Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

mercoledì 27 novembre 2013

Le memorie di guerra di Giancarlo Ballerini



Il passaggio per  Marradi 
e l’evacuazione
ricerca di Luisa Calderoni


Marradi 1944
(foto R.Randi)


“Arrivammo a Marradi verso le 18 (dei primi di  settembre 1944) Che squallore! Le case, quelle rimaste, con gli usci sfondati e saccheggiate.

Passando davanti alla farmacia, riconobbi gli sci che mi aveva regalato mio cugino, abbandonati sugli scalini del negozio; la bottega del calzolaio Vigna era stata saccheggiata e le scarpe da bambini erano sparse per la piazza . E poi, dopo il ponte, rovine e soldati tedeschi dappertutto, armati fino ai denti e con certe facce stravolte da metter paura, alcuni, sdraiati in terra sotto gli alberi della stazione, dormivano
profondamente, altri riordinavano il bottino nei mezzi sistemati sul ciglio della strada sapientemente mascherati. Passo passo, arrivammo al camposanto e due soldati tedeschi ci indicarono la casa di Figacciolo dove ci fecero comprendere avremmo dovuto trascorrere la notte prima di riprendere la strada per Medicina. Mentre si discuteva di questo, si udirono dei colpi in lontananza verso l’Appennino e dopo poco il sibilo di alcune granate che esplosero nei campi sotto la strada.


Il fronte era arrivato e questo era il primo saluto degli Inglesi.
I tedeschi fecero immediatamente dietro-front e ci lasciarono soli sulla strada per Camosciano, noi proseguimmo e arrivammo a Figacciolo.
La casa era deserta e ci sistemammo alla meglio per passare la notte: io trovai un letto e, stanco morto mi ci infilai, ma poco dopo dovetti scappare perché brulicava di insetti immondi e a forza di cercare mi sistemai in una stanza piena di grano appena battuto in mezzo al quale mi addormentai profondamente: Ma, dopo qualche ora di sonno, mi destai terrorizzato dagli scoppi delle granate che gli inglesi sparavano tutt’intorno.
Come Dio volle, arrivò il mattino dei primi di settembre, terso e cupo in un silenzio irreale, (…) e riprendemmo la marcia, la mia famiglia e i Ciottoli, mentre altri vollero sostare ancora.
Arrivati a Popolano volevamo prendere la strada per Dogara e poi proseguire per Vonibbio e la valle Acerreta ma un posto di blocco di soldati tedeschi ci voleva impedire l’accesso, indicandoci di proseguire lungo la strada per Faenza.

Il Canovetto, a Vonibbio

La discussione che ne seguì si protrasse per un po’ finché dalla casa uscì un ufficiale che parlava abbastanza bene la nostra lingua, e sentite le nostre ragioni e visto lo stato in cui eravamo, acconsentì a farci passare.
Come Dio volle arrivammo a Vonibbio nel primo pomeriggio mentre la famiglia Ciottoli proseguì subito per Rio Faggeto. Intanto il Fronte si stava avvicinando, a giudicare dai colpi e dai boati che si percepivano in lontananza. (…)




Rio Faggeto

Passarono altri giorni e si arrivò alla fine di settembre. Una mattina,  scendendo dal piano di sopra dove  dormivo, trovai la casa piena  di soldati tedeschi pesantemente armati: il fronte era arrivato e questi soldati del Reggimento Granatieri della 305°  divisione fanteria, si stavano schierando con le trincee sul crinale di Poggio Grilleta e oltre, fino al Monte Cavallara e Monte di Grisigliano.
Dall’altra parte gli indiani dell’8° divisione di fanteria Britannica, erano schierati alle case di Vonibbio e di Dogara, e premevano per sfondare questo schieramento.




Il monumento ai soldati indiani
al cimitero di guerra di Forlì.







