Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

martedì 27 settembre 2011

Il tartufo, studio di un fungo misterioso

e in appendice 
"i porcini"
di Marco Cappelli


ll libro è frutto di alcuni anni di ricerca nel mondo dei tartufi commestibili italiani e nel mondo dei porcini. Il capitolo sui tartufi con le relative foto (circa 300) è suddiviso in cinque sezioni:
I) dalla raccolta all’ osservazione delle spore e del micelio;
II) il rapporto di simbiosi con le piante;
III) indagine sul mistero della formazione del corpo fruttifero;
IV) la formazione degli aschi;
V) la formazione delle ascospore.
Nella terza sezione sono riportate le immagini e lo studio di alcuni primordi di T. uncinatum e di T. melanosporum. Si tratta di embrioni di ascomi delle dimensioni di poche decine di micron, osservati e fotografati, durante il loro sviluppo, all’interno di particolari culture di micelio. Nella quarta sezione viene documentata la formazione degli ascogoni e delle relative ife ascogene all’interno del corpo fruttifero.
In appendice vengono trattati i porcini (circa 100 foto) con approfondimenti sulle spore, sul micelio, sulle micorrize e sulla formazione del corpo fruttifero. E’stata inoltre realizzata una scheda comparativa (illustrata) delle specie principali dei funghi del genere Boletus che vengono raggruppati per Sezione sia nei disegni sia nelle foto.Alcuni schemi e ricostruzioni grafiche illustrano le strutture e gli eventi più complessi.















LE VARIETA’ DEI TARTUFI COMMESTIBILI CHE CRESCONO NEL COMUNE DI MARRADI  (Romagna – Toscana)
Nella foto manca il T. aestivum (scorzone) da molti considerato la varietà estiva del T. uncinatum. Il T. aestivum spesso ha la gleba più chiara e la scorza più grossolana, però è meno saporito e meno profumato del T. uncinatum che risulta più pregiato.  




Clicca sulle immagini 
se le vuoi ingrandire 








IL TUBER MELANOSPORUM 
(NERO PREGIATO)
Specie di tartufo che raramente si trova nei terreni del Terziario, era geologica alla quale appartiene il comune di Marradi, ma cresce quasi esclusivamente in terreni del Secondario (Giurassico e Triassico). Gli esemplari della foto sono stati raccolti nella zona di Acqualagna (PU).

 I FUNGHI PORCINI  PIU' PREGIATI 
CHE SI TROVANO QUI DA NOI

 













A sinistra: Il boletus pinophilus (porcino rosso)
A destra:  Il boletus aestivalis






A sinistra: Il boletus aereus (porcino nero)
A destra: Il boletus edulis















Il libro completo del dr. Marco Cappelli è disponibile
per la lettura presso la Biblioteca di Marradi. 
Il libro "Il TARTUFO" è in vendita presso "photocity.it edizioni" si ordina via internet entrando su photocity - libreria - ricerca per titolo "il tartufo" o per autore "Cappelli Marco"

martedì 20 settembre 2011

Un trekking a Trebbana




Visita ad una chiesa sperduta nell'appennino
di Claudio Mercatali


Carta del Catasto Leopoldino (1833)


