove i tedeschi avevano un’ambulanza, ed evacuato.
Il comando della compagnia passò
al maresciallo e la vita quotidiana proseguì con le solite vicissitudini finché
un giorno anche il povero Gustav, che aveva ereditato le abitudini del suo
capitano, fu colpito alla gola dalla pallottola di un cecchino inglese e morì
all’istante.
Il suo corpo fu portato a valle e
tumulato, insieme alla salma di un altro tedesco, nel campo dietro la chiesa
della Badia.