Il podere di Sermano



Sermano divenne sede del Comando di Compagnia di uno di questi reparti: c’erano tre cucinieri, due porta feriti comandati dal Caporale di sanità Bernard, un maresciallo furiere di nome, credo,  Gustav Drenseh, il capitano e altri soldati dei servizi.
Cominciarono di nuovo a cadere le granate degli 88/27 inglesi. Noi civili ci eravamo rifugiati in cantina un lato della quale era occupato dal posto telefonico di compagnia dei tedeschi (…) A volte la sera si poteva salire in casa nei momenti di tregua, visto che gli inglesi cannoneggiavano spesso anche la notte per impedire ai tedeschi di spostarsi e trasportare rifornimenti alle linee, col favore delle tenebre.
In queste circostanze i soldati tedeschi insegnarono a noi ragazzi ad aiutarli a ricaricare i nastri di mitragliatrice che erano stati svuotati sparando dalle trincee durante il giorno. Per premio ci regalavano una piccola confezione tonda della loro cioccolata che sembrava fatta con le castagne, ma a noi andava bene lo stesso.




Forlì. Il cimitero di guerra
dei soldati indiani che combatterono
con gli Inglesi



Gli Indiani tentavano in mille modi di sfondare le linee tedesche ma venivano respinti: la 305 Divisione granatieri tedesca era formata in maggior parte da veterani provenienti dal fronte russo e c’era veramente poco da fare contro quei soldati. Una mattina di pioggia e nebbia, dopo una notte di scontri e sparatorie, vidi il caporale Bernard e  i due portaferiti con una barella  scendere verso casa: il graduato stava davanti sventolando una bandiera bianca con la croce rossa. Arrivati nell’aia la deposero e io vidi il primo soldato alleato che mi capitava di vedere: si trattava di un indiano in divisa kaki, piccolo di statura, con baffetti neri, di color olivastro e purtroppo ormai morto, infatti la gamba sinistra, interamente avvolta in fasce intrise di sangue, era mancante del piede.
I tedeschi ordinarono al babbo di seppellirlo cosa che fu fatta immediatamente.
Per quasi tutto ottobre, per noi vita di cantina e per tedeschi e inglesi scontri cruenti, il tutto condito con pioggia e nebbia, e quando non c’era questa, dai nebbiogeni artificiali che gli inglesi seminavano con l’artiglieria nell’imminenza dei loro attacchi. Alle granate sparate dagli inglesi, i tedeschi replicavano con delle batterie situate nella vallata, una  a Cignano ed un’altra vicino a Lutirano. Una di queste fu individuata grazie al famoso “ Pippo”, il piccolo e lento apparecchio alleato da ricognizione che volava quotidianamente, quando il tempo lo permetteva, sulle nostre teste, temutissimo dai tedeschi che, al suo apparire, occultavano tutto pena essere individuati e ricevere entro 5 minuti una scarica di cannonate di una precisione millimetrica.


Un ricognitore inglese tipo "Pippo", nomignolo dato dai marradesi, che lo vedevano girare attorno al paese, apparentemente senza una meta precisa.


E venne il giorno del destino del capitano metodico che alle 9 precise di ogni mattino partiva da Sermano per andare a ispezionare la linea di combattimento. Una mattina il povero capitano fu quasi centrato da una salva di granate di mortaio. Bernard scortò fino a casa la barella con il solito bandierone agitato freneticamente e il ferito fu scaricato nella capanna del fieno. Dopo una sommaria medicazione fu portato alla Badia dove i tedeschi avevano un’ambulanza, ed evacuato.


Il comando della compagnia passò al maresciallo e la vita quotidiana proseguì con le solite vicissitudini finché un giorno anche il povero Gustav, che aveva ereditato le abitudini del suo capitano, fu colpito alla gola dalla pallottola di un cecchino inglese e morì all’istante.
Il suo corpo fu portato a valle e tumulato, insieme alla salma di un altro tedesco, nel campo dietro la chiesa della Badia.


sabato 23 novembre 2013

Luigi Maestrini


Un Socialista del primo Novecento
ricerca di Luisa Calderoni
e Claudio Mercatali



Chi era Luigi Maestrini? Era un socialista dell'ala dura, comunista sempre e comunque, prima del Fascismo, durante il Fascio e dopo. Prima del 1922 fu consigliere e assessore poi, dopo la Marcia su Roma,  dovette tacere, almeno un po'. Aveva preso in gestione il Ristorante della Stazione, ma si era rifiutato di prendere la tessera del Fascio. Come racconta il nipote Pier Luigi Della Valle, ogni tanto arrivava una squadraccia da Bologna, chiamata dai fascisti del paese, che gli metteva sottosopra il locale. Alla fine, nel 1932, si trasferì a Milano.   Ma andiamo con ordine.