Dov’è Trebbana? Se ci fosse una classifica dei posti sperduti questa località si piazzerebbe di certo nelle prime posizioni. Siamo nel Comune di Marradi, al confine con Tredozio, in un crinale dell’alta valle del torrente Acereta, quasi di fronte all’eremo di Gamogna. Per arrivare qui bisogna percorrere la valle di Lutirano fino a Ponte della Valle, e poi salire a piedi per un bel po’. Oppure si può partire dal Passo della Collina e percorrere un lungo crinale. A chi può interessare un posto del genere? Vediamo. Il giornalista Quinto Cappelli, di Portico di Romagna, che ha studiato bene il territorio, ci dice che in virtù del suo isolamento la parrocchia di Trebbana, al tempo del Granduca, godeva di una specie di autonomia. Era un “comunello”, cioè una minuscola comunità amministrata più con la tradizione e le consuetudini che con le leggi. Questo stato di cose finì nel 1774, quando il Granduca Leopoldo I, nella sua riforma amministrativa abolì i “comunelli” di Portico, di Bocconi e di S.Benedetto facendo un unico comune e ridusse Trebbana a semplice parrocchia.
Terbana o Trebbana? Si sente dire in tutte e due i modi, ma nelle antiche carte prevale la prima dizione. L’etimologia è facile e deriva dal latino “trivium" cioè “tre vie” deformato dal dialetto medioevale. Nella cartina qui sopra si vede bene che le tre vie erano le mulattiere che convergevano alla chiesa dai vari poderi del comunello. Tutta questa zona venne abbandonata negli anni Cinquanta perché da questi poderi si ricavava poca risorsa e molta miseria. Così anche la parrocchia fu abolita e la chiesa piano piano cadde in abbandono. Però nei primi anni Settanta è stata riportata a nuova vita.
Don Antonio Samorì è un prete “sui generis” amante di chiese sperdute fra i monti e di eremi diroccati, che ricostruisce di sana pianta. E’ una vita che lo fa, prima a Terbana, poi a Gamogna e infine a Lozzole. Lavori enormi, anni e anni di fatiche, da solo o con gruppi di volontari che riesce quasi sempre ad aggregare.

Ecco che cosa ci dice Giuseppe Gurioli a questo proposito:
"... Nel 1975 Don Antonio ottenne dalla curia l’autorizzazione per iniziare i lavori di recupero della chiesa. Assieme a suo padre e a un gruppo di volontari cominciò i lavori per rendere idoneo l’edificio al culto e all’accoglienza di gruppi di ragazzi. Si trattava di portare lassù anche la corrente elettrica, l’acqua potabile e una linea telefonica. In tutto questo fervore Terbana rinacque e si riempì di vita. Vi si celebravano battesimi e matrimoni e si ripristinò la tradizionale festa parrocchiale. Però don Antonio è un irrequieto e quando passò dall’eremo di Gamogna, all’altro capo della vallata, lo vide distrutto e venne preso dal desiderio di ricostruirlo. Lo fece, ma questa è un’altra storia ...".

I PODERI DELLA PARROCCHIA (nel 1833)
Borgo di sopra, Borgo di sotto, Casetta del forno, L’insetola, Il cantone, La valle, Mestiolo,
Monte del cerro, Pian di Terbana

Stiamo parlando di un sito antico, oltre che sperduto. Lo storico Repetti lo descrive così (1833):
“Trebana di Romagna è un Casale che dà il vocabolo ad un popolo (S. Michele a Trebana) nella Comunità di Tredozio, già in quella di Portico, Diocesi di Faenza. Siede Trebana sulle spalle dell' Appennino di S.Benedetto fra le fiumane del Tramazzo e di Valle Acereta. La chiesa di Trebana era  dei vescovi di Faenza e uno di essi, chiamato Pietro, il 6 maggio 1063 la donò al santo monaco Pier Damiano per i suoi eremiti di Gamugno. Nel secolo XIII la chiesa di Trebana era stata ceduta ai monaci Camaldolensi di S.Ippolito di Faenza. Gli abitanti di Trebana si diedero al Comune di Firenze nel dì 1 agosto del 1383. La parrocchia di S. Michele a Trebana nel 1833 contava 99 abitanti”.
Dunque secondo Repetti, alla fine del Settecento il comunello di Terbana passò dal Comune di Portico a quello di Tredozio, e poi in epoca napoleonica la parrocchia fu assegnata a Marradi e a Rocca S.Cassiano (per il tribunale). Il tutto si vede qui accanto, nella carta ufficiale del Granducato di Toscana del 1834 di Gaspero Manetti, dove c'è scritto: “Sito n°31, Poggio di Terbana, territorio Comunitativo di Marradi, Vicariato di Rocca S.Cassiano”.