Luigi Maestrini era nato l’8 maggio del 1865 a Borgo San Lorenzo. Figlio di un sacrestano, mantenne sempre il carattere schietto e immediato dei toscanacci. Aveva sposato Giacoma Cova, parente di Don Montuschi. I Cova, a Iummarè gestivano un negozio di pasticceria. Una delle prime menzioni di Luigi Maestrini nelle cronache del paese risale al 1904, quando alle elezioni politiche per la Camera, sostenne la candidatura di Numa Campi, un medico di Modigliana che aveva messo in piedi un' alleanza detta dei Popolari, composta di Laici, Repubblicani e Socialisti, in concorrenza con una lista di Cattolici e di Monarchici Costituzionali. Allora c'era la Romagna Toscana e Marradi era nello stesso collegio elettorale di Modigliana, Tredozio, Rocca S.Cassiano, Dovadola, Castrocaro, S.Piero in Bagno e S.Sofia. Le cose andarono bene e Numa Campi fu eletto deputato.

Nella successiva tornata elettorale del 1909, i Cattolici si presero una rivincita e i Popolari furono sconfitti duramente.


Ecco qui accanto un articolo comparso nel Messaggero del Mugello nel quale il corrispondente marradese polemizza con i Rossi Tulipani (I Socialisti) e con il "simpatico barbuto" cioè con Maestrini, che aveva un pizzetto particolare. Durante la prima guerra mondiale fu consigliere e assessore nell' amministrazione socialista di Palmerino Mercatali, che comprendeva anche i Cattolici. Nell’estate del 1919 i forti contrasti fra il Partito Popolare e il Partito socialista si manifestarono anche a Marradi e la Giunta entrò in crisi.
Il 29 settembre la sezione socialista “Spartaco” di Biforco, in cui prevalevano i Socialisti massimalisti, cioè i futuri Comunisti, votò un ordine del giorno contrario alla partecipazione alle amministrazioni locali e l’assessore Luigi Maestrini si dimise “… in quanto socialista iscritto e rispettoso delle decisioni del partito …”.

Per chi pensa che la politica sia l'arte del compromesso,  questa non fu una decisione saggia perché, di fatto, favorì l'avanzata dei Fascisti a Marradi. Però il compromesso non era nelle corde di Maestrini. La successiva amministrazione, quella del colonnello Edmond Smidt von Secherau, era una compagine di cattolici Popolari e Socialisti moderati della corrente di Turati, debolissima, che fu ben presto travolta dagli eventi. La locale segreteria del PNF (Partito Nazionale Fascista) descrisse così i fatti del 1922 a Marradi, in un discorso pubblico tenuto qualche anno dopo:



 “… Rossi e Bianchi spadroneggiavano, contendendosi il favore delle masse, i buoni borghesi assenti e timo­rosi, i più ormai sfiduciati e rassegnati. Era il tempo della bestia trionfante. Il piccolo nucleo fascista tenne audacemente il campo; vi furono polemiche, minacce, contese, imboscate, senza, per puro caso, man non certo per buona volontà dei nostri nemici, che avvenissero fatti tragici… ma come altrove anche a Marradi il Fascio aumentava sempre più la sua efficienza, il suo potere: furono così ben presto disperse le leghe e le cooperative rosse e bianche, finché nell’occasione della Marcia su Roma, fu dato il colpo di grazia all’ultimo residuo di potenza del sovversivismo locale, col rovesciamento dell’Amministrazione Comunale social popolare …”                   
Marradi, Casa del Fascio,       30  novembre  1930
 
 L’evento più significativo della vita politica di Luigi fu quando partecipò alla fondazione del P.C.I. nato da una scissione del Partito Socialista, al Congresso di Livorno del 1921.
Erano anni difficili e per Luigi Maestrini cominciò un periodo veramente duro, durante il quale poteva contare solo su se stesso. Infatti, in quanto comunista, non riusciva a trovar lavoro. Gestore di buffet, venditore ambulante di gelato, girava per le vie del paese con il suo carrettino vendendo sorbetti e zucchero filato. 
 


Gigi Maestrini mentre vende dolcetti davanti al Comune di Marradi. Alla sua sinistra, tutto elegante c'è Giannino Ravagli detto  “il Bocchio”, noto sarto del paese. Il bambino è Bruno Maestrini, nonno di Perla Della Tana.


Poi si trasferì a Milano. In occasione di ogni festa civile, 1 Maggio, 25 Aprile e 2 Giugno, chiedeva al nipote di mettere al balcone bandiere rosse e manifesti inneggianti alla Repubblica. La fede assoluta all'Idea, il fatto di non essersi piegato agli eventi e al proprio comodo furono ricordati dai suoi compagni di partito, non solo marradesi ma anche a livello nazionale, e al suo funerale, a Milano, parteciparono i massimo dirigenti del PCI di allora.
 


 

C'erano tanti Marradesi quel 27 dicembre del 1956 a Milano …. e le bandiere di tante sedi storiche del PCI

 

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Il feretro a spalla ...


 

Ecco il corteo che percorre le strade di Milano,  
chiuse al traffico per l'occasione. 
Man mano che avanza, il corteo si ingrossa…

 
 




 

Il funerale è naturalmente di rito civile, senza preti .... con tante bandiere rosse.


 


In questa foto c’è Francesco Della Valle, con gli occhiali e con il basco Renzi Giuseppe, detto “ Zio Titte”, zio di Pier Luigi della Valle.
Cesare Renzi era un noto comunista marradese, esule durante il Ventennio. Giuseppe aveva sposato la sorella di Chiara Maestrini, madre di Pier Luigi Della Valle.



 






Libero maestrini, Bruno Maestrini, 
nonna di Perla,
e Chiara Maestrini Della Valle.



  



Il corteo funebre preceduto
dalla banda musicale




 






 

Il carro funebre si ferma davanti alla sede
del Partito Comunista in via Juvara.




 













 

lunedì 18 novembre 2013

L'osteria di Mario e Bice Visani

Mario  Visani
Nelle memorie 
della figlia Norma Visani. 
ricerca di Luisa Calderoni



 Norma Visani, ormai più che novantenne, racconta la storia dell'osteria dei suoi genitori, un locale molto noto che era proprio al centro del paese e si vede in tante cartoline d'epoca di Marradi


 



Beatrice Mercatali detta Bice








“Mio padre Mario Visani  era nato nel 1896 e subito 
dopo la Prima Guerra mondiale sposò Beatrice. 


 
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Negli anni ’20 lavorava a Marradi in Ferrovia. Iniziava l’era Fascista e mio padre, che era socialista, fu buttato fuori dal lavoro per “ Scarso Rendimento”, una scusa, allora molto usata per allontanare le persone indesiderate. 





 
 





Infatti il Capostazione, signor Sechi, 
di lui aveva sempre detto che mio 
padre era il miglior operaio in Stazione….








 



A guerra finita Mario Visani fu riabilitato,
riassunto dalle Ferrovie e liquidato, 
come risulta dai documenti qui accanto:













Bice, la prima da destra














Era il 1922. 
Io avevo otto mesi e mia madre, 
Beatrice Mercatali, detta Bice, 
era molto preoccupata perché 
mio padre era senza lavoro. 


Il libretto di lavoro di Bice









L'ultimo rinnovo, nel 1922, 
del libretto di lavoro di Bice







Fortunatamente Bice lavorava alla Filanda Guadagni dove era entrata nel 1909  come apprendista per poi diventare passatrice dei fili di seta dalla bacinella all'aspo.





   








Capitò che nel Palazzo Fabroni Semeraro, in fondo a via Talenti, in quella che comunemente è detta Piazza di Sotto, dessero via una bettola. Mio padre, utilizzando la buonuscita delle Ferrovie e grazie ad un prestito di “ Berto ed Tità”, padre di Giuseppe Cappelli, prese in gestione il locale.
Allora mia madre lasciò il lavoro alla filanda per aiutarlo nella nuova attività.