Ora non rimane che andare a vedere questa chiesina. Per non perdere il fascino della marcia di avvicinamento conviene partire dal Passo della Collina. Si imbocca la strada ghiaiata che si vede qui accanto e dopo 1,2 Km si arriva a una sbarra oltre la quale c'è il percorso campestre che ci porterà a destinazione.
Oggi è il 18 settembre, la giornata è fresca e l'arietta di fine stagione invita a camminare. Si devono percorrere diversi chilometri su un crinale, brullo e panoramico, dal quale si vede Tredozio sulla destra e la valle di Lutirano a sinistra.
 
Il tragitto è lungo e facile. Per un'ora e mezzo si cammina in una strada campestre, senza imboccare nessun sentiero laterale. Il tracciato è largo e non si può sbagliare e in più ogni tanto ci sono i segnali giallo - blu pitturati sul tronco degli alberi. In questo modo si percorre l'orlo superiore della Fonda di Valladoccia, una sperduta valletta, laterale della Valle Acereta, e poi il margine alto della valletta della Casetta del Forno, che si vede dal crinale. La chiesa di S.Michele a Trebbana è oltre questa vallecola.

Se si segue sempre la strada si arriva a S.Michele in Trebbana, però quando la strada comincia a scendere conviene seguire le indicazioni giallo - blu e imboccare un sentierino in salita che si snoda per qualche centinaio di metri lungo la recinzione di un pascolo. 
Ad un certo punto un cartello di legno su un albero dice di voltare a destra. Così facendo si arriva sopra a Trebbana, alla croce bianca e il panorama ripaga della fatica. La chiesa si vede là in basso e si raggiunge con un sentiero in discesa lungo il quale ci sono otto tabernacoli.




A fianco: La croce bianca, Trebbana è là, in basso.


Sotto: tre degli otto tabernacoli





Clicca sulle immagini 
per ingrandirle




La chiesa è bella, soprattutto dentro. 
Si vede subito la passione di chi l'ha rimessa a nuovo.

 



Oggi qui c'è la festa di settembre, con messa, processione fino alla croce bianca, e pranzo. Sono già cominciati i preparativi per la grigliata e la tavolata all'aperto. Appena acceso il fuoco, dal pascolo arrivano i cavalli e vanno dritti alla tavola apparecchiata. Hanno capito che ci può essere qualcosa anche per loro, però non fanno danni.
 
 
 








Acceso il fuoco ... dal pascolo arrivano i cavalli



Non mi fermerò più a lungo. Il cielo rannuvola e fra un paio d'ore pioverà. Non ho la jeep e mi aspetta un'ora e mezzo di cammino per tornare al Passo della Collina. E poi non sono stato invitato, e non posso presentarmi alla tavola apparecchiata come un cavallo. Al ritorno seguo la strada, senza rifare il sentiero dei tabernacoli, perché non può mancare una visita alla quercia secolare che è lungo la via. Chi ha misurato questo albero monumentale assicura che ha 4,75 metri di circonferenza.





 La famosa quercia

martedì 13 settembre 2011

Quelli della Ciclistica e della Podistica

L'attività della ASD Tosco Romagnola in agosto



L'Associazione Sportiva Dilettanti (ASD) Tosco romagnola è nata qualche anno fa, per iniziativa di un gruppo di ragazzi di Marradi e S.Martino in Gattara. Si occupa di ciclismo su strada, mountain bike e podistica. Con il tempo ha aumentato sempre più gli iscritti, e ora sono più di cento. La sede è a S.Martino in Gattara (Ravenna), ma molti soci sono di Marradi (Firenze), visto che i due paesi sono vicini e a cavallo del confine di regione. Da questo viene il nome della Società e il distintivo, che è uno scudetto diviso a metà, con il giglio di Firenze a sinistra e il gallo con la caveja, simbolo della Romagna, a destra. Gli associati si riconoscono a colpo d'occhio quando sono in giro, perché hanno una vistosa divisa bianca e arancione, che si vede bene e spesso lungo la strada per Faenza. L'attività dell'Associazione è intensa e sarebbe impossibile riassumerla qui. E' meglio consultare il sito degli interessati, che è questo:

ASD Tosco-Romagnola Via stazione 12, 48013 San Martino in Gattara (RA)
P.IVA: 02295170399  infoline- 340 5750021;
www ASD Tosco-romagnola

Ora parliamo di due iniziative svolte nello scorso mese d'agosto, notate anche da chi non si interessa di questi sport, perché la partenza era dal centro di Marradi.


LA PEDALATA DI S.LORENZO


Questa escursione, non competitiva, da Marradi a Firenze si svolge per S.Lorenzo (10 agosto). Si torna in treno ma i volenterosi possono anche tornare in bicicletta e c'è sempre qualcuno che lo fa. E' un appuntamento fisso da sei o sette anni, organizzato da un gruppo di dieci - quindici persone. Si parte da Marradi alle 7.00 e si torna con il treno in partenza da Firenze S.Maria Novella alle 11.40. Si pedala sempre, con una breve sosta al Passo della Colla e al Passo delle Croci ma solo per ricompattare il gruppo. A Fiesole e in Piazza Signoria c'è la tradizionale foto dei partecipanti. Prima di andare in stazione si ristabilisce il livello degli zuccheri con una visita alla pasticceria Robiglio, una delle migliori di Firenze. Quest'anno il tenore zuccherino è stato ripristinato al nuovissimo Hard rock café di piazza della Repubblica, che ha aperto il 4 luglio e una visita era d'obbligo.

 
Qui sopra: il gruppo a Fiesole. L'ultimo a destra, con la maglia bianca e rossa, è Alberto Tronconi (Alberto del Sidis) che ha 77 anni. Accanto c'è suo nipote ... che ha 16 anni. (Foto di Sandro Moretti).



Qui a destra: il gruppo in Piazza Signoria davanti alla statua del Nettuno.






 LA STAFFETTA E IL DUATHLON

La staffetta, è una corsa competitiva, che si svolge così: 1) Un concorrente pedala da Marradi a Val della Meda 2) Il suo socio riceve il testimone e corre, a piedi, fino al Passo Peschiera. Chi non conosce il posto sappia che le due località distano circa 13,4 Km e c'è un dislivello complessivo di quasi 700m! Stiamo parlando della strada provinciale n° 47 Marradi - S.Benedetto in Alpe, uno dei tragitti più duri per i ciclisti in questa parte dell'appennino. Si vince per somma dei tempi e per avere qualche speranza di piazzarsi bene bisogna percorrere il tratto in bici in 23 minuti e nello stesso tempo correre a piedi. Partecipano anche le donne, e le coppie migliori arrivano al passo in meno di un'ora. Sono tempi pazzeschi, fattibili solo da chi ha un allenamento agonistico e una buona attitudine alle corse in salita. La classifica di quest'anno e delle edizioni passate è nel sito della Società.

    Il duathlon consiste in questa stessa prova, svolta da un solo concorrente, che a Val della Meda scende dalla bicicletta e corre fino al Passo Peschiera.

      Accanto: Marco Lo Cascio è arrivato a Val della Meda. Leonardo Miniati fa partire il cronometro e comincia la sua corsa a piedi. Impiegheranno 48 minuti, arrivando fra i primi. (le foto sono di Riccardo Lo Cascio)





      Il presidente della Tosco romagnola, Massimiliano Zaccarini, premia i vincitori a Coloreto: da sinistra: Marco Piazza, per la gara singola (in maglia rossa) i fratelli Daniele e Stefano del Rosso, secondi classificati alla staffetta (maglia blu e bianca) e infine Marco Serasini e Roberto Silvagni, vincitori della staffetta (maglia rossa e bianco - verde)


      L'attività dei soci della Tosco romagnola non finisce certo qui. Nei primi giorni di settembre Marco Serasini ha vinto la Rimini S.Marino, una corsa a piedi di 23 km ... 