La bettola era piccola, appena due stanzine con un po’ di cucina ma il lavoro c’era e così i debiti furono presto ripagati. La bettola lavorava soprattutto con la mescita dei vini ma nei giorni di mercato e per le fiere i coniugi Visani facevano anche da mangiare. Compravano ricotte, raveggioli e tartufi dai contadini e cucinavano la trippa, bianca o al ragù, maccheroni col sugo di carne “trabalzata”, polenta, fegato e ossi buchi. Mario Visani era l’addetto alla preparazione del ragù ma era anche un bravo sommelier: andava a comprare il vino in Romagna e in Toscana e curava la cantina. 


Davanti all'osteria: tutti col bicchiere in mano! L'uomo vestito elegantemente di nero, 
col cappello in tinta, è Mario Visani
 
 




Nel frattempo tutta la famiglia Visani che era cresciuta con l’arrivo della piccola Frine, detta Marta, dalle Case UNRA, si era trasferita nell’appartamento sopra la bottega. Le cose andavano bene anche se il lavoro era tanto e appena poterono, i miei genitori sfondarono un muro del locale e si allargarono anche nelle stanze adiacenti. 


La " Piazza di sotto": nello sfondo la Trattoria Italia


In quarant’anni di attività, dal 1922 al 1962 i Visani hanno visto passare davanti alla loro osteria la vita di Marradi e naturalmente anche la guerra. Durante la guerra, i tedeschi si recavano nel locale, che nel frattempo aveva assunto il nome di “Trattoria Italia”, dove si cucinavano da mangiare da soli, utilizzando ciò che avevano. Poi lo consumavano ai tavoli della trattoria.

Davanti al ristorante
 








Interno del ristorante; la signora è Bice Visani
E fu proprio tra i tavoli della trattoria, dove spesso stazionavano i tedeschi, che un bel giorno, di bocca in bocca, si diffuse la notizia della caduta del fascismo. Iniziarono i momenti più duri e i bombardamenti alleati: il paese, per ordine del Comando Tedesco, fu sfollato e la famiglia Visani trovò rifugio, prima nel podere di Sgagnò e poi al Ponte della Valle. 




Dopo la liberazione i Visani rientrarono a Marradi e Bice fu chiamata dagli Ufficiali Inglesi, che si erano stanziati alla Capanna di Valmarolo, per preparare la mensa per loro e per i soldati accampati tutt’intorno la Fontanina di Coltreciano. 



  
Bice Visani con i nipotini Gianna Lisa e Gian Luca Moretti







La bottega nel frattempo era stata occupata dagli Inglesi ma la casa era libera e la famiglia vi poté rientrare, ma noi ragazze , dovevamo stare attente agli indiani che ci molestavano e dovevamo chiuderci in casa a chiave. Il capitano degli indiani, essendo a conoscenza delle intemperanze dei suoi sottoposti, voleva essere informato in caso di trasgressioni o molestie da parte dei suoi soldati. Quando gli alleati lasciarono il paese portarono via una botte di marsala e una di vermouth e la famiglia Visani riprese la sua attività commerciale. 
        
 















Le scatole in latta dei biscotti




Una macchina per il gelato Carpigiani
Quando aveva lasciato il paese, la famiglia Visani possedeva tanti soldi da potersi comprare una tenuta. Questi erano stati scrupolosamente divisi e riposti in 4 sacchetti che ognuno dei componenti portava legato alla vita in modo da garantire una certa sicurezza ad ognuno di noi nel caso fossimo stati separati. Quando tornammo a Marradi, questi soldi, ormai svalutati, bastarono a malapena a comprare una botte di vino e poco altro, ma bastante a ricominciare."

           

 


Alcuni contenitori in vetro 
dell'osteria



"E così Marradi ebbe la sua  gelateria artigianale che produceva principalmente gelato alla crema e al cioccolato. Successivamente fu acquistata un’apparecchiatura che confezionava i “ Pinguini” , gelati al fior di latte ricoperti di una sottile sfoglia di cioccolato, confezionati intorno ad un bastoncino che poteva riportare la scritta “ PREMIO” : chi lo trovava aveva diritto ad un gelato gratis.

 



 




 Per confezionare i pinguini si usava un gas che “ fumava”: era azoto liquido che a contatto con la pelle la disidratava dando la sensazione di bruciore. La produzione di Pinguini, per questo motivo, fu presto abbandonata e i Visani cominciarono a vendere anche i gelati confezionati a marchio Motta. Il Ristorante Italia chiuse nel 1962.”










 



 Poco tempo dopo Bice si recò a Casola a comprare una macchina per fare il gelato: si trattava di una macchina Carpigiani che costò ben 700.000 lire!!!










La scatola in latta che conteneva i coni da riempire

mercoledì 13 novembre 2013

Le medicine dell'ospedale S.Francesco (ricerca n°2)


Gli acquisti dai farmacisti 
di Marradi nell'Ottocento
di Claudio Mercatali



Quali medicine venivano somministrate nell' '800 ai ricoverati nell' Ospedale S.Francesco di Marradi?
L'Ospedale comprava le medicine nelle farmacie del paese e quindi la risposta a questa domanda è nelle carte dell'archivio perché i farmacisti ogni mese presentavano il conto e la descrizione dei prodotti venduti. Chi pensa alle medicine attuali sbaglia parecchio, perché allora c'erano solo dei rimedi naturali, tutti ricavati da piante.
Gli antibiotici non c'erano e il primo fu scoperto da Alexander Fleming nel 1928 a Londra, il quale si accorse che la muffa del Penicillum notatum uccideva i batteri. Solo dieci anni dopo trasformò la "strana muffa" in una polverina bianca per uso esterno e poi in un farmaco che fu iniettato su un paziente per la prima volta il 12 aprile del 1941. In Italia la penicillina arrivò nel dopoguerra.

Ora siamo nel 1873-74 dieci anni prima dell' apertura della farmacia Ciottoli. I bravi farmacisti di Marradi si chiamavano Ghezzi e Baldesi.
Preparavano di persona gli infusi e i decotti di erbe. Ogni settimana passava da loro l'economo dell' Ospedale con la lista dei decotti e degli infusi da comprare secondo le prescrizioni fatte dai medici.

Il decotto è un liquido ottenuto facendo bollire un vegetale per estrarne i principi attivi. Serve per ricavare le essenze da parti coriacee come cortecce, radici, foglie dure e semi. Per le parti erbacee, le foglie e i fiori è meglio l'infuso, cioè l'immersione prolungata in acqua calda senza bollitura.



Che cosa comprò l'Ospedale dalla Farmacia Ghezzi nel gennaio 1873? La lista dei prodotti è qui accanto. Leggiamo:

Il decotto di gramigna si prepara con due o tre cucchiaini di radice essiccata in 150 ml d'acqua. Si fa bollire per un minuto, si getta l'acqua di cottura e si fa bollire di nuovo per dieci minuti. Dopo mezz'ora di riposo si filtra. E' il tipico decotto sgradevole e veniva somministrato per i dolori muscolari e delle articolazioni.

Il decotto di genziana si ottiene facendo bollire per quattro ore, in un litro d’acqua, trenta grammi di radice in polvere, che si compra in erboristeria.

L`artemisina, una sostanza estratta dall`artemisia annua, era considerata un rimedio per la malaria. Da alcuni studi recenti pare che questa antica convinzione sia vera. L'Ospedale la comprò dalla Farmacia Ghezzi sotto forma di pastiglie. L'artemisia assenzio è una pianta mitica, detta "la droga degli artisti" perché i suoi estratti alcolici, se molto concentrati danno una sorta di allucinazione. Baudelaire lo amava, Van Gogh lo beveva regolarmente, Degas gli ha addirittura dedicato un dipinto, questo qui accanto, dove si vedono due suoi amici un po' inebetiti ...



Degas: L'assenzio





Il tamarindo era utile per i problemi digestivi, essendo un buon lassativo e un regolatore intestinale. Si usava, e si usa ancora oggi, come sciroppo o marmellata che può essere data anche ai bambini.
 
L'olio di fegato di merluzzo è una fonte di vitamine A e D e contiene acidi grassi insaturi. Era impiegato per curare il rachitismo nei bambini e nell'osteoporosi nell' adulto. Fino ai primi anni Sessanta era regolarmente prescritto dai medici di famiglia e chi ha più di cinquant' anni può darsi che ricordi il suo sgradevolissimo sapore.