      La classifica della staffetta 
      e del duathlon 
      e' nel sito della societa'













      martedì 6 settembre 2011

      Al teatro degli Animosi



      La magia pianistica di Liszt
      di Antonio Moffa



      Sabato 10 settembre 2011, al TEATRO degli ANIMOSI, la magia pianistica di FRANZ LISZT con Mirco Ceci e Federica Bortoluzzi, della SCUOLA DI MUSICA DI FIESOLE (ingresso libero).




      “IL GENIO DEL TERRITORIO” si manifesta ancora a Marradi per commemorare il “mago” del pianoforte ottocentesco Franz Liszt, a duecento anni dalla nascita (1811 – 1886+).
      Dobbiamo essere grati a questa iniziativa della Provincia di Firenze e dei Comuni del comprensorio fiorentino, che permette di ascoltare la buona musica, spesso collegata ad eventi cronologici rilevanti: lo scorso anno fu festeggiato il bicentenario natale di Chopin, quest’anno possiamo ascoltare cinque brani del grande musicista ungherese. 

      Franz Liszt

      Ci sono alcune affinità e molte differenze fra Chopin e Liszt: da molti il polacco è considerato il più grande compositore di letteratura pianistica e Liszt il più grande virtuoso della tastiera al pari di Paganini per il violino. Ambedue amavano l’ambiente salottiero ma, quanto Chopin era malaticcio, malinconico e poetico, tanto Liszt era vulcanico, roboante, itinerante e presenzialista. Chopin è morto a 39 anni, Liszt a 75, età biblica fra i grandi musicisti.
      L’aspetto predominante del compositore ungherese è l’eclettismo: grandissimo pianista, compositore di svariati generi musicali (concerti, poemi sinfonici, messe, oratori, studi, sonate, parafrasi e trascrizioni da opere per piano ed altro), direttore d’orchestra, insegnante, critico musicale, promotore di eventi musicali e abate. Sì proprio abate, con il placet di Pio IX. 

       Frédéric Chopin

      Ironicamente si può dire che Liszt fu un virtuosissimo pianista ma un abate poco virtuoso, poiché l’abito talare, indossato a Roma, gli servì soprattutto per tirare a campare ed avere le entrature giuste nella nobiltà capitolina. Quell’abito non consentiva a Liszt di celebrare messa, né amministrare sacramenti ed egli poteva tornare allo stato laicale ad libitum. 

      Antonio Vivaldi

      Vivaldi fece di peggio: il prete rosso ottenne la dispensa dai doveri sacerdotali per “ristrettezza di petto” (!) e sappiamo che alla fine del ‘600 i vincoli religiosi erano molto più rigidi, anche nella Serenissima.
      La produzione musicale di Liszt è impressionante; solo G.P. Telemann, contemporaneo di Bach e Vivaldi, lo supera per numero di lavori ed anche per età (il tedesco morì a 86 anni!). La parte più ampia di tale produzione è, ovviamente, quella pianistica, fondamentale ancora oggi per gli studiosi dello strumento-principe.
      Il suono del pianoforte lisztiano è alternativamente limpido, celebrativo, brillante, solenne e meditativo. Sul pianoforte Liszt trasferisce tutta la sua generosità musicale.
       I brani in programma sabato prossimo ci permettono di verificare tre aspetti fondamentali della sapienza pianistica di Liszt: la sonata in si minore rappresenta la forma astratta, i tre brani tratti dalla raccolta “Années de pèlerinage” sono un buon esempio del diario musicale itinerante e le reminiscenze da “Norma” di Bellini ci fanno apprezzare la maestria di Liszt nelle trascrizioni di lavori operistici. In pieno ‘800 questa forma musicale ebbe molto successo, perché consentiva di cogliere le linee essenziali del melodramma anche fuori dal contesto scenico ed era un veicolo pubblicitario dell’opera lirica: gli strumenti che riproducono suoni e voci si affermeranno solo all’inizio del 20° secolo. 