Il decotto di china si prepara lasciando al macero per due giorni la corteccia ben tritata, dopo averla fatta bollire per mezz'ora. Era un curativo per l'apparato respiratorio.

Il decotto di Lichene islandico (Cetraria Islandica) si prepara facendone bollire due grammi ogni cento millilitri d'acqua. Per mitigare il suo sapore amaro si può scartare l'acqua di prima bollitura, che è quella più ricca di alcali, e poi bollire di nuovo per mezz'ora. Era un antimicrobico e un disinfettante intestinale, ma anche un disinfettante e un cicatrizzante per le ferite, sulle quali si applicava come impacco con garze imbevute. Era anche un lenitivo per la tosse. I ricercatori moderni ne hanno confermato l'efficacia, dovuta a una sostanza chiamata acido usnico.

La farmacia Ghezzi nel 1883 venne rilevata dal farmacista Giovan Battista Ciottoli, che gli diede il suo nome ed è passata di generazione in generazione fino ai nostri giorni, gestita sempre dalla famiglia Ciottoli.
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La farmacia Baldesi era in piazza Scalelle, nei locali dove ora ci sono gli uffici COMES e chiuse nel 1924 alla morte di Ubaldo, figlio del farmacista Francesco Baldesi, di cui abbiamo detto prima.

Che cosa vendette la Farmacia Baldesi nel luglio 1873?

Il ginepro (Juniperus communis), è una Cupressacea con i fiori gialli che sbocciano all’inizio dell’estate. Le bacche acerbe sono verdi e maturando diventano viola, coperte da una pellicola cerosa (la pruina). Una ricetta semplice per preparare un infuso di ginepro è di lasciare in infusione per 5 minuti le bacche schiacciate (15gr) in 1 litro d'acqua bollente. Invece lasciando macerare per 2 settimane 10gr di bacche schiacciate in 1 litro di vino bianco con una scorza di limone si otterrà un macerato di ginepro che, assunto dopo i pasti si dice che prevenga i bruciori di stomaco.

 



Però ora seguiremo la ricetta del farmacista Francesco Baldesi, che consigliava di infondere 10g di bacche più 10g di calamo aromatico in 140g d'acqua. Il calamo aromatico è una pianta erbacea originaria dell'Asia, molto diffusa in tutta Europa, comune nei luoghi paludosi. Il rizoma di Acorus calamus L. un amaro aromatico digestivo.
Il farmacista consigliava di aggiungere 8g di acetato di potassio, che è un conservante noto e ammesso anche oggi dalla normativa CEE del 2011, però ora non ci serve perché non dobbiamo conservare l'infuso come faceva l'Ospedale nel 1874.



Dunque ora non rimane che provare. Siamo in autunno e le bacche di ginepro si trovano qui da noi. Invece il calamo bisogna comprarlo in erboristeria perché è una pianta palustre e nei nostri monti non c'è.

Si immergono le bacche schiacciate e il calamo tritato nell' acqua, si fanno bollire a bagnomaria per mezz'ora e si lasciano in infusione per un giorno. L'infuso è pronto quando il calamo e il ginepro sono andati a fondo. Poi si vuota la bottiglia, si strizza il residuo con le mani lavandolo con acqua fino a raggiungere la quantità prescritta di colatura (140g). Insomma la percentuale di essenza usata rispetto all'acqua usata deve essere di 20g/140g ossia un settimo, il 14%. Adesso occorre diluire, perché la percentuale corretta per gli infusi è di circa il 4 -5 %

Il sapore è amarissimo, quello tipico di una medicina cattiva, e ne ho bevuto solo un bicchierino. A voler essere sinceri mi pare che non abbia dato nessun effetto ma non ho riprovato. Questa non è una bevanda ma un vero e proprio farmaco antico, del quale nessuno sa più la posologia e quindi non è bene fare esperimenti a caso. Se in qualche documento o qualche ricetta medica antica si troveranno le dosi ne riparleremo.


Fonte: archivio storico dell'Ospedale S.Francesco di Marradi