      Spartito della "Campanella " di Liszt

       Gli esecutori, già citati all’inizio, giovani e di bella presenza, hanno un’ottima scheda artistica e sono stati applauditi nelle precedenti esibizioni del circuito “IL GENIO NEL TERRITORIO”: l’aristocratica atmosfera del nostro Teatro e la sua invidiata acustica garantiscono a loro e agli ascoltatori un’altra serata di successo. L’incontro preparatorio al concerto viene tenuto nella Biblioteca comunale di Marradi giovedì 8 settembre alle 21.

      domenica 4 settembre 2011

      Luca Mommarelli scultore itinerante

      Un catalogo di sculture singolari,
      fatte con gli sferoblasti



      Presentazione di Niccolò Niccolai
      Spesso la domanda più profonda che il nostro essere rivolge alla vita non è formulata in modo canonico “chiedo e attendo una risposta”, no talvolta la domanda di senso che il nostro essere rivolge alla realtà tutta è un vagare in luoghi, dove ciò che si incontra risulta consonante alle proprie aspettative, e da ciò se ne trae sentimento, soddisfazione, e talvolta felicità.
      Luca Mommarelli, scultore, invera nella sua opera, questa ricerca di risposte. I suoi itinerari, che sono il suo modo peculiare di domandare senso alla vita, si snodano fra i sentieri boscosi del suo amato Mugello.

      Forre, declivi, vette sono battuti abitualmente dallo scultore Mommarelli che, parafrasando una poesia di Garcia Lorca, diviene in montagna montanaro, nel bosco boscaiolo, nel suo studio abile intagliatore di materiali eterogenei, che nelle sue mani diventano singolari sculture.
      Da ogni escursione nel bosco, sulla riva del lago, sul greto del fiume, o in casolari abbandonati, Luca Mommarelli da moderno “raccoglitore”, ritorna con pezzi di legno, materiale a lui caro. Ma non disdegna i metalli, le pietre e la creta. Radici, tavolette rose dal tempo, lamine ossidate, per Luca sono preziosissime esortative, che già al momento del loro rinvenimento, attivano la sua creatività.

      Protezione materna (2008) castagno, h 55cm
      (clicca sulle immagini se le vuoi ingrandire)

      Infine, nello studio, la sua domanda viene rivolta ad altri boschi, ad altri fiumi, che sono quelli che costellano la cultura artistica passata e l’attuale. Le sue radici, le sue lamine, le sua tavolette sapientemente assemblate, delicatamente ritagliate, suggeriscono a Luca opere di artisti e letterati ed egli, con libertà attenta, suggestionato dalle sue stessa immagini, battezza i suoi lavori con titoli che a suo parere ricordano le opere di scrittori e pittori moderni e contemporanei che nel tempo l’hanno influenzato. Il suo essere artista itinerante, che domanda senso alla vita, lo porta nelle sue escursioni ad ascoltare i racconti di esistenze passate, che vedono protagonisti di volta in volta briganti, contadini, alienati ricercatori di senso.
      Racconti che Luca fissa una volta per sempre nella materia grezza delle sue opere.

      Natività (2009) castagno, h 66 cm

      Sentiamo che cosa dice il nostro scultore di se stesso:
      Mi chiamo Luca Mommarelli, sono uno scultore autodidatta, nato a Firenze nel 1964 ma per metà sono di origini mugellane e da alcuni anni vivo nel Mugello, terra rigogliosa di boschi, fonte primaria della materia lignea protagonista delle mie sculture. Prima di arrivare alla scultura lignea essendo cresciuto a Firenze nel quartiere di S.Spirito, ricco di botteghe artigiane, mi sono avvicinato, per curiosità, ad una serie di artigiani per imparare le loro tecniche: doratura di cornici a guazzo, cesello a sbalzo del rame, vetrate liberty e modellato in creta e saranno in seguito un bagaglio fondamentale nel mio percorso artistico., ed è così che, nell’errare tra i boschi, il mio vero studio, ho scoperto gli sferoblasti o ovoli di castagno, che si formano generalmente alla base (colletto) delle piante, grazie alla presenza di numerose gemme latenti e ammassi iperplastici di gemme avventizie ad elevato potenziale morfogenetico.
       
       Dina - mismo (2010) castagno, h 45cm

      Queste importanti formazioni, di cui il castagno è ricco, assumono forme decisamente sferiche (da cui il nome di sferoblasti) e costituiscono oggi l’oggetto del mio lavoro. E così, dal primo sferoblasto preso tra le mani, è nato il volto inquietante di Salvatore, personaggio del film “Il Nome della Rosa”  poi sono nati tutti gli altri frati, dai corpi stilizzati, per valorizzare la fisionomica dei volti, a volte ironica e bizzarra, a volte triste o drammatica, sempre però molto intensa e vivida.



      ... e così dal primo sferoblasto è nato il volto inquietante di Salvatore

      ... e poi sono nati tutti gli altri frati ... dai corpi stilizzati ...

      A sinistra: fra Salvatore IV (2006, legno d'acero) Al centro: fra Graziano LXXXVI (2008, doga di botte di castagno) A destra: fra Alinardo XXII (2007, doga di botte di castagno)

      La mia evoluzione artistica ha avuto una svolta quando durante le passeggiate nei castagneti ho portato con me alcune “teste” già lavorate e mi sono messo alla ricerca di legni per realizzare il loro corpo. E’ così che sono nate le “schegge sculture”: sono stato attratto dalla forma contorta di alcune schegge di castagno, affascinato dal contrasto fra la superficie coperta dalla corteccia e “l’energia” che usciva dalle lacerazioni del legno logorato dal tempo e mi trasmetteva un senso di fragilità e precarietà. Questi abbinamenti “testa – corpo” frutto di una interpretazione personale delle meraviglie che la natura ci offre, diventano sculture e rappresentano una umanità a metà strada fra la realtà e il sogno. La scultura secondo me dovrebbe trasmettere emozioni, diversamente rimane un’esercitazione di forma e non di contenuto. Il mio lavoro richiede tempo nella fase progettuale, quando cerco la combinazione giusta fra quello che osservo nella nature a e quello che elaboro nella mente, ma nella realizzazione sono veloce e instancabile fino alla fine dell’opera.

      Due sculture di Mommarelli sono al Centro Studi
      e Documentazione sul Castagno, di Marradi .

      Fonte: Luca Mommarelli, sculture, catalogo stampato dalla tipografia Mecocci, marzo 2010, con il patrocinio del Comune di Borgo S.Lorenzo, della Comunità montana del Mugello e del Centro Studi e Documentazione sul Castagno, di Marradi.

      A destra: Sostenersi (2010) castagno, h 73 cm  A sinistra: Il coro (2008) doghe di castagno e sorbo, 100 x 36 x 50cm

      GLI SFEROBLASTI
      Secondo la leggenda gli sferoblasti sono i dispettosi spiriti del bosco, intrappolati nella corteccia. Aspettano che qualcuno scortecci il legno, li scopra e li liberi dalla schiavitù, ridando loro il volto che avevano. Il mito dice che ci chiamano, anche se non li sentiamo, quando camminiamo nel bosco, perché noi li scopriamo ....

      Un blocco di sferoblasti ripulito dalla corteccia
      da www. trekking in montagna.blogspot.com